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Pubbl. Sab, 1 Ott 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

La prevenzione amministrativa dell´infiltrazione criminale nell´impresa: i nuovi approdi della legislazione anti-mafia alla luce del d.l. 6 novembre 2021

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Fatima D´abronzo



L´articolo analizza alcuni aspetti innovativi che hanno interessato la legislazione antimafia, di recente aggiornata con il d.l. 6 novembre 2021, n. 152. L´attenzione è posta, in particolare, sulle garanzie partecipative introdotte nel procedimento amministrativo prodromico all´emanazione dell´ interdittiva antimafia; nonché sulla nuova misura di prevenzione amministrativa antimafia, la c.d. prevenzione collaborativa (inserita all´art. 94-bis del d.lgs. 159 /2011), la cui applicazione è subordinata alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale


ENG

the administrative prevention of criminal infiltration in enterprise: the new landmarks of the antimafia legislations after the decree law no. 152 2021

the article analyzes some innovative aspects of the antimafia legislation, recently updated with decree law n. 152 of 2021; the focus is placed, in particular, on the participatory guarantees, introduced in the administrative procedure prodromal to the issuance of the antimafia interdiction; and on the new administrative anti-mafia prevention measure, the so called collaborative prevention

Sommario: 1. Premessa. 2. Le principali novità introdotte con il d.l. 6 novembre 2021. 3. Le garanzie partecipative: il contraddittorio nel procedimento di rilascio d’informazione antimafia. 4. La “prevenzione collaborativa”. 5. Gli istituti volti al mantenimento dell’impresa: amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende e rapporti con la prevenzione collaborativa. 6. Conclusioni .

1. Premessa 

Le novità introdotte con il D.L. 6 novembre 2021, n. 152 recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” sono la sintesi di un percorso evolutivo con cui il Legislatore, incalzato dalla giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria, ha operato un progressivo adattamento della disciplina normativa sulla documentazione antimafia al rapido cambiamento dei metodi mafiosi. In particolare, introducendo istituti che – fermo restando il perseguimento dell’obiettivo prioritario del contrasto all’infiltrazione criminale – sono volti a favorire un equo bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e il rispetto di preminenti diritti, quali la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost, e delle garanzie procedimentali ex L. 241/1990. 

Il recente intervento del legislatore in materia di interdittive antimafia, spinto dalla rinnovata centralità che la prevenzione dell’infiltrazione assume nel contesto del PNRR e dell’ingente mole di risorse destinate a finanziare appalti pubblici, concessioni o agevolazioni economiche per le imprese, offre lo spunto per una riflessione di carattere generale e ricostruttivo su quello che ormai può definirsi il ‘sistema’ amministrativo/giudiziario della prevenzione del rischio infiltrativo. 

La novella interviene in primis sul contraddittorio procedimentale, raccogliendo una sollecitazione della giurisprudenza amministrativa[1], ma anche e soprattutto del disegno varato nel 2017, teso ad arricchire gli strumenti di prevenzione e a modulare la risposta dello Stato in relazione alla gravità del fenomeno infiltrativo, in modo da evitare effetti esiziali per le imprese non indispensabili. 

Gli strumenti messi in campo assumono una connotazione dinamica, prevedendosi regimi di sorveglianza e bonifica, tra cui la cosiddetta “prevenzione collaborativa antimafia”: sconosciuta sin’ora, essa, come vedremo, comporta una inevitabile interrelazione tra prevenzione amministrativa e penale, inferendo con il controllo giudiziario a domanda.

2. Le principali novità introdotte con il d.l. 6 novembre 2021

La disciplina dell’informazione antimafia introdotta con il d.l. 6 novembre 2021 n. 152 ha innovato la fisionomia del procedimento amministrativo presupposto, ampliando altresì la dimensione del potere e della discrezionalità attribuiti all’autorità pubblica[2].

Il procedimento di rilascio, per come strutturato dall’art. 92 del D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si avvia tramite consultazione diretta della banca dati unica presso il Ministero dell’interno, ad opera del soggetto titolato ad acquisire l’informazione. Ove dalla consultazione non emergano profili ostativi di alcun genere, segue il rilascio immediato dell’informazione liberatoria. Questo esito procedimentale è interamente vincolato ed assume un contenuto sostanzialmente certificatorio, anche perché il rilascio avviene meccanicamente, da parte di una banca dati. 

Laddove però la banca dati rilevi la presenza di fatti pur solo astrattamente ostativi, la competenza procedimentale si sposta sull’autorità prefettizia, dando inizio alla fase istruttoria vera e propria, consistente nello svolgimento delle opportune verifiche con l’ausilio del gruppo investigativo interforze. 

Se le verifiche consentono di superare i sospetti in ordine a tali fatti, l’informazione liberatoria che viene rilasciata, pur se succintamente motivata sulla mera scorta dell’insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, costituisce un vero e proprio provvedimento discrezionale, recante una ponderazione circa l’assenza di pericoli d’infiltrazione alla luce degli elementi di fatto riscontrati, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate[3].

