Osservatorio Notarile - Ottobre/Dicembre 2022
Modifica paginaautori Giulia Fadda , Marco Filippo Giorgianni , Mauro Scatena Salerno
Osservatorio trimestrale su temi di interesse notarile. Ottobre-Dicembre 2022. A cura del Notaio dott. Marco Filippo Giorgianni, del Notaio dott. Mauro Scatena Salerno e della dott.ssa Giulia Fadda. In questo numero sono presenti: un contributo del Notaio Marco Filippo Giorgianni avente ad oggetto il revirement della Cassazione in materia di donazioni indirette ed azione di restituzione ed, infine, un osservatorio giurisprudenziale realizzato dal Notaio Mauro Scatena Salerno e dalla dottoressa Giulia Fadda riguardante le più importanti pronunce della Cassazione degli ultimi mesi.
Notary Observatory - October/December 2022
Quarterly observatory on issues related to the notarial profession. October-December 2022. Edited by the public Notary dott. Marco Filippo Giorgianni, the public Notary dott. Mauro Scatena Salerno and the dott.ssa Giulia Fadda. In this issue there are: a contribution by the public notary dott. Marco Filippo Giorgianni concerning the revirement of the Cassation in the matter of indirect donations and restitution action and, finally, a jurisprudential observatory created by the public Notary Mauro Scatena Salerno and the dott.ssa Giulia Fadda, concerning the last months most important rulings of the Court of Cassation.NOTA A SENTENZA
DONAZIONI INDIRETTE ED AZIONE DI RESTITUZIONE: IL REVIREMENT DELLA CORTE DI CASSAZIONE[1]
(Cass., Sez. II, 07 ottobre 2022, dep. 02 dicembre 2022, n.35461 - Pres. Orilia - Rel. Tedesco - A.A. c. B.B. e altri)
Le donazioni contrattuali, aventi ad oggetto beni che provenivano direttamente dal patrimonio del donante, non portano di per sé alla trasformazione del diritto del legittimario al bene in natura in un diritto di credito.
Infatti, se il donatario beneficiario della disposizione lesiva ha alienato l'immobile donatogli, il legittimario, nel caso in cui ricorrano le condizioni stabilite dall'art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti, che sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta (ad esempio nell'intestazione di beni in nome altrui).
Invero, nella donazione indiretta poiché l'azione di riduzione non mette in discussione la titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito.
Indice: 1) Premessa; 2) Circolazione immobiliare e donazioni indirette; 3) L’ultima pronuncia in ordinanza della Cassazione; 4) Conclusioni.
1) Premessa
Con l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n.35461 del 2022 si assiste ad un ulteriore dietrofront inerente alla commerciabilità dei beni pervenuti per donazione indiretta, che vengono riclassificati come liberi da ogni pretesa restitutoria del legittimario che agisce in riduzione, e come tali capaci di circolare liberamente senza che il terzo acquirente possa trovarsi titolare di un bene oggetto di lite tra coeredi.
Importante è chiarire in ogni caso il concetto di donazione indiretta e i riflessi della sua qualificazione sul mercato immobiliare, di guisa da comprendere come l’esito giurisprudenziale, già delineato nello storico precedente del 2010[2], abbia notevole importanza e debba, anche e soprattutto per l’operatore pratico, rivestire caratteri di stabilità, se non addirittura di certezza.
2) Circolazione immobiliare e donazioni indirette
Con il termine donazione indiretta si intende la fattispecie nella quale si realizza il fine tipico della donazione, ossia l’arricchimento del patrimonio di un soggetto, cui corrisponde, per spirito di liberalità, il depauperamento del patrimonio di un altro soggetto, non mercé l’utilizzo di uno schema tipico, bensì attraverso un diverso negozio, che assuma la qualifica di mezzo attraverso il quale realizzare un intento liberale.
A mancare, nel nostro sistema giuridico, è altresì la definizione stessa di donazione indiretta, essendosi il nostro legislatore limitato ad enunciare una norma di richiamo generico, l’art. 809 c.c., con la quale si enunciano le norme previste in tema di donazione che siano anche applicabili ad atti che ne mantengono il connotato causale, ossia le liberalità donative, tra le quali rientrano anche le donazioni indirette, che, d’altro canto, presentano problemi di inquadramento in riferimento specifico alla loro natura giuridica.
Secondo la giurisprudenza[3], infatti, la differenza tra donazione diretta e indiretta non consiste nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, ma nel mezzo utilizzato per attuare la liberalitá. Questo, per le prime, è lo stesso il contratto di donazione; per le seconde è invece un atto che, pur essendo rivolto, secondo lo scopo pratico (causa in concreto) perseguito dalle parti, ad attuare il medesimo fine, lo realizza comunque, prescindendo dalla causa tipica del negozio.
La donazione indiretta consiste, dunque, in una liberalità che viene attuata non con il contratto tipico di cui all’art 769 c.c., ma mediante un negozio, normalmente oneroso, che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con un altro negozio, l’arricchimento, con spirito di liberalità, del destinatario della attribuzione.
In altri termini, nella donazione indiretta la liberalità coincide con il risultato dell'atto, mentre nelle donazioni dirette la liberalità costituisce il contenuto, l’oggetto immediato dell'atto.
La categoria della donazione indiretta è stata oggetto di analisi di numerosi contributi dottrinali.
Per comprendere in che modo una liberalità non donativa sia idonea a ledere i diritti che la legge riserva agli stretti congiunti del de cuius, e per individuare il contenuto della tutela garantita al legittimario pregiudicato, è utile prendere le mosse dalla situazione che si verifica in presenza di un atto formalmente donativo, posto in essere da un soggetto che poi muoia senza testamento.
Infatti, il riferimento preciso delle norme relative all’azione di riduzione è il contratto definito dall’art. 769 c.c.[4]
L’art. 809 c.c., tuttavia, estende alle liberalità diverse la disciplina delle donazioni in tema di revocazione e di riduzione, mentre, quanto alla collazione, bisogna fare riferimento all’art. 737 c.c. e più precisamente a ciò che i coeredi hanno ricevuto «per donazione direttamente o indirettamente».
Questa disposizione ha imposto alla dottrina un’analisi in ordine alla compatibilità tra le norme dettate per il tipo previsto dalla legge, ossia la donazione, e le fattispecie atipiche, ossia gli atti da questa diversi ex art. 809 c.c., in modo da verificare se e con quali eventuali adattamenti di disciplina sia possibile applicare gli strumenti di tutela della legittima, tipicamente previsti per il contratto di donazione, anche a codeste liberalità non donative[5].
Nell’ipotesi di contratto tipico di donazione avente per oggetto la proprietà di un bene, la titolarità così trasferita al donatario, qualora il valore del bene stesso ecceda la disponibile, impedisce al legittimario di conseguire la porzione riservatagli ex lege.
