ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mar, 6 Dic 2022

L´individuazione del CCNL applicabile nel caso di trasferimento di dipendente pubblico

Modifica pagina

autori Flaviano Peluso , Gabriele Pacifici Nucci , Andrea Giacani



La sentenza dirime la questione del CCNL applicabile nel caso in cui un dipendente pubblico, nel corso di una normazione di riordino complessivo della struttura dei dicasteri - sottoposta a vincolo dell´invarianza di spesa - sia trasferito da un comparto all´altro della P.A., mantenendo la contrattazione collettiva pregressa in deroga all´art. 2122 c.c. Nota a Cass., SS.UU., sent. 11 aprile 2022 n. 11677.


ENG

Identification of the CCNL applicable in the case of transfer of a civil servant

The ruling settles the question of the National Collective Labor Agreement applicable in the event that a public employee, in the course of an overall reorganization of the structure of the ministries - subject to cost invariance constraint - is transferred from one sector of the Public Administration to another maintaining the previous collective bargaining by derogation from art. 2112 civil code. Case note to Cass., United Sections, sent. 11 april 2022 n. 11677.

Sommario: 1. Introduzione e premesse di causa; 2. La contestazione sul CCNL applicabile e la paventata retroattività del medesimo con decorrenza dalla data del trasferimento; 3. L'interpretazione circa l'individuazione degli elementi essenziali ai fini decisori; 4. L'applicabilità di diversi CCNL al vaglio dei principi costituzionali e della giurisprudenza; 5. Precisazioni in merito alla verifica sull'applicazione della riserva di legge; 6. Brevi riflessioni sulla decisione delle Sezioni Unite anche alla luce della normativa europea; 7 Considerazioni finali

1. Introduzione e premesse di causa

La questione del trasferimento di un dipendente pubblico da un comparto all'altro della P.A. risulta essere problematica complessa che necessita di una visione organica realizzata nel rispetto di rigidi parametri imposti dal legislatore. Nel caso in esame ha mostrato rilievo il disposto normativo dell’art. 31 del d.lgs. 165/2001, secondo il quale il trasferimento deve essere eseguito nel rispetto sia dell’art. 2112 c.c. che dell'art. 47 della l. 29 dicembre 1990 n. 428, così come da ultimo modificata dalla lett. a) co. 1° dell’art. 44 del d.lgs. 17 giugno 2022 n. 83.

Nello specifico, il disposto dell’art. 2112, 1° co., c.c., prevede che

In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario e, dunque, il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano

mentre il 3° co. dell’articolo medesimo precisa che

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

Quanto invece all’art. 47 della l. 20 dicembre 1990 n. 428, seppure marginale ai fini della presente trattazione, va comunque rilevato che la norma prevede che, qualora il trasferimento d’azienda (o di ramo della stessa) occupi più di quindici dipendenti, è necessaria una comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali nelle modalità ivi previste.

Sul tratteggiato normativo indicato, era stata incardinata la questione poi dipanata dalle Sezioni Unite della Cassazione che ha avuto modo di evidenziare la specificità della vicenda.

Nella vicenda in esame la convivenza - limitata nel tempo - di due diversi trattamenti contrattuali nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si sottrae ai dubbi di legittimità costituzionale ventilati dai ricorrenti, perché consegue ad un articolato riordino delle funzioni tra Organi dello Stato, nella specie Ministeri e Presidenza del consiglio dei ministri, che ha reso necessario il graduale adattamento delle strutture ai fini del buon andamento dell’amministrazione (Cass. SS.UU. n. 11677/2022).

Nel merito, la questione ha riguardato il ricorso presentato da alcuni dipendenti pubblici[1] che nel corso del 2006 erano stati trasferiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; tutto ciò in forza della l. 233/2006 art. 1 co. 19-bis di conversione con modificazioni del d.l. 18 maggio 2006 n. 181.

Tale disposizione normativa era stata emessa a seguito dell’insediamento del nuovo Governo che, nell’ottica del riordino dei dicasteri, aveva soppresso la Direzione Generale del Turismo trasferendone le risorse umane e finanziarie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Pertanto, in sostituzione dell’ufficio soppresso, era stato costituito presso la Presidenza medesima, il Dipartimento per lo sviluppo competitivo del turismo.

Il trasferimento dei dipendenti aveva generato una dicotomia nell’applicazione dei CCNL di categoria.