Diversamente – ed è la grande novità introdotta dal d.l. n. 152/2021 – deve darsi tempestiva comunicazione al soggetto interessato, con l’indicazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Tuttavia, il comma 2-bisdel citato articolo 92 la esclude in presenza di “particolari esigenze di celerità del procedimento”; lo stesso comma aggiunge, inoltre, che “non possono formare oggetto della comunicazione … elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”. 

Occorre quindi valutare: a) se ricorra un’ipotesi di motivata urgenza o di istruttoria interamente basata su elementi non disvelabili, nel qual caso la comunicazione sarebbe rispettivamente preclusa od inutile; b) quali siano gli elementi nel concreto disvelabili e quelli non disvelabili. 

Nell’ipotesi sub a), il procedimento si conclude con l’adozione di un’informativa interdittiva, che presuppone un onere di motivazione rafforzata: sia sull’esistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, sia sulla presenza di valide ragioni impeditive del contraddittorio preventivo. 

Sull’intensità della motivazione, che deve supportare il provvedimento, ci si riporta al costante orientamento amministrativo secondo cui l’informativa interdittiva – quale misura amministrativa tipica del diritto di prevenzione preordinata ad impedire un evento che, per scelta stessa del legislatore, è solo potenziale e non attuale – deve sì fondarsi su elementi concreti[4], ma non per questo richiede un quadro probatorio conforme all’accertamento di una responsabilità penale; e ciò in ossequio alla logica del codice antimafia di prevenire e non già di punire. Trova pertanto applicazione il principio del “più probabile che non” e non il più rigido criterio della prova “oltre il ragionevole dubbio”, proprio del processo penale: il pericolo di un’infiltrazione mafiosa può quindi desumersi da un elemento di fatto che lo renda probabile, senza che ne sia dimostrata la ragionevole certezza[5].

Quanto al secondo elemento innovativo – vero momento di rottura con il precedente assetto normativo – bisogna sottolineare l’inversione prospettica rispetto al previgente meccanismo procedimentale: mentre in passato, in effetti, l’obbligo del contraddittorio partecipativo doveva ritenersi escluso[6]o confinato ad ipotesi eventuali e non obbligatorie (come quella dell’art. 93, comma 7), con la riforma esso assurge da timida eccezione a regola ordinaria; imponendo al Prefetto, in caso di adozione del provvedimento de plano,un obbligo motivazionale idoneo a dimostrare l’urgenza e l’indifferibilità dello stesso, ovvero che la partecipazione dell’interessato al procedimento avrebbe con probabile certezza compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico cui il provvedimento è rivolto[7]

Si scorge su questo ultimo aspetto una connotazione altamente discrezionale del potere riconosciuto all’autorità emittente, che è chiamata ad effettuare una prima valutazione e ponderazione degli interessi coinvolti e confliggenti.

Ulteriore versante su cui s’incentra la discrezionalità prefettizia nella fase di prima valutazione delle risultanze istruttoria riguarda lo stabilire quali siano nel concreto gli elementi disvelabili e quelli non disvelabili attraverso la comunicazione: come già indicato, la norma di nuovo conio vieta che possano formare oggetto della comunicazione “elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”. 

Da notare come la qualificazione dell’elemento informativo come “non disvelabile” non coincide con quella dell’art. 329 c.p.p.[8], essendo ricollegabile anche al possibile pregiudizio in danno di “procedimenti amministrativi”, ovvero di “altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delleinfiltrazioni mafiose”. Anzi, non sarebbe azzardato affermare che il perimetro degli atti non disvelabili sia del tutto diverso dal perimetro degli atti coperti da segreto investigativo, i quali non sarebbero noti neppure al Prefetto; e ciò troverebbe avallo nell’uso dell’espressione “attività processuali in corso”, in luogo di “indagini preliminari in corso”. 

3. Le garanzie partecipative: il contraddittorio nel procedimento di rilascio d’informazione antimafia

Come si è avuto modo di sottolineare, lo scopo della comunicazione dei motivi ostativi al rilascio dell’informativa liberatoria risiede nel consentire all’interessato la più ampia partecipazione possibile nel procedimento. Costui, infatti, nei 20 giorni dalla comunicazione, può presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché chiedere l’audizione. 

E’ certamente possibile presentare istanza di accesso agli atti, ma bisogna considerare che il termine per partecipare al procedimento è inferiore a quello di 30 giorni previsto dall’art. 25 della legge n. 241/1990 ai fini della formazione del silenzio rigetto; né sussiste un qualche meccanismo di sospensione/interruzione del termine di 20 giorni, in pendenza di una domanda di accesso. 

Ciò significa che la partecipazione difensiva ben potrebbe svolgersi in carenza di una sufficiente conoscenza degli atti (noti solo nei loro estremi, ma non nel contenuto) e senza che sia stato possibile adire, anche in via di urgenza, il TAR, non essendosi ancora formato il silenzio rigetto. 

Riguardo all’audizione, il dubbio che si pone – e che sembrerebbe potersi sciogliere in senso positivo – concerne se la stessa sia delegabile o, comunque, se sia consentito avvalersi dell’assistenza di un legale o di un tecnico (si pensi all’ipotesi in cui il legale rappresentante dell’impresa sia un soggetto totalmente avulso dalle dinamiche in discussione). Oltre che una partecipazione di tipo difensivo, intesa cioè ad elidere od attenuare il significato negativo delle risultanze dell’istruttoria, esiste una partecipazione di tipo proattivo, consistente nell’approntare, eventualmente d’intesa con l’organo procedente, idonee misure di self cleaning, nel periodo intercorrente tra la conoscenza degli elementi ostativi e la conclusione del procedimento. 