In altri termini, il legittimario, destinatario di una vocazione ereditaria, in assenza di testamento, si vede privato del valore (corrispondente a quella eccedenza) necessario a integrare il contenuto economico della quota dell’asse a lui spettante.
Quota che, in quanto erede necessario, va calcolata (non sul solo relictum come la quota degli eredi legittimi), ma sul relictum più il donatum detratti i debiti.
Ora, considerando che l’efficacia e, di conseguenza, la relativa natura del rimedio esperibile è in funzione del preciso contenuto assunto dalla lesione, nel caso di specie la tutela del legittimario deve consentirgli di rimuovere l’ostacolo dato dalla titolarità in capo al donatario della situazione giuridica oggetto della liberalità.
Pertanto, dato che la lesione, costituita dall’uscita del diritto di proprietà dal patrimonio del de cuius (in quanto impeditiva dell’acquisto dello stesso da parte del legittimario), coincide con l’effetto tipico della donazione, la lesione viene meno solo rimuovendo tale effetto; solo impugnando l’efficacia dell’atto dispositivo per cancellare la titolarità del bene trasferita dal de cuius al donatario.
Il che vale a spiegare la natura giuridica dell’azione di riduzione (di impugnativa negoziale) e l’effetto caducatorio del titolo dell’acquisto che ad essa si riconduce e che si rivela necessario per eliminare la lesione data dall’impedimento all’acquisto ereditario del bene donato come porzione legittima[6].
Quando, invece, si è in presenza di liberalità diverse dalla donazione tipica, il concetto stesso di lesione di legittima deve atteggiarsi diversamente e si riflette sul contenuto e sugli effetti assunti dalla riduzione e, di conseguenza, sui suoi presupposti di operatività e sulle modalità attuative della tutela esperibile dal legittimario a specifica difesa dei suoi diritti[7].
Considerato che l’obiettivo tradizionale dell’azione di riduzione è quello di assicurare al legittimario effetti successori aventi ad oggetto situazioni giuridiche già uscite dal patrimonio del de cuius in conseguenza di liberalità eccedenti, e che ciò avviene attraverso l’inopponibilità, all’attore vittorioso in riduzione, di quelle medesime fattispecie, attenta dottrina ha osservato tale obiettivo non può realizzarsi negli stessi termini ove ci si trovi in presenza di vicende negoziali che, tendenzialmente presentano la non coincidenza tra il bene uscito dal patrimonio del disponente e il bene pervenuto al patrimonio del beneficiario[8].
Ad avviso di tale dottrina, infatti, detto bene, non avendo mai fatto parte del patrimonio del de cuius, non può ad esso tornare, non potendosi realizzare per esso la funzione caducatoria del titolo liberale realizzata dal giudicato di riduzione, onde consentire al legittimario di acquistarlo iure successionis[9] .
Così ragionando, d’altro canto, in questi casi verrebbe meno il risultato tipico del giudicato di riduzione, ossia il verificarsi in favore del legittimario di un acquisto a causa di morte.
Tale risultato ricorre in tutti i casi in cui la riduzione ha ad oggetto liberalità tipiche, anche se viene conseguito con molteplici strade diverse, a seconda delle modalità concrete assunte dalla lesione di legittima.
Il tema, del resto, è ben noto alla giurisprudenza, che se ne è prevalentemente occupata dall’angolatura della collazione e con specifico riguardo al fenomeno della c.d. intestazione di immobili sotto nome altrui, essendosi affermato il principio, ormai da tempo, secondo cui l’oggetto della liberalità in questo caso coincide con l’immobile acquistato dal beneficiario [10].
Peraltro, quando pure si ammetta che l’oggetto delle liberalità atipiche sia da individuare nel bene che entra nel patrimonio del donatario, non è risolto il problema di come si atteggi l’azione di riduzione.
Secondo una prima prospettiva, si è ritenuto di dover concludere che essa non operi qui nei termini di un’impugnativa negoziale, essendo da registrare l’estraneità del donante rispetto al titolo di acquisto del donatario, sicché anche rimossa l’efficacia di questo titolo il bene non potrebbe certo considerarsi riattratto alla sfera giuridica del primo, si da arrivare, iure successionis, al legittimario.
Piuttosto, l’azione di riduzione opererebbe, in questo caso, come strumento capace di determinare la retrocessione del bene al legittimario, il quale, per effetto dell’accoglimento della domanda, diverrebbe un avente causa dal donatario[11].
Secondo altra impostazione, invece, l’azione di riduzione mantiene anche in quest’ambito la natura di un’impugnativa negoziale, sennonché il suo oggetto sarà qui costituito dall’accordo tra donante e donatario da cui risulti sempre la causa donandi e che possa giustificare la qualificazione della fattispecie nei termini di una liberalità: con la conseguenza che, una volta tolta efficacia ad un tale accordo, il donatario sarà tenuto a restituire per equivalente l’arricchimento ottenuto, perché non più sorretto dal proprio originario fondamento causale[12].
Di recente, altra dottrina recupera l’assunto relativo all’estraneità all’area delle impugnative ne- goziali dell’azione di riduzione esperita nei confronti di una liberalità non donativa in base alla considerazione che l’assimilazione del trattamento successorio della liberalità atipica a quello della donazione formale è impedita ogni qual volta il mezzo tecnico di realizzazione del diritto alla legittima, come sopra descritto, si rivela incompatibile con la struttura della liberalità non donativa medesima, che si caratterizza per la non coincidenza tra depauperamento del disponente e arricchimento del beneficiario.
In tali evenienze, muta il contenuto assunto dalla lesione di legittima, e pertanto la situazione giuridica soggettiva, di cui il beneficiario della liberalità non donativa si è arricchito, non costituisce impedimento all’acquisto della porzione riservata al legittimario, non potendo neppure esservi ri- compresa, proprio in considerazione del fatto che non è mai stata parte del patrimonio del de cuius.
Parimenti diverse appaiono, però, la natura giuridica e l’efficacia del rimedio esperibile dal legittimario: la rimozione della titolarità di quella situazione giuridica soggettiva in capo al benefi- ciario (o al suo avente causa), attraverso un rimedio con funzione caducatoria del titolo liberale, non ne consente comunque l’acquisto del bene da parte del legittimario in quanto erede[13].
Ma se diversa è la natura della lesione, altrettanto deve essere la natura del rimedio, dato che mutando il presupposto su cui si fonda la riduzione e l’obiettivo che essa persegue, deve altrettanto cambiare il suo stesso modo di operare, il che fa venir meno l’unitaria qualificazione della riduzione in termini di impugnativa negoziale, cioè di rimedio volto a incidere sulla stabilità delle vicende che discendono dal negozio medesimo[14].
