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Pubbl. Gio, 1 Set 2022

Patti in deroga alla disciplina legale dei rimedi sinallagmatici

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Cesare Valentino
Dottorando di ricercaNessuna



Attraverso il presente elaborato é affrontata la vexata quaestio afferente la derogabilità o meno della disciplina legale dei rimedi sinallagmatici avverso l´inadempimento contrattuale. Questione che nel tempo ha ricevuto soluzioni non univoche, complici anche le incertezze dottrinarie e giurisprudenziali in ordine al fondamento di tale disciplina.


ENG

Agreements notwithstanding the legal discipline of synallagmatic remedies

This paper deals with the vexed question concerning the derogation or not of the legal discipline of synallagmatic remedies against contractual breach. Over time, this issue has received non univocal solutions, also thanks to the doctrinal and jurisprudential uncertainties regarding the foundation of this discipline.

Sommario: 1. Inquadramento della questione; 2. Le clausole di irresolubilità; 3. La rinunzia preventiva all’azione di adempimento; 4. La tutela risarcitoria quale unico rimedio avverso l’inadempimento: la clausola di “unico rimedio”; 5. Le deroghe convenzionali ai presupposti di attivazione del rimedio risolutorio: le clausole “di aggravamento” e le clausole “di alleggerimento”; 6. I rimedi risolutori “atipici”: la condizione di inadempimento.

1. Inquadramento della questione

Discussa è la possibilità di deroghe convenzionali [1] alla disciplina legale dettata dall’art. 1453 c.c. in ordine ai rimedi sinallagmatici[2] avverso l’inadempimento contrattuale[3]. Questione che nel tempo ha ricevuto soluzioni non univoche. E, infatti, in un primo momento si tendeva ad escludere l’ammissibilità di tali deroghe, e in particolare delle clausole di irresolubilità, muovendo dalla presunta natura sanzionatoria e dunque inderogabile delle norme sulla risoluzione per inadempimento, in quanto dirette a punire la parte inadempiente attraverso il sacrificio dell’interesse della stessa a conseguire la prestazione dovuta[4].

Nel tempo, pur a fronte del superamento della suindicata concezione sanzionatoria, la dottrina ha ritenuto comunque inammissibili i patti limitativi o escludenti l’attivazione del rimedio risolutorio, per l’idoneità degli stessi a trasformare due promesse in origine reciproche in due promesse autonome[5].

Purtuttavia la suesposta concezione tradizionale è stata rivista in tempi più recenti, anche alla luce di una rivisitazione del fondamento[6] stesso del rimedio risolutorio, che lungi dall’afferire ad un difetto funzionale della causa, è volto a tutelare principalmente  l’interesse[7] (particolare) della parte non inadempiente a fronte dell’inadempimento dell’altro contraente[8].

In tale mutata prospettiva ricostruttiva sarebbe possibile ipotizzare deroghe convenzionali alla disciplina legale dei rimedi “sinallagmatici”, che potrebbero consistere: i) nell’impossibilità di attivare il rimedio risolutorio[9] o l’azione di esatto adempimento; ii) nella possibilità di attivare il solo rimedio risolutorio con esclusione degli altri rimedi sinallagmatici (clausola di “unico rimedio”); iii) nella modifica delle condizioni di attivazione del rimedio risolutorio, rendendo le stesse più gravose (clausole di “aggravamento”) o meno gravose (clausole di “alleggerimento”); iv) nella predisposizione di rimedi risolutori “atipici”.

2. Le clausole di irresolubilità

Come dianzi rilevato si discute in ordine all’ammissibilità di una clausola di irresolubilità[10], con cui le parti escludono ex ante la possibilità di attivare il rimedio risolutorio[11] al verificarsi dell’altrui inadempimento.

La soluzione del quesito dipende, come dianzi rilevato, dal fondamento che si riconosce al rimedio de quo. E, infatti, sia ricostruendo lo stesso quale strumento di reazione avverso un difetto funzionale della causa, sia come rimedio sanzionatorio, si perviene all’inammissibilità[12] di tale clausola.

A diversa conclusione interpretativa[13] si giunge invece ricostruendo il rimedio risolutorio quale strumento funzionale alla tutela dell’interesse[14] della parte non inadempiente. Purtuttavia la tutela dell’interesse in parola, come chiarito in un risalente pronunciamento giurisprudenziale[15], richiede che all’esclusione convenzionale del rimedio risolutorio[16] si accompagni il mantenimento degli altri rimedi sinallagmatici, costituiti dall’azione di adempimento e dall’azione risarcitoria.

