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Pubbl. Ven, 20 Gen 2023

Esecuzione delle sentenze di condanna della Corte dei conti

Barbara Aversa
AvvocatoUniversità degli Studi di Roma La Sapienza



L’articolo affronta le problematiche connesse al sistema delle riscossioni dei danni erariali riconosciuti da sentenze della Corte dei Conti. Dopo un breve excursus normativo, in cui si evidenzia l’importanza di una riforma attesa da decenni, si è cercato di evidenziare alcuni spunti di riflessione sui vari metodi di riscossione dei crediti di natura erariale, ammessi dall’attuale sistema giuridico nonché sugli aspetti problematici che caratterizzano la giurisdizione contabile in questo specifico ambito che impone un forte coinvolgimento dell’amministrazioni pubbliche e del loro apparato amministrativo. Le problematiche sono state affrontate con uno sguardo rivolto maggiormente alle problematiche evidenziate dall’applicazione pratica della riforma avvenuta negli ultimi anni.


Sommario: 1. Esame della normativa di Settore. Dai Regi decreti ai giorni nostri. Una riforma attesa da decenni; 1.1. La disciplina contenuta negli articoli 212 – 214 del codice di giustizia contabile; 2. I metodi di riscossione; 2.1. Riscossione mediante iscrizione nei ruoli coattivi; 2.2. Riscossione mediante azione per esecuzione forzata; 2.3. Riscossione in via amministrativa e problematiche concernenti le rateizzazioni dei debiti   extra tributari – modifiche del D.lgs. n. 118.2011; 3 Conclusioni.

Sommario: 1. Esame della normativa di Settore. Dai Regi decreti ai giorni nostri. Una riforma attesa da decenni; 1.1. La disciplina contenuta negli articoli 212 – 214 del codice di giustizia contabile; 2. I metodi di riscossione; 2.1. Riscossione mediante iscrizione nei ruoli coattivi; 2.2. Riscossione mediante azione per esecuzione forzata; 2.3. Riscossione in via amministrativa e problematiche concernenti le rateizzazioni dei debiti   extra tributari – modifiche del D.lgs. n. 118.2011; 3 Conclusioni.

1. Esame della normativa di Settore. Dai Regi decreti ai giorni nostri. Una riforma attesa da decenni

Il sistema della riscossione dei crediti derivanti da danni erariali riconosciuti da sentenze della Corte dei Conti, che viene considerato uno dei sistemi di contrasto agli sprechi ed alla corruzione negli Uffici pubblici, in Italia ha sempre patito un’evidente carenza strutturale. Le ragioni sono state da più parti individuate nel ruolo che, nell’ambito di tali procedure, le stesse Procure hanno ricoperto nel corso degli anni.

Importanti, significativi, oltre che necessari sono stati gli interventi del Legislatore negli ultimi vent’anni.

Precedentemente, il ceppo normativo era costituito da una serie di Regi decreti. Dal R.D. n. 776 del 5 settembre 1909, passando dal R.D. del 13 agosto 1933 n. 1038, fino al più “recente” R.D. del 27 luglio 1934 n. 1265.

Circa novanta anni dopo, le vecchie norme sono state abrogate, sostituite dal D.P.R. n. 260/1998, «Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di esecuzione delle decisioni di condanna e di risarcimento di danno erariale, a norma dell’art. 20, comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59».

Dovranno, però, trascorrere altri otto anni perché si arrivi alla riforma del Codice di giustizia contabile, avvenuta con il decreto legislativo n. 174/2016 e, successivamente, all’ulteriore correttivo apportato con il d.lgs. n. 114 del 7.10.2019.

Le pesanti criticità dell’antecedente sistema legislativo sono emerse, in tutta la loro tragica realtà, grazie alla relazione del Procuratore generale della Corte dei conti resa in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario nel 2016 [1]. Fu in quell’occasione che si guardò con maggiore attenzione all’elaborazione dei dati statistici afferenti le percentuali dei recuperi dei crediti degli Enti pubblici per danno erariale.  Il quadro restituito da tale stima è stato più che desolante poiché ha fornito un dato del riscosso pari al 33%.

