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Pubbl. Mer, 24 Ago 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Transizione energetica e fonti rinnovabili: vecchi contenziosi, nuovo quadro normativo, riforma costituzionale e attuale scenario ambientale e geopolitico

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Giacomo Vivoli
Professore incaricatoUniversità degli Studi di Firenze



Gli impianti per la produzione da fonte rinnovabile sono un elemento importante per la realizzazione degli obiettivi di politica ambientale rappresentando uno degli esempi più limpidi di sviluppo sostenibile e di decarbonizzazione; tuttavia la loro realizzazione sembra ancora incontrare ostacoli di natura più culturale che propriamente giuridica; dopo aver ricostruito, prendendo spunto da una serie di sentenze che hanno visto coinvolta la Regione Basilicata, le dinamiche del contenzioso costituzionale, il presente contributo analizza le principali novità legislative e come si inseriscono nell´attuale contesto ambientale e geopolitico


ENG

Transition energy and renewable sources: old disputes, new legal framework, constitutional reform and current environmental and geopolitical scenario

Plants for the production of energy from renewable sources are an important element for the achievement of environmental policy objectives, representing one of the clearest examples of sustainable development and decarbonisation; however, their realisation still seems to encounter obstacles of a more cultural than strictly legal nature; after having reconstructed the dynamics of the constitutional dispute, taking a cue from some decisions involving Basilicata Region, this paper highlights main legal changes and how they fit into current environmental and geopolitical scenario

Sommario: 1. Un breve sguardo d’insieme: overview ambientale e geopolitica; 2. La conferma del filone giurisprudenziale: la sentenza n. 121/2022 della Corte costituzionale; 3. Le precedenti sentenze lucane della Corte costituzionale; 4. Il nuovo quadro normativo; 5. L’endoconflitto ecologico tra ambiente e paesaggio nel nuovo art. 9 della Costituzione; 6. Le principali novità  legislative in evidenza; 7. Conclusioni.

1. Un breve sguardo d'insieme: overview ambientale e geopolitica

L’attuale scenario ambientale vede il continente europeo particolarmente colpito da fenomeni che sembrano legarsi indissolubilmente ai cambiamenti climatici; nel Regno Unito si registrano per la prima volta temperature oltre i 40 gradi[1] ed è scattata una emergenza negli stati del sud-ovest europeo con incendi che hanno interessato Spagna, Portogallo, Grecia e Francia; l’Italia sta affrontando una delle più grandi siccità mai registrate con danni incalcolabili al settore agricolo e non solo; a questo occorre aggiungere anche il mutato scenario economico e geopolitico con l’impennata del costo dell’energia e la crisi in Ucraina con le conseguenti incertezze sui futuri approvvigionamenti di gas russo[2].

La transizione energetica è una delle vie che devono essere percorse per riuscire ad affrontare le complesse sfide ambientali che il futuro pone davanti e uno dei settori su cui è necessario concentrare gli sforzi è quello della produzione di energia da fonte rinnovabile.

Proprio allo scopo di accelerare progetti e investimenti, una serie di recenti interventi legislativi hanno modificato la disciplina di installazione degli impianti da fonte rinnovabile (impianti FER); al fine di poterne apprezzare le novità il presente contributo, prendendo spunto da una recente sentenza in materia, ricostruisce, almeno nelle linee essenziali, le coordinate generali in cui si è presentato, storicamente, il contenzioso tra Stato e Regioni davanti alla Corte costituzionale.

La sentenza n. 121/2022 si inserisce in un filone della giurisprudenza costituzionale consolidato e pertanto gli spunti di riflessione sono da ricercarsi in quello che appare un certo “anacronismo” rispetto alle dinamiche che caratterizzano l’attuale scenario; oltre a delineare gli elementi essenziali del nuovo quadro normativo ed evidenziare le scelte innovative si svilupperanno anche alcune riflessioni su come proprio l’attuale scenario ambientale e geopolitico possa risultare, più che l’innovazione legislativa, una forza “persuasiva” a lubrificare un settore tanto vitale per il futuro quanto insabbiato da resistenze sociali all’installazione di impianti FER legate principalmente, anche se non esclusivamente, alla tutela del paesaggio; anche alla luce della recente revisione dell’art. 9 della Costituzione, qualche osservazione verrà infine dedicata all’antagonismo tra protezione dell’ambiente e tutela del paesaggio che l’installazione di impianti FER mette emblematicamente in evidenza.

2. La conferma del filone giurisprudenziale: la sentenza n. 121/2022 della Corte costituzionale

Con la recente sentenza n. 121/2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1, lettere a) e b), e dell’art. 2, co. 1, 2 e 3, della legge n. 30 del 26 luglio 2021 della Regione Basilicata[3]; il giudizio era stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 117 co. 1 e 3 della Costituzione.

Le prerogative statali venivano ritenute lese in quanto le disposizioni regionali avrebbero violato sul piano della disciplina europea il principio di massima diffusione delle fonti di energia prodotte da fonti rinnovabili[4]; inoltre, sul piano interno, la disciplina sarebbe stata in contrasto con i principi fondamentali della materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ex art. 117 co. 3 della Costituzione.

Le disposizioni impugnate andavano a modificare la disciplina dei requisiti tecnici minimi in materia di impianti fotovoltaici (art. 1) e di impianti eolici (art. 2); obiettivo specifico del legislatore regionale erano gli impianti di grande generazione.

In relazione alle disposizioni relative agli impianti fotovoltaici le doglianze statali puntavano sulla individuazione per via legislativa di preclusione assolute e aprioristiche, prescindendo quindi da ogni accertamento in sede amministrativa che rappresenta invece, come ricordato poi anche dalla Corte, il luogo adeguato dove verificare «se l’impianto così come effettivamente progettato, considerati i vincoli insistenti sull’area, possa essere [davvero] realizzato»[5].

Censura che la Corte, inserendosi il caso in un solco arato da tempo, non ha alcun problema ad accogliere dichiarando l’incostituzionalità delle disposizioni lucane per violazione dei principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia nonché delle linee guida adottate con d.m. 10 settembre 2010 quali espressione della leale collaborazione tra Stato e Regioni[6].

Infatti, in concreto, quello che si otteneva con le modifiche alle previsioni del PIEAR[7], seppure in base ad una articolata ricostruzione ermeneutica, era di rendere più stringenti alcuni requisiti tecnici minimi per gli impianti fotovoltaici di grande generazione; in particolare mentre per le cd «aree brownfield»[8] restava confermato il preesistente limite di potenza massima di 10 MW, per le «aree greenfield» veniva invece introdotto un nuovo limite di 3 MW fatta salva soltanto l’eventuale possibilità di concedere un aumento del 20% della potenza «qualora i progetti comprendano interventi a supporto dello sviluppo locale, commisurati all’entità del progetto ed in grado di concorrere, nel loro complesso, agli obiettivi del P.I.E.A.R»[9].

Per quanto riguarda in particolare gli impianti eolici la disposizione censurata introduceva anche un ulteriore aggravio amministrativo imponendo come previsione obbligatoria da integrare nel progetto dell’impianto uno studio anemologico con rilevazioni di almeno tre anni consecutivi; è evidente che una richiesta del genere creava condizioni più onerose generando una barriera aggiuntiva di natura documentale nella fase dell’accesso all’iter autorizzativo.

La legislazione lucana può essere collocata tra quelle che, come risultato pratico, introducono esclusioni aprioristiche sui siti dove localizzare impianti FER  - nella parte dove veniva ritoccata la disciplina relativa ai requisiti tecnici minimi degli impianti di grande generazione sia fotovoltaici (art. 1), sia eolici (art. 2) - oppure aggiungono aggravi procedimentali nell’iter per il rilascio della loro autorizzazione (lo studio anemologico per il loro utilizzo).

La strada legislativa regionale “proibizionista” si è sempre dimostrata via inadeguata per superare il vaglio di costituzionalità in quanto la giurisprudenza del giudice delle leggi in materia di localizzazione e autorizzazione di impianti FER sia per il riparto delle competenze legislative ex art. 117 Cost., sia per la disciplina normativa - almeno da quando sono state approvate, seppur in evidente ritardo, le Linee guida con il d.m. del 10 settembre 2010 - risulta da tempo pacifica e consolidata.

Le disposizioni legislative che riducono i siti eleggibili si traducono in una violazione dei principi fondamentali in materia di energia e si dimostrano apertamente in contrasto con il principio di massima diffusione delle energie da fonti rinnovabili che, invece, spinge nella direzione diametralmente opposta ossia quella di incrementare il più possibile la produzione di energia da impianti FER.

In particolare è la definizione per via legislativa in luogo della sede amministrativa che concretizza la violazione delle competenze costituzionali; le disposizioni finiscono con il cristallizzare in legge requisiti che, condizionando in modo significativo lo spazio valutativo in sede di procedimento amministrativo, si pongono in contrasto con i principi fondamentali della materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»[10].

L’interesse a potenziare le fonti rinnovabili legittima anche il legislatore statale a individuare regole per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione che «non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale»[11] in quanto volte a bilanciare «interessi di fondamentale rilevanza assiologica»[12].

Al fine di fornire un inquadramento più ampio della recente decisione si ritiene opportuno richiamare altri recenti precedenti che hanno sempre visto la Corte costituzionale dichiarare l’illegittimità costituzionale di disposizioni legislative lucane con caratteristiche assimilabili a quelle oggetto del giudizio appena analizzato; infatti, come evidenziato anche nella sentenza n. 121/2022, le disposizioni impugnate incorporavano «il medesimo vizio che questa Corte ha già in passato ravvisato con riferimento a ulteriori norme, emanate sempre dalla Regione Basilicata, che parimenti prevedevano requisiti inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili (sentenze n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019)».