Pur conferendo per tale via cittadinanza giuridica alle clausole di irresolubilità, controversa rimane la base normativa cui ancorare le medesime, che potrebbe concorrere all’individuazione di ulteriori limiti all’operatività delle clausole de quibus. Sotto tale profilo occorre chiedersi se tale base normativa possa esser costituita dall’art. 1462 c.c.[17], che nel codificare l’inefficacia delle clausole dirette ad escludere la proponibilità delle eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione, non contempla alcun riferimento espresso alla risoluzione.

Purtuttavia la soluzione negativa al quesito discende dalle considerevoli incertezze interpretative cui la norma continua a dar luogo, in particolare in relazione all’elenco di eccezioni non suscettive di esclusione, del quale è discusso il carattere tassativo o meramente esemplificativo[18].

In forza di tanto si comprende l’indirizzo giurisprudenziale[19] che riconduce le clausole limitative o escludenti l’attivazione del rimedio risolutorio all’art. 1229 c.c.[20], che costituirebbe norma riferibile ad ogni forma di sanzione avverso l’inadempimento[21]. Con la conseguenza di ritenere ammissibili le stesse a condizione che non rilevi un inadempimento dovuto a dolo o colpa grave[22].

Purtuttavia tale prospettazione ermeneutica, ad un attento esame, non si sottrae a rilievi critici, in quanto, come rilevato da una parte della dottrina[23], conduce ad una sovrapposizione di piani, atteso che non consente di distinguere tra rimedi avverso l’inadempimento come fonte di danno (azione risarcitoria) e rimedi avverso l’inadempimento in sé (azione di adempimento e azione di risoluzione).

3. La rinunzia preventiva all'azione di adempimento

Dubbi sussistono anche sull’ammissibilità di una rinunzia preventiva all’azione di adempimento[24], che parte della dottrina[25] desume dagli art. 1244 e 2932 c.c. In particolare, la prima delle suindicate norme, nel derogare al principio secondo cui un credito non esigibile non è opponibile in compensazione, confermerebbe, sebbene indirettamente, che il creditore può, tramite un atto di autonomia privata, come la concessione di una dilazione, privarsi dell’azione di adempimento, senza incidere sul diritto di cui è titolare[26].

Altro indice normativo cui ancorare l’ammissibilità delle clausole escludenti l’azione di adempimento (tutela in forma specifica) potrebbe esser costituita dall’art. 2932 c.c.[27], nella parte in cui prevede l’esclusione convenzionale dell’esecuzione in forma specifica[28] dell’obbligo di concludere un contratto.

La norma, tuttavia, nel riferirsi espressamente all’esclusione convenzionale dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, renderebbe ammissibili le clausole de quibus solo in presenza di tale tipo di obbligo, a meno di non volerla ritenere espressione di un principio generale, come tale applicabile anche in relazione ad obbligazioni diverse da quella di contrarre[29].

4. La tutela risarcitoria quale unico rimedio avverso l'inadempimento: la clausola di “unico rimedio”

La clausola di unico rimedio[30] è la pattuizione che prevede il risarcimento del danno[31] quale unico strumento di reazione all’inadempimento contrattuale. Pur trattandosi di una clausola che ha avuto particolare diffusione nei mercati internazionali, in relazione alle operazioni di acquisizione di partecipazione azionarie e di complessi aziendali, rispetto alle quali si pone l’interesse dei contraenti a non veder posti nel nulla i rilevanti investimenti effettuati, discussa è l’ammissibilità della stessa nell’ordinamento nazionale, in assenza di una disciplina specifica nell’impianto codicistico.

Al riguardo occorre rilevare che una parte della dottrina[32] fornisce soluzione positiva al quesito, attraverso la riconduzione della clausola de qua alle limitazioni convenzionali di responsabilità e dunque deducendone l'ammissibilità entro i limiti prefigurati dall'art. 1229, che porta ad escludere la validità delle stesse nelle ipotesi di dolo o colpa grave. Tale prospettazione, tuttavia, ad un attento esame non si sottrae ai rilievi critici già svolti in precedenza, in quanto conduce ad una sovrapposizione tra le diverse forme di tutela sinallagmatica riconosciute al contraente non inadempiente dall'art. 1453 c.c.

Altra parte della dottrina[33] invece sostiene l’ammissibilità delle clausole de quibus muovendo non solo dal largo impiego delle stesse nella prassi contrattuale internazionale, discendente dalla necessità di preservare l'interesse alla stabilità del vincolo, ma anche da indicazioni normative provenienti dal diritto uniforme, ed in particolare dagli art. dagli art. 8:109 PECL e 3:105 del Draft Common Frame of reference.