Fino ad oggi, il self cleaning è stato confinato a titolo di strumento difensivo utilizzabile ai soli fini dell’aggiornamento di un’interdittiva già emanata, ovverosia quale rimedio di ordine successivo. 

In particolare, esso può portare ad una rinnovata valutazione discrezionale del Prefetto, finalizzata all’eventuale revoca dell’interdittiva; valutazione che dovrà basarsi non tanto sull’effettivo scopo bonificatorio perseguito, ma sulla concreta idoneità della misura apprestata a rimuovere i tentativi di infiltrazione[9]

Ora, la novella ha inserito nell’art. 92 un comma 2-quater, che recita: “nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia”. Nei primi commenti apparsi, tale disposizione è stata salutata come “una novità di grande rilievo”, poiché «consente all’interessato di adottare misure di self cleaningorganizzative, depurandosi in via autonoma da quegli elementi che avevano dato luogo al sospetto di infiltrazione o agevolazione e ripristinare la piena legalità dell’impresa senza subire gli effetti negativi dell’interdittiva»[10].

Si è così parlato della previsione in chiave collaborativa del contraddittorio procedimentale, volto a concordare e realizzare le misure idonee ad epurare l’azienda dai sospetti di influenza illecita e, per l’effetto, evitare l’interdittiva[11]. Il tutto, in coerenza con le indicazioni del Consiglio di Stato, che, “seppur negando l’obbligatorietà del contraddittorio, ha sollecitato il legislatore a potenziarlo, specie in tutte quelle ipotesi ove la permeabilità mafiosa appaia dubbia e rispetto alle quali l’apporto procedimentale potrebbe fornire utili elementi[12]”.

Nella stessa interessante pronuncia si è rilevato, sempre de iure condendo, l’opportunità di una riforma in grado di relegare l’interdittiva ad extrema ratio, solo a fronte di situazioni “chiare ed inequivocabili”. Ciò - sempre per i giudici di Palazzo Spada - consentirebbe al G.A. “di esercitare con maggior pienezza il proprio sindacato[13]". Pertanto, “il contraddittorio in questione presenta una connotazione fortemente sostanziale, in considerazione dell’ampiezza delle valutazioni demandate al Prefetto e del collegamento tra il rispetto del contraddittorio e le previste misure di self cleaning”.

Del resto, la scelta sul se consentire o meno il self cleaning preventivo non è priva di rilevanti conseguenze sul piano pratico, in quanto esso può condurre all’adozione, se non di un’informativa liberatoria, di una misura di prevenzione collaborativa, impedendo che si producano gli effetti conseguenti all’interdizione e comportanti l’estromissione dell’impresa dal mercato degli appalti e dei contributi pubblici, nonché la revoca delle aggiudicazioni ed il recesso unilaterale dai contratti in essere, ponendo la stessa in una condizione che, se protratta nel tempo, ne potrebbe determinare finanche il fallimento. 

A ciò si aggiunga che proprio l’inquadramento della misura interdittiva nel settore del diritto amministrativo della prevenzione (e non della sanzione), se per un verso determina la perdita delle garanzie sostanziali legate all’accertamento della responsabilità dell’imprenditore nell’accaduto, per altro verso deve informare il sistema ad una logica di recupero dell’impresa soggetta ai tentativi di infiltrazione, in un’ottica di ragionevole bilanciamento tra interessi costituzionali parimenti protetti, specie in mancanza di condotte connotate da particolare riprovevolezza[14].

4. La “prevenzione collaborativa” 

Nell’ambito di siffatto processo di adattamento e di bilanciamento degli strumenti preventivi di contrasto alla criminalità organizzata con gli interessi partecipativi, si inserisce l’art. 94-bis[15]del D.lgs 159/2011, che introduce una nuova misura di prevenzione amministrativa antimafia, denominata “prevenzione collaborativa”, la cui applicazione è subordinata alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa riconducibili a situazioni di “agevolazione occasionale”. 

La ratiodella misura in questione presenta profili comuni con quella sottesa all’applicazione dell’istituto del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bisdel D.lgs 159/2011, condividendone le medesime finalità, ovvero salvaguardare la struttura aziendale incisa occasionalmente da situazioni di permeabilità mafiosa e che, pertanto, non presentano i profili di cronicità tali da imporre il ricorso a istituti interdettivi più incisivi e volti a colpire in maniera definitiva la struttura stessa. 

Tale istituto rappresenta una risposta concreta all’attuazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, che devono ispirare la materia: conseguire il risultato voluto – eliminare situazioni patologiche – ma incidendo su altri diritti (relativi all’attività di impresa) nei limiti dello stretto necessario.

La “prevenzione collaborativa” si inserisce nell’ambito di una categoria di istituti antimafia di tipo conservativo, volti, sulla base di precise e stringenti prescrizioni dell’autorità, ad estirpare il pericolo di infiltrazione attraverso un proficuo processo collaborativo, permettendo nelle more la prosecuzione delle attività imprenditoriale. 