3. Le precedenti sentenze lucane della Corte costituzionale

Nella sentenza n. 86/2019, all’interno di contenzioso più ampio[13], vengono affrontate anche questioni in materia di impianti FER; in particolare, in uno dei motivi di ricorso, lo Stato censurava l’art. 20 della L.rg. Basilicata n. 19/2017 che, in sostanza[14], aggiungeva un comma all’art. 2 della L.rg. 54/2015 prevedendo che «[n]ei buffer relativi alle aree e siti non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel rispetto delle modalità e prescrizioni indicate nel comma 1 del presente articolo».

A giudizio del ricorrente la disposizione si poneva sia in contrasto con l’art. 117 co. lett. s), nonché con i principi fondamentali in materia di energia.

La Corte ricostruisce nella sentenza n. 86/2019 il quadro normativo di riferimento chiarendo, con efficace sintesi, come debba configurarsi il corretto assetto dei poteri; in particolare rammenta come la disciplina delle aree non idonee per la localizzazione di impianti FER si ponga al “crocevia” tra la “materia” tutela dell’ambiente e quella della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e come per i principi fondamentali di quest’ultima occorra far riferimento sia al d.lgs. n. 387/2003[15] e, segnatamente, all’art. 12[16], sia alle Linee guida adottate con d.m. del 10 settembre 2010[17]; queste ultime, espressione della leale collaborazione in quanto elaborate in sede di Conferenza unificata, costituiscono «in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria, e indicano le specifiche tecniche che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale»[18].

Il bilanciamento tra interessi ambientali e esigenze connesse alla produzione dell’energia deve avvenire all’interno della c.d. “ponderazione concertata”[19]; decisivo risulta il contenuto del par. 17 in quanto ad esso rimandano le linee guida per l’individuazione delle aree non idonee[20] e, in particolare dove viene specificato che la loro identificazione spetti alla regione a seguito di una istruttoria «avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione»[21]; risulta quindi abbastanza evidente come, in ogni caso, al fine di soddisfare le condizioni imposte dell’istruttoria, le aree non idonee non possono che essere individuate all’interno di un atto di programmazione[22]

Nel suo complesso il sistema di regolazione appare sufficientemente delineato; il favor per l’incremento di produzione da impianti FER, “imposto” anche per obblighi internazionali e sovranazionali, produce una sorta di inversione dell’onere della prova; infatti, almeno come regola generale, tutto il territorio viene potenzialmente concepito come adatto per la localizzazione degli impianti; è in questo che si concretizza il principio di massima diffusione delle energie da fonti rinnovabili che pervade la disciplina; principio che, sviluppatosi in seno a tale nicchia e avendo quindi una portata più ristretta dei classici e tradizionali principi ambientali, si traduce (o almeno dovrebbe tradursi) in una presunzione di idoneità di tutto il territorio regionale salvo, eccezionalmente, le aree non idonee.

Questa presunzione di fattibilità non impedisce infatti alle regioni di selezionare aree che, per diversi motivi, non sono da ritenersi compatibili con l’installazione di un impianto FER; ma tale individuazione può avvenire solo se vengono soddisfatte alcune precise regole procedurali “condivise” nelle Linee guida.

E, in particolare, l’identificazione di aree non idonee può avvenire solo attraverso atti di programmazione e previa adeguata istruttoria e non, invece, astrattamente sul piano legislativo; inoltre tale scelta deve risultare coerente e compatibile con gli obiettivi regionale di incremento dell’energia prodotta da impianti FER.

Per comprendere meglio quest’ultimo aspetto può essere utile ricostruire il quadro degli impegni assunti dall’Italia nel contesto storico del contenzioso risolto con la sentenza n. 86/2019; l’art. 2, co. 167 della L. 244/2007 aveva fissato l’impegno ad emanare di uno o più decreti con l’obiettivo di definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili rispetto all’obiettivo concordato con l’UE.

A sua volta, in base alla direttiva 28/2009, l’Italia si era impegnata a raggiungere un obiettivo nazionale di incremento del 17% del consumo interno lordo entro il 2020; il decreto del MISE (cd “Burding sharing”), emanato il 15 marzo 2012, ha poi definito e quantificato per ogni regione gli obiettivi intermedi e finali che ognuna avrebbe dovuto conseguire in modo da permettere il raggiungimento dell’obiettivo[23].

A questo punto si pone l’ulteriore esigenza di coniugare gli obiettivi regionali di incremento di produzione di energia da impianti FER con l’individuazione delle aree non idonee; è necessario cioè che sia riscontrabile una certa compatibilità e coerenza tra il raggiungimento degli obiettivi a livello regionale e l’individuazione delle aree non idonee; obbligo peraltro chiaramente recepito anche all’interno delle Linee guida[24].

Infine si osservi come, a conferma della presunzione di fattibilità, l’individuazione regionale di aree non idonee non genera in sé un automatico impedimento all’installazione di impianti FER; difatti, come precisato anche nelle Linee guida, l’indicazione non determina il divieto alla realizzazione del progetto ma solo che in quell’area sono state rilevate peculiari esigenze di protezione recepite nell’atto di programmazione; la non idoneità è quindi un “monito” fondato sul fatto che la ricognizione sul territorio avrebbe rilevato peculiarità paesaggistiche e ambientali di rilevanza tale da rendere altamente probabile che l’iter amministrativo con cui si richiede l’autorizzazione alla realizzazione del progetto si concluda con esito negativo[25].

Seppure quindi il “segnale” al mercato sia decisamente forte, ciò non incide sulla qualificazione giuridica dell’individuazione di area come non idonea in quanto non determina in sé un vincolo che impedisce, sempre e comunque, l’installazione di un impianto FER; in sintesi area non idonea, rimarcando il principio di massima diffusione della produzione di energia da fonte rinnovabile, non può assumere la veste di un aprioristico divieto assoluto.

La non idoneità assume quindi più la natura economica del disincentivo a presentare progetti in tali zone oppure che debbono essere presentati progetti che dimostrano particolare attenzione alle esigenze di quella particolare area  ma in ogni caso, ed è questo il punto giuridico, il rifiuto può giungere solo a conclusione di un procedimento amministrativo; non è superabile il fatto che resta comunque necessaria una valutazione “caso per caso” da svolgersi nell’unica sede dove possano emergere e si possano valutare, sincronicamente e in maniera adeguata, tutti gli interessi pubblici e privati che gravitano sul progetto.

Per tornare alla disposizione regionale censurata risulta evidente come questa invece risulti del tutto incompatibile con tutto il quadro normativo e in aperto contrasto con i principi fondamentali fissati nelle Linee guida perché dispone «in via generale e unilaterale, senza istruttoria e senza un’adeguata valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale»[26].

Peraltro si osservi come la disposizione regionale non possa nemmeno inquadrarsi tra quelle che esprimono un chiaro intento “protezionistico” in quanto si limitava a prevedere una teorica autorizzazione ad installare impianti FER nelle aree di rispetto (cd buffer); più che una lesione del principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili la decisione evidenzia  l’inadeguatezza dell’utilizzo dello strumento legislativo in quanto tale.

Con motivazioni simili viene affrontato e risolto il secondo motivo di ricorso dove venivano impugnati[27] gli artt. 1, co. 1 e 2, co. 1 della L.rg. 21/2017 nonché dell’allegato D aggiunto alla L.rg. 54/2015; in questo caso il legislatore lucano otteneva il risultato di individuare, sempre per via legislativa, sia le aree idonee che quelle non idonee per gli impianti FER sino 1 MW.

Anche in questo caso la Corte, ricalcando le motivazioni già addotte, punisce «la fissazione in via generale e unilaterale [da parte della Regione], senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale»; nel caso di specie peraltro, oltre alla violazione dei criteri fissati dalle Linee guida viene ravvisato anche quella dell’impegno assunto con il Protocollo d’intesa raggiunto il 14 settembre 2011 in attuazione dell’art. 145, co. 2 del d.lgs. n. 42/2004.

Nella stessa sentenza la Corte si trova ad affrontare anche l’altra strada “proibizionista” regionale che si realizza, a volte cumulandosi con il profilo di inidoneità localizzativa, tramite l’introduzione di aggravi amministrativi; difatti il Presidente del Consiglio dei ministri aveva impugnato anche l’art. 5 della L.rg. Basilicata n. 21/2017[28] nella parte in cui estendeva l’applicazione della procedura amministrativa semplificata (PAS) agli impianti fotovoltaici di potenza fino a 200 kW; se da un lato l’art. 6 co. 9 del d.lgs. n. 28/2011 concedeva esplicitamente tale possibilità[29], la disposizione regionale dettava però condizioni aggiuntive per poter accedere alla PAS in assenza delle quali diventava obbligatoria la procedura amministrativa più gravosa ossia l’autorizzazione unica.

Occorre ricordare come il legislatore statale con il d.lgs. 28/2011, all’interno di una cornice di obblighi UE[30], abbia definito un quadro di regole per la costruzione e l’esercizio di impianti FER; al fine di favorirne lo sviluppo sono state individuate e disciplinate procedure amministrative ad hoc differenziate in modo da bilanciare, in funzione degli impatti dell’impianto, esigenze di semplificazione con i relativi controlli da parte delle autorità competenti; si va dalla più complessa “autorizzazione unica”[31] sino ad una semplice “comunicazione”[32] passando, come via intermedia, dalla PAS[33].