Alcuni dei dipendenti trasferiti d’imperio, allora, aveva chiesto l’applicazione del CCNL dell’amministrazione di destinazione, giacché quest’ultimo risultava più favorevole rispetto a quello dell’ufficio di provenienza, ma la richiesta era stata rigettata. Motivo del diniego era da ascriversi ad alcune norme che avevano imposto l’invarianza della spessa del bilancio pubblico e il mantenimento dei pregressi contratti[2].

In tale contesto veniva attivata una azione giudiziaria da parte dei dipendenti trasferiti con la quale veniva chiesto accertarsi il diritto ad essere inquadrati nel ruolo ordinario della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per l’effetto, il riconoscimento di tutte le prerogative previste dalla contrattazione collettiva del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri a far data dal 29 novembre 2006 (ovvero dal giorno del trasferimento): inoltre, veniva anche richiesto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel ruolo di provenienza.

In un primo momento, il Tribunale di Roma, in primo grado, aveva sentenziato in senso favorevole ai lavoratori, mentre, poi, la Corte d’Appello era giunta a riformare radicalmente la sentenza del giudice di prime cure.

Così, conseguentemente, i lavoratori avevano presentato ricorso in Cassazione adducendo, in particolare, come primario motivo di doglianza, il fatto che la Corte d'Appello, asseritamente in antitesi col disposto dell'art. 2112 cod. civ., non aveva ritenuto doversi applicare il CCNL del comparto pubblico di provenienza in luogo di quello di destinazione.

La Suprema Corte, allora, rilevando questioni di particolare importanza circa l’invarianza della spesa pubblica ed altre relativi all’applicazione dell’art. 1, co. 25 e 25-bis, del d.l. 181/2006 convertito con modificazioni dalla l. n. 233 del 2006, aveva assegnato la causa alle Sezioni Unite.

2. La contestazione sul CCNL applicabile e la paventata retroattività del medesimo con decorrenza dalla data del trasferimento

Esaminando il primo motivo di gravame, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla doglianza dei lavoratori relativa al fatto che, a seguito del trasferimento di quest'ultimi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli stessi ritenevano di aver maturato il diritto all’applicazione (anche retroattiva) della Contrattazione Collettiva del Comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tutto ciò nonostante il fatto che il 1° co. dell’art 17 della l. 183 del 2010 prevedesse che 

Al personale dirigenziale e non dirigenziale, trasferito e inquadrato nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri in attuazione del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, e del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2010, i contratti collettivi di lavoro del comparto della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Tant'è che il CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri, siglato il 22 luglio 2010, all’art. 1 co. 6, aveva espressamente previsto che

A seguito di specifici interventi legislativi, il presente contratto si applica anche al personale trasferito nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le funzioni relative alla Segreteria CIPE nonché per i compiti in materia di Turismo e Sport, ai sensi del decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.

Sicché, in base alla tesi dei ricorrenti, non essendovi alcuna disposizione normativa di livello primario idonea a giustificare una eventuale disparità nell’applicazione del CCNL nel periodo 29 novembre 2006 – 1° gennaio 2010, fra dipendenti originariamente assunti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dipendenti trasferiti in detta amministrazione, vi era una violazione costituzionale. In particolare i ricorrenti avevano ricordato che l’art. 97 Cost. 1° co. aveva stabilito che

Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

Dunque, secondo la ricostruzione prospettata dai ricorrenti, il vincolo di invarianza della spesa non avrebbe potuto ne avrebbe dovuto essere inteso come relativo al trattamento retributivo dei singoli dipendenti ma, al contrario, avrebbe dovuto mostrare un carattere più generale inteso quale spesa complessiva per il bilancio dello stato: ragion per cui non vi sarebbe stata alcuna preclusione all'inquadramento dei ricorrenti con il CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il tutto atteso che l'inquadramento del CCNL dei ricorrenti doveva intendersi esterno ad ogni valutazione circa il vincolo di invarianza della spesa. Quest'ultimo, infatti, riguardava l'interezza della spessa a bilancio degli uffici. Peraltro a copertura dei costi del personale trasferito vi era la traslazione delle relative risorse finanziare, tutte già presenti a bilancio dal Ministero ed ora messe a disposizione della Presidenza del Consiglio. L'eventuale disavanzo derivante dall'applicazione del più favorevole CCNL del comparto di destinazione, di esiguo importo rispetto al bilancio complessivo, poteva essere facilmente recuperato con un efficientamento della spesa. 