La conseguenza sarà che, nelle ipotesi in cui il bene uscito dal patrimonio del disponente non coincida con quello di cui si è arricchito il beneficiario della liberalità non donativa, la reintegrazione dei diritti di legittima rimane a carico solo di quest’ultimo, ma sotto forma di credito pecuniario vantato dal legittimario nei suoi confronti.
Questo perché la pretesa del legittimario non può dirigersi verso l’acquisto della situazione giuridica soggettiva che ha incrementato il patrimonio del donatario, ma solo al recupero del valore economico corrispondente a tale incremento[15].
Quindi, in base a questa prospettiva, seguita dalla dottrina più attenta[16], con il favore della giurisprudenza di legittimità[17], nessun effetto il giudicato di riduzione potrà produrre, ai sensi degli artt. 561 e 563 c.c., verso i terzi aventi causa dal donatario, contro il quale il legittimario leso sarà ammesso a far valere, come conseguenza dell’accoglimento della propria domanda, solamente una pretesa creditoria.
3) L’ultima pronuncia in ordinanza della Cassazione
La recentissima ed ultima pronuncia della Suprema Corte si pone in discontinuità rispetto ad un arresto avvenuto sempre nel medesimo anno 2022.
Infatti, con la sentenza n.4523 del 2022, la Cassazione sembra sconfessare il precedente arresto sopra enunciato, e ciò in base a diversi elementi.
Infatti, secondo questa pronuncia, il legittimario può utilizzare il rimedio della opposizione anche con riguardo alle donazioni indirette; come pure può agire, anche prima della morte del donante, per far valere la simulazione di un atto che dissimuli una donazione, al fine di trascrivere l’opposizione alla liberalità stessa; da ultimo sarebbe ben possibile esperire l’azione di restituzione anche rispetto ad una liberalità indiretta, con ciò sconfessando l’arresto giurisprudenziale a sezioni unite del 2010, che fino a quel momento assurgeva a pietra angolare per la circolazione degli immobili oggetto di donazione indiretta.
L’ultima pronuncia in ordine di tempo, invece, ossia quella del 02 dicembre, segna un significativo ritorno agli assunti precedenti.
Infatti, il giudice di legittimità torna ad essere categorico nel dire che, se il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l’immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono tutte le condizioni stabilite dall’art. 563 c.c., può agire in restituzione verso i successivi acquirenti, i quali sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria nel diverso caso del legittimario che voglia esperire azione di riduzione verso una donazione indiretta.
In particolare, dalla motivazione della sentenza si evince questo importante revirement: «nella donazione indiretta, come chiarito da questa Suprema Corte nel 2010, poiché l’azione di riduzione «non mette in discussione la titolarità del bene […], il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito» (così testualmente Cass. n. 11496 del 2010; contra Cass. n. 4523/2022, nella quale è data per scontata l’applicabilità dell’art. 563 c.c. anche alle c.d. donazioni indirette, senza tuttavia confrontarsi con Cass. n. 11496 del 2010 cit., che, recependo le indicazioni espresse in dottrina, tale applicabilità aveva motivatamente escluso)».
In pratica, questo successivo pronunciato serve a colmare una lacuna di una precedente sentenza che aveva omesso il necessario ragguaglio con il precedente giurisprudenziale emesso a Sezioni Unite.
Da qui il necessario chiarimento, ancorché non nelle forme della sentenza, ma dell’ordinanza.
4) Conclusioni
Il ritorno al passato di questo pronunciato assume rilevanza pratica notevole anche solo pensando al caso più ricorrente nella prassi di donazione indiretta.
Quando un padre fornisce al proprio figlio la provvista di denaro per l’acquisto di un immobile, pur concretando di fatto una donazione dello stesso immobile, non si ha un transito del bene dal patrimonio del donante a quello del donatario, requisito imprescindibile per potersi configurare una restituzione.
Mancherebbe proprio questo passaggio, che, sotto il profilo squisitamente pratico, consente di far circolare il bene senza la spada di Damocle di un’azione giudiziaria, concretandosi la tutela del legittimario eventualmente leso in una mera pretesa creditoria.
OSSERVATORIO GIURISPRUDENZIALE RELATIVO ALLE PRINCIPALI SENTENZE EMESSE DALLA CASSAZIONE NEI MESI DI OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE DELL’ANNO 2022 IN AMBITO NOTARILE[18]
Indice: 1) Abitabilità e vendita aliud pro alio; 2) Debiti e contratti aziendali; 3) Recesso del socio e cessione della quota sociale a terzi; 4) Termine assegnato per l’accettazione di eredità e revocabilità della rinunzia all’eredità; 5) Atti di rettifica e responsabilità del notaio; 6) Usucapione e coerede nel possesso dei beni ereditari; 7) Trasformazione di società e responsabilità per le obbligazioni anteriori; 8) Legato in sostituzione di legittima e diritto a richiedere la legittima; 9) Ipoteca esattoriale e comunicazione al contribuente; 10) Dichiarazioni mendaci e responsabilità del notaio; 11) Contratto preliminare e contratto definitivo; 12) Versamento in conto capitale e cessione del credito; 13) Sopraelevazione e distanze; 14) Presentazione della domanda di concordato preventivo e termine; 15) Affitto di azienda e forma scritta; 16) Cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese ed obbligazioni sociali; 17) Rinuncia ad eredità e debiti ereditari.
PRONUNCE IN PRIMO PIANO
1) Abitabilità e vendita aliud pro alio
Cass., 14 settembre 2022, dep. 21 novembre 2022, n. 34211 - Pres. Di Virgilio - Rel. Dongiacomo - A.A. c. B.B. e altri - (rif. artt. 1460 e 1477 c.c.; art. 40, comma 2 legge 28 febbraio 1985 n.47; artt. 24 e 25 D.P.R. 06 giugno 2001 n.380)
RITENUTO IN FATTO
1.1. Il tribunale di Pordenone, in accoglimento delle domande proposte da (omissis) con atto di citazione del 3/1/2012, ha condannato (omissis) e (omissis) a pagare all'attore la somma di Euro 46.683,00, oltre accessori, pari al costo degli interventi edilizi necessari perché l'immobile destinato a civile abitazione, che le convenute avevano venduto a quest'ultimo nel marzo del 2003, potesse ottenere il certificato d'abitabilità.
1.2. (omissis) hanno proposto appello al quale (omissis) ha resistito.