La censura statale era pertanto volta ad evidenziare come la disposizione regionale, introducendo condizioni aggiuntive per la PAS non previste dalla disciplina nazionale, finiva con il rendere più gravoso l’iter amministrativo.

Sia che si parli di inidoneità localizzativa, sia che si tratti di aggravi amministrativi non mutano le coordinate costituzionali in cui la Corte inquadra la materia in quanto, richiamando anche propri precedenti[34], afferma come «la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili rientra, oltre che nella materia “tutela dell’ambiente”, anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387 del 2003 e, in specie, dall’art. 12» .

Nel merito della questione, la Corte ritiene fondata la doglianza statale in quanto, dopo aver ricordato anche l’influsso determinante della normativa europea, la disposizione regionale, introducendo ingiustificati aggravi per la realizzazione di impianti FER, risulta in contrasto con il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili.

Nella successiva sentenza n. 286 del 2019 la Corte, all’interno di un contenzioso ampio e complesso, affronta e risolve questioni sostanzialmente simili e con motivazioni pressoché analoghe; ritenendo superfluo approfondire tutti i dettagli della decisione ci limitiamo a porre in evidenzia quanto si ritiene utile ai fini del presente contributo.

In particolare viene dichiarata incostituzionale una disposizione regionale lucana[35] che fissava per via legislativa distanze minime tra gli impianti eolici o fotovoltaici non previste dalla disciplina statale[36]; si ha quindi violazione dei principi fondamentali della materia energia e, segnatamente, dell’art. 12 del d.lgs 387/2003 nonché delle Linee guida; rimarca la Corte come la previsione di divieti aprioristici in via legislativa, «specie nella forma delle distanze minime», rappresenta un evidente contrasto con il principio di massima diffusione delle fonti di energie rinnovabile.

Viene dichiarata anche l’incostituzionalità della disposizione che prevedeva, per gli impianti fotovoltaici, la disponibilità di una superficie che sia almeno il triplo di quelle del generatore; tale condizione aggiuntiva rappresenta per la Corte un aggravio procedimentale ingiustificato anch’esso in contrasto con il principio appena richiamato[37].

Da segnalare come la Corte abbia ritenuto invece infondata la doglianza statale rivolta sull’art. 6 co. 2 della L.rg. 8/2012 come sostituito dall’art. 32 della L.rg. 38/2018; la disposizione imponeva l’autorizzazione unica (in luogo della più semplice PAS) qualora due o più impianti FER con potenza singola inferiore a 200 kW superassero però tale soglia cumulando la loro potenza complessiva; il legislatore regionale aggiungeva l’ulteriore verifica che tali impianti «siano riconducibili ad un solo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, ovvero siano riconducibili allo stesso centro decisionale ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile o per qualsiasi altra relazione sulla base di univoci elementi che fanno presupporre la costituzione di un’unica centrale eolica ovvero fotovoltaica».

Letta nel suo complesso la disposizione regionale non implica alcun contrasto con le disposizioni statali e con il quadro delle competenze costituzionali in quanto, lungi dall’introdurre aggravi amministrativi, mira semmai ad evitare comportamenti elusivi tramite artificiosi frazionamenti progettuali al fine di evitare per il proponente il procedimento amministrativo più gravoso; la disposizione è pertanto ispirata solo a finalità antielusive e non contrasta con alcuna disposizione statale ma anzi costituisce specifica attuazione delle Linee guida.

Anche la sentenza n. 106 del 2020 si pone senza soluzione di continuità con le precedenti; limitandosi a porre in evidenza gli aspetti essenziali,  viene ribadita l’impossibilità di fissare per legge distanze minime non previste dalla disciplina statale e che si debba necessariamente seguire la via amministrativa; nelle parole della Corte, «[s]ul modello di analoghe norme adottate dal legislatore lucano e dichiarate costituzionalmente illegittime…., le norme regionali impugnate prevedono, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, il rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade comunali, senza una previa istruttoria, quindi senza un’adeguata concreta valutazione dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti»[38].

Viene anche dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale che, prevedendo la possibilità di una proroga per un massimo di 60 giorni all’interno dell’iter procedurale per il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. 387/2003, si poneva in contrasto con l’esigenza di uniformità normativa su tutto il territorio nazionale e che non ammette diversificazioni su scala regionale; limpidamente in tal senso la Corte chiarisce come, in relazione all’iter procedurale previsto dal legislatore statale, «la dettagliata definizione delle fasi e dei termini che conducono al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale concorrono a creare una cornice di riferimento che, sintetizzando i diversi interessi coinvolti, ne individua un punto di equilibrio, che corrisponde anche a uno standard di tutela dell’ambiente»[39].

La decisione affronta anche un altro aspetto chiarendo come alle regioni non possa essere consentito stabilire un tetto massimo all’aumento della produzione di energia da impianti FER[40]; anche d’impatto, nel quadro degli impegni presi a livello UE e trasposti nel diritto interno, appare contraddittorio con il principio di massima diffusione che si individuino poi dei limiti massimi.

La disposizione lucana si dimostra in aperto contrasto con esso stabilendo, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica ambientale regionale, un tetto massimo alla produzione di energia da impianti FER «ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/ del 2003».

Le varie decisioni si richiamano l’un l’altra e formano un quadro di sintesi che pone bene in evidenza sia le vie seguite dal legislatore regionale per ostacolate l’installazione di impianti FER sia come la giurisprudenza costituzionale abbia sistematicamente dichiarato l’illegittimità di ogni forma di protezionismo legislativo in quanto solo il procedimento amministrativo rende possibile l’emersione dei vari interessi in gioco, «la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241»[41].

4. Il nuovo quadro normativo

Tenuto conto del risultato complessivamente insoddisfacente della situazione il legislatore, anche sulle spinte imposte del mutato contesto geopolitico, è recentemente intervenuto nel settore allo scopo di creare condizioni migliori per la realizzazione di impianti FER.

Il quadro normativo risulta infatti adesso significativamente modificato; sul piano interno limitandosi ai riferimenti essenziali si può iniziare la disamina delle recenti novità a partire dal d.lgs. n. 199/2021[42] con il quale è stata data attuazione alla direttiva UE 2018/2001 dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (cd “RED II”) e, segnatamente, dalle disposizioni contenute nel Titolo III dedicato a procedure autorizzative, codici e regolamentazione tecnica.

In particolare con l’art. 18 viene sostituito l’art.  20 co. 2 del d.lgs. n. 28/2011 con l’effetto di aggiornare l’elenco dei titoli abilitativi per la costruzione e l’esercizio degli impianti FER aggiungendo a quelli già previsti anche la dichiarazione di inizio lavori asseverata[43]; molto rilevante la previsione contenuta nell’art. 20 dove si preannuncia invece un superamento - o comunque un aggiornamento - delle Linee guida approvate con d.m. del 2010; difatti viene disposto che con uno o più decreti del MITE di concerto con il MIC e il MiPAAF, previa intesa in sede di Conferenza unificata, vengano stabiliti «principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili»[44]; la ricognizione della aree dovrà essere tale da garantire l’installazione di impianti FER di una potenza complessiva che sia coerente con gli obiettivi di sviluppo fissati nel PNIEC[45]; nei decreti dovrà anche essere individuata la ripartizione della potenza installata tra regioni e province autonome.

Il meccanismo procedurale prevede un ruolo attivo da parte delle regioni che, entro 180 gg dalla data di entrata in vigore dei decreti, dovrebbero identificare con legge quali siano le aree idonee per l’installazione di impianti FER; dopodiché, in caso di inerzia regionale o di inottemperanza ai criteri e principi contenuti nei decreti, la disposizione prevede l’attivazione di un potere sostitutivo da parte dello Stato.

Per scongiurare regolazioni protempore ostruzionistiche viene inoltre previsto come, nell’attesa dell’individuazione delle aree idonee, «non possono essere disposte moratorie ovvero  sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione»[46] e che la mancata inclusione di un area tra quelle idonee non determina da sola la sua inidoneità; più precisamente la sola mancata inclusione tra le idonee non è condizione sufficiente per dichiarare inidonea un’area né in sede di pianificazione territoriale né in seno al singolo procedimento amministrativo[47].

Merita anche di essere segnalato come, nell’attesa della successiva identificazione tramite legge regionale, sia stata avvertita l’esigenza di individuare delle aree idonee ex lege; nella versione originaria dell’art. 20 co. 8 del d.lgs. n. 199/2021 venivano individuati come tali sia i siti che già ospitano un impianto FER nel caso in cui vengano realizzati interventi di modifica non sostanziale[48] sia aree cd “brownfield” ossia aree oggetto di bonifica ai sensi della parte IV del d.lgs. 152/2006 e cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale.

L’elenco delle aree idonee ex lege è stato esteso, in brevissimo tempo, più volte; il d.l. 17/2022 convertito con modifiche in L. 34/2022 ha aggiunto all’art. 20 co. 8 un ulteriore lettera c-bis ricomprendendovi i siti e gli impianti nelle disponibilità del gruppo Ferrovie dello Stato e dei gestori di infrastrutture ferroviarie nonché delle concessionarie autostradali[49]; nello stesso intervento normativo, ma in altra disposizione aggiunta in sede di conversione, l’elenco viene ulteriormente ampliato includendo nell’art. 20 co. 8 lett. a) casi specifici per gli impianti fotovoltaici[50] nonché aggiungendo una nuova lettera c-ter che qualifica idonee ex lege - solo per gli impianti fotovoltaici, anche con moduli a terra ed in assenza di vincoli ai sensi della parte seconda del d.lgs. 42/2004 - una ulteriore serie di aree purché rientranti in un determinato perimetro rispetto a siti specificati dal legislatore[51].