Inoltre, sempre a sostegno dell'applicabilità del CCNL del comparto di destinazione, i ricorrenti avevano anche eccepito che non vi sarebbe stata alcuna ragione tale da consentire un frazionamento del trattamento economico in due segmenti fra loro separati: il primo relativo al periodo dal 29 novembre 2006 al 1° gennaio 2010 con il riconoscimento del pregresso CCNL (più sfavorevole ai lavoratori), mentre il secondo per il periodo successivo con applicazione del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri (più favorevole ai lavoratori). 

Invero, sempre secondo i ricorrenti, tale dicotomia di trattamento avrebbe appalesato una incostituzionalità e generato una falsa interpretazione del dettato normativo confliggente, in particolare, con la norma di cui all'art. 3 Cost. in tema di uguaglianza sostanziale.

Per tale ragione, dunque, i ricorrenti ritenevano doveroso che fosse applicata l’equiparazione al CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri con effetto retroattivo, onde sanare la disparità generatasi in occasione del trasferimento.

Tuttavia le Sezioni Unite hanno, infine, rilevato che non sia possibile invocare la retroattività di tale disposizione, giacché la norma non solo non ha rilievo per il passato ma nemmeno ha prospettato alcuna interpretazione autentica[3]. Ergo, non è stato rilevabile alcun problema di costituzionalità in capo alle norme citate e, quindi, il motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. È giusto il caso di ricordare che, in altre occasioni, la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire, in particolare con la sentenza n. 69 del 2 aprile 2014[4], che l’efficacia retroattiva delle norme troverebbe un limite particolarmente significativo nel

Principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, il mancato rispetto del quale si risolve in irragionevolezza e comporta, di conseguenza, l’illegittimità della norma retroattiva (sentenze n. 170 e n. 103 del 2013, n. 271 e 71 del 2011, n. 236 e 206 del 2009, per tutte

L’impugnazione dei ricorrenti, poi, ha permesso di esaminare anche altri aspetti relativi alla problematica dell'individuazione del corretto CCNL applicabile. Degna di nota è apparsa la contestazione relativa alla presunta disapplicazione del testo normativo di cui all’art. 31 del d.lgs. 165 del 2001. Quest’ultimo, nel richiamare l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., aveva reso vincolante il testo del 3° co., il quale aveva stabilito che il cessionario (nel caso di specie la Presidenza del Consiglio dei Ministri), qualora vi fosse stato un trasferimento, avrebbe dovuto applicare la propria disciplina di CCNL salvo il caso in cui non vi fosse stato un CCNL di pari livello direttamente applicabile.

Di tale avviso anche la giurisprudenza di legittimità: sul punto si richiama la Cass. sent. 5882 dell’11 marzo 2010[5], secondo la quale

L'incorporazione di una società in un'altra è assimilabile al trasferimento d'azienda di cui all'art. 2112 c.c., con la conseguente applicazione del principio statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell'impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l' azienda cedente solamente nel caso in cui l'impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell'impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell'impresa cessionaria anche se più sfavorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto applicabile ai dipendenti della società incorporata il premio di rendimento previsto dal contratto integrativo aziendale della società bancaria incorporante, benché inferiore rispetto a quello previsto dal contratto integrativo aziendale della banca incorporata).

In altre circostanze la Suprema Corte aveva anche avuto modo di precisare che il CCNL del cessionario era da ritenersi immediatamente applicabile anche nell’ipotesi in cui, contrariamente al caso in commento, fosse stato sfavorevole al lavoratore. In tale senso, si veda Cass. sent. 2609 del 4 febbraio 2008, a mente della quale

In tema di trasferimento di azienda, ai lavoratori che passano alle dipendenze dell'impresa cessionaria si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l'azienda cedente solamente nel caso in cui l'impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo; in caso contrario, la contrattazione collettiva dell'impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell'impresa cessionaria anche se contenga condizioni peggiorative per i lavoratori rispetto alla prima.

Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover rigettare l'intero assunto prospettato dai ricorrenti giacché, essendovi una riorganizzazione delle funzioni ministeriali, non vi sarebbe stato un tradizionale trasferimento. Infatti, l'attribuzione delle attività ministeriali assorbite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sarebbero state comunque suscettibili di nuove modifiche comprese nell'alveo di una più estesa riforma sistemica che avrebbe potuto attribuire tali funzioni ad altri ministeri: da ciò, secondo la Cassazione, ne sarebbe conseguita l'impossibilità di applicare un CCNL diverso da quello di origine prima che vi fosse un effettivo assestamento delle funzioni.

3. L'interpretazione circa l'individuazione degli elementi essenziali ai fini decisori

Con un secondo motivo di appello i ricorrenti avevano eccepito il mancato esame di un elemento essenziale ai fini decisori che, qualora invece valorizzato, avrebbe portato la Corte d’Appello a ritenere sussistenti ed idonee le coperture finanziarie (ferma restando l’invarianza del bilancio di spesa) anche in caso di equiparazione contrattuale dei dipendenti trasferiti.

In particolare, secondo i dipendenti pubblici ricorrenti, doveva essere ritenuta obbligatoria l’applicabilità del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche tenendo conto che erano stati prodotti i pareri della Ragioneria Generale dello Stato e la relazione tecnica del Capo dipartimento per lo sviluppo e la competitività: documentazione, a dire dei ricorrenti, erroneamente non presa in considerazione dal Giudice di appello.

Sul tema, in maniera opportuna, le Sezioni Unite hanno invece dichiarato l’inammissibilità della censura. Infatti, la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, in maniera indubbia, aveva già chiarito che l’omesso esame di fatti decisivi deve essere considerato in maniera più circoscritta. L’argomento, infatti, già era stato oggetto di una specifica pronuncia della Suprema Corte[6] con la quale era stato chiarito che

Non può all’evidenza integrare né una violazione o falsa applicazione delle richiamate disposizioni (censura, questa, che deve avere necessariamente ad oggetto un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implicare di conseguenza un problema interpretativo della stessa: per tutte Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), né tantomeno il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 giacché i provvedimenti di ammissione al passivo dell’odierno istante in altre procedure concorsuali non integrano un fatto storico munito di decisività

Ed invero, non si sarebbe neppure potuto ipotizzare che, nel caso di specie, i pareri della Ragioneria dello Stato potessero avere alcun effetto decisivo sulla vertenza, dovendo gli stessi essere ritenuti ininfluenti ai fini del decidere. La vicenda, così ricomposta, non permetteva in alcun modo di sposare la tesi dei lavoratori ricorrenti e, pertanto, il motivo di gravame non poteva che essere rigettato dalle Sezioni Unite di Cassazione. Già in precedenza, infatti, la Suprema Corte aveva avuto modo di precisare che vi può essere la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. solo allorquando vi siano precise omissioni. In tal senso, si veda quanto stabilito dalla Cassazione, ad esempio, anche nella sentenza n. 22786 del 25 settembre 2018:

L'omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Costituisce, allora, un “fatto”, agli effetti della citata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); 2) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); 3) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); 4) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Il “fatto” controverso il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, 1) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); 2) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014)

4. L'applicabilità di diversi CCNL al vaglio dei principi costituzionali e della giurisprudenza

Un ulteriore gravame, poi, era stato sollevato rispetto ad un possibile vizio di incostituzionalità derivante da una disparità nell'applicazione di diversi CCNL: i ricorrenti, nella specie, avevano eccepito la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 co. 10[7], 25[8] e 25-bis[9] del d.l. 181/2006. Gli stessi, infatti, avevano eccepito una deprecabile contrapposizione con i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2, Cost.), di proporzionalità retributiva (art. 36 Cost.) e di invarianza del bilancio dello Stato (art. 97 Cost.). La considerazione muoveva dal fatto che, ferma restando l’invarianza del bilancio, doveva essere possibile garantire il rispetto dell’equiparazione contrattuale dei dipendenti trasferiti anche mediante una corretta gestione della spesa, ovvero attingendo a risorse già in essere presso l’amministrazione di destinazione.