L’applicabilità della nuova misura presuppone la sussistenza di concrete possibilità per l’impresa di riallinearsi nell’ambito di un contesto imprenditoriale lecito, come si desume dal comma 4 dell’art. 94-bis in cui si prevede che «il prefetto, alla scadenza del termine di durata delle misure, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia». 

La prevenzione collaborativa si colloca, quindi, su un piano di minore afflittività rispetto alle altre misure di conservazione ed è finalizzata a porre in essere - mediante l’applicazione di misure organizzative direttamente individuate dall’autorità prefettizia ed adeguatamente motivate - una collaborazione di tipo preventivo, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, con l’impresa interessata.

Nello specifico, le misure previste sono le seguenti:

a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-terdel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale;

b) comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione.

Sul piano sostanziale, la novella ha introdotto, mutuandola dal sistema di prevenzione penale, una graduazione delle misure di prevenzione amministrativa. 

In buona sostanza, si tratta di uno strumento che si differenzia nei contenuti dal controllo giudiziario a richiesta (perché non prevede un amministratore giudiziario), assimilandosi, salvo che per l’applicazione della legge 231/2001, a quello previsto dalla lett. a) dell’art. 34-bisper il controllo giudiziario ordinario. 

Del controllo giudiziario - ordinario o volontario - il nuovo “controllo amministrativo” condivide comunque i presupposti e la ratiodi evitare di travolgere le imprese attinte da contatti mafiosi meramente marginali, talvolta inevitabili in alcuni territori[16].

In coerenza con i già richiamati principi di solidarietà e di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui è corollario il principio di leale collaborazione inserito dal dl 76/20 nell’art. 1 della l. n. 241/90, le nuove misure di prevenzione collaborativa consentono di anticipare alla fase amministrativa, a fronte del carattere meramente occasionale dei tentativi di infiltrazione, le misure di self cleaningpreviste per il controllo giudiziario. 

Si apre così utilmente la strada a una cooperazione «tra impresa ed autorità amministrativa, consentendo a quest’ultima di entrare in azienda e verificare la presenza o meno dei pericoli di infiltrazione mafiosa, senza però esporla al rischio di una paralisi e salvaguardando la continuità aziendale e i livelli occupazionali”[17]

L’inserimento della novella nel decreto legge sull’attuazione del PNRR sottolinea l’ulteriore scopo pubblicistico che le nuove misure di collaborazione preventiva vogliono perseguire: ovvero arginare i ritardi nell’attuazione delle politiche economiche nazionali (tra cui la realizzazione delle opere pubbliche di rilevanza nazionale, la ripresa delle attività edilizie e del turismo, ecc.) derivanti dai provvedimenti interdittivi[18], consentendo direttamente ai prefetti di sostituire, laddove possibile, le misure di prevenzione inibitoria con strumenti finalizzati a ‘recuperare’ le imprese a rischio, indirizzandole verso una economia sana. 

Il legislatore ha previsto opportune forme di coordinamento con le misure di prevenzione penale. 

Con particolare riferimento al controllo giudiziario ordinario, che può comunque sempre intervenire, l’art. 34-bis, co 1, nel testo novellato dalla riforma, precisa infatti che il Tribunale della prevenzione “valuta altresì se risultino applicate le misure di cui all’articolo 94-bise, in tal caso, se … adottare, in loro sostituzione, il provvedimento di cui al comma 2, lettera b)”, consistente,come ricordato, nel monitoraggio e tutoraggio dell’amministratore giudiziario, tenendo eventualmente conto del periodo di esecuzione di tali misure ai fini della durata del controllo giudiziario. 

5. Gli istituti volti al mantenimento dell’impresa: amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende e rapporti con la prevenzione collaborativa

L’adozione di misure che assicurino, da un lato, la conservazione della realtà imprenditoriale e, dall’altro, costituiscano sistemi di efficace prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata, è stata un’esigenza già prevista e soddisfatta dalla normativa antimafia con la L. 17 ottobre 2017, n. 161, che ha introdotto gli strumenti – alternativi ai tradizionali strumenti del sequestro e della confisca – dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 D.lgs 159/2011 e del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis D.lgs 159/2011. 

Come è noto, l’istituto dell’amministrazione giudiziaria si sostanzia in una misura patrimoniale preventiva che consente al giudice di intervenire su imprese che evidenzino situazioni di contiguità o di infiltrazione mafiosa che incidono sulla libera iniziativa economica. Si concretizza nella sostituzione temporanea dei soggetti titolari della gestione di beni e delle attività economiche delle imprese, in primisda parte del giudice della prevenzione ed in seconda battuta  dall’amministratore giudiziario all’uopo nominato, cui vengono attribuiti tutte le facoltà spettanti ai titolari, allorquando – a seguito degli accertamenti di cui all’art. 19 D.lgs 159/2011 o di quelli per la verifica dei pericoli di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 92 dello stesso decreto legislativo – risultino sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’art. 416 bis c.p. o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale della prevenzione speciale di pubblica sicurezza o della confisca, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all’art. 4, comma1, lett. a), b), e i-bis) o per gravi delitti come il sequestro di persona a scopo di estorsione, l’usura, il c.d. caporalato o ancora di riciclaggio o reimpiego di proventi illeciti. 

