Osservatorio sull´esecuzione forzata civile: luglio/settembre 2022
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Andrea Greco
Osservatorio trimestrale sull’esecuzione forzata civile relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in tema di esecuzione forzata civile. Luglio – Settembre 2022.
Quarterly focus on main sentences issued by the Court of Cassation on private enforcement subject: July/September 2022
Quarterly focus on main sentences issued by the Court of Cassation on private enforcement subject – July – Semptember 2022Sommario: 1) Processo esecutivo – Esecuzione Immobiliare. Aggiudicazione di un bene immobile a seguito di vendita forzata. Natura del trasferimento. Acquisto a titolo derivativo; Cass. Civ., Sez. II, Ord. del 2 settembre 2022 (ud. 14 giugno 2022) n. 25926 – Pres. Di Virgilio – Rel. Tedesco; 2) Processo esecutivo. Esecuzione immobiliare – Opposizione all’esecuzione. Danno patrimoniale da esecuzione illegittima. Cass. Civ. Sez. VI -3, 8 settembre 2022 (ud. 4 maggio 2022), n. 26438. Pres. Amendola – Rel. Rossetti; 3) Altre pronunce in rassegna.
SENTENZE IN PRIMO PIANO
1) Processo esecutivo – Esecuzione Immobiliare. Aggiudicazione di un bene immobile a seguito di vendita forzata. Natura del trasferimento. Acquisto a titolo derivativo.
Cass. Civ., Sez. II, Ord. del 2 settembre 2022 (ud. 14 giugno 2022) n. 25926 – Pres. Di Virgilio – Rel. Tedesco.
(Omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.A., dopo avere trasferito la proprietà di immobili a una società, con citazione notificata il 14 maggio 1997, chiamava in giudizio l'acquirente, chiedendo dichiararsi la nullità della compravendita per violazione del divieto del patto commissorio. La domanda giudiziale, volta a far dichiarare la nullità dei contratti, era tempestivamente trascritta il 17 maggio 1997 al n. 2746 di formalità. Nel medesimo giudizio l'attore proponeva una domanda subordinata per avere il corrispettivo della vendita, che assumeva non essere stato pagato dall'acquirente.
Il Tribunale adito rigettava la domanda di nullità e accoglieva la domanda subordinata, condannando la convenuta ((OMISSIS) s.a.s.) al pagamento della somma di Euro 62.415,00, oltre al 50% delle spese di lite, che compensava per il resto.
L'attore G.A., vittorioso sulla domanda subordinata, avviava l'esecuzione forzata, sottoponendo a pignoramento l'immobile trasferito con i contratti oggetto della domanda di nullità tempestivamente trascritta contro la venditrice, poi assoggettata a esecuzione. Naturalmente la trascrizione del pignoramento contro l'esecutata è successiva alla trascrizione della domanda di nullità della vendita.
L'esecuzione forzata si concludeva nel 2008 con l'aggiudicazione del complesso pignorato in favore di M.A.G. e F.G. (il lotto 1) e dell'Azienda Agricola (OMISSIS) di (OMISSIS) il lotto 2.
Parallelamente all'esecuzione forzata si è svolto il giudizio d'appello contro la sentenza in base alla quale il G. aveva agito in executivis contro l'acquirente, che era stata impugnata sia dalla società acquirente, sia dal G., che riproponeva la domanda principale di nullità della vendita, alla quale ineriva la prioritaria trascrizione.
L'appello del G. era accolto dalla Corte d'appello di Venezia, che dichiarava la nullità della vendita e condannava la società acquirente al rilascio del complesso immobiliare a suo tempo acquistato con i contratti dichiarati nulli: tali statuizioni erano assunti dal giudice d'appello con sentenza n. 808 del 20 giugno 2007, divenuta definitiva il 4 novembre 2014, a seguito della conclusione del giudizio di cassazione.
Immediatamente dopo l'aggiudicazione il G. ha chiamato in giudizio gli aggiudicatari, nei cui confronti ha chiesto la restituzione degli immobili aggiudicati e ciò in forza della decisione che aveva accolto la domanda di nullità della vendita contro la società esecutata. A giustificazione della pretesa egli ha fatto valere la priorità della trascrizione della domanda giudiziale rispetto alla trascrizione del pignoramento.
Il Tribunale, con sentenza n. 24 del 2011, accoglieva la domanda e la decisione era impugnata dall'Azienda Agricola P. S.a.s. dinanzi alla Corte d'appello di Venezia, la quale sospendeva il giudizio in attesa della formazione del giudicato sulla decisione che aveva dichiarato la nullità dei contratti.
Riassunto il processo dopo il passaggio in giudicato, la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado, in forza delle seguenti considerazioni:
a) non occorreva che l'attore, una volta fatta valere la priorità della trascrizione della domanda, impugnasse in modo specifico il decreto di trasferimento (la questione fu presentata in appello come deduzione della nullità della citazione, in quanto non contenente la richiesta di annullamento del decreto);
c) dovevano inoltre ritenersi superate le censure sulla inammissibilità della domanda, in quanto proposta contro gli aggiudicatari quando ancora la sentenza (dichiarativa della nullità dei contratti) non era passata in giudicato: la corte d'appello osservava al riguardo di avere sospeso il processo, in attesa del giudicato, nel frattempo formatosi, ed essendo incontroversa l'identità fra i beni aggiudicati e quelli di cui è stato chiesto il rilascio.
Per la cassazione della sentenza l'Azienda Agricola P. S.a.s. ha proposto ricorso affidato a sei motivi.