2.1. La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l'appello.
2.2. La corte, in particolare, dopo aver evidenziato il contenuto della dichiarazione resa dalle venditrici, ai sensi dell'art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, innanzi al notaio, in occasione dell'atto di vendita stipulato in data 26/3/2003, «circa l'inizio e l'ultimazione della costruzione in data anteriore all'1.9.1967» e «circa l'inesistenza», di successivi interventi edilizi (o mutamento di destinazione d'uso) per i quali fosse necessaria licenza, autorizzazione o concessione edilizia», ha ritenuto che tale circostanza - neppure smentita ed anzi in qualche modo confermata dagli accertamenti espletati in primo grado (e segnatamente dalle verifiche del consulente tecnico d'ufficio, «il quale ha riferito dell'esistenza di una licenza di costruzione del fabbricato in esame risalente al 15.6.1965... e di una richiesta di abitabilità presentata il 22.2.1967») - rendeva all'evidenza «ininfluente, sul piano della validità del rapporto negoziale posto in essere dalle parti e della piena commerciabilità del bene (considerato in ogni suo aspetto) che ne fu oggetto», ai sensi dell'art. 40, comma 2, della L. n. 47 del 1985, il fatto che «il fabbricato non rispetti», come accertato dallo stesso consulente tecnico d'ufficio, «i parametri circa l'altezza dei soffitti richiesta, non soltanto dall(a)... legge regionale n. 44 del 1985 -peraltro ratione temporis inapplicabile alla fattispecie in esame -, ma pure dalla licenza cit., in difformità della quale sarebbe stato a suo tempo realizzato»: e ciò pur se tale abuso rappresentasse e rappresenti ancora un impedimento al rilascio del certificato d'abitabilità, che, peraltro, le venditrici nell'atto di vendita non avevano «mai promesso», essendosi limitate «a dichiarare la destinazione d'uso abitativa dell'immobile, che, proprio alla luce delle due certificazioni rilasciate - seppur ai fini della legislazione in materia di immigrati - dagli uffici tecnici del Comune... in data 15.9.2010 e 10.3.2014..., di fatto esiste, essendo stata verificata l'idoneità dell'alloggio ad ospitare n. 3 persone».
2.3. La corte, pertanto, dopo aver rilevato che la dichiarazione resa dalle venditrici, ai sensi dell'art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, attiene alla validità formale della vendita, nel senso che «il contenuto sostanziale di tale dichiarazione, è sottratto a qualsiasi controllo di veridicità, fatta salva ovviamente la responsabilità penale in caso di falsità ideologica» ha, in accoglimento dell'appello proposto, rigettato le domande che (omissis) aveva proposto nei confronti di (omissis) e (omissis).
3.1. (omissis), con ricorso notificato il 27/4/2017, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della corte d'appello, dichiaratamente non notificata.
3.2. (omissis) e (omissis) hanno resistito con controricorso.
3.3. Le parti hanno depositato memorie.
3.4. Rimesso il ricorso alla pubblica udienza, il pubblico ministero, con memoria del 21/7/2022, ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
3.5. Le parti hanno depositato ulteriori memorie.
(omissis)
CONSIDERATO IN DIRITTO
(omissis)
5.1. I primi quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati, con assorbimento del quinto.
5.2. Questa Corte, in effetti, ha più volte osservato che il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile, e che la violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativa dell'immobile (Cass. n. 1701 del 2009).
5.3. Il venditore di un bene immobile destinato ad abitazione, in assenza di patti contrari, ha, invero, l'obbligo di dotare tale bene della licenza di abitabilità senza della quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale, e tale requisito giuridico, essenziale ai fini del legittimo godimento e della commerciabilità del bene, non può essere sostituito dalla definizione della pratica di condono e da altro, in quanto chi acquista un immobile, salvo che sia reso espressamente edotto della esistenza di qualche problema amministrativo o urbanistico, ha diritto alla consegna di un appartamento in tutto conforme alle leggi, ai regolamenti ed alla concessione edilizia e per il quale sia stata, quindi, rilasciata la licenza di abitabilità; conseguentemente la mancata consegna di tale licenza implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile ovvero costituire il fondamento dell'exceptio prevista dall'art. 1460 c.c., per il solo fatto che si è consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo irrilevante la circostanza che l'immobile sia stato costruito in conformità delle norme igienico-sanitarie, della disciplina urbanistica e delle prescrizioni della concessione ad edificare, ovvero che sia stato concretamente abitato (Cass. n. 8880 del 2000; conf. Cass. n. 13767 del 2003).
5.4. In definitiva, «nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Il mancato rilascio della licenza di abitabilità, pertanto, integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza» (in tal senso, più di recente, Cass. n. 23265 del 2019; Cass. n. 10665 del 2020; Cass. n. 17123 del 2020, la quale ha ricordato come «nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni»; in precedenza, Cass. n. 6548 del 2010).
5.5. La mancata consegna all'acquirente del certificato di abitabilità si traduce, pertanto, in un inadempimento e nella conseguente possibilità di domandare il risarcimento del danno consequenziale che, ove accertato nell'an, va liquidato dal giudice in via equitativa, tenendo conto del minore valore di scambio del bene o nei costi sostenuti per procurare l'agibilità dell'immobile (Cass. n. 25418 del 2019, per cui «nella vendita di immobili destinati ad abitazione, l'inadempimento dell'obbligo, gravante sul venditore-costruttore, di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità è ex se foriero di danno emergente, per il minor valore di scambio del bene che da ciò consegue; tale danno, ove accertato nell'an, è suscettibile di essere liquidato dal giudice in via equitativa, essendo obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provarne il preciso ammontare»).
5.6. Se, dunque, il venditore ha l'obbligo legale, imposto dall'art. 1477 c.c. (che al comma 3 prevede l'obbligo a carico del venditore di consegnare i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta), di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità (la cui mancanza non comporta la nullità del contratto: Cass. n. 24957 del 2007), in conformità alle norme che lo prevedono (artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, che parla di certificato di agibilità), risultano, allora, del tutto irrilevanti: - sia il fatto, evidenziato dalla corte d'appello, secondo cui il rilascio del certificato di abitabilità non era stato promesso dalle venditrici all'atto della vendita, tanto più che la mancanza dell'abitabilità, riscontrata in fatto dal consulente tecnico d'ufficio, ha finito per incidere pesantemente sullo scopo pratico che, nel caso in esame, il contratto mirava a soddisfare (la stessa Corte di appello dà atto, infatti, che le venditrici avevano dichiarato la destinazione d'uso abitativa che l'immobile in questione possedeva); - sia il fatto, sul quale pure la corte d'appello sembra insistere, che l'immobile era effettivamente abitabile, quanto meno in base alla legislazione in tema di immigrazione, non risultando, per contro, accertata né la conoscenza da parte dell'acquirente dell'assenza del certificato di abitabilità (conoscenza dalla quale questa Corte fa dipendere l'impossibilità per l'acquirente di far valere l'inadempimento del venditore: cfr. ad es. Cass. n. 8450 del 1990 e n. 25427 del 2013) o l'esonero della controparte dal relativo obbligo, né, come detto, il successivo rilascio del certificato mancante (che pure «esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud pro alio»: ancora Cass. n. 6548 del 2010; Cass. n. 16918 del 2019, relativamente al contratto di locazione; Cass. n. 17123 del 2020).