Per quanto concerne, invece, il controllo giudiziario delle aziende di cui all’art. 34-bis D.lgs 159/2011, esso si connota per il carattere esclusivamente occasionale dell’agevolazione dell’attività criminosa, a differenza del carattere abituale della stessa proprio dell’amministrazione giudiziaria. 

In tal caso la norma, ricollegandosi al comma primo del precedente art. 34 D.lgs 159/2011, in tema di amministrazione giudiziaria, prevede che il Tribunale dispone, anche d’ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne le attività. Il controllo può essere disposto per un periodo compreso tra uno e tre anni. Il provvedimento che dispone il controllo può imporre nei confronti della proprietà il compimento di una serie di adempimenti e comunicazioni concernenti atti di particolare rilievo economico (analoghi a quelli disposti dal prefetto nell’ambito della prevenzione collaborativa), la nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario.In caso di violazione degli obblighi imposti da parte dell’impresa, il tribunale può disporre ai sensi dell’articolo 34 D.lgs 159/2011 l’amministrazione giudiziaria. 

Di particolare significato, nell’ottica delle finalità e della ratio dell’istituto, è la previsione del comma 6 dell’articolo 34-bis che consente alla parte di chiedere al tribunale l’applicazione della misura, nel caso in cui l'impresa sia stata destinataria di una informazione antimafia interdittiva - a seguito dell’accertamento del pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa con agevolazione solo occasionale - e che avverso tale provvedimento sia stata proposta impugnazione.

L’analisi delle norme introdotte con la novella, all’art. 34-bis[19]D.lgs 159/2011 consente di evidenziare l’intento del legislatore di coordinare e razionalizzare gli istituti della amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario con i provvedimenti in materia di documentazione antimafia, adottati o adottandi dal prefetto ai sensi degli articoli 82 e seguenti dello stesso codice delle leggi antimafia, nel momento in cui gli stessi si incrocino. Infatti, il legislatore provvede a fissare una sorta di graduazione delle misure, in un’ottica sistematica di insieme, atteso che comune è l’obiettivo di tutti gli istituti in esame di favorire, ove possibile, l’interruzione della agevolazione occasionale (nel caso del controllo giudiziario e della prevenzione collaborativa), o, comunque, di interrompere il condizionamento mafioso (nel caso della amministrazione giudiziaria).

Si assiste ad un conseguente rapporto di priorità delle misure giudiziarie rispetto a quelle prefettizie, che cedono rispetto alle prime, a fronte della ampiezza degli strumenti nella disponibilità della autorità giudiziaria; la quale, oltre alla possibilità di pervenire al ristabilimento della funzionalità della impresa, può, in caso di esito negativo dell’amministrazione giudiziaria, passare al controllo giudiziario ed in caso di esito negativo anche di tale istituto disporre altre misure di prevenzione patrimoniale. 

Le novità introdotte dalla novella, all’art. 34 bis del Decreto legislativo, 06/09/2011 n° 159, appaiono inserirsi in tale assetto: 

- al comma 1, a riprova della suddetta priorità degli strumenti giudiziari, è prevista la possibilità che l’istituto prefettizio della “prevenzione collaborativa” possa essere sostituito da quello concernente il controllo giudiziario. Infatti, la norma prevede che, laddove siano state applicate le misure previste dal nuovo istituto della “prevenzione collaborativa”, il Tribunale valuta se adottare in sostituzione della stessa il controllo giudiziario mediante la nomina di un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente (almeno bimestralmente) gli esiti dell'attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero; 

- al comma 6, nell’ambito del c.d. “controllo giudiziario volontario”, al fine della valutazione della richiesta – avanzata dall’impresa destinataria dell’interdittiva antimafia, adottata ai sensi dell'articolo 84, comma 4, e successivamente impugnata – di applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 34-bis è previsto che il Tribunale includa il prefetto che ha adottato l’interdittiva tra i soggetti da consultare, insieme al procuratore distrettuale competente, nonché agli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale. Il Tribunale accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali;

- al comma 7, viene, altresì, previsto che il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria di cui all’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi dell’articolo 34-bissospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2 (oltre agli effetti di cui all’articolo 94, come previsto dalla norma ante modifica). 

In verità, l’aver introdotto in sede amministrativa la misura organizzativa della collaborazione preventiva che ha presupposti ed effetti molto simili alla misura di prevenzione penale del controllo giudiziario, ha comportato nel rapporto tra i due sistemi di prevenzione problemi di coordinamento. 

Difatti, allo stato attuale, il Prefetto - di fronte ad un pericolo di infiltrazione - deve fare una valutazione e stabilire se quel pericolo di infiltrazione sia occasionale o permanente ed in caso di emissione di interdittiva deve motivare tenendo in debito conto le esigenze di gradualità e proporzionalità della misura scelta. 