G.A. ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DLLA DECISIONE
1. Con il primo motivo ("nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 n. 4, c.p.c. - Omesso esame del motivo d'appello relativo all'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, violazione ex art. 360 n. 3, c.p.c. per mancata sospensione necessaria del processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c.") la ricorrente sostiene che il giudizio contro gli aggiudicatari, intrapreso prima del passaggio in giudicato della decisione che aveva dichiarato la nullità della vendita, avrebbe dovuto essere sospeso già in primo grado. All'omissione del primo giudice la Corte d'appello avrebbe dovuto rimediare non tanto con la sospensione del giudizio nel grado, ma avrebbe dovuto dichiarare la nullità del processo, che non avrebbe potuto essere proseguito quando era ancora incerto il presupposto legittimante la pretesa dell'attore. La Corte d'appello ha invece erroneamente ritenuto che la questione non fosse più attuale a seguito della sospensione disposta nel grado, incorrendo così sia nella violazione di omesso esame di un motivo di impugnazione, sia nella violazione delle norme processuali che imponevano la sospensione già del giudizio di primo grado.
Con il secondo motivo ("violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c.p.c. per errata interpretazione degli artt. 99 e 100 c.p.c. Difetto di interesse ad agire e di legittimazione attiva. Violazione di legge anche ai sensi dell'art. 360 n. 4, c.p.c."), coordinato al motivo precedente, si sostiene che l'azione non avrebbe potuto essere intrapresa prima del passaggio in giudicato, non sussistendo né l'interesse ad agire, né la legittimazione ad agire, e non avendo efficacia sanante il giudicato sopravvenuto in corso di causa.
1.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La mancata sospensione del processo è stata fatta valere in appello quale vizio della sentenza di primo grado. La Corte d'appello ha ravvisato sussistente la ragione di pregiudizialità e ha sospeso il processo. Cessata la causa di sospensione la causa è stata correttamente decisa nel merito, non ricorrendo, in conseguenza della mancata sospensione, alcun vizio del procedimento tale da comportare la rimessione della causa al primo giudice, né tanto meno l'inammissibilità originaria della domanda. Tanto la legittimazione, quanto l'interesse ad agire, in quanto condizioni dell'azione, possono sopravvenire in corso di causa (Cass. n. 3314 del 2001; n. 5321/2016).
2. Il terzo motivo denuncia “violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per errata interpretazione dei requisiti di cui all'art. 163 e 164 c.p.c. in relazione ai requisiti dell'atto di citazione e della nullità dello stesso.” La ricorrente rimprovera alla Corte d'appello di non avere considerato che l'attore aveva fatto valere una sentenza pronunciata contro terzi, chiedendo l'accertamento della proprietà di beni che risultavano di proprietà degli aggiudicatari in forza del decreto di trasferimento emesso nell'esecuzione forzata. L'attore, pertanto, avrebbe dovuto proporre un'azione di rivendicazione contro i terzi proprietari, facendo valere l'inefficacia del decreto di trasferimento. In assenza di qualsiasi impugnativa del decreto, la sentenza su cui si fondava la pretesa, in quanto emessa inter alios, non consentiva, per se stessa, di sovvertire la situazione di appartenenza che risultava dal titolo, costituito dal provvedimento giudiziale (decreto di trasferimento, regolarmente trascritto).
Il motivo è infondato. L'acquisto di un bene da parte dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass. n. 443/1985; n. 27/2000; n. 20037/2010; n. 6386/2017; n. 20608/2017).
In considerazione di ciò è stato chiarito che è applicabile all'aggiudicatario l'art. 111 c.p.c., nel senso che è opponibile a lui, quale successore a titolo particolare del debitore esecutato, la sentenza pronunziata contro costui, salva l'eventuale operatività delle limitazioni previste dagli art. 2915 e 2919 c.c. (Cass. n. 1299/1977)
Devesi ancora chiarire che, nel concorso dei presupposti, il giudicato è opponibile all'aggiudicatario senza che occorre la preventiva impugnazione del decreto di trasferimento (cfr. Cass. n. 6072/1985). È stato giustamente rimarcato che, con il decreto di trasferimento, il giudice dell'esecuzione si limita ad ordinare che si cancellino soltanto le trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie (art. 586 c.p.c.), ma non anche della trascrizione della domanda giudiziale con la quale un terzo abbia preteso la proprietà o altro diritto reale sul bene medesimo (Cass. n. 13212/2003; n. 5121/1978).
3. Il quarto motivo denuncia violazione di legge ex art. 360 c.p.c. per errata interpretazione dell'art. 2652 n. 6 c.p.c., che non sarebbe applicabile per risolvere il conflitto fra acquirenti di diritti incompatibili nel caso in cui la trascrizione posteriore sia stata presa non in forza di un titolo negoziale, ma riguardi un atto, come il pignoramento, destinato a dare avvio a un procedimento giurisdizionale.
Il quinto motivo denuncia “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 per errata interpretazione dell'art. 619 c.p.c. nel combinato disposto dell'art. 2562 n. 6 c.c. e dell'art. 586 c.p.c. Omesso esame ed omessa decisione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4”. Con il motivo, coordinato al precedente, la ricorrente sostiene ancora una volta che la norma dell'art. 2652, n. 6, regola i conflitti dipendenti da negozi giuridici e non giustifica la prevalenza dell'attore, vittorioso sulla domanda di nullità trascritta prima del pignoramento, nei confronti dell'aggiudicatario a seguito di esecuzione forzata, tanto più nel caso in esame nel quale il pignoramento fu trascritto dal medesimo soggetto che aveva trascritto la domanda. Secondo la ricorrente, il venditore doveva far valere i diritti nell'esecuzione in corso, tramite opposizione, e ciò anche per evitare il pagamento del prezzo da parte degli aggiudicatari, pagamento invece avvenuto nel caso in esame. Si fa notare ancora, da parte della ricorrente, che il venditore, nella sua impropria veste di creditore procedente, ha poi riscosso il prezzo pagato dagli aggiudicatari. Insomma, conclude la ricorrente, non può essere consentito che colui il quale abbia espropriato un bene, incassando il ricavato della vendita forzata, possa poi pretendere nei confronti dell'aggiudicatario di essere riconosciuto proprietario del bene stesso.