6. Il ricorso dev'essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata, per l'effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d'appello di Trieste, che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente procedimento.
(omissis)
Il principio di diritto: Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile, salvo la presenza nell’atto di compravendita dell’esonero della parte venditrice dal rilascio dello stesso.
La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento.
Il caso ed il processo: La sentenza oggetto di analisi verte sulla classificazione del certificato di abitabilità, quale requisito essenziale ai fini della commerciabilità del bene al quale si riferisce, e sulle conseguenze giuridiche nell’ipotesi in cui lo stesso non sia presente al momento della compravendita e non sia rilasciato successivamente.
Più in particolare, il Tribunale di Pordenone in primo grado ha accolto il ricorso presentato dall’acquirente di un immobile per il quale non è stato rilasciato il certificato di abitabilità prima della vendita ed il cui rilascio comporta degli interventi al fine di rendere conforme la consistenza immobiliare.
La Corte di Appello di Trieste, invece, ha ritenuto accoglibile il ricorso presentato dalla parte venditrice, basando tale decisione, non solo sulla circostanza che la dichiarazione giurata ai sensi dell’articolo 76 del D.P.R. 445/2000 esclude la possibilità di indagare la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dalla parte venditrice in sede di atto, ma anche sul fatto che nel caso in esame le venditrici in sede di stipula non hanno promesso il rilascio dell’abitabilità dell’immobile compravenduto.
La soluzione resa dalla Corte: La Corte di Cassazione, in linea con la decisione del giudice di primo grado ed in riforma di quanto affermato dalla Corte di Appello di Trieste, afferma che il certificato di abitabilità costituisce requisito essenziale per la commerciabilità del bene oggetto di compravendita, in quanto rappresenta un elemento imprescindibile per lo svolgimento della funzione sociale dell’immobile al quale si riferisce e, allo stesso tempo, la presenza di detto certificato è richiesta dall’art. 1477 c.c., rientrando tra i documenti che il venditore è tenuto a consegnare all’acquirente al momento della compravendita.
Di conseguenza, nel caso in cui il certificato di abitabilità non sia presente prima della stipula dell’atto di compravendita e la parte venditrice non lo procuri in seguito al rogito, la parte acquirente ha diritto ad espletare i rimedi previsti dal codice civile, vale a dire sia la presentazione della domanda di risoluzione del contratto sia quella di risarcimento del danno sia l'eccezione di inadempimento, dato che si tratta di vendita di aliud pro alio.
La Cassazione, infine, afferma che si può prescindere dalla presenza del certificato di abitabilità soltanto se in sede di stipula dell’atto di compravendita l’acquirente abbia rinunciato alla presenza dello stesso o, comunque, abbia esonerato il venditore da procurarne il rilascio.
Sul certificato di agibilità/abitabilità si vedano: M. Leo, Il certificato di agibilità, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 4512/2003, 2, in www.notariato.it; S. Miranda, Il certificato di agibilità nella prassi contrattuale, in Notariato, 2010; N. A. Cimmino, Vendita immobiliare e certificato di abitabilità, in Notariato, 2009; P. Zanelli - F. Bonora, Agibilità: incommerciabilità economica non è incommerciabilità giuridica, in Notariato, 2017, 3; R. P. Puce, Compravendita immobiliare, certificato di abitabilità e buona fede, in Corriere Giuridico 2019, 6; Cass., 18 marzo 2010, n.6548; Cass., 27 novembre 2009, n.25040; Cass., 16 giugno 2008, n.16216; Cass., Sez. II, 06 luglio 2011, n.14899; Cass., Sez. II, 10 marzo 2011, n.5745.
2) Debiti e contratti aziendali
Cass., 07 ottobre 2022, dep. 24 ottobre 2022, n. 31313 - Pres. Cristiano - Rel. Perrino - (omissis) S.P.A. in liquidazione c. Fallimento di (omissis) - (artt. 2558 e 2560 c.c.)
RITENUTO IN FATTO
Emerge dal decreto impugnato che la Spa (Omissis), in proprio e quale submandataria e subservicer di Spa (Omissis), a propria volta mandataria e servicer della Srl (omissis), chiese che fosse ammesso al passivo del fallimento di A.A., titolare della (Omissis), il credito, per l'importo di Euro 1.806.352,47, derivante dal finanziamento erogato nel 2007 a B.B. per consentirgli di acquistare, contestualmente alla stipulazione del contratto di mutuo, la (Omissis), da lui poi ceduta nel 2013 alla fallita.
L'istanza fu respinta e l'opposizione di (Omissis) alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo del fallimento non ha avuto buon esito.
Il tribunale di Torino, al riguardo, ha escluso l'applicabilità per un verso dell'art. 2558 c.c., poiché era stata integralmente eseguita la prestazione, scaturente dal contratto, di corresponsione della somma oggetto del finanziamento; per altro verso, dell'art. 2560 c.c., posto che, ha argomentato, il debito di restituzione della somma finanziata non è inerente all'esercizio dell'azienda, che deve preesistere alla stipulazione del relativo contratto e che comunque mantiene alterità rispetto al titolare di diritti sul complesso di beni che ne costituiscono oggetto.
Di contro, nel caso in esame, il contratto di finanziamento, appunto perché funzionale all'acquisto dell'azienda, è da ritenere atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall'art. 2560 c.c.
Contro questo decreto propongono ricorso le società indicate in epigrafe, nella qualità rispettivamente ivi specificata, per ottenerne la cassazione, che affidano a quattro motivi, che illustrano con memoria, cui il fallimento replica con controricorso, parimenti corredato di memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Col primo e col secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché connessi, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 2558 c.c., là dove il tribunale di Torino ha trascurato che è d'ostacolo all'applicazione della norma che entrambe le parti abbiano eseguito la propria prestazione, non che l'abbia fatto una sola (primo motivo), nonché la violazione o falsa applicazione dell'art. 2560 c.c., perché l'importo del finanziamento impiegato per il pagamento del corrispettivo dell'acquisto dell'azienda si consolida come parte di questa, da trattare come cespite aziendale, andando a incidere sul valore della compravendita (secondo motivo).
La censura complessivamente proposta, benché ammissibile, in quanto, contrariamente a quanto obiettato in controricorso, calibrata sulla deduzione di violazioni di legge e non già sulla rivalutazione del merito della controversia, è infondata.