E, infatti, dal coordinamento delle suindicate norme può inferirsi il principio secondo cui è ammissibile una esclusione o limitazione convenzionale delle tutele sinallagmatiche avverso l’inadempimento a condizione che la relativa previsione non sia contraria a buona fede e correttezza.

Purtuttavia, l’assenza di una specifica disciplina codicistica sul punto, unitamente al generico riferimento alla buona fede quale limite esplicito delle clausole di unico rimedio, induce chi scrive, per ragioni di coerenza sistematica, a propendere per l’inammissibilità delle stesse, in quanto idonee a pregiudicare l’interesse della parte non inadempiente.

5. Le deroghe convenzionali ai presupposti di attivazione del rimedio risolutorio: le clausole “di aggravamento” e le clausole “di alleggerimento”

Occorre chiedersi se sia consentito alle parti incidere sui presupposti di attivazione del rimedio risolutorio rendendoli più gravosi o meno gravosi, e in particolare sul presupposto dell’importanza[34] dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.

La soluzione del quesito non può che muovere dalla ratio della norma de qua, che è volta ad escludere la rilevanza di un inadempimento di modesto rilievo. In tale prospettiva vanno analizzate separatamente le clausole “di aggravamento” e le clausole “di alleggerimento” del presupposto della non scarsa importanza rilevante ai fini dell’attivazione del rimedio risolutorio.

In ordine alle clausole di aggravamento, non è superfluo rilevare una certa contiguità delle stesse con le clausole escludenti l’attivazione del rimedio risolutorio, in quanto, all’atto pratico, si risolvono nell’esclusione del rimedio in parola nel caso di mancata integrazione della soglia di rilevanza fissata convenzionalmente.

La contiguità rilevata, lungi dall’essere meramente nominalistica, porta a ritenere che le clausole di aggravamento siano ammesse negli stessi limiti in cui siano ammesse le clausole escludenti, e dunque solo a condizione che non siano esclusi gli altri rimedi sinallagmatici. Solo in tal modo, infatti, si preserva l’interesse della parte non inadempiente a fronte dell’altrui inadempimento.

Accanto alle clausole di aggravamento si collocano le suindicate clausole “di alleggerimento” del presupposto della non scarsa importanza, che possono condurre all’attivazione del rimedio risolutorio anche a fronte di un inadempimento di scarsa importanza.

L’ammissibilità delle clausole de quibus sembra discendere dall’art. 1456 c.c.[35] attraverso cui le parti convenzionalmente possono attribuire rilievo risolutorio a inadempimenti “lievi”, purché riferibili a una o più obbligazioni specifiche.

6. I rimedi risolutori “atipici”: la condizione di inadempimento

Nel novero dei rimedi risolutori “atipici” rientra la condizione di inadempimento[36], ossia la clausola con cui le parti deducono quale evento condizionale risolutivo la non esecuzione della prestazione dovuta.

Trattasi di un rimedio funzionalmente diretto ad ovviare alle anomalie insite nella tutela risolutoria ordinaria, che preclude, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1458 c.c., l’opponibilità della risoluzione ai terzi acquirenti.

In tale prospettiva la condizione di inadempimento consente al creditore insoddisfatto il recupero della prestazione eseguita, anche in danno dei successivi aventi causa dell'inadempiente, che alla luce dell’art. 1357 c.c., sono esposti alla caducazione del proprio sub-acquisto, a seguito del verificarsi dell’evento condizionale.

Discussa è l’ammissibilità di tale fattispecie. Al riguardo occorre rilevare che una parte della dottrina[37] nega cittadinanza giuridica alla stessa, muovendo dalla considerazione che l’evento dedotto in condizione non può riguardare né gli elementi costitutivi, né l'esecuzione del contratto. E, infatti, se un determinato risultato rientra nel programma contrattuale, la sua realizzazione afferisce all’impegno della parte. Per cui la mancata realizzazione di tale risultato si atteggia quale inadempimento.

Di converso[38] se le parti fanno dipendere la risoluzione del contratto dalla condizione del mancato pagamento del prezzo, lasciando al compratore la facoltà di effettuarlo o meno, il mancato pagamento del prezzo non costituisce inadempimento, ben potendo la prevista condizione costituire la concessione di un diritto di recesso[39].