Ulteriormente, i ricorrenti avevano eccepito che la sentenza impugnata aveva reso una interpretazione dei co. 25 e 25-bis del d.l. 181/2006, fuori dal dettato di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost. anche per altre ragioni. Brevemente, infatti, era stata contestata la disparità di trattamento economico e l'applicazione di un CCNL diverso (ovvero quello originario) rispetto a quanto sarebbe spettato ai normali dipendenti del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul punto i ricorrenti avevano rilevato che non vi era stato un periodo di transizione utile a giustificare l'inapplicabilità del CCNL del Comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In altre parole, e, in effetti, non a torto, i ricorrenti avevano ricordato che all’atto del trasferimento, per soppressione della Direzione Generale del Turismo, verso l’istituendo Dipartimento per lo sviluppo competitivo del turismo, non vi era stato alcun periodo di transizione. Ne conseguiva, pertanto, che non vi era stata alcuna ragione ostativa per non applicare ex tunc la disciplina contrattualistica tipica del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infatti, nel periodo intercorrente fra il 29 novembre 2006 ed il 1° gennaio 2010, benché i dipendenti fossero de facto già operativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ingiustamente erano stati esclusi dal campo di applicazione del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri che, invece, sarebbe stata loro riconosciuta nel periodo lavorativo successivo (ovvero dal 1° gennaio 2010).

Ergo, per i ricorrenti si sarebbe configurata una grave incongruità di trattamento giacché, nel lasso temporale richiamato, non vi era stata alcuna modifica operativa delle mansioni e delle funzioni esercitate dagli stessi, i quali, per l’appunto, avevano continuato a lavorare per la Presidenza del Consiglio dei Ministri senza alcuna soluzione di continuità.

Tuttavia, anche tale doglianza è stata infine respinta dalla Suprema Corte in quanto la questione sarebbe stata mal posta giacché, nelle more del periodo preso ad esame, erano sopraggiunte alcune disposizioni normative che, nel loro complesso, potevano essere racchiuse nell’alveo di una più sostanziosa opera di riorganizzazione della struttura e delle funzioni ministeriali. Dunque non vi era una cristallizzata situazione di difformità dal tracciato costituzionale di tipo discriminatorio ma, meramente, una momentanea opera di ristrutturazione degli uffici pubblici in divenire, tra l'altro confermata dal succedersi di norme pienamente legittime volte ad eseguire un raccordo nell'operatività degli enti statali.

5.  Precisazioni in merito alla verifica sull'applicazione della riserva di legge

Sempre sotto il profilo costituzionale deve rilevarsi pienamente rispettato il principio della riserva di legge. Infatti, va ricordato che era stato il 3° co. dell’art. 95 della Cost. a riservare alla legge, la definizione dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonché le sue attribuzioni, e l'organizzazione dei ministeri. Tutto ciò emerge anche nella pronuncia in commento nella quale è stato specificato che

La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri

Ma vi era stato anche dell’altro: difatti, dall’esame dei commi 2 e 3 dell’art. 97 Cost., si poteva fugare ogni ulteriore dubbio, in quanto

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Dunque, non potendosi minamene dubitare che, nel caso in esame, si fosse verificata una violazione della riserva di legge, le Sezioni Unite hanno rigettato tout court simili contestazioni.

Va detto che la riserva di legge citata, è stata attuata con la l. 23 agosto 1988 n. 400 e ss.mm.ii. rubricata “disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Nel dettaglio, la norma di cui all'art. 34 della legge in parola ha stabilito che

Le amministrazioni e gli enti di appartenenza continuano a corrispondere gli emolumenti al proprio personale posto a disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri provvede a rimborsare i relativi oneri nei riguardi delle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo e delle amministrazioni pubbliche non statali e assume a proprio carico le spese relative alla dotazione degli immobili da destinare a sede dei commissari del Governo nelle regioni.

Sicché, seppur non espressamente richiamata dalle Sezioni Unite, tale disposizione avrebbe ulteriormente consentito di epurare il campo dal dubbio sulla questione dell’invarianza della spessa. Tant’è che la norma stessa stabilisce, letteralmente, che gli emolumenti vengono corrisposti non direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma rimborsati da quest'ultima in favore dell’amministrazione di origine dei dipendenti. Dinnanzi al costrutto di siffatta previsione sarebbe stato, quindi, distorsivo ritenere che si potesse riconoscere un CCNL diverso se non espressamente stabilito per legge, specie in una circostanza transitoria di riordino della disciplina e riorganizzazione delle funzioni dei dicasteri interessati.