3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. È stato già chiarito che la considerazione secondo cui nella vendita forzata, il trasferimento si verifica invito domino, ossia indipendentemente dalla volontà del debitore, non rappresenta una esatta ragione per escludere che l'aggiudicatario subentri nella medesima situazione giuridica soggettiva spettante al primo sul bene espropriato. L'intervento dell'organo esecutivo, se può imprimere alla vendita forzata un carattere diverso dalla comune alienazione negoziale, non è tale da escludere la sua configurazione come trasferimento coattivo, nel quale permane la derivazione del diritto del nuovo titolare del bene dal precedente titolare, ossia in cui vi è una successione in senso proprio, intesa come sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità del diritto trasferito, che rimane obiettivamente immutato. Devesi rilevare che quest'ultima opinione è confermata dal sistema normativo di diritto positivo. In particolare, l'art. 2919 c.c. statuisce che la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione. L'aggiudicatario è così posto nella stessa condizione di chi acquista un bene mediante una vendita volontaria, nel senso che sono trasmessi a lui i medesimi diritti che spettavano al suo dante causa. Anche la c.d. garanzia per evizione di cui all'art. 2921 c.c., pur avendo un fondamento ed una natura diversi dall'omonima garanzia per evizione della vendita volontaria - in quanta il rimedio è riconducibile al generale principio di cui all'art. 2033 c.c. - sta a significare che i creditori, in tanto hanno diritto al ricavato della vendita forzata, in quanta il prezzo versato abbia surrogato la cosa venduta entrando a far parte dei patrimonio dei debitore - effetto questo che non si verifica, ove manchi la qualità di proprietario della res di costui. Anche nella esecuzione forzata il conflitto tra acquirente e terzi viene ad essere risolto secondo i principi generali, con le particolari disposizioni previste per il caso di evizione (art. 2921 c.c.) (Cass. n. 655/1964).
3.2. Il comma 2 dell'art. 2915 c.c. considera gli atti e le domande per la cui efficacia di fronte ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, e condiziona la loro opponibilità al creditore pignorante alla trascrizione anteriore al pignoramento. Il creditore pignorante è equiparato al terzo acquirente, in quanto il pignoramento prevale sulla sentenza che riconosca ai terzi diritti incompatibili o comunque contrastanti con la destinazione del bene al soddisfacimento dei creditori, partecipanti all'esecuzione, qualora la domanda, in base alla quale si è iniziato il processo, sia stata trascritta, agli effetti previsti negli art. 2652 e 2653 c.c., dopo il pignoramento stesso.
Nel caso in esame, essendo acquisito che la domanda di nullità è stata trascritta prima del pignoramento, l'aggiudicatario è privo della tutela prevista in favore del sub acquirente dall'art. 2652, n. 6, c.c. (Cass. n. 1292/1974; n. 37722/2021). La circostanza che l'attore, in favore del quale fu emessa la pronuncia idonea a pregiudicare l'acquisto dell'aggiudicatario, sia il medesimo creditore pignorante si spiega in considerazione della vicenda processuale che ha avuto origine con la domanda trascritta, perché, in primo grado, la domanda di nullità fu rigettata, mentre fu accolta la domanda di condanna al pagamento di somma. La coincidenza soggettiva non introduce alcuna reale ragione di anomalia, né crea le premesse per un indebito arricchimento. L'aggiudicatario, infatti, dispone pur sempre dei diritti a lui riconosciuti per l'ipotesi di evizione dall'art. 2921 c.c., il cui fondamento è generalmente ravvisato proprio sul principio che vieta l'indebito arricchimento dei creditori ed eventualmente del debitore e di coloro cioè che si ripartiscono il prezzo ricavato dalla vendita del bene espropriato e poi tolto all'acquirente.
4. Il sesto motivo denuncia “violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per errata interpretazione dell'art. 619 c.p.c. e dell'art. 2652 n. 6 c.c. che ha portato al rigetto della domanda riconvenzionale condizionata proposta dalla azienda agricola P.”.
La corte doveva accogliere la domanda riconvenzionale dell'attuale ricorrente, volta a far valere la prevalenza del decreto di trasferimento rispetto alla domanda giudiziale, trascritta prima del pignoramento.
Il motivo è inammissibile. Esso, infatti, si traduce nella petizione di principio che la preventiva trascrizione della domanda ex art. 2652 n. 6 c.c. non pone l'attore vittorioso nella posizione di poter prevalere sull'aggiudicatario a favore del quale sia stato emesso decreto di trasferimento. È stato già chiarito che tale tesi è contraria alla disciplina della materia, che parifica la posizione del creditore pignorante a quello del terzo acquirente del convenuto. A sua volta l'art. 2919 c.c. sancisce il principio della parificazione, in ordine all'opponibilità del diritto acquistato dai terzi sul bene venduto, a quella del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese e raddoppio del contributo.
PQM
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13 comma 1 quater, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Il principio di diritto: L'acquisto di un bene sottoposto ad esecuzione forzata da parte dell'aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato. Pertanto qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile il bene venga espropriato all’esito di un’esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all'aggiudicatario in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell'art 111, comma 4 c.p.c., salva l'eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 c.c. e 2919 c.c..
Il caso ed il processo: Il venditore di taluni immobili conveniva in giudizio la società acquirente chiedendo dichiararsi la nullità della compravendita per violazione del divieto di patto commissorio e in subordine di ricevere il corrispettivo, mai pagato, per la vendita; la domanda giudiziale volta a far dichiarare la nullità dei contratti veniva tempestivamente trascritta come per legge. Il Tribunale adito rigettava la domanda di nullità ed accoglieva invece la subordinata condannando quindi la convenuta al pagamento della somma richiesta. Su tali basi, l'attore, vittorioso sulla domanda subordinata, sottoponeva quindi a pignoramento gli immobili trasferiti con i contratti oggetto della domanda di nullità la cui tempestiva trascrizione risultava evidentemente antecedente alla trascrizione del pignoramento contro l'esecutata.