Successivamente il d.l. 50/2022[52] convertito in L. n. 91/2022 ha aggiunto la lettera c-quater individuando tra le aree idonee quelle che «non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'articolo 136 del medesimo decreto legislativo»[53]; la disposizione prosegue poi identificando esattamente la distanza dai beni culturali e paesaggistici da considerare ai fini dell’osservanza della fascia di rispetto e stabilita in 7 km per gli impianti eolici e 1 km per gli impianti fotovoltaici.

Si noti quindi che mentre la logica sottesa nei casi elencati nella lettera c-ter è di considerare idonee quelle aree che rientrano per vicinanza tra quelle specificate dal legislatore, quella della lettera c-quater è invece di qualificare tali quelle che si caratterizzano per la distanza da certi siti stabiliti ex lege.

Infine con l’art. 22 del d.lgs. n. 199/2021 vengono previste altre due novità in relazione ai procedimenti di costruzione ed esercizio di impianti FER in aree idonee; la prima, incidendo sul potere dell’autorità competente in materia paesaggistica, stabilisce come questa esprime un parere obbligatorio ma non vincolante e che comunque, decorso il termine per il suo rilascio, l’amministrazione competente è abilitata a provvedere sulla domanda di autorizzazione; la seconda interviene invece sulla tempistica dell’iter amministrativo stabilendo che questa, sempre nei casi di aree idonee, sia ridotta di un terzo.

Da questi richiami normativi, che non completano peraltro la disamina della nuova regolazione[54], risulta abbastanza chiaro come la disciplina sugli impianti FER sia stato incisa in maniera significativa dai vari interventi legislativi che si sono susseguiti, con una certa turbolenza, in un breve lasso di tempo in maniera poco sistematica e rendendo la ricostruzione del quadro normativo di riferimento non così semplice.

Prima di mettere in evidenza le rilevanti modifiche si ritiene opportuno introdurre alcune riflessioni di ordine generale; in primis le novità legislative risultano un mix tra adeguamento del diritto interno agli obblighi UE, tentativo di superamento delle difficoltà operative legate alla disciplina previgente e, specie gli ultimi interventi emergenziali, spinte dettate dalle debolezze di approvvigionamento energetico che la mutata situazione geopolitica con la crisi in Ucraina ha posto in allarmante evidenza.  

L’evolversi degli eventi, la situazione di tensione con la Russia e il rischio, a questo punto tutt’altro che teorico, di una crisi energetica nel prossimo autunno ha posto in primo piano nell’agenda politica la ricerca di alternative al gas russo; anche se nel breve periodo non può essere l’installazione di impianti FER la soluzione è altrettanto evidente che, al di là degli obblighi europei, c’è un interesse strategico nazionale autonomo alla massimizzazione della produzione di energia da fonte rinnovabile che, vista la scarsità di ricorse naturali a disposizione, riduca comunque la dipendenza italiana dall’approvvigionamento estero.

Ma le difficoltà nella installazione di impianti FER, più che nella disciplina normativa in sé, ovviamente sempre migliorabile, sembrano risiedere principalmente in un atteggiamento culturale che si trasforma, in termini costituzionali, in un “endoconflitto ecologico” tra la protezione dell’ambiente e la tutela del paesaggio.

5. L’endoconflitto ecologico tra ambiente e paesaggio nel nuovo art. 9 della Costituzione

Sono infatti di fulgida evidenza gli impatti positivi derivanti dalla produzione di energia pulita piuttosto che da fonti fossili sia per la riduzione di inquinamento “territoriale” sia per il contributo alla lotta ai cambiamenti climatici in funzione dell’obiettivo di neutralità climatica fissato nel 2050[55].

Quale forma migliore di implementazione dello sviluppo sostenibile? Quale strumento migliore per avviarsi verso la decarbonizzazione?

L’antagonista principale alla realizzazione di tali impianti, l’elemento “ostile” che si insinua e si infiltra nei meccanismi amministrativi, ostacolandone poi la realizzazione è proprio la tutela del paesaggio[56] che spinge appunto come forza contraria; ancora più precisamente sembra emergere la concezione più antica di paesaggio vale a dire quella essenzialmente estetica da “bellezza naturale”; infatti, almeno in termini di prevalenza risulta proprio l’impatto visivo sul paesaggio a generare quelle note “resistenze” da sindrome NIMBY (Not In My Back Yard) ossia quella situazione nella quale, contestualizzandola al caso più impattante dell’eolico, tutti concordano sul fatto che occorra promuovere la produzione di energia da impianti FER ma nessuno vuole la localizzazione degli aerogeneratori nel proprio territorio; a “peggiorare” la situazione non si può non considerare l’innegabile bellezza del nostro patrimonio culturale e paesaggistico che può far apparire plausibile qualsiasi divieto all’installazione di un impianto eolico.

Nella datata sentenza n. 275/2011 la Corte costituzionale pone fulgidamente in chiaro l’antagonismo in gioco affrontando un giudizio per conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento sorto a seguito dell’emanazione del d.m. 10 settembre 2010 e risolvendolo a favore del ricorrente; la Corte, in relazione all’art. 12 co. 10 del d.lgs. n. 387/2003 e in particolare osservando come le Linee guida siano volte ad assicurare proprio un corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio, così ha affermato: «Si deve notare, in proposito, che l’intento del legislatore è quello di rendere compatibili le ragioni di tutela dell’ambiente e del paesaggio, che, nella fattispecie, potrebbero entrare in collisione, giacché una forte espansione delle fonti di energia rinnovabili è, di per sé, funzionale alla tutela ambientale, nel suo aspetto di garanzia dall’inquinamento, ma potrebbe incidere negativamente sul paesaggio: il moltiplicarsi di impianti, infatti, potrebbe compromettere i valori estetici del territorio, ugualmente rilevanti dal punto di vista storico e culturale, oltre che economico, per le potenzialità del suo sfruttamento turistico».

Anche nella citata sentenza n. 121/2022 la Corte ha significativamente rimarcato come il meccanismo disegnato dalle Linee guida «ha, in sostanza, l’obiettivo di preservare il paesaggio e, contestualmente, di garantire la celerità delle procedure, assegnando alle Regioni e alle Province autonome il compito di segnalare attraverso le aree e i siti non idonei meri indici rivelatori di possibili esigenze di tutela del paesaggio».

Il nodo giuridico centrale non sembra altro che il riflesso di una questione che non appartiene propriamente al mondo del diritto e che si risolve in ciò che l’osservatore “vede” (e quindi pesa e valuta) se guarda l’aerogeneratore; sinché prevale la classica concezione estetica da bellezza naturale è difficile immaginare che la localizzazione di un impianto eolico possa, da qualsiasi prospettiva la si voglia vedere, migliorare il paesaggio.

Indossando le “lenti” della sostenibilità si potrebbe (o forse di dovrebbe) iniziare a bilanciare l’inevitabile pregiudizio estetico con il pensiero che, da qualche parte, in linea con gli impegni verso la decarbonizzazione e lo sviluppo sostenibile, non stiamo più utilizzando combustibili fossili; è questa parte che “non si vede” che sembra ancora fare fatica a trovare spazio e peso nelle valutazioni dei progetti.

Se questo passaggio culturale non avviene, prendono il sopravvento quelle resistenze sul territorio che poi si trasformano in istanze politiche, in legislazioni “proibizioniste” e in ostruzionismi e lentezze amministrative[57] che possono creare degli ostacoli enormi alla realizzazione degli impianti FER; ostacoli che creano una situazione di fatto assimilabile a quella di un divieto assoluto.

Ma se la forza che agisce contro la realizzazione degli impianti FER è principalmente di natura culturale è difficile immaginare che la si possa cambiare tramite un intervento legislativo; semmai, come determinante di un cambio di paradigma culturale, sembrano poter agire con maggior persuasività la “minaccia” di una crisi energetica e la recente impennata delle bollette della luce e del gas.

L’antagonismo tra protezione dell’ambiente ambiente e tutela del paesaggio trova adesso anche una sua esplicita visibilità nel revisionato art. 9 della Costituzione[58] dove, come noto, con la recente L. cost. n. 1/2022 è stato inserito un ulteriore comma che impegna la Repubblica a tutelare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».

La scelta non è stata quindi quella di modificare il co. 2 in base al quale, sin dal testo entrato in vigore nel 1948, si prevedeva quale compito della Repubblica quello di tutelare il paesaggio; si è ritenuto invece opportuno aggiungere un ulteriore comma che estende l’impegno anche alle espressioni terminologiche adesso contenute nel nuovo co. 3.

Al fine di porre meglio in chiaro l’antagonismo che era già presente - ossia l’endoconflitto ecologico tra ambiente e paesaggio - ma che la riforma pone in maggior rilievo si ritiene opportuno ripercorrere, seppur sinteticamente, le “tappe” del diritto costituzionale dell’ambiente.  

Durante l’emersione della questione ecologica è stato proprio l’art. 9 il riferimento costituzionale esplicito che ha permesso alla giurisprudenza, in via interpretativa, di qualificare la protezione dell’ambiente come un valore in assenza di un termine dedicato.

Si è assistito quindi ad un percorso che partendo dal termine “paesaggio”, concepito staticamente e legato all’esperienza precostituzionale della legislazione sulle bellezze naturali, lo ha ampliato sino a considerarlo “sinonimo” di ambiente.