Tant’è che il testo dell’art. 19-bis del d.l. 181 del 2006, ha finanche previsto il compito in capo al Ministro dello sviluppo economico di individuare in uno con il Presidente del Consiglio le risorse finanziarie da destinare al turismo. Elemento che doveva intendersi ad ulteriore riprova dell’attività di riordino generale delle funzioni e delle attribuzioni dei dipartimenti e direzioni ministeriali. Ed invero nel testo storico dell'art. 19-bis era stato previsto che le funzioni relative al turismo sarebbero state assorbite dal Ministero de Beni culturali.

Successivamente, però, va rilevato l'avvento del dispositivo di cui all’art. 2 co. 98 del d.l. n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006 n. 286 che, nel mutare l’art. 19-bis del d.l. 181/2006, ha attribuito le funzioni della soppressa Direzione Generale per il Turismo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, fra l’altro istituendo un apposito ufficio (in attesa della definitiva attribuzione una volta completato il riordino dei dicasteri) denominato Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo.

Sull’argomento le Sezioni Unite hanno avuto modo di rilevare che l’art. 3 del DPCM 22 ottobre 2007 ha stabilito che

a decorrere dal 29 novembre 2006 data di entrata in vigore della legge 24 novembre 2006, n. 286, il personale anche di qualifica dirigenziale, già appartenente ai ruoli del Ministero delle attività produttive ed in servizio presso la soppressa Direzione generale del turismo, è trasferito […] nei ruoli del personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, conservando lo stato giuridico ed economico in godimento, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 25-bis del decreto 181.

Quindi, appare di solare evidenza il pieno rispetto dei principi costituzionali finanche nell'applicazione esemplare della riserva di legge. Dunque, alla luce di quanto detto, non poteva sussistere nel caso di specie alcun problema, neppure di tipo interpretativo, poiché l’interpretazione autentica della norma, individuata anche dalla Corte Territoriale nell’impugnata sentenza, era stata corretta. Orbene, la norma testé citata, infatti, aveva già avuto modo di dirimere in maniera tombale ogni questione sull’impugnata sentenza anche in tema dell'invarianza di spesa. Difatti, nel riferirsi espressamente alla soppressa Direzione Generale del Turismo, era stato chiarito che sarebbe stato conservato lo stato giuridico ed economico di provenienza. Specifica legislativa che aveva superato le contestazioni sull’invocazione dell’applicabilità del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri. In altre parole, il DPCM in parola aveva colmato quel vuoto legislativo che era stato rilevato come incerto nel corso della transizione dei dipendenti.

6. Brevi riflessioni sulla decisione delle Sezioni Unite anche alla luce della normativa europea

Sembra utile, al fine di meglio comprendere la vicenda anche in chiave sovrannazionale, ricordare anche che, in altra occasione, la Cassazione (ordinanza 29 novembre 2021 n. 37291), nel tentare di dirimere una situazione di cessione di ramo di azienda ed applicabilità del CCNL, aveva avuto modo di vagliare persino la normativa europea, rinviando ad una interessante pronuncia. In particolare, nella sentenza del 06 settembre 2011, C-108/10 (Ivana Scattolon c. Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca) la Corte europea [10] aveva avuto modo di indicare che

la norma prevista dall'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 (ndr., coincidente con l'art. 3 n. 3 direttiva 2001/23) non può privare di contenuti il primo comma del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di detto contratto collettivo oppure l'entrata in vigore o l'applicazione di un altro contratto collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C-499/04, Werhof, Racc. pag. 1-2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, sentenza 27 novembre 2008, causa C-396/07, Juuri, Racc. pag. 1-8883, punto 34).74. Di conseguenza, la norma prevista dall'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino alla data (...) [di] applicazione di un altro contratto collettivo», dev'essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione.

La Cassazione, nella sentenza predetta, aveva avuto modo di precisare che l'obiettivo della Direttiva europea è quello di garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell'imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente.

Sicché, alla luce della disciplina anche europea ora da ultimo richiamata, al cessionario deve essere riconosciuto il diritto (non già il dovere) di applicare il proprio CCNL sin dal momento del trasferimento. Ergo, la sentenza in commento emessa dalle Sezioni Unite, appare perfettamente allineata anche con tracciato della Corte di Giustizia Europea e, dunque, non si può ravvedere nella stessa alcuna criticità.