Parallelamente all'esecuzione forzata, che si era nel frattempo conclusa con l’aggiudicazione dei lotti, si era tuttavia svolto il giudizio d'appello avverso la sentenza in base alla quale il venditore aveva agito in executivis contro l'acquirente, sentenza che era stata impugnata sia dalla società acquirente che dalla venditrice con la riproposizione della domanda principale di nullità della vendita.
Quest’ultimo appello veniva accolto dalla Corte d'appello di Venezia che con sentenza poi divenuta definitiva dichiarava la nullità della vendita e condannava la società acquirente al rilascio del complesso immobiliare a suo tempo acquistato con i contratti dichiarati nulli. Immediatamente dopo l'aggiudicazione il venditore conveniva in giudizio gli aggiudicatari nei cui confronti richiedeva la restituzione degli immobili aggiudicati in forza della decisione che aveva accolto la domanda di nullità della originaria vendita.
A giustificazione della propria pretesa il creditore faceva valere la priorità della trascrizione della domanda giudiziale rispetto alla trascrizione del pignoramento. Il Tribunale accoglieva quindi l’ulteriore domanda e la decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d'appello di Venezia, la quale sospendeva il giudizio in attesa della formazione del giudicato sulla decisione che aveva dichiarato la nullità dei contratti.
Riassunto il processo dopo il passaggio in giudicato, la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado, in forza delle seguenti considerazioni: a) non occorreva che l'attore, una volta fatta valere la priorità della trascrizione della domanda, impugnasse in modo specifico il decreto di trasferimento (la questione fu presentata in appello come deduzione della nullità della citazione, in quanto non contenente la richiesta di annullamento del decreto); b) dovevano inoltre ritenersi superate le censure sulla inammissibilità della domanda, in quanto proposta contro gli aggiudicatari quando ancora la sentenza (dichiarativa della nullità dei contratti) non era passata in giudicato: la corte d'appello osservava al riguardo di avere sospeso il processo, in attesa del giudicato, nel frattempo formatosi, ed essendo incontroversa l'identità fra i beni aggiudicati e quelli di cui è stato chiesto il rilascio. Avverso detta sentenza l’aggiudicataria ricorreva per Cassazione.
La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato. Ed infatti, partendo dal presupposto che “l'acquisto di un bene da parte dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” la Corte ha ritenuto che “è applicabile all'aggiudicatario l'art. 111 c.p.c., nel senso che è opponibile a lui, quale successore a titolo particolare del debitore esecutato, la sentenza pronunziata contro costui, salva l'eventuale operatività delle limitazioni previste dagli art. 2915 e 2919 c.c.” e ciò anche senza “la preventiva impugnazione del decreto”.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sulla qualificazione dell’aggiudicazione in sede di esecuzione forzata quale acquisto a titolo derivativo e non originario si veda Cass. Civ. Sez. I, 13 marzo 2017 n. 6386 secondo la quale “l'acquisto di un bene da parte dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, in quanto da ricollegarsi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva escluso la qualità di proprietario danneggiato dal sisma, come tale legittimato a riscuotere il contributo di ricostruzione, in capo al soggetto il cui immobile era stato venduto all'asta nell'ambito di una espropriazione forzata)” e, con riferimento al sistema tavolare, Cass. Civ. Sez. II, Ord. del 31 agosto 2017 n. 20608 secondo la quale “l'acquisto di un bene immobile da parte dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur non dipendendo dalla volontà del precedente proprietario, giacché connesso al decreto di aggiudicazione emesso dal giudice dell'esecuzione, ha comunque natura di acquisto a titolo derivativo, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato; ne consegue che, nel sistema tavolare, a tale acquisto si applicano le speciali regole di efficacia previste dalla relativa normativa per gli atti “inter vivos””; sulla possibilità per il giudice dell’esecuzione di ordinare la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali si veda Cass. Civ. Sez. I, 10 settembre 2003 n. 13212 secondo la quale “In sede di trasferimento all'aggiudicatario del bene immobile espropriato, in esito ad esecuzione individuale o concorsuale, il giudice ha il potere di disporre la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie (art. 586 c.p.c.), ma non anche della trascrizione della domanda giudiziale (nella specie, proposta contro la curatela fallimentare), con la quale un terzo abbia preteso la proprietà o altro diritto reale sul bene medesimo”; sull’applicabilità del rimedio previsto dall’art. 2652 n. 6 c.c. si veda Cass. Sez. II. ordinanza del 1 dicembre 2021, n. 37722 secondo la quale “la trascrizione prevista dall'art. 2652, n. 6 c.c. riguarda le domande di nullità o di annullamento dei negozi giuridici e non è, quindi, applicabile ai negozi inefficaci, con la conseguenza che, in un negozio compiuto dal rappresentante senza potere, la sentenza con cui viene dichiarata l'inefficacia della vendita compiuta dal 'falsus procurator' è opponibile all'avente causa in buona fede da quest'ultimo, anche se la domanda è stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della vendita”. Detto provvedimento è stato oggetto di annotazione ad opera di Michele Raggi in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 4, 1 luglio 2022, p. 803. In generale sulla vendita in sede esecutiva si veda anche A.M.Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano 2019.
2) Processo esecutivo. Esecuzione immobiliare – Opposizione all’esecuzione. Danno patrimoniale da esecuzione illegittima. Cass. Civ. Sez. VI -3, 8 settembre 2022 (ud. 4 maggio 2022), n. 26438. Pres. Amendola – Rel. Rossetti.
(Omissis)
RITENUTO IN FATTO
1. Nel 2009 I.G. convenne dinanzi al Tribunale di Roma:
-) la U. S.p.a.;
-) la T.F. 3 s.r.l.;
-) la U.C. Bank S.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno.