In ambito paesaggistico già nella sentenza n. 239/82 la Corte precisava come la nozione accolta nell’art. 9 si sostanzierebbe nella «protezione di un valore estetico -culturale relativo alle bellezze paesistiche»; ancora più chiaramente, nella successiva sentenza n. 94/1985, accogliendo un ricorso promosso dal Consiglio di Stato avente ad oggetto gli artt. 12 e 15 della L. prov. di Bolzano n. 16/1970 sulla tutela del paesaggio, veniva puntualizzato come quest’ultima non potesse «venire realisticamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un momento dato, ma deve, invece, attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio- economico del paese per quanto la soddisfazione di esse può incidere sul territorio e sull'ambiente».

Il superamento del criterio meramente estetico legato alle bellezze naturali diventa più netto con la sentenza n. 151/1986 con la quale la Corte dichiarò infondati i ricorsi promossi contro il D.L. 312/85 conv. in L. n. 431/85 (noto come intervento“Galasso”) attraverso il quale una parte significativa del territorio italiano fu assoggettata ex lege a tutela paesaggistica; a differenza della macchinosa procedura amministrativa prevista dalla L. 1497/39, l’intervento normativo individuava porzioni di territorio tramite l’utilizzo di criteri ambientali e geografici (e quindi non estetici); la Corte costituzionale prese atto della diversa concezione legislativa e, al fine di risolvere le questioni sollevate dai ricorsi regionali, premise come fosse «necessario considerare che la norma impugnata si discosta nettamente dalla disciplina delle bellezze naturali contenuta nella legislazione precostituzionale di settore (legge 29 giugno 1939, n. 1497)» in quanto imponendo un vincolo su elementi del territorio individuati secondo tipologie morfologiche «introduce una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale»; non viene quindi smarrita la concezione estetica ma la tutela del paesaggio non si esaurisce più in essa; la sentenza, nella sua “esuberanza ambientale”, arrivò anche ad affermare qualcosa che dovrà poi essere necessariamente relativizzato ossia che la tutela aderente al precetto dell'art. 9 Cost. assuma «il detto valore come primario…, cioè come insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro»; affermazione che sembrerebbe voler attribuire al valore paesaggistico una incondizionata e aprioristica superiorità gerarchica rispetto a tutti gli altri valori; affermazione che quindi prospetterebbe quella “tirannia” valoriale che, invece, la giurisprudenza costituzionale ha confermato come non ammissibile[59].

Con la sentenza n. 151/1986, anche seguendo l’adozione dei criteri morfologico ambientali utilizzata dalla Galasso, inizia ad intravedersi quel percorso di espansione interpretativa che conduce la Corte a riconoscere l’ambiente quale valore costituzionalmente riconosciuto.

Percorso che si perfeziona con le sentenze n. 167 e 210 del 1987; limitandosi a mettere in evidenza i passaggi rilevanti, nella prima la Corte marca una differenza tra paesaggio e ambiente affermando che «il patrimonio paesaggistico e ambientale costituisce eminente valore cui la Costituzione ha conferito spiccato rilievo (art. 9, secondo comma), imponendo alla Repubblica - a livello di tutti i soggetti che vi operano e nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali - di perseguirne il fine precipuo di tutela (sentenza n. 94 del 1985)»; la seconda è ancora più emblematica in quanto i ricorrenti, le Province di Trento e Bolzano, impugnavano alcuni articoli della L. 349/1986 con la quale, coprendo un ritardo istituzionale e sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl, fu istituito il Ministero dell’ambiente e introdotta una prima regolazione sulla VIA, sul danno ambientale e sulle associazioni ambientaliste; la Corte giunge a  dichiarare infondate tutte le questioni sollevate dai ricorrenti affermando come vada «riconosciuto lo sforzo in atto di dare un riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività e di creare istituti giuridici per la sua protezione. Si tende, cioè, ad una concezione unitaria del bene ambientale comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni».

In questa decisione la Corte chiaramente, accompagnando l’intervento legislativo statale, identifica l’ambiente quale nozione autonoma (sganciata quindi da implicazioni paesaggistiche) e lo consacra quale valore costituzionale da proteggere imponendo, sotto l’egida dell’art. 9, la sua tutela quale compito della Repubblica.

Invece con la successiva riforma del titolo V operato dalla legge costituzionale n. 3/2001 il nuovo art. 117 co. 2 lett. s) ha affidato alla competenza legislativa esclusiva statale la “materia” tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; pertanto dopo che, in assenza di un suo riconoscimento esplicito in Costituzione, è stato il termine “paesaggio” il veicolo semantico per riconoscere l’ambiente quale valore da proteggere, tale espressione non è stata – almeno implicitamente- utilizzata nel testo riformato; si è creato pertanto, per un periodo di tempo non certo brevissimo, una asimmetria terminologica tra l’art. 9, terra di principi, dove risultava l’espressione “paesaggio” e l’art. 117 della Costituzione, luogo invece di ripartizione di competenze legislative, dove risultava (e risultano) quella di “ambiente” ed “ecosistema”.

Tuttavia la prima sentenza “ecologica” della Corte a costituzione riformata ha stemperato la “distanza” terminologica e, offrendo una lettura in continuità con la giurisprudenza antecedente, ha attenuato l’effetto chiaramente accentratore della riforma; infatti con la nota sentenza n. 407/2002[60] la Corte non ha ritenuto di poter considerare tutela dell’ambiente una materia in senso stretto[61] o tecnico in quanto l’inestricabile connessione degli interessi ambientali con altri interessi e competenze non renderebbe possibile configurare una sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata.

Richiamando decisioni precedenti alla riformulazione del Titolo V[62], la Corte “smaterializzò” l’espressione “tutela dell’ambiente” individuando un rapporto di subordinazione logica – già asseverato storicamente dalla giurisprudenza costituzionale - per cui l’ambiente è, in primis, un valore costituzionale protetto; da tale dimensione assiologica l’ambiente determina e delinea poi «una sorta di materia trasversale» o finalistica[63]; caratteristica che in quell’occasione risultò canone interpretativo proregionale per ritenere, diversamente almeno da una lettura formale del nuovo testo, ammissibili interventi legislativi regionali per la cura di interessi funzionalmente collegati alla protezione dell’ambiente.

In quel caso la Corte ritenne infondato il ricorso statale contro una legislazione lombarda che, in materia di rischio incidente rilevante, utilizzava le competenze concorrenti costituzionalmente riconosciute e, indirettamente, innalzava il livello di tutela; ma se questa prima sentenza poteva far ritenere che la regioni potessero, al sussistere degli stessi presupposti, introdurre sempre e comunque una legislazione in melius, tale ipotesi è stata subito dopo ridimensionata dalla giurisprudenza costituzionale.

Infatti le successive sentenze n. 307 e 331 del 2003[64] dichiararono l’incostituzionalità di alcune leggi regionali che stabilivano, in materia di inquinamento elettromagnetico, valori più restrittivi rispetto a quelli statali.

In quell’occasione la Corte inaugurò la teoria del “punto di equilibrio”[65]: da un lato si ribadiva la posizione assunta con la precedente sentenza n. 407/2002, ossia la visione trasversale della protezione dell’ambiente, ma dall’altro veniva individuato anche l’esistenza di un possibile argine per gli interventi legislativi regionali in melius che opera nei casi in cui la ratio sottesa alla disciplina statale risulta più complessa ed articolata.

In tali situazioni la posizione del legislatore nazionale è ritenuta l’unica adeguata a definire il giusto bilanciamento tra i vari interessi in gioco; a quel punto la ponderazione effettuata in sede statale non è suscettibile di interventi “settoriali” regionali neppure volti ad incrementare il livello di tutela; sono casi in cui lo Stato raccoglie tutti i fili legati ai singoli interessi in gioco e li annoda, concentrandoli in uno “standard olistico” che rappresenta qualcosa di più della loro somma: viene individuato un punto di equilibrio non più modificabile dalle Regioni in quanto la maggior protezione di uno degli interessi si traduce comunque «in una alterazione, quindi, in una violazione, dell’equilibrio tracciato dalla legge statale»[66].

Nelle parole della Corte «la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al Paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell'energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato»[67].

Va oltre gli scopi del presente contributo approfondire le condizioni per cui una legislazione regionale volta indirettamente ad incrementare il livello di tutela dell’ambiente sia compatibile con la Costituzione ma ciò che si vorrebbe mettere in evidenza è come l’endoconfilitto tra ambiente e paesaggio pone in crisi lo stesso principio della tutela in melius che, almeno nella sua concezione più ricorrente, vede l’ambiente contrapporsi a qualche altro interesse e non, come in questo caso, dove la protezione dell’ambiente si scontra con l’immagine di sé stessa.

In termini pratici davanti all’installazione di un impianto FER quale sarebbe la tutela in melius? Quale sarebbe tra i due l’interesse ecologico a cui dare maggior protezione? Sembra esistere un ineliminabile trade-off tra le due legittime istanze di protezione senza che sia possibile stabilire, a priori, quale debba prevalere; semmai, e lo scenario economico e geopolitico sembrano premere in questo senso, è altresì necessario individuare a quale interesse ecologico, in un certo momento storico, si debba attribuire un maggior peso.

E da questo punto di vista il nuovo quadro normativo di riferimento, le cui differenza più significative vengono poste in rilievo nel paragrafo successivo, sembra volto a dare una rilevanza superiore alla massima diffusione degli impianti da fonte rinnovabile (cosa che di per sé non è una novità giuridica).