Fu così che venne fuori in modo incontrovertibile che l’impianto normativo previgente costituiva un sistema mal concepito oltre che del tutto anacronistico. Un impianto normativo vetusto che, di fatto, ha vanificato l’attività delle Procure della Corte dei Conti per diverse decine di anni.

Sui principi ispiratori della riforma, v’è da dire che si è avvertita forte l'esigenza di una codificazione tesa al coordinamento ed alla integrazione delle disposizioni vigenti, per rendere più funzionale il processo contabile nelle sue diverse declinazioni e per attuare in maniera ottimale i principi di garanzia e tempestività fissati dal novellato articolo 111 della Costituzione che, nel recepire la legislazione comunitaria, ed in particolare le regole della C.E.D.U., ha consacrato anche in ambito contabile il principio del “giusto processo”. Così che i principi e i criteri direttivi espressi dall'articolo 20 della legge delega hanno inteso conseguire un punto di equilibrio tra le esigenze di tutela dell'erario e il rispetto delle garanzie difensive da assicurare in ogni momento del procedimento, sia nella fase giurisdizionale sia in quella istruttoria e preprocessuale di competenza del pubblico ministero.

Pertanto, il nuovo codice  di giustizia contabile, sulla base dei criteri direttivi contenuti nell’art. 20 della legge delega Riforma della PA – più nota come Riforma Madia - introduce significativi elementi di novità nella disciplina del processo contabile, con lo scopo di renderlo più celere ed adeguato ai tempi, rafforzando le garanzie della difesa, senza al contempo indebolire l’interesse pubblico con riferimento a risarcimento del danno erariale ed alla lotta agli sprechi ed alla corruzione nella pubblica amministrazione[2].

1.1. La disciplina contenuta negli articoli 212 – 214 del codice di giustizia contabile

Ai fini della presente disamina, passando all’esame del vigente quadro normativo, occorre prendere le mosse dall’articolo 212 c.g.c. in cui si disciplina in modo puntuale la formazione del titolo esecutivo, presupposto necessario all’avvio dell’azione di riscossione.

Il nuovo codice di giustizia contabile, a tal riguardo, prevede che le decisioni definitive di condanna, siano munite della specifica formula esecutiva, così che il Pubblico Ministero competente per territorio, una volta ottenuta copia della sentenza esecutiva, possa trasmetterla, con le corrispondenti copie conformi, all'amministrazione o all'ente titolare del credito erariale, affinché lo stesso proceda alla notifica. Successivamente, anzi <> per non pregiudicare gli interessi dell’Ente creditore, l’Ufficio incaricato deve dare l’avvio dell’azione di riscossione.

Con l’articolo 214 c.g.c.  si entra nel vivo della fase delle procedure di recupero del credito. In particolare, le disposizioni in esame prevedono che alla riscossione dei crediti liquidati dalla Corte dei conti, con decisione definitiva a carico dei responsabili per danno erariale, provvede l'amministrazione o l'ente titolare del credito, attraverso - l'ufficio designato con decreto del Ministro competente o con provvedimento dell'organo di governo dell'amministrazione o dell'ente.

Su questo Ufficio ricadono molteplici obblighi tra cui, in primo luogo, ai sensi del comma 3, quello di avviare<< immediatamente>> l'azione di recupero, secondo le modalità di cui al comma 5.

E del tutto evidente che in ragione del mancato avvio dell’azione di recupero si possano configurare, a carico, del responsabile del procedimento dell’ufficio una serie di responsabilità di natura erariale, disciplinare, dirigenziale oltre che penale. Responsabilità che spesso vanno ad intrecciarsi con l’operato di altri uffici coinvolti nella difficile azione di recupero.