2.- Secondo il tribunale nel caso in esame la pretesa va esaminata in base all'art. 2560 e non già a mente dell'art. 2558, in quanto una delle prestazioni scaturenti dal contratto del quale di discute, ossia quella dell'odierna ricorrente, è stata integralmente eseguita.
La statuizione evoca il tema della relazione tra le due norme, discussa in dottrina, e sovente costruita nella giurisprudenza di questa Corte nel senso che il regime fissato dall'art. 2560, comma 2, c.c. si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. (tra varie, Cass. n. 11318/04 e n. 8539/18).
Essa poi coinvolge la nozione stessa di esaurimento del rapporto contrattuale, talora riferito alla fonte del credito, di modo che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto, e rimaste inadempiute, non implicherebbe che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito (Cass. n. 20154/11), e in altri casi correlato alla completa definizione anche nella fase contenziosa, in relazione a domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento (Cass. n. 8219/90; n. 8055/18; n. 26808/19).
3.- Le questioni sono, tuttavia, irrilevanti ai fini della decisione.
E ciò perché il contratto di cui si discute non è inerente all'esercizio dell'azienda: il che esclude in radice l'applicabilità dell'art. 2558 c.c., il quale disciplina la successione nei contratti d'azienda, aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale, nonché in quelli d'impresa, i quali, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa, come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto (in termini, fra le più recenti, Cass. n. 15065/18).
Resta esclusa, quindi, anche l'applicabilità dell'art. 2560 c.c., che si riferisce ai debiti inerenti pur sempre all'esercizio dell'azienda ceduta.
4.- Il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione, che, secondo autorevole dottrina, va distinto dall'atto dell'organizzazione, al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata (traccia di questa distinzione v'è in Cass. n. 15769/04, secondo cui in mancanza di apparato aziendale anche atti preparatori possono segnare l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa, purché, però, permettano di individuare l'oggetto dell'attività e il suo carattere commerciale, come nel caso del mercante d'arte che acquisti, per la rivendita, numerose opere d'arte, e svolga attività promozionali).
5.- Questa distinzione risalta viepiù nella specie, poiché si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume la qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività (Cass. n. 23157/18; n. 6968/19), anche di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva.
La titolarità statica dell'azienda si distingue, difatti, dall'esercizio dinamico dell'impresa, al punto che, al cospetto di una pluralità di contitolari dell'azienda, non si esclude la possibilità che solo uno di essi assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale, e la correlativa veste imprenditoriale, mentre un altro ne resti estraneo e si limiti a conservare il diritto dominicale spettantegli pro quota sui beni aziendali (Cass. n. 4986/97).
Ne deriva che gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente sono quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore (Cass. n. 5495/01).
5.1.- Posto, dunque, che sia l'art. 2558, sia l'art. 2560 c.c. riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa, da entrambe le norme evocato, il contratto in esame, che esula da quest'ambito, è estraneo alla sfera di applicazione della successione e nel contratto, e nel debito da esso scaturente.
6.- La censura va quindi respinta.
Il che comporta l'inammissibilità del terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia l'omesso esame del fatto decisivo costituito dall'esecuzione di bonifici da parte della Dott. A.A., dopo l'acquisto dell'azienda, in favore della (Omissis), aventi come causale "acconto canoni (Omissis) per conto (Omissis)".
6.1.- La circostanza varrebbe difatti unicamente a dimostrare che l'acquirente si era accollata il debito derivante dal mutuo a titolo personale (laddove in controricorso si sostiene che il prezzo di vendita, convenuto in Euro 2.039.283,11, comprendeva fra le attività l'avviamento, al quale veniva attribuito il valore di 1.750.000,00); e non emerge che la domanda sia stata proposta anche ai sensi dell'art. 1273 c.c. 7.- Ne risulta assorbito l'ultimo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione dell'art. 115 c.p.c. perchè il tribunale avrebbe omesso di dar seguito alla richiesta di (Omissis) di esibizione dei bilanci e delle scritture contabili dell'alienante e della fallita, dalle quali sarebbe emerso il subentro nel debito.
8.- Il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Il principio di diritto: Non è possibile ricondurre nell’ambito applicativo degli articoli 2558 e 2560 c.c. gli atti che sono prodromici all’acquisizione di un’azienda, in quanto si tratta di atti di organizzazione e non dell’organizzazione, vale a dire che non riguardano l’esercizio dinamico dell’impresa.
Il caso ed il processo: L’ordinanza in esame analizza la possibilità di applicazione degli articoli 2558 e 2560 c.c., relativi rispettivamente ai contratti ed ai debiti aziendali, ad un credito derivante da un contratto di mutuo stipulato ai fini dell’acquisizione dell’azienda.
Più in particolare, il Tribunale di Torino ha ritenuto che il credito derivante dal contratto di mutuo in parola non possa essere ricondotto nell’ambito applicativo dell’articolo 2558 c.c., dato che non è presente l’elemento dell’esistenza di prestazioni corrispettive che caratterizza un contratto.
Inoltre, il medesimo Tribunale ha affermato l’inapplicabilità, altresì, dell’articolo 2560 c.c., in quanto il contratto di mutuo non riguarda l’aspetto dinamico dell’attività di impresa, ma è funzionale all’acquisizione dell’azienda della cui attività si tratta.
La soluzione resa dalla Corte: La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dato che il contratto di mutuo ed il relativo credito scaturente dallo stesso non possono essere ricondotti al concetto di contratto o debito aziendale.
La motivazione risiede nella circostanza che il contratto in parola non rientra nell’esercizio dinamico dell’impresa, ma è funzionale all’acquisizione e all’inizio dell’attività dell’azienda.
Di conseguenza, è classificabile come atto di organizzazione e non come atto dell’organizzazione.
Su contratti e debiti aziendali si vedano: Cass., 28 marzo 1991, n. 3365; Cass., 12 aprile 2001, n. 5495; Cass., 02 marzo 2002, n. 3045; Cass., 29 gennaio 2003, n.1278; Cass., 16 giugno 2004, n. 11318; Cass., 22 luglio 2004, n.13651; Cass., 29 marzo 2010, n.7517; M. Labriola, La successione nei rapporti: aspetti civilistici, in Problematiche giuridiche e fiscali in tema di trasferimenti di azienda, Atti del Convegno Roma 23-24 aprile 2010, Gruppo 24 ore.
ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA
3) Recesso del socio e cessione della quota sociale a terzi
Cass., 19 novembre 2020, dep. 04 ottobre 2022, n. 28717 - Pres. De Chiara - Rel. Vannucci - L.Co. s.r.l. c. F.M. - (rif. artt. 2469, 2470 e 2473 c.c.)