2. A fondamento della pretesa espose che:
-) era debitrice della Banca S.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale dapprima in C. S.p.a., e quindi in U. S.p.a.);
-) il credito vantato in origine dalla Banca era stato da questa ceduto alla T.F. 3 S.r.l.; quest'ultima aveva conferito mandato per l'incasso alla C. S.p.a., e questa a sua volta aveva "affidato le operazioni di incasso" dapprima alla C.S. J.V. S.r.1., e quindi ad altra società, … che in seguito muterà ragione sociale dapprima in U.C. Bank S.p.a., e quindi in … (oggi …);
-) la Banca (poi C.) per l'esazione dei propri crediti iniziò due distinte esecuzioni forzate, nella forma dell'espropriazione immobiliare, la prima nel 1993, la seconda dieci anni dopo;
-) in questa seconda procedura esecutiva intervennero dapprima la C.S. J.V. S.r.1., quale mandataria di U. S.p.a.; e poi la T.F. 3 S.r.l., vantando crediti taluni dei quali erano insussistenti, mentre altri non erano che la duplicazione dei crediti vantati a suo tempo dalla Banca, e poi ceduti alla T.F.;
-) la condotta delle tre società convenute era illecita perché esse avevano abusato dei propri diritti, iniziando l'esecuzione, coltivandola od intervenendovi per crediti inesistenti o duplicati;
-) tale condotta illecita aveva causato all'attrice danni patrimoniali e non patrimoniali: i primi erano consistiti nella vanificazione di un accordo in itinere con terze parti, recedute dall'affare supponendo che l'esposizione debitoria di I.G. verso le banche fosse maggiore di quella effettiva; i secondi nel turbamento provocato dalla condotta delle convenute.
3. Infine, l'attrice dedusse che la U. aveva segnalato alla Centrale Rischi una esposizione debitoria della odierna ricorrente quasi doppia rispetto a quella effettiva, causandole anche per tal via ulteriori danni all'immagine commerciale.
4. Si costituirono tutte e tre le convenute, negando sia l'esistenza dell'illecito, sia quella del danno.
5. Il Tribunale di Roma con sentenza 12 marzo 2014 n. 5879 rigettò la domanda, ritenendo insussistente il nesso di causa fra la condotta delle convenute ed i danni lamentati dall'attrice.
Osservò, in particolare, che in caso di cessione del credito la circostanza che il cedente ed il cessionario coltivino congiuntamente l'esecuzione iniziata dal primo è tanto improduttiva di danno per il debitore, quanto inidonea a trarre in inganno eventuali controparti in affari di quest'ultimo.
Infine, il Tribunale ritenne che la segnalazione alla Centrale Rischi da parte della C. fu legittima e comunque anch'essa inidonea a provocare un danno alla debitrice.
6. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.
La Corte d'appello di Roma con sentenza 31 ottobre 2019 n. 6600 dichiarò inammissibile il gravame, ai sensi dell'art. 342 c.p.c.. Ritenne la Corte capitolina che l'atto d'appello si era limitato a reiterare le deduzioni già svolte in primo grado, senza sottoporre "ad uno specifico vaglio critico i passaggi motivazionali" su cui era fondata la sentenza di primo grado.
7. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da I.G. con ricorso fondato su undici motivi ed illustrato da memoria.
Hanno resistito con controricorso la T.F. 3 S.r.l. (per il tramite della propria mandataria U. S.p.a.), la U. S.p.a. e la ….
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con i primi otto motivi la ricorrente censura, sotto vari aspetti, la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile per aspecificità, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., i motivi d'appello intesi a censurare la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto non illegittime, né foriere di danni, le condotte tenute dalle società convenute e consistite nell'iniziare, e poi nel coltivare, l'espropriazione forzata in suo danno.
1.1. È superfluo dar conto dello specifico contenuto di tali doglianze, in quanto sul punto la sentenza d'appello va cassata senza rinvio, perché la domanda non poteva essere proposta, né il giudizio proseguito.
1.2. I.G., infatti, in primo grado ha domandato – tra l'altro – una condanna delle società convenute per avere tenuto una condotta illecita, consistita in ciò: avere iniziato una procedura esecutiva, ed averla coltivata, senza la ordinaria diligenza.
Si tratta, dunque, della condotta espressamente prevista dall'art. 96, comma 2, c.p.c..
1.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 25478 del 21/09/2021, componendo i precedenti contrasti hanno stabilito che la domanda di risarcimento del danno da "esecuzione illegittima" va proposta dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione, e ne è consentita l'introduzione in un autonomo giudizio solo quando sia impossibile, per ragioni di fatto o di diritto, introdurre la domanda risarcitoria in quella sede.
1.4. Nel caso oggi in esame, come anticipato, la domanda proposta dall'attrice in primo grado, nella parte in cui ascriveva alle tre società convenute di avere coltivato illegittimamente l'esecuzione, ovvero di essere intervenute in essa senza titolo, era una domanda chiaramente volta a far valere una responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c..
Quella domanda dunque non poteva essere proposta in un autonomo giudizio, ma doveva essere fatta valere in sede di opposizione all'esecuzione.
Né risulta mai dedotta dall'odierna ricorrente una ragione di impossibilità giuridica o di fatto, ostativa alla proponibilità della domanda di danno nella suddetta sede.
1.4. Ne consegue che, poiché la domanda di cui si discorre non poteva essere proposta in un autonomo giudizio, in applicazione del principio stabilito dalle Sezioni Unite nella decisione sopra ricordata, la sentenza d'appello va cassata senza rinvio sulla questione della responsabilità per illegittimi od abusivi inizio e prosecuzione dell'esecuzione forzata, ferme restando le restanti parti.
3. Col nono motivo la ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto "inammissibile per genericità", ex art. 342 c.p.c., il motivo d'appello concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi.