Sul punto, è bene evidenziare che ante codice, nella vigenza dell'art. 7 D.P.R. 260/1998, la responsabilità era radicata in toto in capo al responsabile del procedimento di esecuzione.

Attualmente, invece, sussiste un’ipotetica corresponsabilità tra il responsabile e le strutture dirigenziali collegate all’ "Ufficio di esecuzione", che rispondono alternativamente o cumulativamente per culpa in eligendo e culpa in vigilando.

Questo correttivo appare molto più in linea con le diverse realtà fattuali che si possono realizzare nell’ambito dell’azione di riscossione. Ed infatti, nel concentrare tutte le responsabilità in capo ad un unico soggetto giuridico, in realtà, si rischiava di generare forme di responsabilità oggettiva ovvero di creare pericolose sacche di assenza di responsabilità, stante l’impossibilità di governare l’intero processo che, ontologicamente, coinvolge diversi attori.

Sempre l’articolo 214 del nuovo codice di giustizia contabile, ha garantito un potenziamento delle attività di vigilanza e monitoraggio da parte della Corte dei conti. Il Pubblico ministero, infatti, senza che ciò comporti alcuna "cogestione" delle procedure, potrà supportare l'azione amministrativa attraverso accertamenti patrimoniali o altre istruzioni impartibili a richiesta.

Pertanto, scongiurato il coinvolgimento diretto, per come si era ipotizzato nella legge delega, il PM potrà indirizzare all'Amministrazione o all’Ente esecutante istruzioni circa il tempestivo e corretto svolgimento dell'azione di recupero in sede amministrativa o giurisdizionale.

2. I metodi di riscossione

Riprendendo l’esame delle fasi attuative della riforma, il momento successivo alla notifica del titolo esecutivo apre una procedura che appare vincolata in termini di “an” e “quando”, residuando tutt’al più un margine di discrezionalità sul “quomodo”. La scelta del metodo per riscuotere il credito erariale resta in capo all’Amministrazione procedente, pur essendo tipizzate le modalità (recupero in via amministrativa, iscrizione nei ruoli coattivi ovvero esecuzione forzata) e purché sia assicurato il pieno soddisfacimento del principio di efficacia dell'esecuzione.

Quanto all’alternatività o cumulabilità delle modalità di riscossione è pacifico che l'amministrazione goda di libertà di scelta non essendo questa preclusa dal principio generale "electa una via non datur recursus ad alteram". Né si può in alcun modo sostenere che sussista un ordine di preferenza nell’esperimento dei mezzi.  D'altronde se vi fosse stato, il Legislatore avrebbe sicuramente optato per una forma letterale più vincolata che mal si sarebbe conciliata con i tanto decantati principi di tempestività ed efficacia dell'azione esecutiva.

2.1. Riscossione mediante iscrizione nei ruoli coattivi

Di fatto, nell’applicazione quotidiana, ed alle volte in omaggio a logiche che rispondono più a criteri di convenienza che di efficacia, le Amministrazioni ricorrono quasi esclusivamente all’iscrizione nei ruoli coattivi.

Le iscrizioni nei ruoli coattivi per quanto rappresentino il metodo più “agevole” e tempestivo per avviare l’azione di recupero del credito, negli anni ha mostrato una serie di criticità correlate al funzionamento a ranghi ridotti di Equitalia.

Seppur l’attuale Ader sembra abbia impresso un cambio di passo, sono molte le posizioni debitorie per cui la riscossione appare ancora rimasta all’iniziale fase della notifica dell’ingiunzione di pagamento ed in cui si registrano evidenti rallentamenti. Tale attività risulta spesso protratta per anni e molto frequentemente diviene oggetto di opposizioni strumentali ovvero di meri rinnovi di notifiche utili solo a scongiurare la decorrenza dei termini prescrizionali.

2.2. Riscossione mediante azione per esecuzione forzata

Tra i vari metodi di riscossione, l’esecuzione innanzi al giudice ordinario è stata oggetto di notevole interesse e ponderazione in fase di attuazione della legge delega.