L’emanazione dell’interdittiva, tuttavia, presuppone che l’infiltrazione mafiosa abbia un carattere permanente e oggi si pone il problema del raccordo con il controllo giudiziario a richiesta che, invece, presuppone l’infiltrazione occasionale. Quindi, si crea una sorta di corto circuito del controllo giudiziario a richiesta in caso di emissione di interdittiva, il cui presupposto è inconciliabile col controllo giudiziario.

Prima della Riforma del 2021, tale contrasto non si rilevava, poiché l’interdittiva antimafia aveva come presupposto unico il tentativo di infiltrazione: la distinzione tra occasionale e permanente non era conosciuta nell’ambito del sistema di prevenzione amministrativa. 

Adesso, invece, l’introduzione della collaborazione preventiva come misura amministrativa cambia anche il tipo di sindacato che dovrà esercitare il giudice amministrativo, poiché il sindacato del GA è destinato ad arricchirsi di un parametro ulteriore: cioè quello della proporzionalità della misura applicata.

In particolare, come si diceva, visto che le misure dell’amministrazione sono due (informativa e collaborazione preventiva) e sono graduabili, il vaglio di legittimità dell’informativa dovrà essere basato non solo sulla sussistenza del rischio infiltrativo, ma anche sul carattere stabile o occasionale dello stesso; e, quindi, sulla possibile applicabilità della collaborazione preventiva in luogo dell’interdittiva diversamente, il provvedimento più gravoso deve ritenersi viziato da eccesso di potere, per difetto della proporzionalità della misura. 

Il fatto che le due misure rispondono alla medesima ratioe muovono da un analogo presupposto -costituito dal carattere meramente occasionale della potenziale contaminazione e dal conseguente minore livello del rischio di infiltrazione - in una con la richiamata disciplina dei rapporti tra misure di collaborazione e controllo giudiziario (con l’espressa previsione che il giudice penale può, se del caso, sostituire le nuove, più miti, misure amministrative con il controllo attraverso l’amministratore giudiziario), indurrebbero a ritenere che il nuovo sistema di graduazione della prevenzione amministrativa dovrebbe implicare il superamento – e la conseguente eliminazione –  dello strumento del controllo giudiziario su richiesta, preordinato, come detto, ad arginare gli effetti perniciosi dell’interdittiva in un contesto in cui il Prefetto non aveva alternative. E, tuttavia, La circostanza che la riforma abbia, come sopra ricordato, inserito il Prefetto che ha emesso l’interdittiva tra i soggetti che il Tribunale deve sentire prima di decidere sulla richiesta di ammissione al cd controllo volontario esclude però che il legislatore abbia operato (sia pure implicitamente) questa scelta[20].

Cosicché la permanenza delle due forme di controllo crea problemi di coordinamento tra le due giurisdizioni, amministrativa e penale: se, infatti, il Prefetto – nonostante la nuova possibilità di adottare la misura di collaborazione – abbia ritenuto comunque necessario disporre la più grave misura interdittiva, vuol dire che ha già escluso il carattere “occasionale” della contaminazione e la conseguente possibilità di “bonificare” l’azienda, traghettandola in un contesto economico “sano”. Sicché, come è stato giustamente evidenziato[21], il giudice della prevenzione, per accogliere la richiesta di controllo, dovrebbe inevitabilmente effettuare una valutazione critica sui presupposti, e, dunque, sulla legittimità della decisione amministrativa: valutazione che è invece istituzionalmente riservata al giudice amministrativo. 

Significativamente il TAR Catania ha sul punto affermato che il fatto stesso dell’ammissione al controllo, imporrebbe al Prefetto un immediato riesame della propria decisione interdittiva, secondo le nuove regole del contraddittorio procedimentale; con la precisazione che qualora la nuova istruttoria si dovesse concludere con un giudizio prognostico positivo per l’impresa, alla rimozione dell’interdittiva dovrebbe fare automaticamente seguito la cessazione della misura di prevenzione penale, anche se medio tempore reiterata. 

Si ripropone, dunque, l’annoso tema del rapporto tra giurisdizione penale e giurisdizione amministrativa, che costituisce uno dei più gravi vulnera alla certezza del diritto.

6. Conclusioni 

In tema di interdittive antimafia, anche dopo la novella normativa, rimangono dunque irrisolte numerose questioni, solo ad alcune delle quali è stato qui possibile – nei limiti ratione materiaedell’argomento trattato – fare riferimento.

Anzitutto, una questione aperta è data dallo stabilire se la discrezionalità in capo al Prefetto sia davvero di tipo tecnico, come sostenuto dalla prevalente giurisprudenza (e recentemente avallata dalla stessa Consulta, sent n. 57 del 26 marzo 2020); o se invece, come sostiene autorevole dottrina[22], ci si trovi al cospetto di un mero accertamento di un quadro fattuale rappresentato da elementi molto spesso di tipo indiziario in chiave prognostica, molto simile a quello demandato al giudice penale in tema di applicazione di misure di sicurezza/prevenzione personali, tuttavia senza le relative garanzie apprestate dall’ordinamento. 