All’inammissibilità della condizione di inadempimento perviene anche un’altra corrente ermeneutica[40] muovendo dalla considerazione che tale figura vanifica in concreto la disciplina della risoluzione del contratto e delle sue conseguenze[41].

Altro indirizzo interpretativo[42] ,invece, fonda l’ammissibilità di tale controversa fattispecie sulla distinzione tra momento programmatico e momento esecutivo nella dinamica contrattuale, ed in particolare sulla considerazione che la condizione può avere ad oggetto l’adempimento o l’inadempimento in quanto  il momento esecutivo presenta, come ogni attuazione di un programma, i caratteri dell’accidentalità, dell’estrinsecità e della futurità, tipici della condizione stessa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Talvolta è la stessa legge, con talune previsioni, ad incidere sulla disciplina codicistica della risoluzione, modulandone i presupposti di attivazione o negando l'ammissibilità del rimedio. Nel primo senso si pensi alla somministrazione, ove l'attivazione del rimedio risolutorio è subordinato alla sussistenza di un inadempimento di notevole importanza, "tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti". Si pensi ancora al contratto di appalto in relazione al quale, in forza del c. 2 art. 1668, l'attivazione del rimedio risolutorio e' subordinata alla sussistenza di difformità o vizi dell'opera "tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione". L'esclusione ex lege del rimedio risolutorio opera invece nel caso di rendita vitalizia nell'ipotesi di mancato pagamento delle rate.

[2] Sono sinallagmatici o corrispettivi quei contratti in cui le reciproche prestazioni contrattuali sono legate da un nesso detto sinallagma, che ne spiega la sorte comune. Sui contratti sinallagmatici si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 534 e ss.; C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 443 e ss.

[3] L’inadempimento consiste nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta e si concreta in un fatto lesivo dell'interesse del creditore all’ottenimento della medesima. Sull’inadempimento F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 637 e ss.; C.M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 2012, p. 1 e ss.; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2021, p. 456 e ss.

[4] G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 147 e ss.; E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1955, p. 131.

[5] R. SACCO, Il contratto, in Tratt. Vassalli, p. 936.

[6] Sul fondamento della risoluzione si vd. F. GAZZONI, op. cit., p. 1027, il quale nega rilevanza al problema osservando che "è nella logica delle cose eliminare gli effetti di un contratto restato lettera morta".

[7] La risoluzione secondo F. GAZZONI, Manuale di Diritto privato, Napoli, 2019, p. 1023, è un rimedio che consente di reagire avverso vizi sopravvenuti idonei ad alterare il sinallagma funzionale e dunque l'equilibrio delle prestazioni reciproche. Vizi che avrebbero causa in un comportamento delle parti (inadempimento) o in eventi non imputabili e non prevedibili che condurrebbero alla mancata realizzazione degli interessi dei contraenti.

[8] La risoluzione in passato era ricostruita come difetto funzionale della causa. Tale tesi tuttavia non coglie nel segno in quanto il difetto della causa (che è elemento costitutivo del contratto) conduce alla nullità del contratto e non già alla risoluzione, inserendosi nella fase genetica del contratto (mentre tale ultimo rimedio attenendo alla fase di esecuzione del contratto costituisce uno strumento di reazione a vizi sopravvenuti e non già originari. Nello stesso senso si segnala anche F. GAZZONI, op. cit., p. 1027.

[9] Sul rapporto tra azione di adempimento e risoluzione si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 688; F. GAZZONI, op. cit., p. 1025.

[10] M. D'AURIA, Il patto di irresolubilita': profili problematici, in Giust. Civ., 2013, p. 1738.

[11] In generale il termine risoluzione indica lo scioglimento del vincolo contrattuale, che costituisce un effetto che accomuna figure diverse: mutuo dissenso (risoluzione convenzionale), recesso, condizione risolutiva, risoluzione. In una seconda accezione il termine suindicato indica uno specifico rimedio contrattuale “caducatorio” che consente di ovviare ad alterazioni sopravvenute del sinallagma funzionale di contratti a prestazioni corrispettive. Sulla risoluzione per inadempimento in generale si vd. L. GUAGLIONE, Il contratto, Torino, 2018, p. 441 e ss.; C.M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 2012, p. 283 e ss.; U. CARNEVALI, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., Il contratto, Milano, 2021, p. 1076 e ss.