Cercando di sintetizzarne gli aspetti salienti, occorre prendere le mosse dalle questioni sollevate attorno ai conflitti di competenza. Seppur oramai, alle dissertazioni in merito alla competenza del giudice civile, è stato messo un punto dalla giurisprudenza[3], un approfondimento a parte meriterebbe l’intero comparto normativo dedicato all’esecuzione forzata per meglio evidenziarne le criticità emerse in fase di applicazione. L’eccessiva onerosità, i tempi processualcivilistici dilatati all’infinito, nonché l’ingente impiego di mezzi e risorse, fa sì che sempre più spesso si trovino forti resistenze ad optare per il recupero dinanzi al giudice civile. A meno che, per come è accaduto presso talune Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti, l’indicazione non pervenga direttamente dagli Uffici della Procura che, all’uopo, trasmette gli accertamenti patrimoniali al fine di indurre l’Ente a determinarsi ad aggredire il patrimonio capiente del debitore mediante l’esecuzione forzata. Tale scelta si è rivelata spesso molto efficace per la sua intrinseca funzione deterrente.

È accaduto, infatti, che l’eventualità di subire un’aggressione del patrimonio immobiliare abbia indotto i creditori a richiedere un accordo per un adempimento spontaneo mediante un piano di rateizzazione, ponendo a garanzia del credito proprio quel bene che altrimenti sarebbe stato esecutato.

In tale contesto, appare utile un breve cenno alla fase cautelare che presenta aspetti molto interessanti e che, a parere di scrive, dovrebbe essere maggiormente valorizzata in un’ottica di miglioramento dell’intero sistema in termini di efficacia del recupero. Questa fase, del tutto eventuale, vuole il Pubblico Ministero contabile parte attiva anche nel processo di recupero. Ed è qui che probabilmente si intravede uno degli aspetti più controversi della riforma.

 Ed infatti, a tutela del credito erariale la principale misura cautelare utilizzabile (ante causa o in corso di causa) è rappresentata dal sequestro conservativo disposto direttamente dagli uffici della Procura della Corte dei Conti. L'art. 80 del Codice dispone che il sequestro conservativo si converte in pignoramento ai sensi e per gli effetti dell'art. 686 c.p.c. e che il termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 156 delle disp. attuative c.p.c., decorre dalla data di ricezione, da parte dell'Amministrazione interessata, della copia della sentenza munita della formula esecutiva comunicata dal Pubblico Ministero.

Con tale ultima disposizione è stata introdotta una misura altamente efficace a tutela del credito erariale. In quanto il sequestro disposto ante causam scongiura l’eventualità che il soggetto, sottoposto al giudizio erariale, possa in qualche modo compiere atti in frode ai creditori.

Le Procure contabili più attive, in questi anni hanno spesso provveduto ad instaurare motu proprio idonei giudizi di revocazione, volti ad ottenere l’annullamento di atti dispositivi del patrimonio del condannato, con ciò agevolando significativamente l’attività delle amministrazioni procedenti.

Sul solco di tale ragionamento, però, una puntualizzazione è d’obbligo.  Talora, per la mancanza di specifiche professionalità all’interno degli Uffici pubblici, ovvero per l’assenza di un adeguato supporto da parte delle Avvocature, tali misure disposte a garanzia del credito, se non tempestivamente convertite, si rivelano inutili e dispendiose.

In tale contesto può essere utile citare la proposta di legge di iniziativa parlamentare n. 2454 presentata alla camera dei Deputati in data 20.05.2009, avente ad oggetto la <<Delega al Governo per l’emanazione di un codice di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti>>, la quale prevedeva, all’art. 1, lettera p, una <<disciplina della fase della esecuzione della sentenza soggetta alla vigilanza della Procura regionale competente, al fine di garantire l’effettività del giudicato, con facoltà di promuovere, in caso di inerzia, avanti al giudice collegiale, idonei provvedimenti sostitutivi con previsione anche di confisca contabile in favore del soggetto danneggiato>>.