6. Le principali novità  legislative in evidenza.

Passando ad evidenziare i principali elementi differenziali ricercati con le recenti modifiche legislative, oltre al restyling delle Linee guida, sembra di poter identificare in primis lo spostamento dell’attenzione che passa nell’identificazione delle aree idonee.

Difatti, come già ricordato, mentre la disciplina previgente prevedeva la possibilità per le regioni di individuare le non idonee ma per via amministrativa e non legislativa, in quella attuale, previa approvazione dei decreti interministeriali con cui verranno definiti i nuovi criteri e principi per la loro identificazione, le regioni dovranno poi individuare, in via legislativa, le aree idonee e quelle non idonee; il “cambio di rotta” verso l’identificazione delle zone idonee non esclude quindi la possibilità regionale di individuare quelle non idonee[68]; anche se occorrerà verificare i contenuti dei decreti interministeriali da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata – che dovranno stabilire anche la ripartizione della potenza installata tra le regioni e le province autonome - sembra comunque di poter affermare che la novità concettuale principale risiede nell’attenzione adesso attribuita alle aree idonee.

Sintomatico di un timore di protezionismo regionale appare anche il fatto che il legislatore abbia sentito l’esigenza di precisare come la mancata inclusione di un’area tra quelle idonee non sia elemento sufficiente per considerarla come non idonea in sede di pianificazione territoriale né in sede di procedimento amministrativo.

L’apprezzabile tentativo del legislatore di dare una svolta ad una disciplina che faceva difficoltà a trasformarsi in progetti sul territorio suscita una qualche perplessità di fondo; infatti, come già evidenziato in precedenza, l’acquisito principio di massima diffusione degli impianti da fonte rinnovabile determinava già una sorta di presunzione di fattibilità; a conferma di ciò non soltanto la aree non idonee hanno natura eccezionale ma, come confermato dalla Corte anche nella recente sentenza n. 121/2022[69], la loro identificazione fornisce solo un alert che resta però superabile in sede di verifica amministrativa del progetto.

In sintesi perché diventa (adesso) necessario individuare le aree idonee se esisteva già una presunzione di fattibilità dell’installazione su tutto il territorio regionale? E’ evidente che nel momento in cui un’area viene anche esplicitamente classificata come idonea si rimuove ogni forma di incertezza sul punto tuttavia, almeno sul piano strettamente giuridico, una tale qualificazione non appariva fondamentale; oppure, se questo era il problema, il ritardo con cui ce se ne rende conto appare poco giustificabile.

Altro elemento innovativo è la specificazione da parte della disciplina statale della fonte regionale per l’identificazione delle aree idonee che deve avvenire per via legislativa; quindi mentre per le aree non idonee è stata la riserva di amministrazione a fungere da parametro di validità anche nel giudizio costituzionale, per quelle idonee è lo stesso legislatore statale che indica la fonte legislativa regionale quale strumento idoneo.

Al di là dell’attivazione di poteri sostitutivi statali in caso di atteggiamento ostruzionistico regionale, emblematica, anche se meno rivoluzionaria di ciò che appare, è la disposizione prevista nell’art. 22 del D.lgs. n. 199/2021 dedicato alle procedure autorizzative specifiche per le aree idonee.

Con essa, oltre a prevedere un accorciamento dei termini di un terzo per le procedure di autorizzazione, il parere dell’autorità competente in materia paesaggistica viene qualificato come obbligatorio ma non vincolante e viene anche precisato come l’eventuale silenzio permetta comunque all’amministrazione competente di provvedere.

In realtà la disposizione non fa altro che trasporre all’interno della nicchia impianti FER un principio già acquisito, in generale, nella disciplina relativa alla tutela del paesaggio[70]; infatti in base all’art. 146 co. 5 del D.lgs. n. 42/2004 e ss.mm. il «parere del Soprintendente, all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero su richiesta della regione interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante».

Inoltre, a prescindere dalle intersezioni con la disciplina della tutela del paesaggio e dall’esistenza o meno di un piano paesaggistico approvato, occorre considerare come in termini procedurali il MIC intervenga nella definizione dei criteri e dei principi per l’individuazione dei siti quale soggetto istituzionalmente coinvolto nel concerto per l’emanazione dei decreti interministeriali; tenuto conto quindi che le regioni avranno poi il compito di individuare le aree idonee ma nel rispetto proprio dei criteri indicati anche dal MIC, la “degradazione” in parere obbligatorio ma non vincolante sembrerebbe comunque coerente con il coinvolgimento a monte della struttura statale preposta ad esprimersi in materia paesaggistica.

Disposizioni invece sicuramente innovativa è quella delineata nell’art. 20 co. 8 del d.lgs. 199/2021 e che individua le aree idonee ex lege in attesa della identificazione legislative regionale dopo l’emanazione dei decreti interministeriali che stabiliscano criteri e principi; come già precisato l’elenco inziale è stato poi progressivamente esteso[71] e ci sembra opportuno soffermare l’attenzione sulla modifica più recente ad opera dell’art. 6 del d.l. 50/2022 convertito in L. 91/2022 nella parte in cui aggiunge quelle che non rientrano nella fascia di rispetto dei beni soggetti a tutela in base alla parte II del d.lgs. 42/2004 (ossia i beni culturali) oppure ai sensi dell’art. 136 sempre del d.lgs. 42/2004.

Il legislatore da un lato individua gli “oggetti di protezione” e dall’altro stabilisce, sempre per via legislativa, anche una fascia di rispetto ossia una distanza in km che partendo dal bene protetto forma una zona di protezione superata la quale l’area viene però considerata idonea ad ospitare l’installazione di un impianto FER.

Per quanto concerne i beni da proteggere il legislatore fa riferimento alle categorie disciplinate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e considera tali tutti i beni tutelati ai sensi della parte II, quindi tutti i beni culturali, e quelli disciplinati dall’art. 136 della parte III[72]; in riferimento a quest’ultima il legislatore individua quindi come oggetti di protezione solo le cd “bellezze naturali” e non anche le aree individuate ope legis dall’art. 142 (le cd. “zone Galasso”).

Per quanto concerne invece la fissazione della fascia di rispetto il legislatore ne stabilisce l’estensione rispetto al bene da proteggere con una dimensione differenziata rispetto alla tipologia di impianto FER da installare; la distanza viene fissata in 7 Km per gli impianti eolici, notoriamente più impattanti, e di 1 Km per gli impianti fotovoltaici; in sintesi le aree che risultano fuori dalla fascia di rispetto risultano idonee ope legis.

Due sono gli aspetti da considerare; in primis, sul piano strettamente pragmatico, viene da chiedersi quanta parte di ogni territorio regionale risulti poi effettivamente in grado di presentare aree idonee ex lege; in altri termini vista la presenza tutt’altro che rara nel nostro territorio sia di beni culturali che di immobili ed aree di notevole interesse pubblico, il rischio, specie per gli impianti eolici, è che le aree idonee ex lege risultino veramente poche[73].

Una seconda riflessione investe invece la disposizione che qualifica le aree idonee ex lege che potrebbe incorporare una qualche ambiguità laddove non sembra chiarire bene il senso della sua transitorietà; difatti occorre tener presente come, in base all’art. 20 co. 8 del d.lgs. n. 199/2021, l’idoneità assume valenza giuridica solo nelle more dell’individuazione aree idonee da parte del legislatore regionale.  In altri termini, almeno astrattamente, seppure le indicazioni del legislatore nazionale potrebbero essere poi assorbite nei decreti ministeriali e diventare così criteri definitivi, la disposizione, sembra profilare almeno un dubbio che potrebbe però risultare fondamentale: un’area che oggi rientra tra quelle idonee ex lege potrebbe poi non risultare tra quelle qualificate come tali dal legislatore regionale? In altri termini la sua qualificazione di idoneità è potenzialmente cedevole oppure ha già la portata di anticipare (imporre) il contenuto delle future leggi regionali che non potrebbero quindi discostarsene? Al di là di essere possibile criticità di futuri conflitti costituzionali, più pragmaticamente si tratta di valutare quanto questa alea possa essere elemento di freno e di incertezza per i proponenti di un progetto; si tratta cioè di capire se questa astratta incertezza della previsione legislativa sarà in grado di accelerare davvero gli iter o se i proponenti preferiranno attendere l’individuazione definitiva da parte delle regioni o, almeno, il contenuto dei decreti interministeriali che chiariscano sul punto.

 7. Conclusioni

Le chiare indicazioni del legislatore nazionale vanno nella direzione di tentare di superare le difficoltà che in questi anni si sono riscontrate nella realizzazione di impianti FER; nonostante l’Italia non abbia avuto alcun problema sin qui a mantenere gli impegni presi a livello UE[74] il risultato non sembra attualmente soddisfacente tenendo conto sia delle potenzialità del nostro territorio sia della condizione di dipendenza energetica dall’estero; l’attuale scenario geopolitico, con i rischi di una possibile crisi energetica, ha reso più acuta l’esigenza di diversificare le fonti di approvvigionamento e la strada verso la decarbonizzazione e la transizione energetica non può che essere percorsa anche tramite l’installazione di impianti FER.

Del resto il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili impegna l’Italia nel raggiungimento di livelli minimi obbligatori ed è risultato parametro da parte della Corte per dichiarare incostituzionali legislazioni regionali che, individuando limiti aprioristici e/o aggravi amministrativi, creavano ostacoli alla realizzazione dell’obiettivo.