In effetti, se la discrezionalità tecnica consiste nell’applicazione da parte dell’Amministrazione di regole tecniche elastiche o opinabili (come si verifica ad esempio nei giudizi espressi dalle commissioni di concorso o di gara), le valutazioni compiute dal Prefetto in ordine alla diagnosi dei fatti rilevanti circa il pericolo del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata e la prognosi di permeabilità criminale sembrano del tutto estranee all’ambito proprio della discrezionalità tecnica. Allo stesso modo gli apprezzamenti a fondamento dell’applicazione delle misure in questione non sembrano poter rientrare nel campo della discrezionalità amministrativa pura, risultando carenti i tratti distintivi, ovvero la scelta dell’ane del quomododell’azione e la ponderazione dei diversi interessi in gioco. Così opinando dovrebbe essere del tutto estraneo al problema il dibattito sulla natura del sindacato giudiziale (forte o debole) sulla discrezionalità tecnica. 

Qualche perplessità suscita anche il criterio – allo stato comunemente utilizzato ai fini dell'adozione dell'interdittiva –  del “più probabile che non” circa la deduzione da elementi presuntivi del pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata. Trattasi di criterio civilistico sul nesso di causalità in tema di illecito aquiliano contrapposto a quello valevole nell’ambito penale, in ossequio ad un fenomeno di trasposizione di istituti squisitamente civilistici nel settore del diritto amministrativo spesso foriero di contraddizioni.

Nonostante tali rilievi critici, non si può nascondere, in ogni caso, il carattere ‘culturalmente’ apprezzabile del recente intervento legislativo: la riforma della disciplina interdittive si inquadra  nelle traiettorie indicate dal diritto sovranazionale e convenzionale, dal momento che la necessità di tutela del preminente interesse pubblico di tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata, che si pone alla base delle interdittive, deve essere contemperata con le garanzie anche procedimentali proprie di uno Stato di diritto, come ora ben enucleate dal decreto legge n. 152/2021. 

Anche il nuovo istituto della prevenzione collaborativa pare utile strumento di contemperamento tra interesse pubblico e la libertà di iniziativa economica quale segno emblematico di un “cambiamento di passo” da parte dell’ordinamento nazionale, che in effetti costituisce l’essenza della stessa disciplina di attuazione del PNRR. 

Le interdittive antimafia ora diventano (dovrebbero diventare) misure di “extema ratio”, dato il dichiarato favordel legislatore per l’applicazione di misure meno impattanti sulle imprese, le quali presuppongono un dialogo tra le parti, in ossequio al principio di proporzionalità e leale collaborazione.

Occorre certamente correggere ulteriormente il tiro, nel solco però della strada intrapresa: auspicabile, ad esempio, un sollecito re-intervento legislativo, che, oltre a meglio e più chiaramente regolare i rapporti tra controllo giudiziario e informazione amministrativa ed a rivedere le tempistiche del riesame sulla persistenza dei presupposti per le misure di prevenzione (garantendo un costante aggiornamento della loro effettività necessità, soprattutto con riferimento all’interdittiva), rivaluti l’opportunità della permanenza del controllo su richiesta e, magari –  come suggerito dal giudice amministrativo (TAR Catania) – consideri anche l’opportunità di intervenire sulle regole e sulle tempistiche processuali, a questo punto, tanto del giudizio amministrativo, quanto di quello penale. 

Permane, peraltro, il problema dei limiti della trasparenza e delle garanzie partecipative del procedimento che ha condotto all’adozione delle misure di prevenzione amministrativa: problema che la riforma ha solo attenuato[23]e che inevitabilmente si riflette sull’effettività di un sindacato giurisdizionale che non ha sempre pieno accesso al fatto. 

Come è stato da varie parti segnalato, sarebbe peraltro parimenti auspicabile un intervento normativo uniformante dell’Unione europea, analogamente a quanto avvenuto per il mandato d’arresto europeo, ritenendo necessaria la creazione - a livello sia nazionale che europeo - di una valida “rete” di trasmissione delle informazioni e di coordinamento delle azioni tra le autorità competenti[24].


Note e riferimenti bibliografici

[1]Consiglio di StatoSez. III, sent. del 10 agosto 2020, n. 4979.

[2]DURANTE N., Ambiti di discrezionalità in materia di documentazione antimafia per le imprese, in Giurisdizione amministrativa, 2013, IV, 151 ss..

[3]NOCCELLI M., Le informazioni antimafia tra tassatività sostanziale e tassatività processuale in www.giustizia-amministrativa.it. 

[4]Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758, in www.giustizia-amministrativa.it, Decisioni e pareri  

[5]DURANTE N., I tentativi di infiltrazione mafiosa, in Italiaappalti.it, 9 gennaio 2017; LEVATO A., Ratio e requisiti delle informative antimafia, in Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici (a cura di AMARELLI, STICCHI DAMIANI), Torino, Giappichelli, 2019, 50 ss.  

[6]Cons. Stato, Sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8178, in www.giustizia-amministrativa.it, Decisioni e pareri  

[7]Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 91, in www.giustizia-amministrativa.it,Decisioni e pareri, in materia di avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990.

[8]Art. 329 c.p.p. (“obbligo del segreto”): “1. Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. 2. Quando è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall’art. 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero. 3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato: a) l’obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone; b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni  

[9]Cons. Stato, Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945, in www.giustizia-amministrativa.it, Decisioni e pareri.