Per cui, secondo la precedente formulazione della legge delega, si era giunti persino a prevedere l'attribuzione al pubblico ministero contabile della titolarità di agire e di resistere innanzi al giudice civile dell'esecuzione mobiliare o immobiliare. Si avvertiva, infatti, il bisogno di un pubblico ministero non più attivo solo all’esterno della procedura esecutiva ma anche al suo interno[4]. Il legislatore delegato stabiliva all’art. 20, c. 2, lett. o): <<Titolarità per il Pubblico Ministero di agire e resistere innanzi al giudice civile dell’esecuzione mobiliare e immobiliare[5]>>.

Tale proposta non è stata ritenuta percorribile poiché, in fase di attuazione, si sono frapposti una serie di ostacoli sistemici, residuando un ruolo esterno per il Pubblico ministero.

Tra i vari impedimenti, in primo luogo è stato fatto rilevare che non sarebbe stato possibile intestare alla Procura regionale della Corte dei conti l'azione per espropriazione forzata per una questione di competenza territoriale, per cui in un plesso giurisdizionale è legittimato ad operare solo ed esclusivamente l'ufficio del pubblico ministero ivi costituito.

In secondo luogo, secondo taluni, sussistendo una riserva di amministrazione, consistente nella scelta tra le diverse modalità di recupero del credito[6], questa potrebbe risultare compromessa ove fosse stata legittimata una inammissibile interferenza del pubblico ministero contabile nell'esercizio di tale attività.

Al passo indietro compiuto dal Legislatore delegato[7], ha fatto da contraltare l’implementazione delle funzioni esterne attive del Pubblico Ministero alla procedura esecutiva, che però permane nella titolarità di fatto e di diritto della pubblica amministrazione.

Attualmente, infatti, l’esecuzione delle sentenze di recupero del credito erariale è rimasta quasi del tutto esogena all'attività della Corte[8] Per come si dirà meglio in seguito, l’attività di riscossione dei crediti rimane di diretta responsabilità delle amministrazioni pubbliche, che agiscono attraverso procedure che rispondono ai meccanismi interni, alle specificità ed alle peculiarità di ciascun ente restituendo un’immagine variegata e confusa dei diversi apparati applicativi, non sempre realmente efficaci.

2.3. Riscossione in via amministrativa e problematiche concernenti le rateizzazioni dei debiti   extra tributari – modifiche del D.lgs. n. 118.2011

Malgrado la maggiore certezza di introiti per l’erario sia garantita dalle procedure di recupero del credito erariale in via amministrativa, la mancanza di un sistema ordinario e paritetico di definizione agevolata del danno erariale e l’assenza di un effettivo sistema di garanzie sul recupero dei crediti, rappresenta una delle più grandi criticità del sistema attualmente vigente.

La riscossione in via amministrativa è disciplinata dall’articolo 215 che stabilisce che il recupero <<venga effettuato attraverso la ritenuta, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente, su tutte le somme che, a qualsiasi titolo, sono dovute all’agente pubblico in base al rapporto di lavoro o di impiego o di servizio, compresi il trattamento di fine rapporto e quello di quiescenza>>.

Nell’evoluzione normativa è stato espressamente previsto che il debitore abbia la possibilità di chiedere che il pagamento o il recupero venga effettuato a mezzo di un piano di rateizzazione, che dovrà essere previamente approvato dal pubblico ministero territorialmente competente.

Esiste una regolazione espressa della possibilità di rateizzare il debito, presidiata dalla decadenza dal beneficio, ed infatti, l’art. 215, così per come riformulato dal D.Lgs. 7 ottobre 2019, n. 114, il mancato versamento di cinque rate anche non consecutive determina la decadenza dal beneficio della rateizzazione.

Inizialmente, visto con disfavore delle Procure contabili, tra i vari metodi di riscossione, quello del recupero in via amministrativa nell’esperienza applicativa, appare il più efficace.