Nel caso di recesso del socio, il rapporto derivante dalla manifestazione di volontà di quest’ultimo relativa all’esercizio del diritto di recesso a lui attribuito dallo statuto e in ogni caso dalla legge è solo fra società e socio recedente, anche quanto alle conseguenze patrimoniali scaturenti da tale manifestazione di volontà.
Nel caso di cessione a terzi per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di società a responsabilità limitata, il relativo contratto, cui la società è estranea, è valido e efficace fra le relative parti indipendentemente dal suo deposito presso il registro delle imprese, necessario solo per rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi.
4) Termine assegnato per l’accettazione di eredità e revocabilità della rinunzia all’eredità
Cass., 10 novembre 2021, dep. 06 ottobre 2022, n. 29146 - Pres. D’Ascola - Rel. Bellini - R.M. e altri c. R.M. e altri - (rif. artt. 481, 523 e 674 c.c.)
L'eventuale concessione al chiamato in ordine successivo di un termine per l'accettazione dell'eredità è ininfluente ai fini della revocabilità della rinunzia, poiché la concessione del termine, secondo la sua funzione tipica, determina l'abbreviazione del tempo per l'accettazione, ma non comporta di per sé il sorgere del presupposto della revoca, che rimane pur sempre costituito dalla mancata accettazione del chiamato in ordine successivo.
In sostanza, quando la rinunzia proviene da chi sia chiamato all'eredità congiuntamente con altri, i quali abbiano già accettato, l'inutile decorso del termine ai sensi dell’art. 481 c.c. al chiamato in ordine successivo anticipa l'effetto automatico dell'accrescimento, altrimenti destinato a realizzarsi solo con il compimento della prescrizione o con la rinunzia del chiamato per rappresentazione, e sempre che quest'ultimo non abbia a sua volta discendenti.
L'accrescimento rimane definitivamente impedito se, prima della scadenza del termine, il rinunziante revochi la rinunzia oppure se il chiamato per rappresentazione esercita il proprio diritto di accettare l'eredità nel termine accordato.
5) Atti di rettifica e responsabilità del notaio
Cass., 24 giugno 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 31795 - Pres. Di Virgilio - Rel. Carrato – B.E. c. Archivio Distrettuale di (omissis) - (rif. art. 59-bis L.N.)
Gli atti di rettifica adottati dal notaio di propria iniziativa e che incidano sul contenuto sostanziale dell'atto costituiscono condotte disciplinarmente rilevanti ed addebitabili al professionista.
Tali atti di rettifica sono da qualificarsi nulli per violazione dell'ordine pubblico e per contrarietà a norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c., poiché gli atti di cui all'art. 59-bis L.N. possono essere adottati solo nella rigorosa sussistenza delle inerenti condizioni normative, ovvero per sopperire ad errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla redazione dell'atto.
6) Usucapione e coerede nel possesso dei beni ereditari
Cass., 07 luglio 2022, dep. 03 novembre 2022, n. 32413 - Pres. Bertuzzi - Rel. Giannaccari - A.A. c. B.B. - (rif. artt. 1140, 1141 e 1144 c.c.)
Il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso.
A tal fine, però, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.
A tal fine, risulta insufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune.
7) Trasformazione di società e responsabilità per le obbligazioni anteriori
Cass., 04 ottobre 2022, dep. 04 novembre 2022, n. 32591 - Pres. Ferro - Rel. Crolla - Z.V. c. M.L. - (rif. artt. 2313 e 2499 c.c.)
Per le obbligazioni sociali rispondono - in correlazione con il loro venire ad esistenza - personalmente e solidalmente tutti i soci illimitatamente responsabili delle società di persone.
Ne discende, a mente dell'art.2499 c.c., nel testo applicabile ratione temporis, che la trasformazione della società di fatto in società in accomandita semplice non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori all'iscrizione della deliberazione di trasformazione nel registro delle imprese.
8) Legato in sostituzione di legittima e diritto a richiedere la legittima
Cass., 18 ottobre 2022, dep. 11 novembre 2022, n. 33258 - Pres. Giusti - Rel. Besso Marcheis - B.M. c. C.R. - (rif. art. 551 c.c.)
In tema di diritti riservati ai legittimari, un comportamento del beneficiario del legato sostitutivo di legittima dal quale sia dato desumere la volontà, espressa o tacita, dello stesso di conservare il legato comporta due conseguenze.
In primo luogo, ha valenza confermativa della già realizzata acquisizione patrimoniale.
In secondo luogo, comporta ope legis la caducazione del diritto di chiedere la legittima senza possibilità di porre in essere successivamente atti di ripensamento.
9) Ipoteca esattoriale e comunicazione al contribuente
Cass., 02 novembre 2022, dep. 10 novembre 2022, n. 33202 - Pres. Chindemi - Rel. Dell’Orfano - A.A. c. Agenzia delle Entrate Riscossione - (rif. art. 2697 c.c., art. 77 D.P.R. 29 settembre 1973 n.602)
L'Amministrazione finanziaria, prima di iscrivere ipoteca su beni immobili onde procedere alla riscossione coattiva delle imposte, deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine di trenta giorni per presentare osservazioni od effettuare il pagamento.
L'omessa comunicazione che di fatto non permette l'istaurarsi di un contraddittorio endoprocedimentale tra le parti, comporta la nullità dell'iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento. In ogni caso la nullità, stante la natura reale dell'ipoteca, non opera ope legis ma l'illegittimità deve essere dichiarata giudizialmente.
10) Dichiarazioni mendaci e responsabilità del notaio
Cass., 06 luglio 2022, dep. 14 novembre 2022, n. 33439 - Pres. Travaglino - Rel. Graziosi - L.G. c. (omissis) s.r.l. e Comune di (omissis) - (rif. art. 1176 c.c.)
Il notaio incaricato della redazione di un contratto di compravendita immobiliare deve compiere le attività preparatorie e successive necessarie per ottenere il risultato pratico voluto dalle parti, rientrando tra i suoi doveri anche l'obbligo di consiglio o dissuasione, la cui omissione è fonte di responsabilità per violazione delle clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza, ai sensi degli articoli 1175 e 1375 c.c., quali criteri determinativi e integrativi della prestazione contrattuale, che impongono il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della parte.
Ne consegue che deve essere ritenuto responsabile il notaio che non si sia avveduto della mendacità delle dichiarazioni dell'alienante, rogando la compravendita di un immobile di consistenza diversa e minore da quella reale, ove la circostanza era agevolmente verificabile alla stregua dello strumento urbanistico pure menzionato nell'atto.