Deduce la ricorrente che il suddetto motivo d'appello era sufficientemente specifico, in quanto in esso si era sostenuto, da un lato, che non fu conforme a correttezza e buona fede, da parte della banca creditrice, effettuare una segnalazione alla Centrale Rischi a distanza di dodici anni dall'insorgenza del debito; e dall'altro che la sofferenza reale era pari alla metà di quella segnalata dalla banca alla Centrale Rischi, e che il segnalare alla Centrale Rischi una sofferenza "pari al doppio del reale è comunque fonte di discredito, e quindi di danni".
3.1. Il motivo è infondato, per quanto la motivazione della sentenza impugnata debba essere integrata.
3.2. In primo grado, infatti, il Tribunale accertò che la U. (banca creditrice) segnalò nel 2007 alla Centrale Rischi un debito di I.G. per 2,5 milioni di Euro, nonostante l'esposizione debitoria - sorta nel 1995 - fosse pari soltanto a 1,6 milioni di Euro.
Aggiunse tuttavia il Tribunale:
-) quanto alla data della segnalazione, che era facoltà della banca creditrice provvedervi anche dopo l'insorgenza del debito;
-) quanto all'importo della segnalazione, che lo scarto tra debito reale e debito segnalato alla Centrale Rischi era di per sé inidoneo ad arrecare danni ad un soggetto non imprenditore, in quanto "nel sentimento comune dire che un soggetto è debitore per 1,5 milioni, ovvero per 2,5 milioni, non costituisce significativo aumento del discredito".
3.3. Il Tribunale, dunque, ritenne insussistente il fatto illecito sia per mancanza dell'illiceità della condotta, sia per la mancanza di nesso causale tra essa e il preteso danno.
Tale statuizione venne impugnata da I.G., per quanto riferito nel ricorso, con le seguenti parole:
-) una segnalazione "realizzata dodici anni dopo l'insorgere del debito (...) non risponde ai canoni della correttezza e buona fede";
-) "un'iscrizione per un credito indicato in una misura pari al doppio del reale è comunque fonte di discredito, e quindi di danni".
3.4. L'appellante, pertanto, con la propria impugnazione contrappose all'affermazione del Tribunale ("la segnalazione alla Centrale Rischi di un importo eccedente quello reale non crea discredito, quando il debito sia comunque elevato") una affermazione opposta ("la tardiva segnalazione alla Centrale Rischi di un debito in misura eccedente quella reale costituisce di per sé un danno per il debitore").
Una impugnazione così concepita correttamente fu ritenuta dalla Corte d'appello inammissibile ex art. 342 c.p.c., in quanto essa consisteva in una mera petitio principii, che si limitava a negare il giudizio compiuto dal Tribunale contrapponendovi un giudizio opposto, ma senza illustrarne le ragioni.
3.4.1. In ogni caso - lo si rileva ad abundantiam – con il passo dell'atto d'appello sopra richiamato I.G. mostrò di ritenere che, provata l'illiceità della condotta, resti di per sé provata l'esistenza del danno.
Una simile concezione del fatto illecito è stata tuttavia da tempo ripudiata da questa Corte, dal momento che non esistono danni in re ipsa, e che la lesione d'un diritto è il presupposto del danno, ma non il danno. Pertanto chi invoca il risarcimento del danno aquiliano ha l'onere di allegare e provare non solo la lesione del diritto, ma anche il pregiudizio che ne sia derivato.
Nel caso di specie, però, l'appello proposto da I.G. avverso il capo di sentenza reiettivo della domanda fondata sulla asserita illegittimità della segnalazione di sofferenza alla Centrale Rischi trascurò di esporre se, come e perché quella sola segnalazione ebbe l'effetto di causare o concausare il danno di cui chiedeva il ristoro. Allegazione necessaria, in quanto per accogliere una domanda di danno non è sufficiente allegare la lesione d'un diritto, ma è necessario almeno esporre quale concreto pregiudizio sia derivato da quella lesione.
Sicché, se quel motivo d'appello fosse stato esaminato nel merito, non avrebbe potuto avere nemmeno in questo caso miglior sorte che l'inammissibilità, a causa del difetto di esposizione delle ragioni per le quali la censura con esso proposta doveva ritenersi "decisiva".
4. Col decimo motivo la ricorrente lamenta il vizio di omessa pronuncia. Sostiene che la Corte d'appello ha trascurato di esaminare la domanda, proposta in primo grado e non esaminata dal Tribunale, con cui invocava l'illegittimità della notifica e della trascrizione del pignoramento eseguito dalla C. nel 2003.
4.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, infatti, il vizio di omessa pronuncia su una questione di merito non è nemmeno concepibile, allorché il giudice d'appello abbia dichiarato inammissibile il gravame ai sensi dell'art. 342 c.p.c.. In ogni caso qualsiasi vizio della notifica del pignoramento o della trascrizione di esso non può che essere fatta valere attraverso gli strumenti della opposizione all’esecuzione.
5. Anche con l'undicesimo motivo la ricorrente prospetta il vizio di omessa pronuncia.
Deduce di avere formulato, in via subordinata al rigetto della domanda di risarcimento del danno per lucro cessante, una domanda di risarcimento del danno per perdita di chances, sulla quale la Corte d'appello omise di pronunciarsi.
5.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.
In primo luogo è inammissibile perché la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances non risulta essere stata formulata in primo la ricorrente chiarisce nel proprio ricorso se e in quali termini tale domanda venne formulata in primo grado. Tale omissione comporta, giusta la previsione di cui all'art. 366, n. 6, c.p.c., l'inammissibilità del motivo.
In secondo luogo il motivo è inammissibile perché anche in questo caso la ritenuta inammissibilità del gravame esonerava la Corte d'appello dal dovere esaminare il merito delle censure con esso proposte.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo, tenuto conto della circostanza che U. s.p.a. e T.F. 3 hanno depositato controricorsi in larga parte coincidenti, e redatti dal medesimo difensore.
P.Q.M.
