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Pubbl. Sab, 19 Dic 2015

Le possibili interpretazioni della devianza minorile

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Michele Villamaina


Molteplici ed eterogenee sono state le elaborazioni teoriche attraverso le quali si è tentato di spiegare il fenomeno della devianza minorile. Questa eterogeneità, tuttavia, non esclude la possibilità di porre tali teorie in un rapporto di integrazione reciproca, al fine di avere una completa ed esaustiva interpretazione del fenomeno in esame.


Assumendo come criterio ordinatorio quello cronologico, si può osservare che i primi studi in questa materia hanno incentrato la loro attenzione sugli aspetti fisicibio-antropologici e genetici della devianza. Si pensi, ad esempio, alla scuola di “tipo corporeo” e alle sue successive evoluzioni (1). Con il trascorrere del tempo, questi studi hanno manifestato la loro inidoneità a fornire una spiegazione esaustiva del fenomeno. Trattasi, infatti, di ricerche che partono da supposizioni che si caratterizzano per una eccessiva generalizzazione: prendono in considerazione un campione od una popolazione che non sono rappresentativi della popolazione criminale, né del comportamento criminale.

A questo errore se ne aggiunge un altro.

Pecca di gran parte di queste ricerche è quella di aver utilizzato un’impostazione metodologica che, in quanto fondata su un paradigma deterministico, non risulta essere in grado di tener conto di tutte le variabili che possono intervenire sul comportamento del giovane, direzionandolo in una prospettiva deviante.

Invero, molteplici ricerche hanno dimostrato che il numero di queste variabili è indefinito, e cambia in relazione al tipo di fenomeno e in relazione a molti altri aspetti legati alle varie differenziazioni del problema(2).

Nello studio della devianza ha assunto una particolare importanza l’approccio sociologico al fenomeno. Nell’ambito di questo approccio va ricordato, soprattutto, il cosiddetto “interazionismo simbolico”. Trattasi di un paradigma criminologico, portatore di un netto cambiamento di prospettiva.

Con esso si assiste al passaggio da una visione eziologica, deterministica, ad una visione invece processuale, interattiva che permette di prendere in considerazione, nello studio del fenomeno della devianza, la complessa interazione che si instaura tra il soggetto deviante, le norme e la reazione sociale.

La risorsa più preziosa di tale concezione è la disponibilità a considerare, in un senso sistemico di reciproche influenze, le persone, i loro contesti di riferimento e i processi in cui si esplicano il cambiamento o il mantenimento degli equilibri personali, familiari, di comunità (3).

La metà degli anni ottanta vede il delinearsi di un nuovo paradigma criminologico, frutto della cosiddetta "Scuola di Roma", e che attinge al contributo di vari filoni scientifici (4). Si tratta della teoria del "costruzionismo complesso".

Il soggetto, nel nuovo approccio costruzionistico, elabora ed interpreta socialmente le regole sociali ed orienta il proprio comportamento, con una sorta di monitoraggio che definisce lo svolgimento dell'azione. Nel modello in esame le dinamiche intra-psichiche dell'individuo e le sue rappresentazioni cognitive, entrano in interazione con i significati e le regole sociali e questa complessità determina il suo agire. Ad ogni azione, poi, sarebbe correlata una fase di anticipazione mentale dei suoi effetti da parte dell'individuo (5). 

Secondo i fautori di questa teoria, da un punto vista funzionale, gli effetti dell'azione possono essere di tipo strumentale e di tipo comunicativo. La dimensione strumentale si riferisce all'azione vista come mezzo per conseguire qualcosa. In relazione a determinati tipi di reati la funzione strumentale, spesso, risulta essere non sufficiente a spiegare l'azione stessa. A questa funzione, pertanto, viene affiancata la funzione espressiva, che assume valenza comunicativa auto- diretta ed etero- diretta. La funzione espressiva auto- diretta comporta una serie di messaggi, che l'autore invia a se stesso e attraverso cui rielabora la propria identità. La funzione espressiva etero- diretta comporta una serie di messaggi che, invece, l'autore invia all'altro generalizzato. 

L'ipotesi posta alla base di queste elaborazioni teoriche è, dunque, quella che configura la devianza minorile come fenomeno dotato di uno strutturale potere di amplificare la comunicazione e di evidenziare messaggi (6). 

L'analisi di azioni violente a carico di minori, infatti, ha consentito di evidenziare precise dimensioni comunicative.

Una di queste si esplica in termini di auto-rappresentazione: l'azione deviante comunica, all'autore stesso e agli altri, segni e significati relativi all'identità soggettiva.

Essa sarebbe rappresentativa degli schemi di relazione interpersonale sia con la vittima, sia con i propri gruppi di appartenenza, come la famiglia, sia con le istituzioni in generale. Altre volte ancora, le azioni violente sembrerebbero esprimere, in termini più marcati, esigenze di sviluppo e di cambiamento (7).

Nella prospettiva delineata, la scelta di una teoria della devianza come comunicazione, consentirebbe l’interpretazione dei comportamenti devianti dei giovani come complessa espressione di soggettività in evoluzione, ossia come un agire che comunica. Pertanto, l'azione deviante del minore non va letta, semplicisticamente, come una scelta di vita di tipo delinquenziale ma, piuttosto, deve essere considerata come una richiesta di aiuto rivolta al mondo adulto.

Emerge chiaramente la necessità di un'attenta analisi della trasgressione del giovane deviante, in vista dell'individuazione di una soluzione ritenuta idonea a risolvere le problematiche legate ad una personalità in fase di strutturazione. Una soluzione che implichi la responsabilizzazione del minore deviante attraverso l'individuazione di un percorso di sostegno, connotato dalla predisposizione di modelli di riferimento atti a consentire al giovane deviante di accedere a figure di attaccamento, che assolvano ad un ruolo funzionale rispetto al passaggio evolutivo che lo stesso attraversa, in quanto persona in fieri (8).

 

Note e riferimenti bibliografici

(1) Gaetano De Leo, Appunti di psicosociologia della criminalità e della devianza. Parte Prima, Roma, Bulzoni Editore, p.34

(2) Gaetano De Leo, La devianza minorile. Metodi tradizionali e nuovi modelli di trattamento. Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1992, p.98;

(3) Gaetano De Leo, Patrizia Patrizi, Psicologia giuridica , Bologna, Il Mulino, 2011, p. 209;

(4) In particolare, ci si riferisce al filone teorico della Reazione Sociale; all'Interazionismo simbolico; alla Teoria dell'azione; e alla Teoria sistemica, secondo la quale il comportamento negativo deve essere analizzato in relazione alle dinamiche del sistema cui appartiene.

(5) Aspetto non sviluppato dalla Von Cranach nella sua teoria dell'azione ma elaborato dalla Scuola di Roma;

(6) G. De Leo, P. Patrizi, Trattare con Adolescenti devianti. Progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile, Roma, Carocci editore, 2008, p. 37;

(7) Gaetano De Leo, Appunti di pscicosociologia della criminalità e della devianza. Parte Seconda, Roma, Bulzoni Editore, 1987, p. 65;

(8) I. Mastropasqua, M. Totaro, 2° Rapporto sulla devianza minorile in Italia, Gangemi, p. 188