11) Contratto preliminare e contratto definitivo
Cass., 21 ottobre 2022, dep. 17 novembre 2022, n. 33916 - Pres. Di Virgilio - Rel. Trapuzzano - A.A. c. At. Im. s.r.l. - (rif. artt. 1362, 1363, 1367, 1369, 1371, 1470, 1472 e 1476 c.c.)
Il contratto preliminare ed il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà.
12) Versamento in conto capitale e cessione del credito
Cass., 10 novembre 2022, dep. 17 novembre 2022, n. 33957 - Pres. De Chiara - Rel. Vannucci - Gr.Ar. S.p.A. c. M.G. - (rif. art. 1266 c.c.)
Il versamento in conto capitale compiuto dal socio di società di capitali non dà diritto alla restituzione dello stesso, dato che si tratta di capitale di rischio.
Infatti, la restituzione dello stesso è meramente eventuale, in quanto dipendente dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società e alla possibilità che in tale patrimonio residuino valori sufficienti al rimborso dopo l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali.
Il contratto di cessione a titolo oneroso di detto inesistente credito da parte del socio ad un terzo non è nullo per mancanza del relativo oggetto, bensì determina l'attribuzione al cessionario della garanzia prevista dall'art. 1266, primo comma, cod. civ., recante disposizione di diritto speciale, derogatoria della disciplina legale della nullità del contratto per inesistenza del relativo oggetto.
Di conseguenza, la cessione è valida ed il cessionario è tenuto al pagamento del prezzo che non diviene indebito ed è, al contempo, attributario della garanzia di cui al citato articolo del codice civile.
13) Sopraelevazione e distanze
Cass., 19 maggio 2022, dep. 06 dicembre 2022, n. 35781 - Pres. Manna - Rel. Falaschi - G.L. c. T.G. - (rif. art. 873 c.c.)
In materia edilizia la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, va qualificata come nuova costruzione per cui deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il completamento strutturale e funzionale di quest'ultima.
14) Presentazione della domanda di concordato preventivo e termine
Cass., 09 novembre 2022, dep. 07 dicembre 2022, n. 35959 - Pres. Cristiano - Rel. Amatore - (omissis) S.p.A. c. Fallimento (omissis) S.p.A. - (rif. art. 161 L.F.)
Il termine fissato dal giudice al debitore, ai sensi dell'art. 161, comma 6 L.F., per la presentazione della proposta, del piano e dei documenti del c.d. concordato con riserva ha natura perentoria, cosicché non è prorogabile a richiesta della parte o d'ufficio se non in presenza di giustificati motivi, che devono essere allegati dal richiedente e verificati dal giudice, la cui decisione è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata.
Pertanto, in ragione della natura decadenziale del menzionato termine, alla sua inosservanza consegue l'inammissibilità della domanda concordataria.
15) Affitto di azienda e forma scritta
Cass., 25 novembre 2022, dep. 13 dicembre 2022, n. 36388 - Pres. Mocci - Rel. Mocci - Vc. S.r.l. c. Impresa Ro. S.r.l. - (rif. art. 2556 c.c.)
L'affitto di azienda non richiede la forma scritta ai fini della sua validità, a meno che tale forma non sia richiesta per la natura dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto, né assume rilevanza, in senso contrario, la disposizione di cui al capoverso dell'art. 2556 c.c., la quale nel prescrivere l'iscrizione nel registro delle imprese che, a sua volta, postula la forma pubblica o per scrittura privata autenticata dell'atto, non richiede tali adempimenti ai fini della validità del contratto, ma si riferisce al regime di opponibilità ai terzi dello stesso.
16) Cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese ed obbligazioni sociali
Cass., 25 novembre 2022, dep. 13 dicembre 2022, n. 36417 - Pres. Mocci - Rel. Mocci - L.Nu. S.r.l. c. M.M. - (rif. art. 2495 c.c.)
In tema di effetti della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti, il disposto dell'art. 2495, comma 2, c.c. implica che l'obbligazione sociale non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, sicché grava sul creditore l'onere della prova circa la distribuzione dell'attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio.
17) Rinuncia ad eredità e debiti ereditari
Cass., 17 novembre 2022, dep. 19 dicembre 2022, n. 37064 - Pres. Chindemi - Rel. Lo Sardo -Agenzia delle Entrate e del Territorio c. V.G. - (rif. art. 521 c.c.)
Atteso che la responsabilità per il debito tributario del de cuius presuppone l'assunzione della qualità di erede e, inoltre, che la rinuncia all'eredità produce effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 c.c. - il chiamato rinunciante non risponde di tale debito, ancorché quest'ultimo risulti da un avviso di accertamento notificato dopo l'apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione.
In tale evenienza, il rinunciante può far valere legittimamente, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per il debito suddetto.
[1] Articolo redatto dal notaio Marco Filippo Giorgianni, PHD presso “Università La Sapienza” di Roma, in “Diritto dei contratti ed economia d’impresa”.
[2] Per tutti Cass., 30 aprile 2010, n.10496.
[3] Cass., 23 febbraio 1978, n.905; Cass., 06 maggio 1991, n.4986; Cass., 22 giugno 1994, n.5989.
[4] L. Mengoni, Successione necessaria, in A. Cicu - F. Messineo (a cura di) Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffré, Milano, 2000, 251.
[5] G. Amadio, Azione di riduzione e liberalità non donative (Sulla legittima per equivalente), in Rivista di Diritto Civile, 2009, 684.
[6] G. Amadio, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Rivista del Notariato, 2009, 562.
[7] ID., Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Rivista del Notariato, 2009, 592.
[8] L. Mengoni, op.cit., 199.
[9] S. Delle Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Giuffré, Milano, 2008, 103 ss.
[10] Cass., Sez. Un., 5 agosto 1992, n.9282.
[11] U. Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Studi in onore di L. Mengoni, Giuffré, Milano, 2008, 136 ss.
[12] L. Mengoni, op.cit., 251 ss.
[13] G. Amadio, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Rivista del Notariato, 2009, 562.
[14] G. Amadio, Azione di riduzione e liberalità non donative (Sulla legittima per equivalente), in Rivista di Diritto Civile, 2009, 700 ss.
[15] Si veda, per tutti, U. La Porta, Azione di riduzione di «donazioni indirette» lesive della legittima e azione di restituzione contro il terzo acquirente dal «donatario». Sull’inesistente rapporto tra art. 809 e art. 563 c.c., in Rivista del notariato, 2009, 951 ss.
[16] L. Mengoni, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, dir. da A. Cicu e F. Messineo, 251 ss.
[17] Cfr. su tutte, Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, in Giust. civ., 2011, 5, 1287.
[18] La rassegna di giurisprudenza è stata realizzata dal Notaio Mauro Scatena Salerno e dalla dott.ssa Giulia Fadda.