Presupposto indefettibile perché si realizzi il pieno recupero del credito posto in capo alle amministrazioni, è che l’Ufficio Riscossioni operi con <> ed efficienza. In tale ambito, infatti, il ruolo dell’Ufficio che ha in carico il credito, ai sensi dell’art. 212 c.p.c., è di nodale importanza, sussistendo l’esigenza di un monitoraggio costante che consenta di adottare i necessari atti al fine di rendere effettivo il recupero. Ben potendo rappresentare la proposta di un adempimento spontaneo, talvolta, uno strumento per procrastinare il pagamento ed aggirare le norme.

L’adempimento spontaneo è una possibilità che va concessa al debitore ma, stante gli importi molto spesso elevati, l’opportunità di un recupero mediante un piano di rateizzazione va opportunamente disciplinato dagli enti mediante l’applicazione di regolamenti interni che vadano a colmare le lacune delle stringate disposizioni del codice di giustizia contabile.

Nell’ambito della già macchinosa procedura di recupero, posta in capo agli uffici che hanno in carico il credito, da ultimo, si sono aggiunti taluni aspetti contabili cui porre particolare attenzione e che hanno complicato in modo rilevante la predisposizione degli agli atti amministrativi necessari al recupero mediante un piano di rateizzazione.

Ed infatti, all’astratta possibilità di concedere un pagamento dilazionato nel tempo, si contrappone l’esigenza di effettuare un coordinamento con le norme dettate in materia di contabilità pubblica, relativamente alle iscrizioni in bilancio delle entrate extra tributarie, di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e successive modifiche.

Cercando di rendere banalmente in concetto, senza la pretesa di una compiuta analisi delle disposizioni di riferimento, nel caso di specie vi è un apparente contrasto di norme.

Ed infatti, come noto, la sentenza con efficacia esecutiva deve essere accertata in bilancio, a titolo di entrata, nel momento stesso in cui il provvedimento è comunicato all’Amministrazione creditrice.

Ebbene, con il Decreto del Ministero delle finanze del 21 settembre 2021 che ha modificato il principio contabile di cui all’allegato 4/2 al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, relativo alla rateizzazione delle entrate del titolo 1 e 3 emerge che :<<La rateizzazione di un’entrata esigibile negli esercizi precedenti determina la cancellazione del residuo attivo dalle scritture della contabilità finanziaria e l’accertamento del medesimo credito nell’esercizio in cui viene concessa la rateizzazione con imputazione agli esercizi previsti dal piano di rateizzazione. Tali registrazioni possono essere effettuate nel corso del riaccertamento ordinario dei residui. La rateizzazione delle entrate, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge e dal regolamento dell’ente, deve risultare da atti formali>>

Orbene, risulta modificato anche il principio contabile applicato concernente la contabilità economico patrimoniale degli enti in contabilità finanziaria di cui all’allegato 4/3 al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118,  che prevede che<<gli accertamenti derivanti dalla rateizzazione delle entrate dei titoli 1 (Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa)  e 3 (Entrate extra tributarie) relativi a entrate di competenza economica di esercizi precedenti non determinano la formazione di ricavi/proventi negli esercizi di imputazione   delle entrate rateizzate. La rateizzazione dei crediti non incide sulla competenza economica dei relativi ricavi/proventi. L’operazione di rateizzazione non determina registrazioni contabili in contabilità economico patrimoniale, nelle cui scritture resta confermato il credito nell’importo originario, che non corrisponde più al residuo attivo ma agli accertamenti imputati all’esercizio in corso e agli esercizi successivi. Gli accertamenti riguardanti le entrate rateizzate non determinano la registrazione di proventi di competenza degli esercizi di re imputazione di tali entrate>>.

Alla luce della suesposta modifica, pertanto, gli Enti che devono procedere ad iscrivere il credito, al momento della notifica della sentenza, è ben possibile che si troveranno nel prosieguo dell’attività di riscossione a dover annullare il precedente accertamento per seguire le nuove regole contabili che vanno ad impattare anche con tali fattispecie.

