Pubbl. Ven, 13 Nov 2015
Responsabilità oggettiva e compatibilità col principio di colpevolezza
Modifica paginaE´ possibile riconoscere cittadinanza, nel nostro ordinamento, ad una forma di responsabilità penale che prescinde dall´accertamento del dolo o della colpa?
La responsabilità oggettiva costituisce una forma “alternativa” di imputazione della responsabilità penale, in quanto prescinde dalla verifica della sussistenza del coefficiente psicologico in capo all’autore del reato e addebita a questi la responsabilità penale in forza del mero nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso. Tradizionalmente, il fondamento giuridico di tale forma di responsabilità si rinviene nell'art. 42 c.p comma 2, che espressamente prevede: la legge determina i casi in cui l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua azione od omissione.
Ai tempi del redazione del codice penale, la previsione di una responsabilità penalistica posta a carico del soggetto in forza del semplice nesso causale tra condotta ed evento, non destava alcun turbamento in capo agli studiosi del diritto. Diversamente, con l’entrata in vigore della Carta Costituzionale e con l’enunciazione del principio di colpevolezza e di responsabilità penale personale all’art. 27, si sono posti problemi di compatibilità e di coerenza interna all’ordinamento. La norma costituzionale impone, infatti, che il soggetto sia chiamato a rispondere solo dei fatti a lui psicologicamente riferibili a titolo di colpa o di dolo.
Detta disposizione, ha favorito l'insorgenza di un quesito essenziale: può ammettersi l’esistenza di ipotesi di responsabilità oggettiva in un sistema che lega la responsabilità penale ad un coefficiente di colpevolezza? E come potrebbe, la pena, assolvere appieno alla sua funzione rieducativa qualora non fosse possibile muovere un reale rimprovero al soggetto che la sconta?
Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la celebre sentenza n. 364 del 1988 con cui ha confermato l’esistenza di un sistema penalistico fondato su uno stretto legame psicologico tra l’agente e gli elementi più significativi della fattispecie penale. La Corte ha desunto l’importanza del principio di colpevolezza non tanto dal primo comma dell’art. 27 - il quale contiene un tassativo divieto della responsabilità per fatto altrui - quanto, piuttosto, dal terzo comma laddove enuncia i requisiti soggettivi minimi, che il reato deve possedere, affinché la pena possa realmente assolvere alla sua funzione rieducativa. Conseguentemente, si è resa necessaria una riconsiderazione delle principali disposizioni ritenute, fino a quel momento, emblema di responsabilità oggettiva. Gli interventi hanno comportato, in alcuni casi, una “semplice” reinterpretazione della norma penale in conformità all’art. 27 mentre, in altri casi, hanno richiesto un vero e proprio intervento di modifica della disposizione considerata.
Tra le ipotesi di modifica, è rimarchevole quella avvenuta in forza della legge n. 19 del 1990: questa è intervenuta sull'art. 59 cp e dunque sui criteri di applicazione delle circostanze aggravanti. Il pregio dell’intervento legislativo è stato quello di prevedere l'applicabilità delle circostanze aggravanti solo in caso di loro “conoscenza effettiva”, o di loro ignoranza colposa, ovvero in caso di erronea supposizione della loro assenza determinata da colpa.
In altri casi, si è scelto di non procedere a modifiche sostanziali ma di avvalersi di nuove interpretazioni delle disposizioni normative - come avvenuto, ad esempio, in relazione gli artt. 116, 584 e 586 cp. Le norme in questione sono state salvaguardate grazie ad una nuova interpretazione della nozione di “responsabilità oggettiva” promossa dalla stessa Corte Costituzionale. Si è precisato, infatti, come le ipotesi di responsabilità oggettiva possano essere mantenute anche qualora contemplino una responsabilità “impura”, ossia una responsabilità caratterizzata dalla presenza - ancorché marginale - di elementi del fatto coperti da dolo o colpa. Tali ipotesi, a differenza di quelle di responsabilità oggettiva “pura”, possono sostanzialmente ritenersi costituzionalmente ammissibili, a condizione che gli elementi più significativi della fattispecie siano coperti almeno dalla colpa.
L’art. 116, in primo luogo, prevede che “qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti anche questi ne risponde se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave". Il profilo di oggettività della norma in commento, risiederebbe nella mera rilevanza - ai fini della punibilità - del nesso di causalità tra la condotta ed il reato diverso non voluto. La norma, tuttavia, merita di essere reinterpretata nel senso di imporre la responsabilità del concorrente per il diverso fatto di reato commesso dal correo solo qualora tale fatto sia uno sviluppo logicamente prevedibile del reato oggetto del programma criminoso. Sulla natura di tale prevedibilità, la dottrina ha però ampiamente discusso:
- Taluni ritengono si tratti di una prevedibilità “in astratto”, in quanto è necessario che - tra le due fattispecie penali - sussista un’astratta compatibilità, cosicché l’una possa dirsi la logica conseguenza dell’altra.
- Altri hanno invece parlato di una prevedibilità “in concreto” da valutarsi: sulla base delle qualità personali del correo materialmente responsabile, su quelle della vittima e sulle caratteristiche del luogo e del tempo.
Altra fattispecie discussa è quella del delitto preterintenzionale (art. 584 cp) che si consuma quando un soggetto, con atti diretti unicamente a percuotere o a provocare lesioni personali nei confronti di un altro soggetto, ne cagioni senza volerlo la morte. Il nodo problematico della preterintenzione consiste nello stabilire quale sia l’effettiva natura del titolo di imputazione; il reato, infatti, si caratterizza per la mancanza di volontà del risultato offensivo prodotto (e più grave) e per la volontà dell'evento minore (della medesima specie di quello effettivamente verificatosi). L'evento più grave, tra l’altro, non deve essere neppure preveduto come possibile, poiché altrimenti si verificherebbe un'imputazione a titolo di dolo eventuale e non già a titolo di preterintenzione. In merito all’art. 584, la maggioranza della dottrina ritiene che non si possa parlare di responsabilità oggettiva ma di un’imputazione del reato “intermedia” tra dolo e colpa: si tratterebbe, in altre parole, di una responsabilità soggettiva sui generis, caratterizzata dal dolo con riferimento al fatto di reato minore e dalla colpa con riferimento al fatto di reato più grave.
Infine, merita di essere ricordata la sentenza della Corte di Cassazione n. 22676 del 2009, con cui i giudici di legittimità sono intervenuti in merito all’art. 586 c.p. Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate. Le SS.UU. hanno “salvato” la norma in esame, ritenendo che il rispetto del principio di colpevolezza imponga di collegare la responsabilità penale, alla sussistenza del requisito della colpa in concreto; infatti, in ossequio alla Costituzione ed alle previsioni della Consulta, l’interpretazione conforme al principio di colpevolezza, è sicuramente quella che richiede anche nella fattispecie dell’art. 586 una responsabilità per colpa in concreto.