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Pubbl. Gio, 8 Set 2022

Atti arbitrari del pubblico ufficiale: l´applicabilità della causa di non punibilità

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte di cassazione, Sez. II, 22 agosto 2022, n. 31365, ha affermato da un lato che l´arbitrarietà dell´atto non implica necessariamente un quid pluris rispetto alla ”illegittimità”, e, dall´altro, è sufficiente a qualificare come eccedenti dalle proprie attribuzioni comportamenti posti in essere in esecuzione di pubbliche funzioni di per sé ”legittimi”, ma connotati da difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, in quanto violativi degli elementari doveri di correttezza e civiltà che debbono caratterizzare l´agire dei pubblici ufficiali.


Sommario: 1. La causa di non punibilità all’art. 393 bis c.p.; 2. Quando si può definire l’atto del pubblico ufficiale arbitrario?; 3. La soluzione della Corte di cassazione, Sez. II, 22 agosto 2022, n. 31365

1. La causa di non punibilità all’art. 393 bis c.p.

La causa di non punibilità prevista all’art. 393 bis c.p. ha la funzione di scriminare le condotte lesive del privato nell’ipotesi in cui il pubblico funzionario ecceda arbitrariamente le proprie attribuzioni.

Tuttavia, è proprio il concetto di atto arbitrario che è di difficile interpretazione.

2. Quando si può definire l’atto del pubblico ufficiale arbitrario?

Analizziamo un caso recente affrontato dalla Corte di cassazione con la sentenza del 22 agosto 2022, n. 31365.

Nel caso concreto, dei pubblici agenti compivano una perquisizione veicolare sulla base del convincimento che l'imputato non fosse in grado di guidare a causa di un supposto stato di ebbrezza da assunzione di alcol e stupefacenti, in realtà non esistente. Proprio l'insistenza dei pubblici ufficiali nel contestare la inesistente condizione di ebrezza sarebbe stata ritenuta a fondamento della condotta di resistenza a pubblico ufficiale e della causa di non punibilità di cui all'art. 393 bis c.p.

Secondo la Procura Generale ricorrente, i Giudici di merito avrebbero erroneamente assolto l'imputato dal reato di resistenza a pubblico ufficiale, sostenendo anche che la fattispecie di cui all'art. 393 bis c.p. non configurerebbe una causa di giustificazione, ma solo una causa di esclusione della punibilità, e dunque non potrebbe trovare applicazione l'art. 59 c.p., ossia la putatività della causa di giustificazione.

Nel caso in esame, quindi, si affronta il profilo maggiormente problematico della causa di non punibilità prevista dall'art. 393 bis c.p., ossia il concetto di "atto arbitrario", che costituisce la modalità con la quale il pubblico funzionario deve eccedere le proprie competenze per rendere legittima l'altrui reazione.

Infatti, la Corte di cassazione sconfessa la portata del principale orientamento sul concetto di atto arbitrario per il quale quest’ultimo per configurarsi richiede non solo l’illegittimità dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato del pubblico servizio, ma anche un elemento ulteriore, ossia la consapevolezza da parte dell’agente di travalicare i propri limiti.

Più precisamente, secondo la Corte di legittimità, sostenendo che l’arbitrarietà non è qualcosa di diverso dall’eccesso, ritiene che è sufficiente qualificare come eccedenti dalle proprie attribuzioni comportamenti realizzati in esecuzione di pubbliche funzioni di per sé "legittimi", ma connotati da difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, in quanto violativi degli elementari doveri di correttezza e civiltà che debbono caratterizzare l'agire dei pubblici ufficiali.

In altri termini, l’arbitrarietà non implica un qualcosa in più rispetto all’illegittimità dell’atto.

3. La soluzione della Corte di cassazione, Sez. II, 22 agosto 2022, n. 31365

Pertanto, alla luce dei principi esposti, si spiega anche il motivo per cui l'art. 393-bis c.p. configuri una causa di giustificazione che può essere applicata anche nelle ipotesi putative di cui all'art. 59, comma quarto, c.p. quando il soggetto si sia trovato a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale. Infatti, proprio perché la scriminante deve risultare oggettivamente illegittima, non essendo necessario che il soggetto abbia consapevolezza dell'illiceità della propria condotta diretta a commettere un arbitrio in danno del privato, si configura proprio una causa di giustificazione.

Applicando tali principi al caso concreto, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza di merito con cui l’imputato era stato assolto dal reato di resistenza a pubblico ufficiale perché il fatto non sussiste e da quelli di lesioni personali volontarie e di rifiuto di sottoporsi al test alcolmetrico perché il fatto non costituisce reato.

Il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza oggetto di commento:

«Secondo la Corte costituzionale, vi sono ragioni storico - politiche che dovrebbero indurre ad una interpretazione più lata dell'esimente della reazione ad atti arbitrari, nel senso che alla norma dovrebbe essere attribuito il significato più consono alla struttura complessiva dell'ordinamento vigente, alla luce dei principi e dei valori espressi dalla Costituzione.

Si è affermato che "il doppio richiamo, contenuto nell'art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale in esame, all'eccesso dai limiti delle proprie attribuzioni e agli atti arbitrari del pubblico ufficiale non impone, infatti, di costruire l'arbitrarietà come un quid pluris diverso e ulteriore rispetto all'eccesso dalle attribuzioni, riferito, sotto il profilo oggettivo, alle modalità di esercizio delle funzioni e sorretto, sotto l'aspetto soggettivo, dalla dolosa consapevolezza dell'illegittimità e dell'arbitrarietà del proprio comportamento.

Anche alla stregua della stessa interpretazione letterale delle espressioni usate dall'art. 4, può ragionevolmente sostenersi che arbitrarietà ed eccesso dalle attribuzioni esprimono il medesimo fenomeno, sotto il profilo, rispettivamente, delle modalità con cui il pubblico ufficiale ha dato esecuzione all'atto illegittimo e della illegittimità dell'atto in sé considerato; altrettanto plausibile è concludere, sulla scia della interpretazione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità minoritaria, che il comportamento scorretto, incivile, inurbano, sconveniente del pubblico ufficiale rende di per sé la sua condotta estranea alle funzioni e, quindi, illegittima".

Questa interpretazione è avvalorata dalla legislazione (v. ad esempio l'art. 13 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonché l'impianto ispiratore della legge 7 agosto 1990, n. 241) che, a vario titolo, impone norme di comportamento ai pubblici impiegati o delinea principi generali dell'azione amministrativa, volti ad impostare in un contesto di lealtà e di reciproca fiducia e collaborazione i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.

Dunque, da un lato, l'arbitrarietà dell'atto non implica necessariamente un quid pluris rispetto alla "illegittimità", e, dall'altro, è sufficiente a qualificare come eccedenti dalle proprie attribuzioni comportamenti posti in essere in esecuzione di pubbliche funzioni di per sé "legittimi", ma connotati da difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, in quanto violativi degli elementari doveri di correttezza e civiltà che debbono caratterizzare l'agire dei pubblici ufficiali (cosi la Corte costituzionale)».


Note e riferimenti bibliografici