Già dallo scorso anno, in sede di riaccertamento dei residui gli Uffici finanziari delle Amministrazioni e degli Enti hanno dovuto operare sulle scritture di bilancio per riallineare i dati e “splittare” le entrate da crediti da sentenze della Corte dei conti in tutti gli esercizi successivi, corrispondenti ai piani di rateizzazione del credito, così come approvati al momento dell’avvio della riscossione.

Emergono, de plano, tutte le difficoltà correlate all’obbligo di una rimodulazione costante delle scritture di bilancio che dovranno essere verificate con maggiore tempestività e costantemente aggiornate in base all’effettivo rispetto dei piani di rateizzazione approvati dagli Enti creditori.

In tale contesto si insinua un’ulteriore problematica di cui sin d’ora poco se n’è discusso: la difficile conciliazione delle scritture contabili con i riversamenti delle somme da parte di Ader.

Per essere più chiari, molto spesso l’Agenzia di Riscossione stipula piani di rientro del debito, anche a lunga scadenza. Dei piani di rateizzazione, stipulati nell’ambito della gestione dei recuperi da iscrizioni a ruolo, l’amministrazione molto spesso non ne ha contezza piena. Seppur sussista un obbligo, non espressamente codificato, di monitorare l’attività del concessionario attraverso l’apposito sistema “Monitor Enti”, va da sé che l’Ente non abbia il pieno governo della procedura di recupero. Si pongono, pertanto, una serie di problematiche, oltre quelle già accennate, correlate alla rispondenza delle scritture contabili ed al pieno rispetto dei principi fissati con il D.lgs. n. 111/2018 sussistendo, allo stato, un inevitabile scollamento temporale, oltre che una difficilissima comunicazione con gli Uffici dell’Agenzia di riscossione.

3. Conclusioni

In conclusione, seppur con le criticità sopra evidenziate, si può ragionevolmente ritenere che, quanto meno, negli anni si siano raggiunti alcuni punti fermi, tra cui certamente, la piena consapevolezza che un’efficace azione di esecuzione delle sentenze della Corte dei Conti può avere importanti riflessi sulle casse degli Enti danneggiati. Ma, sebbene vi sia stato uno svecchiamento delle norme negli ultimi decenni, il sistema patisce ancora gravi lacune strutturali. Gli interventi del legislatore, infatti, si sono rivelati spesso frammentari e non coordinati.

Il nuovo assetto, per certi versi, ha complicato l'attività giurisdizionale della Corte dei Conti e delle Amministrazioni, riverberandosi in danno soprattutto di queste ultime, sfornite di mezzi e strumenti adeguati a far fronte all’obbligo dell’integrale recupero delle somme da danno erariale.

La conseguenza è che spesso gli Uffici incaricati agiscono in totale affanno. Su di essi, tra l’altro, incombe la pesante scure della responsabilità, intrinsecamente connesse a tali attività.

Qualcosa di più che uno spauracchio, agitato con veemenza dalle Procure nei confronti dei malcapitati responsabili di procedimento, troppo spesso chiamati a vigilare sull’attività di più soggetti, coinvolti in un procedimento di riscossione talvolta macchinoso e che, troppo spesso, si rivela inefficace.

Rispetto al passato, infatti, le amministrazioni stanno già vedendo gli effetti positivi dati dagli interventi del Legislatore. Ma, da quanto fin qui esposto, appare evidente che il quadro normativo non è affatto esaustivo poiché assegna, in modo non unitario, la realizzazione dell’esecuzione delle sentenze di condanna da risarcimento del danno erariale a soggetti diversi, con evidente dispersione di mezzi e di energie, che causano ritardi e malfunzionamenti e non consentono l’immediato ristoro delle pubbliche finanze. Le Amministrazioni titolari del diritto di credito, infatti, non solo non dispongono dei poteri coercitivi propri dell’amministrazione finanziaria, ma sono, spesso, carenti di professionalità e strutture organizzative adeguate ad esperire le azioni necessarie al recupero del credito stesso.