7. Considerazioni finali

Così, esaminate tutte le varie contestazioni poste alla base del ricorso, le Sezioni Unite sono approdate ad escludere l’estensione del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri ritenendo doveroso mantenere l'applicabilità del pregresso CCNL in capo ai ricorrenti poiché

Nella vicenda in esame la convivenza – limitata nel tempo di due diversi trattamenti contrattuali nell’ambito della Presidenza del consiglio dei ministri si sottrae ai dubbi di legittimità costituzionale ventilati dai ricorrenti, perché consegue ad un articolato riordino delle funzioni tra Organi dello Stato nella specie Ministeri e Presidenza del consiglio dei ministri, che ha reso necessario il graduale adattamento delle strutture ai fini del buon andamento dell’amministrazione.

Come si è avuto modo sin qui di rilevare, l’esame svolto dalle Sezioni Unite è stato particolarmente accurato e minuzioso, realizzando un'analisi completa di ogni elemento. Tant’è vero che la disamina svolta sugli artt. 19-bis e 19-quater del d.l. 181/2006, nonché del DPCM 22 ottobre 2007 ha permesso di ricostruire l’intera dinamica del macchinoso riordino amministrativo degli uffici. 

In primo luogo le Sezioni Unite sono state abili nel dimostrare che, almeno nel progetto iniziale di stesura dell’art. 19-quater, era stato previsto che le dotazioni finanziarie e il personale della Direzione Generale del Turismo passassero dal Ministero delle attività produttive al Ministero dei Beni culturali.

Successivamente, per mezzo dell’art. 2 co. 98 del d.l. n. 262 del 2006 convertito con modificazioni dalla l. 286 del 24 novembre 2006, era stato modificato l’impianto dell’art. 19-bis del d.l. 181/2006 che, a sua volta, a seguito della soppressione della Direzione Generale del Turismo, aveva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo (peraltro erano state trasferite in capo a quest’ultima le risorse finanziarie necessarie per la copertura della spesa).

Inoltre, è stato osservato che era stato emanato il DPCM 22 ottobre 2007 (derubricato “Ricognizione delle competenze e delle relative risorse trasferite dal Ministero dello sviluppo economico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’esercizio delle competenze in materia di turismo, in attuazione dell’articolo 1, commi 19-bis e 19-quater, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito dalla legge 17 luglio 2006, n. 233”), il quale, aveva avuto modo di stabilire il trasferimento di funzioni esercitate dalla Direzione Generale del Turismo in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’attesa di una più compiuta riorganizzazione.

In tal maniera è stato interessante ricordare che il co. 4 dell’art. 4 del DPCM 22 ottobre 2007 aveva previsto che

Al fine di assicurare l'invarianza della spesa e il mantenimento dei livelli retributivi in godimento, nel rispetto dell'art. 1, comma 25-bis del decreto-legge n. 181/2006 la determinazione della quota dei fondi del personale dirigente e non dirigente da trasferire è determinata secondo i criteri utilizzati alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Similmente anche l’art. 25-bis della l. 181/2006 che, a sua volta, aveva previsto che

Dal riordino delle competenze dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal loro accorpamento non deriva alcuna revisione dei trattamenti economici complessivi in atto corrisposti   ai    dipendenti    trasferiti    ovvero    a    quelli dell'amministrazione di destinazione che si rifletta in maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

Conseguentemente, stante l’impostazione di entrambe le norme da ultimo citate, che si erano occupate di assicurare un mantenimento dei livelli retributivi dei dipendenti trasferiti, non era stato possibile giungere alla conclusione di escludere applicabilità del CCNL del Comparto Presidenza del Consiglio dei Ministri in capo ai dipendenti trasferiti nel periodo 29 novembre 2006 -1° gennaio 2010.

Infatti, se ciò fosse stato applicato ab origine, avrebbe, da un lato disatteso il vincolo dell’invarianza dei costi di bilancio e, dall’altra avrebbe prodotto una variazione dello stato giuridico ed economico dei dipendenti trasferiti. Situazione in palese conflitto con la ratio della norma, specie tenendo a mente quanto osservato dal Procuratore Generale presso la Cassazione, secondo il quale

Che nel periodo di tempo in questione non consta che l’attività trasferita, mediante istituzione di un nuovo Dipartimento, si sia svolta con modalità significativamente diverse rispetto al passato; consta, invece, che i lavoratori trasferiti erano addetti ad una specifica funzione per la quale veniva appositamente istituito un nuovo Dipartimento presso la PCM, circostanza che esclude la possibilità di comparazione con i compiti svolti dai dipendenti della PCM addetti ad altre strutture preesistenti.