(-) cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle questioni investite dai motivi di ricorso dal primo all'ottavo, in quanto vertenti su domanda che non poteva essere proposta, ferme restando le restanti statuizioni, ivi comprese quelle sulle spese;
(-) rigetta il nono motivo di ricorso;
(-) dichiara inammissibili il decimo e l'undicesimo ricorso;
(-) condanna I.G. alla rifusione in favore della società T.F. 3 S.r.l., come in epigrafe rappresentata, e della società U. S.p.a., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex D.M. n.55 del 10 marzo 2014 art. 2, comma 2;
(-) condanna I.G. alla rifusione in favore della società … delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex D.M. n.55 del 10 marzo 2014 art. 2, comma 2;
(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Il principio di diritto: La domanda di risarcimento del danno da esecuzione illegittima va proposta dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione, e ne è consentita l'introduzione in un autonomo giudizio solo quando sia impossibile, per ragioni di fatto o di diritto, introdurre la domanda risarcitoria in quella sede. Ne consegue che la domanda avente ad oggetto il risarcimento per avere il creditore coltivato illegittimamente l'esecuzione, ovvero essere intervenuto in essa senza titolo, è una domanda chiaramente volta a far valere una responsabilità aggravata ex articolo 96, secondo comma, c.p.c., per cui essa non può essere proposta in un autonomo giudizio, ma deve essere fatta valere in sede di opposizione all'esecuzione.
Il caso ed il processo: L’I.G. conveniva in giudizio un Istituto di Credito, la cessionaria di quest’ultimo e la Società di Servicing lamentando una illecita condotta delle stesse che avrebbero abusato dei propri diritti iniziando l'esecuzione coltivandola od intervenendovi per crediti inesistenti o duplicati. A detta dell’originaria istante, detta condotta avrebbe causato danni patrimoniali e non patrimoniali consistiti nella vanificazione di un accordo in itinere con terze parti recedute dall'affare supponendo che l'esposizione debitoria di I.G. verso le banche fosse maggiore di quella effettiva e nel turbamento provocato dalla condotta delle convenute. Da ultimo, l’I.G. lamentava che la segnalazione in Centrale Rischi fosse stata effettuata per un’esposizione debitoria quasi doppia rispetto a quella effettiva causandole anche per tal via ulteriori danni all'immagine commerciale.
Il Tribunale di Roma sui presupposti che in caso di cessione del credito la circostanza che il cedente ed il cessionario coltivino congiuntamente l'esecuzione iniziata dal primo è tanto improduttiva di danno per il debitore, quanto inidonea a trarre in inganno eventuali controparti in affari di quest'ultimo e che la segnalazione alla Centrale Rischi fosse legittima e comunque anch'essa inidonea a provocare un danno alla debitrice gettò la domanda attorea ritenendo insussistente il nesso di causa fra la condotta delle convenute ed i danni lamentati dall'attrice.
La Corte d'appello di Roma adita dalla parte soccombente dichiarò inammissibile il gravame, ai sensi dell'art. 342 c.p.c.. Ritenne infatti la Corte che l'atto d'appello si era limitato a reiterare le deduzioni già svolte in primo grado, senza sottoporre "ad uno specifico vaglio critico i passaggi motivazionali" su cui era fondata la sentenza di primo grado.
La sentenza d'appello è stata quindi impugnata per cassazione da I.G. con ricorso fondato su undici motivi ed illustrato da memoria.
La soluzione resa dalla Corte: la Suprema Corte ha espressamente rigettato il nono motivo di ricorso ritenendo gli ulteriori motivi inammissibili. Ed infatti, partendo dal presupposto che la ricorrente, attrice in primo grado, abbia domandato “tra l'altro – una condanna delle società convenute per avere tenuto una condotta illecita, consistita in ciò: avere iniziato una procedura esecutiva, ed averla coltivata, senza la ordinaria diligenza”, condotta questa “espressamente prevista dall'art. 96, comma 2, c.p.c.”, e che le Sezioni Unite con la sentenza n. 25478 del 21 settembre 2021 “componendo i precedenti contrasti” abbiano stabilito “che la domanda di risarcimento del danno da "esecuzione illegittima" va proposta dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione, e ne è consentita l'introduzione in un autonomo giudizio solo quando sia impossibile, per ragioni di fatto o di diritto, introdurre la domanda risarcitoria in quella sede” , ha ritenuto che dovendosi qualificare la domanda di parte ricorrente come una “domanda chiaramente volta a far valere una responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c.” questa non poteva “essere proposta in un autonomo giudizio, ma doveva essere fatta valere in sede di opposizione all'esecuzione” con la conseguenza che i provvedimenti di rigetto di primo e secondo grado dovevano ritenersi correttamente presi.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: la principale tematica emergente dalla sentenza è ovviamente quella del risarcimento danni derivante da illegittima esecuzione sulla quale si sono espresse le Sezioni Unite della Suprema Corte stabilendo con la sentenza 25478 del 21 settembre 2021 che “l'istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto, senza la normale prudenza, un'esecuzione forzata in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio di formazione o preordinato alla definitività del titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente, e non vi siano preclusioni di natura processuale. In questa ultima ipotesi, la domanda deve essere formulata al giudice dell'opposizione all'esecuzione. Solo qualora sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all'articolazione della domanda anche in tale sede, ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo”. In dottrina si veda a riguardo C.Marino, Caducazione del titolo esecutivo e giudizio di opposizione all’esecuzione in Rivista di Diritto Processuale, n. 2/2022, 735 e M.Marchese, La sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo: la soluzione delle Sezioni Unite, in Esecuzione Forzata 4/2021, 918.
ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA
In materia di opposizione a precetto fondato su assegno, posto che il disconoscimento dell'autenticità di una scrittura o della sua sottoscrizione deve presentare il carattere della specificità e determinatezza ma senza la necessità del rispetto di formule sacramentali o vincolate, deve ritenersi manifestazione inequivoca di disconoscimento la deduzione con cui si contesti che il titolo è stato rilasciato solo a garanzia di ritardati pagamenti, che lo stesso risultava privo di sottoscrizione e che il beneficiario lo ha compilato e completato contra pacta e senza autorizzazione alcuna del traente.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 9 settembre 2022, (ud. 21 giugno 2022), n. 26624 – Pres. Frasca – Rel. Condello.