Più che sul piano giuridico, che ne sembra solo un riflesso, il vero conflitto sembra individuabile a monte ed essere di natura principalmente culturale con le resistenze che si formano alla realizzazione di impianti FER in funzione della bellezza del nostro paesaggio; l’installazione di impianti FER rappresentano forse l’esempio più evidente del possibile realizzarsi di un endoconflitto ecologico tra protezione dell’ambiente e tutela del paesaggio che la recente modifica dell’art. 9 della Costituzione, con la sua proliferazione terminologica, pone in maggior evidenza.

A conferma del maggior peso che il legislatore statale vuole attribuire all’installazione di impianti FER rispetto agli altri interessi merita infine di essere segnalato l’art. 6 del recente d.l. 50/2022 convertito in L. n. 91 del 15 luglio 2022 dove si preannuncia apposito atto della Direzione generale del MIC che stabilisca «criteri uniformi di valutazione dei progetti di impianti di produzione di  energia da fonti rinnovabili, idonei a facilitare la conclusione dei procedimenti, assicurando che la motivazione delle eventuali valutazioni negative dia adeguata evidenza della sussistenza di stringenti, comprovate e puntuali esigenze di tutela degli interessi culturali o paesaggistici, nel rispetto della specificità delle caratteristiche dei diversi territori».

I prossimi mesi saranno sicuramente cruciali per capire se il restyling del nuovo impianto normativo raggiungerà davvero l’obiettivo desiderato; intanto il quadro normativo non risulta autoconsistente e necessita in primo luogo dei decreti interministeriali previa intesa in sede di Conferenza unificata che attualmente non risultano emanati[75]; una spinta alla realizzazione degli obiettivi che si è posto il legislatore statale con la nuova disciplina potrebbe sicuramente giungere dallo scenario di contesto che produce, a vario titolo, “incentivi” per l’installazione di impianti FER.

Tutte le politiche ambientali necessitano di una visione di medio lungo periodo; è questo il persistente dilemma ecologico che le caratterizza e che spesso mal si concilia con il ciclo elettorale e politico che, invece, tende alla massimizzazione del consenso di breve periodo; il rischio è quello di non uscire mai dal paradosso per cui, nello stesso momento storico, da un lato il futuro sarebbe già oggi (così sembra gridare la scienza[76]) ma dall’altro il futuro non arriva mai, vittima sacrificale delle esigenze di breve periodo che ci condannano a vivere perennemente «prigionieri del presente»[77].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul sito della BBC del 20 luglio 2022, «The UK has recorded temperatures of over 40C (104F) for the first time», https://www.bbc.com/news/uk-62217282.

[2] In una delle ultime uscite del Presidente Draghi prima della crisi che lo ha visto poi dimettersi sono stati siglati diversi accordi con l’Algeria che potrebbe diventare, in futuro, il primo fornitore di gas del nostro paese  C.MARRONI, Draghi: l’Algeria è diventata il nostro primo fornitore di gas, in Il sole 24 ore, 19 luglio 2022, 3; la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha recentemente proposto un piano di emergenza UE cautelativo a fronte allo scenario di crisi delle forniture di gas russo nel prossimo inverno chiedendo agli Stati un taglio del 15% nel consumo di gas, B.ROMANO, Bruxelles: tagli del 15% al gas, ma serve il via libero dei Paesi, in il sole24 ore del 21 luglio 2022, 8.

[3] Modifiche alla L.rg. 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale – D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – L. R. n. 9/2007 e ss.mm.ii.» e alla L.rg. n. 8/2012 «Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili».

[4] La Corte elabora tale principio nella sentenza n. 224/2012 laddove chiarì come la «ratio ispiratrice del criterio residuale di indicazione delle aree non destinabili alla installazione di impianti eolici deve essere individuata nel principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea….Quest’ultimo trova attuazione nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti, con le eccezioni, stabilite dalle Regioni, ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti nell’ambito delle materie di competenza delle Regioni stesse»; in quell’occasione la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale di una disposizione regionale sarda e, segnatamente, dell’art. 18 della L.rg. n. 2/2007 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione. Legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 6, co. 8, della L.rg. n. 3/2009 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale) perchè la norma regionale censurata, oggetto del giudizio principale davanti al TAR remittente, avrebbe “rovesciato” la logica della disciplina statale in quanto, piuttosto che indicare le aree non idonee, indicava quelle nelle quali era possibile installare impianti eolici escludendo la restante parte del territorio, comprese le zone agricole; si verificherà nel prosieguo del contributo come tale soluzione, ossia l’identificazione per via legislativa delle aree idonee, sia adesso alla base delle novità introdotte dal legislatore nazionale nelle recenti modifiche alla disciplina, cfr. infra par. 4 e 6; principio di massima diffusione che peraltro trova una sua giustificazione sia nei vincoli imposti dalla normativa UE sia negli obblighi assunti a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici tra i quali gli ultimi sono quelli derivanti dalla L. 204/2016 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi che si pone in connessione con la più datata Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 e come superamento del Protocollo di Kyoto.

[5] Sentenza Corte cost. n. 121/2022, richiamando anche le recenti sentenze nn. 177/2021, 11 e 77 del 2022.

[6] Cfr, sentenze Corte cost. n. 308/2011, n. 106/2020 e n. 177/2021.

[7] Piano di indirizzo energetico regionale.

[8] Definite dal par. 16, punto 1, lett. d) del d.m. 10 settembre 2010 come quelle aree degradate aree già degradate da attività antropiche «tra cui siti industriali, cave, discariche, siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006».

[9] La disposizione rimandava ad una successiva delibera della giunta regionale la definizione delle condizioni per cui un progetto potesse essere qualificato in grado di intervenire a supporto dello sviluppo locale.

[10] Cfr sentenze Corte cost. n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019, n. 267 del 2016, n. 124 del 2010.

[11] Sentenze Corte cost. n. 77/2022, n. 177/2021, n. 106/2020, n. 86 e 286 del 2019, n. 69 e 177 del 2018, n. 99/2012.

[12] Sentenza Corte cost. n. 121/2022.

[13] Per approfondimenti cfr. C.PELLEGRINO, Ambiente ed energia: la Corte costituzionale conferma i suoi orientamenti e il suo ruolo di supplenza ermeneutica, in Le Regioni, 2019, n. 3, 843-854.

[14] Formalmente l’art. 20 della L.rg. 19/2017 riproponeva i due commi del testo originario dell’art. 2 della L.rg. 54/2015 ma aggiungendovi il comma riportato nel corpo del testo.

[15] Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.

[16] Ex multis Corte cost. sent. n. 14/2018 e 177/2018.

[17] Cfr. Corte cost. sent. n. 69/2018; le linee guida sono state emanate proprio in attuazione di quanto disposto all’art. 12 co. 10 del d.lgs. n. 387/2003 in base al quale «[i]n Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti»; nel frattempo i ministeri coinvolti hanno tutti cambiato denominazione assumendo quella di Ministero dello sviluppo economico (MISE), Ministero della transizione ecologica (MITE) e Ministero della cultura.

[18] Cid 2.8.2. sent. n. 86/2019.

[19] Cfr sent. n. 307/2013.

[20] Al par. 1.2 della Linee Guida viene stabilito che solo le «Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili ed esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17».

[21] Par. 17.1 delle LG.

[22] Il par. 17.2 della LG precisa anche come le aree non idonee siano individuate dalle regioni «nell'ambito dell'atto di programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico

obiettivo assegnatole».

[23] Obiettivo poi raggiunto come risulta dal rapporto statistico elaborato del GSE sul 2020, la quota dei consumi finali lordi (CFL) coperta da FER risulta in tale anno pari a 20,4%, un valore in crescita rispetto al 2019 (18,2%) e comunque superiore all’obiettivo del 17% assegnato all’Italia dalla Direttiva 2009/28/CE; cfr GSE, Rapporto Statistico 2020 Energia da fonti rinnovabili in Italia, 17.

[24]Ai sensi del par. 17.2 della L.G. le «Regioni e le Province autonome conciliano le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing), in applicazione dell'articolo 2, comma 167, della legge n. 244 del 2007, come modificato dall'articolo 8-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 13, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, assicurando uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti».

[25] Nel par. 17.1 viene precisato come per l’individuazione di non idoneità dell’area rilevi la presenza di obiettivi di protezione non compatibili con l’impianto che potrebbero determinare «una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione».

[26] Il ricorso sotteso alla sentenza n. 86/2019 è in realtà molto più ampio e complesso e tocca anche aspetti legati al Protocollo d’intesa con gli allora MIBAC e MATTM in vista dell’elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale; non si ritiene opportuno rendere conto nel dettaglio in quanto sono già stati messi in evidenza i punti che si ritengono rilevanti ai fini del presente contributo.

[27] Successivamente alla proposizione del ricorso con modifiche successive la Regione ha rimosso il vizio su cui puntava la doglianza ma il nuovo testo, benché risultante satisfattivo per il ricorrente, non ha impedito alla disposizione un tempo di vigenza che impediva una pronuncia per cessata materia del contendere.

[28] La disposizione andava a sostituire l’art. 5 co. 1 e 2 della L.rg. Basilicata 8/2012 e, successivamente alla proposizione del ricorso, tale riferimento normativo veniva abrogato dall’art. 31 della L.rg. Basilicata n, 38/2018; tuttavia la Corte non ha potuto esimersi dal pronunciarsi nel merito in quanto, la disposizione è risultata per un periodo vigente e quindi non vi erano le condizioni per pronunciare la cessazione della materia del contendere.

[29] Dove si dispone che le Regioni e le Province autonome «possono estendere la soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1[ossia la PAS] agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico,…»

[30] Il d.lgs. n. 28/2011 risulta infatti attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE

[31]Già prevista nell’art.12 del d.lgs. n. 387/2003 ma modificata dall'art. 5 del D.Lgs. 28/2011.