[12] Sembrano escludere l'ammissibilità del patto di irresolubilita' M.C. DIENER, Il contratto in generale, Milano, 2015, p. 825, secondo la quale "un contratto che escludesse la risoluzione per inadempimento finirebbe con l'escludere la causa stessa, se è vero, come più volte si è detto, che il rimedio in esame presuppone, a tutela dei contraenti, il venir meno della causa al momento della sua funzione (mancanza funzionale della causa)" nonché F. GAZZONI, op. cit., p. 1023, che perviene a tale esito interpretativo muovendo dalla considerazione che tale clausola sarebbe idonea a vanificare il sinallagma funzionale.

[13] L'ammissibilità delle clausole de quibus, poggia sull'assunto secondo cui (L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012, p. 194 e ss.; F. DELFINI, I patti sulla risoluzione per inadempimento, p. 61 e ss., Milano, 1998) il rimedio risolutorio non è l'unico in grado di assicurare la tutela del contraente non inadempiente a fronte dell'altrui inadempimento. Ed infatti, lo stesso art. 1453 cod. civ., prevedendo l'azione di esatto adempimento e l'azione risarcitoria assicura a tale soggetto sia una tutela in forma specifica che per equivalente. Tale previsione normativa consentirebbe di evitare, nei rapporti contrattuali cui accedono tali clausole, un ingiustificato squilibrio. Pertanto, sulla base di tale assunto, è stata affermata la validità delle clausole di irresolubilita', atteso che la rinunzia preventiva alla tutela risolutoria (caducatoria), non precluderebbe alla parte inadempiente l'attivazione dei rimedi de quibus, idonei ad assicurare la tutela del proprio interesse. Nondimeno, la tutela di tale interesse richiede che la piena validità delle clausole de quibus poggi sulla possibilità per il contraente non inadempiente di poter effettivamente attivare tali rimedi sinallagmatici.

[14] Diverse norme, come gli art. 1453, 1564, 1480, prevedendo la facoltà per la parte non inadempiente di attivare il rimedio risolutorio, consentono di ritenere che lo stesso sia funzionale a tutelare l'interesse di tale parte.

[15] Tanto si desume anche da un risalente precedente giurisprudenziale (Cass. Civ., n. 2324/1965, in Foro It., 1966, I), con cui la Suprema Corte affermò la nullità della clausola escludente il rimedio risolutorio nel caso in cui fosse stata esclusa al tempo stesso l'attivazione del rimedio risarcitorio. Alla base di tale condivisibile prospettazione giurisprudenziale l'assunto secondo cui, il patto determinante la rinunzia ai suindicati rimedi sinallagmatici, eliderebbe la stessa causa del contratto, non consentendo al contraente non inadempiente la possibilità di attivare strumenti volti a ristabilire l'equilibrio sinallagmatico compromesso dall'altrui inadempimento.

[16] L’azione di risoluzione costituisce un rimedio caducatorio riconosciuto alla parte non inadempiente a fronte dell'inadempimento della controparte nei contratti sinallagmatici - corrispettivi.  Trattasi di un rimedio attivabile in presenza di un “grave inadempimento”, così come statuito all’art. 1455 c.c. Ne consegue che l’inadempimento non grave può legittimare solo una richiesta risarcitoria. Controversi sono i rapporti tra azione di adempimento e azione di risoluzione. In particolare l’azione di adempimento costituisce un rimedio manutentivo, in quanto consente la conservazione del vincolo contrattuale, mentre l’azione di risoluzione (giudiziale) per inadempimento costituisce un rimedio caducatorio, atteso che in caso di accoglimento si realizza la caducazione retroattiva del vincolo contrattuale. In forza del c. 2 dell’art. 1453 c.c. una volta domandato l’adempimento è ammissibile la mutatio della domanda di adempimento in domanda di risoluzione. Nel caso in cui invece è domandata la risoluzione del contratto, è inammissibile una mutatio della domanda di risoluzione in domanda di adempimento, in quanto con tale domanda la parte ha manifestato il venir meno dell’interesse al mantenimento del vincolo contrattuale. In posizione complementare rispetto all’azione di adempimento o all’azione di risoluzione si colloca il rimedio risarcitorio, che assolve tuttavia ad una diversa funzione a seconda che acceda all’uno o all’altro rimedio. Infatti in caso di azione di adempimento il risarcimento del danno assolve alla funzione di riparare il danno da ottenimento tardivo della prestazione. Nel caso di azione di risoluzione invece il risarcimento del danno copre il danno derivante dal mancato ottenimento della prestazione.

[17] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 696; C.M. BIANCA, op. cit., p. 384 e ss.; V. ROPPO, op. cit., p. 926 e ss.; U. CARNEVALI, op. cit., p. 1098.