In tema di occupazione “sine titulo” di immobile non identificato catastalmente, l'omessa indicazione dei dati catastali da parte del proprietario è irrilevante ai fini della domanda di rilascio del bene, poiché l'art. 19, del d.l. n. 78 del 2010, conv. dalla l. n. 122 del 2010, che onera i titolari di diritti reali su beni immobili non accatastati a procedere alla dichiarazione di aggiornamento catastale, si riferisce ai contratti di locazione, sanzionando la mancata indicazione dei dati catastali nella richiesta di registrazione dei predetti, e non trova applicazione nelle ipotesi di occupazione senza titolo.
Cassazione Civile, Sez. VI - 3, Ordinanza del 3 agosto 2022, (ud. 12 aprile 2022), n. 24037 – Pres. Scoditti – Rel. Rossetti.
In tema di opposizione agli atti esecutivi, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione provvede a definire la fase sommaria, quand'anche dichiari illegittimamente inammissibile l'opposizione, non è impugnabile con il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost., in quanto priva del carattere della definitività.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 27 luglio 2022, (ud. 21 aprile 2022), n. 23477 – Pres. Rubino – Rel. Sajia.
In tema di espropriazione forzata, nel caso in cui, alla data del pignoramento, il credito azionato sia inesistente, l'originaria mancanza del diritto di procedere all'esecuzione determina l'invalidità di tutti gli atti esecutivi, essendo irrilevante il successivo, eventuale deposito di un atto d'intervento fondato su un diverso credito (dello stesso pignorante o di terzi).
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 26 luglio 2022, (ud. 5 aprile 2022), n. 23343 – Pres. De Stefano – Rel. Sajia.
In tema di espropriazione forzata, l'avvertimento al debitore esecutato prescritto, quale contenuto del precetto, dall'art. 480, comma 2, secondo periodo, cod. proc. civ. (e volto a renderlo edotto della possibilità di porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento mediante le procedure di composizione della crisi di cui alla l. n. 3 del 2012) ha la finalità, precipuamente "promozionale", di stimolare o incentivare l'accesso a una delle citate procedure, il quale non è comunque precluso dall'inizio o dalla progressione dell'esecuzione; ne consegue che l'omissione del predetto avvertimento non determina la nullità, bensì una mera irregolarità, dell'atto di intimazione.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 26 luglio 2022, (ud. 9 giugno 2022), n. 23338 – Pres. De Stefano– Rel. Rossi.
L'offerente escluso dalla partecipazione ad un esperimento di vendita è legittimato a proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il relativo provvedimento del giudice dell'esecuzione, indipendentemente dalla ragione giustificativa di quest'ultimo (e, quindi, anche in caso di dichiarazione di inammissibilità dell'offerta per vizi formali), perché, sotto il profilo oggettivo, l'atto è immediatamente lesivo del diritto del soggetto estromesso a concorrere per l'aggiudicazione del bene pignorato e, dal punto di vista soggettivo, l'offerente è interessato al regolare svolgimento della procedura e destinatario degli atti della stessa che siano idonei a cagionargli un pregiudizio.
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 25 luglio 2022, (ud. 17 marzo 2022), n. 23123 – Pres. De Stefano– Rel. Rossi.
Il creditore che intenda promuovere un'azione esecutiva nei confronti del singolo condomino, pro quota, sulla base di un titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti del condominio, deve previamente notificare il titolo in forma esecutiva a tale condomino, al fine di consentirgli lo spontaneo adempimento o le opportune contestazioni circa il proprio status di partecipe al condominio oppure circa la sua responsabilità per quella specifica obbligazione condominiale, pena la nullità del precetto, da denunciare nelle forme e nei termini di cui all'art. 617, comma 1, c.p.c., senza che sia necessario allegare e dimostrare alcun ulteriore pregiudizio, diverso da quello insito nel mancato rispetto della predetta formalità.
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 25 luglio 2022, (ud. 17 marzo 2022), n. 23123 – Pres. De Stefano– Rel. Rossi.
Nell'espropriazione forzata presso terzi, in seguito alle modifiche apportate dalla l. n. 228 del 2012, dal d.l. n. 132 del 2014 e dal d.l. n. 83 del 2015, il subprocedimento volto all'accertamento dell'obbligo del terzo postula, quale condizione di procedibilità, un'istanza della parte interessata - da formulare, in mancanza di previsioni specifiche, secondo il modello dell'art. 486 c.p.c. - che deve contenere l'allegazione del "petitum" e della "causa petendi" propri della domanda giudiziale e, cioè, l'indicazione della misura del credito del debitore verso il terzo (possibile anche "per relationem" fino a concorrenza dell'importo pignorato) e del titolo dell'obbligazione da accertare.
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 25 luglio 2022, (ud. 17 marzo 2022), n. 23123 – Pres. De Stefano– Rel. Rossi.
Nell'espropriazione forzata presso terzi, in seguito alle modifiche apportate dalla l. n. 228 del 2012, dal d.l. n. 132 del 2014 e dal d.l. n. 83 del 2015, lo svolgimento del subprocedimento per l'accertamento dell'obbligo del terzo è sottratto al regime delle preclusioni proprio dei giudizi di cognizione ed è rimesso alle determinazioni del giudice dell'esecuzione che, salvi il rispetto del contraddittorio e la tutela effettiva del diritto di difesa delle parti, è legittimato a disporre d'ufficio ogni mezzo di prova ritenuto necessario, anche superando i limiti di ammissibilità stabiliti dal codice civile e le rigide modalità di assunzione prescritte dal codice di procedura civile.