Per non sottacere l’altro aspetto di nodale importanza che ruota attorno ad una forma di deterrenza che dovrebbe condurre alla prevedibile diminuzione dei reati contro la pubblica amministrazione nel lungo periodo. Troppo a lungo, infatti, le sentenze della Corte dei Conti nel comune sentire sono apparse come strumenti inefficaci in quanto l’esecuzione delle stesse era talmente inefficace da raggiungere risultati insoddisfacenti, talvolta stigmatizzati dalla stampa più attenta, oltre ad essere foriere di procedure sanzionatorie contro l’Italia da parte dell’Unione Europea.

Residua, dunque, la necessità di un migliore ripensamento della normativa di settore. Oltre ai benefici collettivi garantiti da un maggiore introito per l'erario, ben si comprende come un potenziamento del sistema di recupero renda effettivo il risarcimento da danno erariale[9]. Al contrario, la mancata esecuzione di una sentenza di condanna della Corte dei conti, si traduce sostanzialmente in una frustrazione dell'intero sistema di giustizia contabile nonché dell’operato della Guardia di Finanza,  dalla cui attività ispettiva spesso proviene la notizia di reato che sfocia in una condanna da parte dei giudici contabili.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte dei conti Procura Regionale per le Marche| Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2016 “Corte dei conti ed esecuzione delle sentenze di condanna al risarcimento del danno erariale” di Maurizio Mirabella – in Rivista “Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici”.

[2] V. Tenore, et al., La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè editore, Varese 2018.

[3] Cass., S.U., 31 marzo 2006, n. 7578, in Foro it., 2006, I, 3118, ribadisce “che la domanda di esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione ancorché pronunciata da un giudice speciale al pari di quella proposta nei confronti di qualsiasi altro debitore, introduce sempre una controversia di diritto soggettivo, la cui tutela, in fase esecutiva e al fine della decisione sulle opposizioni ivi proposte, non può che competere al giudice ordinario.” (cfr. in senso conforme: S.U., n. 1593/1994, in Giur. it., 1994, I, 1; n.1462/1994, n. 3680/1994, in Rep. Foro it., 1994, voce Impiegato dello Stato e pubblico in genere, n. 776; n. 4661/1994; nello stesso senso, S.U., n. 11066/2012, in Riv. esecuzione forzata, 2012, 355).

[4] V. Cerulli Irelli, Sull’azione di responsabilità per danni erariali davanti alla Corte dei conti, intervento al convegno “Responsabilità contabile e penale”, Roma, 19 maggio 2017.

[5] Già l'art. 1 co.174, L. n.266 del 2005 <>, sanciva: <>.

[6] G. Cernigliaro e L. Cimbolini La giustizia contabile si adegua al nuovo sistema di finanza pubblica, Il Quotidiano Enti locali PA del Sole 24 ore.

[7] A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo, et al., Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, Giuffrè editore, Varese 2017.

[8] C. Casini, L’esecuzione delle sentenze contabili: disciplina previgente e modifiche apportate del Decreto legislativo del 26 agosto 2016, 174, Rivista della Corte dei Conti anno LXXII n.1, Gennaio – Febbraio 2019.

[9]  Corte cost. n. 138/1981, in Foro it., 1981, I, 2353. La pubblica amministrazione “ha una posizione di preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della pubblica amministrazione che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati. Per converso, al di fuori dell’esercizio delle predette funzioni, l’azione della pubblica amministrazione rientra nella disciplina di diritto comune e, ove venga a ledere un diritto soggettivo, la potenzialità di tutela di questo affidata al giudice ordinario è completa, incontrando il solo limite del non potere costui sostituirsi all’amministrazione nell’emanare un atto né condannarla ad emanarlo”.