[18] Nutre dubbi in ordine alla riconduzione delle clausole de quibus all'art. 1462 anche L. GUAGLIONE, Il contratto, Torino, 2018, p. 455, secondo cui "in linea di principio, non sembra un criterio pienamente soddisfacente ritenere che ciò che non è dal legislatore vietato, allora sia permesso".

[19] Il riferimento è a Cass. n. 3866 del 1980, con cui la Suprema Corte, oltre a ricondurre il patto di rinuncia preventiva all'azione di risoluzione all'art. 1229 c.c., afferma che lo stesso deve risultare da manifestazione espressa di volontà o da comportamento concludente. Orientamento questo che par confermato da una successiva pronuncia della Cassazione, la n. 6225/1994, in BBTC, 1995, II, p. 467.

[20] Non è superfluo rilevare che la riconduzione delle clausole di irresolubilita' all'art. 1229 c.c. è condivisa anche dalla più recente giurisprudenza (Cass. n. 7054/2012; Cass. n. 5033/2013), sebbene in un isolato precedente (Cass. n. 1086/1988, in Riv. dir. civ., 1988, II, p. 577, con nota di P. VITUCCI, Ogni ritardo sarà considerato di scarsa importanza) la Suprema Corte affermi la nullità del patto di "evitanda risoluzione", attesa l'inammissibilità dell'esclusione convenzionale del rimedio risolutorio tenuto conto dell'art. 1455 c.c., costituente norma "impermeabile" alla volontà delle parti.

[21] F. DELFINI, op. cit., p. 77.

[22] Sulla riconduzione della clausola di irresolubilita' al disposto di cui all'art. 1229 c.c. si vd. L. MOSCO, La risoluzione del contratto, p. 263 e ss.

[23] Il riferimento è a G. AMADIO, Studio n. 160-2020/C - Le deroghe convenzionali alla disciplina della risoluzione per inadempimento, in Studi e Materiali, 2020, p. 385 e ss.

[24] Sull'azione di esatto adempimento si vd. C.M. BIANCA, La responsabilità, 2012, p. 263 e ss.; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 687.

[25] G. AMADIO, op. cit., p. 385 e ss.; ID., voce Contrattualita' successoria, in Enc. dir., Il contratto, Milano, 2021, p. 495.

[26] Sul punto G. GABRIELLI, Dilazione del termine per l'adempimento di un contratto preliminare e sopravvenuta infermità mentale di una delle parti, in Dir. giur., 1972, II, p. 262.

[27] G. AMADIO, voce Contrattualita' successoria, in Enc. dir., Il contratto, Milano, 2021, p. 496.

[28] C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 169 e ss.

[29] Questa sembra essere la conclusione interpretativa cui addiviene G. AMADIO, op. cit., p. 385 e ss.

[30] G. DE NOVA, Validità ed effetti di alcune clasuole del commercio internazionale, in Riv. Comm. Intern., 2022, p. 237 e ss.

[31] Sull'atteggiarsi del rimedio risarcitorio, che può accedere o alla tutela manutentiva (azione di adempimento) o alla tutela caducatoria (azione di risoluzione) si veda A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, (a cura di) F. Anelli e C. Granelli, Milano, 2021, p. 688.

[32] F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, in Nuove leggi civili comm., 2014, p. 576-577.

[33] G. AMADIO, op. cit., p. 385 e ss.

[34] Sulla gravità dell'inadempimento C.M. BIANCA, La responsabilità, 2012, p. 295 e ss.

[35] In ordine alla clausola risolutiva espressa si vd. F. GAZZONI, op. cit., p. 1029, secondo cui l'inadempimento "risolutorio" può non esser grave, in quanto non trova applicazione l'art. 1455 c.c., essendo rimessa al giudizio delle parti la valutazione circa l'importanza o meno dello stesso.

[36] Come rileva M.C. DIENER, op. cit., p. 438, “la condizione risolutiva di inadempimento non tocca il profilo funzionale della causa, né altera il sinallagma, anzi lo rafforza ponendo un ulteriore nesso tra le prestazioni”.

[37] C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 496 e ss.

[38] C.M. BIANCA, op. cit., p. 497.

[39] Cass. sent. n. 17859/2003.

[40] A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, p. 643 e ss.

[41] In giurisprudenza per la soluzione negativa si vd. Cass. 17859/2003; per la soluzione positiva Cass. 24299/2006.

[42] M.C. DIENER, op. cit., p. 437 e ss.