In altre parole, l’equiparazione di CCNL non poteva essere invocata neppure sull’assunto che le funzioni svolte dai trasferiti fossero le medesime dei dipendenti originariamente impiegati presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto la creazione di un nuovo dipartimento ad hoc aveva permesso di mantenere una separazione di funzioni.

A corollario di quanto detto, le Sezioni Unite si sono altresì preoccupate di osservare che non poteva neppure essere considerata arbitraria o irragionevole la scelta operata dal legislatore, giacché inserita in una complessa operazione di riordino delle funzioni, specie in quanto operata su dipendenti originariamente provenienti da diverse strutture e con diversi percorsi professionali. In definitiva era stata esclusa la comparazione dei ricorrenti con i compiti svolti dai dipendenti già inizialmente in forza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tant’è più che era stata istituita una nuova direzione, prima inesistenti, in cui sono confluiti gli stessi ricorrenti.

Infine è opportuno ricordare che i ricorrenti avevano avanzato anche richiesta di riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel ruolo d provenienza: rispetto a tale pretesa le Sezioni Unite, rigettando persino tale doglianza, hanno rilevato che

l’anzianità di servizio non può essere considerato uno status ma, al contrario, rappresenta un fatto che funge da mero presupposto temporale di specifici diritti.

Quindi, in definitiva, tutte le censure sollevate dai ricorrenti sono state ritenute infondate. Ben apprezzabile è la sentenza in commento poiché ha chiarificato le circoscritte ipotesi in cui, il trasferimento di dipendenti della P.A., possa avere luogo anche in deroga temporanea all'art. 2112 c.c. in tema di applicabilità dei CCNL del comparto di destinazione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Più precisamente, i lavoratori erano occupati presso la Direzione Generale del Turismo del Ministero delle attività produttive.

[2] Si vedano gli artt. 25 e 25-bis d.l. 181/2006 convertito con modifiche dalla l. n. 233 del 2006.

[3]  Cort. Cost., sent n. 39/2021, depositata il 16 marzo 2021, pubblicata 17 marzo 2021; Cass. sent. n. 73/2017.

[4] Corte Cost., sent. n. 69, depositata il 2 aprile 2014, pubblicata il 9 aprile 2014.

[5] Cassazione civile sez. lav., 11/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 11/03/2010), n. 5882.

[6] Cassazione civile sez. VI, 06/09/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 06/09/2019), n. 22397.

[7] Il quale prevede che “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentiti i Ministri interessati, si procede all'immediata   ricognizione in via amministrativa delle strutture trasferite ai sensi del presente decreto, nonché alla individuazione, in via provvisoria, del contingente minimo degli uffici strumentali e di diretta collaborazione, garantendo in ogni caso l'invarianza della spesa. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta dei Ministri competenti, sono apportate le variazioni di   bilancio occorrenti per l'adeguamento del bilancio di previsione dello Stato alla nuova struttura del Governo. Le funzioni di controllo e monitoraggio attribuite alla Ragioneria generale dello Stato, nella fase di prima applicazione, continuano ad essere svolte dagli uffici competenti in base alla normativa previgente”.

[8] Il quale prevede che "Le modalità di attuazione del presente decreto devono essere tali da garantire l'invarianza della spesa con specifico riferimento al trasferimento di risorse umane  in  servizio,  strumentali e finanziarie già previste dalla legislazione vigente e stanziate in bilancio, fatta salva la rideterminazione  degli  organici  quale risultante dall'attuazione dell'articolo 1, comma 93, della legge  30 dicembre 2004, n. 311"

[9] Il quale stabilisce che “Dal  riordino  delle  competenze  dei  Ministeri  e  della Presidenza del Consiglio dei Ministri e  dal  loro  accorpamento  non deriva alcuna revisione dei trattamenti economici complessivi in atto corrisposti   ai    dipendenti    trasferiti    ovvero    a    quelli dell'amministrazione di destinazione  che  si  rifletta  in  maggiori oneri per il bilancio dello Stato".

[10] Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 settembre 2011, Ivana Scattolon contro Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in merito alla Dir. 77/187/CEE.