[10]VULCANO M., Le modifiche del decreto legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giurisprudenza penale web, 2021, XI, 8.  

[11]AMOVILLI P., Brevi note in tema di riforma delle interdittive antimafia contenuta nel d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233 per l’attuazione del P.N.R.R., in www.giustizia-amministrativa.it,Dottrina, 31 gennaio 2022, 2  

[12]Cons. Stato, Sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979, in www.giustizia-amministrativa.it, Decisioni e pareri.

[13]AMOVILLI P., op. cit., 6.  

[14]MONTEDORO G. Potere amministrativo, sindacato del giudice e difetto di motivazione, in www.giustamm.it, 2005 

[15]Art. 49 D.L. 152/2021 “Prevenzione collaborativa”: “Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo l’articolo 94, è inserito il seguente: «Art. 94 -bis (Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale) — 1. Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure: a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24 -ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; b) comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal prefetto, sentito il predetto gruppo interforze, in relazione al reddito della persona o del patrimonio e del volume di affari dell’impresa; c) per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di terzi; d) comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in partecipazione stipulati; e) utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva, per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b) , nonché per i finanziamenti di cui alla lettera c) , osservando, per i pagamenti previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136, le modalità indicate nella stessa norma. 2. Il prefetto, in aggiunta alle misure di cui al comma 1, può nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre, individuati nell’albo di cui all’articolo 35, comma 2 -bis , con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa. Agli esperti di cui al primo periodo spetta un compenso, quantificato con il decreto di nomina, non superiore al 50 per cento di quello liquidabile sulla base dei criteri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell’impresa, società o associazione. 3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all’articolo 34 -bis , comma 2, lettera b) . Del periodo di loro esecuzione può tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario. 4. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazionemafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. 5. Le misure di cui al presente articolo sono annotate in un’apposita sezione della banca dati di cui all’articolo 96, a cui è precluso l’accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai sensi dell’articolo 83 -bis , e sono comunicate dal prefetto alla cancelleria del Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione.». 2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, altresì, ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e non è stata ancora rilasciata l’informazione antimafia”.   

[16]M. VULCANO, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giur. pen. web, 2021, 11.  

[17]M. VULCANO, cit. V. anche D. ALBANESE, Le modifiche del d.l. 152/2021 al ‘codice antimafia’ in sistemapenale.it.  

[18]Cfr. R. ROLLI, L’argine inadatto, cit.: “Si è venuto così a creare un sistema bidirezionale: da un lato, l’insistenza dei mezzi di ablazione tradizionali quali la confisca e il sequestro, quali sistemi di lotta alla ricchezza di provenienza illecita; dall'altro, la previsione di un intervento pubblico finalizzato a soccorrere soggetti economici a rischio infiltrazione al fine di restituirli al mercato”, liberandoli dai “rischi derivanti dal condizionamento mafioso in un percorso di risanamento della legalità …a beneficio dell’intero sistema economico”.  

[19]Art. 47 D.L. 152/2021 “Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende”: “All’articolo 34-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso in cui risultino applicate le misure previste dall’art. 94 -bis , il Tribunale valuta se adottare in loro sostituzione il provvedimento di cui al comma 2 lett. b) .).»; b) al comma 6, secondo periodo, le parole «Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e» sono sostituite dalle seguenti: «Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente, il prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva nonché»; c) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 -bis nei successivi cinque anni.».  

[20]TAR Catania –sentenza del 01.05.2022, n. 1219.

[21]G. VELTRI, Questioni controverse in tema di interdittive antimafia, Relazione al convegno su “Questioni controverse di diritto amministrativo. Un dialogo tra Accademia e Giurisprudenza”, svoltosi a Palazzo Spada il 1° aprile scorso e visualizzabile dal link youtube indicato sul sito della giustizia amministrativa. 

[22]A. Longo: La Corte costituzionale e le informative antimafia. Minime riflessioni a partire dalla sentenza n. 57 del 2020 (in Nomos – Le attualità nel diritto – Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale n. 2/2020) che reca interessanti riflessioni sulla richiamata pronuncia del Giudice delle leggi che l’autore definisce un “intervento ambiguo su un tema controverso” trattandosi della costituzionalità delle informative interdittive, “questione spinosa, dibattuta, radicalmente divisiva”.

[23]R. ROLLI e M. MAGGIOLINI, Notarelle sul riformato contraddittorio procedimentale in tema di interdittiva antimafia (nota a ordinanza Tar Lecce, sez. III, n. 116/2022), in giustiziainsieme2022 e di N. DURANTE, Il contraddittorio nel procedimento di rilascio d’informazione antimafia, in giustizia-amministrativa, it.  

[24] Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell'informativa antimafia e l'istituto del controllo giudiziario. Maria Alessandra Sandulli - Professore ordinario di diritto amministrativo a Roma tre. Il lavoro costituisce rielaborazione dell'intervento svolto dall’A. il 4 maggio scorso alla Tavola rotonda sul tema delle “Misure interdittive antimafia”, organizzata dalla Scuola di perfezionamento per le Forze di Polizia nell’ambito del XXXVII Corso di Alta Formazione (anno accademico 2021/2022) ed è destinato anche agli scritti in memoria del Pres. Luigi Giampaolino.