[32] La via amministrativa più snella, prevista per gli impianti di piccola dimensione dall’art. 11 co. 6 del d.lgs. 28/2011.

[33] Art. 6 d.Lgs. 28/2011.

[34] Ex multis sentenze n. 14 e 177 del 2018.

[35] In particolare dell’art. 32 della L.rg. n. 38 del 2018, nella parte in cui aveva introdotto le lettere a.3) e b.3) nell’art. 6 co. 1 della L.rg. n. 8 del 2012.

[36] Si precisa come l’All. 4 delle Linee guida contempla la possibilità che siano introdotte delle distanze ma solo se adottate all’esito di adeguata istruttoria (e quindi non per via legislativa).

[37] In particolare l’art. 32 della L.rg. n. 38 del 2018 aveva introdotto quale ulteriore condizione per la costruzione e l’esercizio degli impianti FER con potenza nominale non superiore a 200 kW, che gli impianti solari di conversione fotovoltaica «devono avere la disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del generatore fotovoltaico, attraverso l’asservimento di particelle catastali contigue, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile».

[38] Cid 2.2 sentenza n. 106/2020.

[39] Cid 3.1 sentenza n. 106/2020.

[40] In particolare viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 co. 3 della L.rg. n. 4/2019 che aveva aggiunto il co. 7 all’art. 11 della L.rg. 8/2012 dove vengono disciplinate le potenze installabili per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della produzione di energia da impianti FER.

[41] Sentenza n. 69 del 2018.

[42] Come indicato nell’art. 1 co. 2 la finalità del decreto è quello di definire «gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al 2030»; inoltre eca disposizioni necessarie all' attuazione

delle misure del PNRR in materia di energia da fonti rinnovabili in conformità al PNIEC in modo da individuare il percorso per raggiungere l’obiettivo fissato dal Regolamento UE di ridurre le emissioni serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai dati del 1990.

[43] Tale regime autorizzativo era già stato inserito come art. 6-bis nel D.Lgs. 28/2011 dall'art. 56, co. 1, della L. n. 120 del 2020; lo stesso art. 6-bis è stato successivamente ritoccato chirurgicamente prima con l'art. 32, co. 2 della L. n. 108 del 2021 e poi dall'art. 7-bis, co. 1, lettera b) della L. n. 51 del 2022

[44] Il termine per adottare i decreti era il 13 giugno 2022.

[45] Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima è stato adottato in attuazione del Regolamento UE 2018/1999; quello in essere affronta il periodo 2021-2030 e in esso l’Italia ha indicato gli obiettivi da raggiungere in termini di efficienza energetica, produzione di energia da fonti rinnovabili e riduzione di emissioni di gas serra; il documento rappresenta a sua volta la base strategica in cui si inseriranno gli interventi normativi che si renderanno necessari per il raggiungimento degli impegni presi a livello UE.

[46] Art. 20 co. 6 d.lgs. 199/2021.

[47] Art. 20 co. 7 d.lgs. 199/2021.

[48] Cfr art. 5 co. 3 del d.lgs. n. 28/2011 come sostituito dall'art. 56, co. 1, L n. 120 del 2020, successivamente modificato dall'art. 32, co. 1, lett. a), L. n. 108 del 2021 ed infine dall'art. 9, co. 1, lettera a) della L. n. 34 del 2022.

[49] Art. 18 d.l.17/22 conv in L. 34/2022 rubricato “individuazione di ulteriore aree idonee per l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

[50] In particolare con l’art. 12 co. 3 del d.l. 17/22 conv, in L. 34/2022 vengono aggiunte all’art. 20 co. 8 lett. a) le seguenti parole: «nonché, per i soli impianti solari fotovoltaici, i siti in cui, alla data di entrata in vigore della presente   disposizione, sono presenti impianti fotovoltaici sui quali, senza variazione  dell'area occupata o comunque con variazioni dell'area occupata nei limiti di cui alla lettera c-ter), numero 1), sono eseguiti interventi di modifica + sostanziale per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione, anche con l'aggiunta di sistemi di accumulo di capacità non superiore a 3 MWh per ogni MW di potenza dell'impianto fotovoltaico».

[51] Il contenuto introdotto mediante la lettera c-ter) è il seguente: «esclusivamente per gli impianti fotovoltaici, anche con moduli a terra, in assenza di vincoli ai sensi della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42:

        1) le aree classificate agricole, racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 300 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi i siti di interesse nazionale, nonché le cave e le miniere;

        2)  le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti, questi ultimi come definiti dall'articolo 268, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché le aree classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 300 metri dal medesimo impianto o stabilimento;

        3) le aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 150 metri.»; infine l’art. 7-sexies del D.L. n. 21/2022 conv in L. 51/2022 ha incrementato la distanza fissata nei n. 1) e 2) della lett. c-ter portandola da 300 a 500 metri e quella stabilita al n. 3 portandola da 150 a 300 metri.

[52] Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina

[53] Art. 6 d.l. 50/2022 convertito in L. 91/2022.

[54] Il presente contributo non affronta, ad esempio, le disposizioni che si coordinano con la VIA o le implicazioni sui procedimenti in corso.

[55] Obiettivo indicato nel regolamento UE n. 2021/2019 del 30 giugno 2021 che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento (CE) n. 401/2009 e il regolamento (UE) 2018/1999 («Normativa europea sul clima»); in realtà già in precedenza nella precedente comunicazione del 28 novembre 2018 intitolata «Un pianeta pulito per tutti –Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra» la Commissione aveva illustrato la sua strategia per raggiungere le neutralità in termini di emissioni entro il 2050 mediante una transizione equa sul piano sociale ed efficiente in termini di costi; coerentemente l’obiettivo viene poi specificato anche nell’art. 1 del D.Lgs. n. 199/2021 dove viene indicato l'obiettivo del decreto «di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050».

[56] Intendendo che il conflitto è tutto interno tra ambiente (nella sua dimensione non conservativa) e paesaggio non si vuol certo affermare che attorno alla questione non siano ravvisabili anche ulteriori effetti in altri ambiti legislativi o interessi o valori possibili in gioco quali ad esempio la tutela della concorrenza (a fronte di regolazioni particolarmente restrittive), il governo del territorio, l’agricoltura o, infine, la stessa tutela dell’ambiente nella sua dimensione più conservativa; anzi, in relazione a quest’ultimo aspetto, si potrebbe anche isolare un ulteriore endoconflitto tra protezione in senso conservativo, nella forma che considera i danni arrecati alla fauna selvatica (in particolare per gli effetti negativi legati alla localizzazione degli aerogeneratori) o, più in generale, della biodiversità e valorizzazione ambientale (produzione di energia da fonte rinnovabile).

[57] Il 21 aprile 2022 è stato inaugurato a Taranto il primo parco eolico off-shore; ci sono voluti 14 anni in quanto l’iter è stato avviato nel 2008, D.PALMIOTTI, Taranto inaugura il primo parco eolico offshore italiano e chiede di accelerare su rinnovabili, il sole 24 ore del 21 aprile 2022.

[58] Con la legge costituzionale n. 1/2022 è stato modificato anche l’art. 41 dove sono stati ritoccati il secondo ed il terzo comma; in particolare all’interno dell’enunciato del co. 2 è stato aggiunto come l'iniziativa economica privata non possa recare danno «alla salute» e «all’ambiente» e nel co. 3, in chiusura, che l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata anche per finalità «ambientali»; per commenti alla revisione costituzionale cfr. M.CECCHETTI, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche innovativa) e molte lacune, in Forum di Quad.Cost., n. 3,2021; A.O.COZZI, La modifica degli artt. 9 e 41 in tema di ambiente: spunti dal dibattito francese sulla Carta dell’ambiente del 2004 tra diritti e principi, in DPCE online, n. 4, 2021, 3391-3430; G.VIVOLI, La modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione: una svolta storica per l’ambiente o “molto rumore per nulla?, in Queste istituzioni, n. 1/2022; G.DI PLINIO, L’insostenibile evanescenza della costituzionalizzazione dell’ambiente, in federalismi.it, Paper del 1 luglio 2021, che ritiene la revisione, nel suo complesso «inutile, forse dannosa, al limite stupida» e anche T.E.FROSINI, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in federalismi.it, Paper del 23 giugno 2021, che ritiene la revisione non necessaria e paventa anche un potenziale rischio nella modifica dei principi fondamentali in quanto «anche laddove si volessero modificare i principi fondamentali (rectius: supremi) per migliorarli, si correrebbe il rischio di creare un pericoloso precedente, che oggi potrebbe valere pure in senso positivo ma domani non potrà essere impedito in senso negativo»; esprime una valutazione più positiva I.A.NICOTRA, L’ingresso dell’ambiente in Costituzione, un segnale importante dopo il Covid, in federalismi.it, Paper del 23 giugno 202; esprime un giudizio negativo in particolare per quanto riguarda la tutela degli animali F.RESCIGNO, Quale riforma per l’articolo 9, in federalismi.it, Paper del 23 giugno 2021; in particolare l’A. osserva come la «revisione non ripropone nemmeno la definizione europea di “esseri senzienti” e non modifica la posizione giuridica degli esseri animali, ancora collocati nell’inedita ed umiliante categoria giuridica delle “res senzienti”. Non si afferma il comune destino ontologico, insomma nulla cambia con l’attuale revisione che anzi compie un passo indietro rispetto all’affermazione del Trattato di Lisbona».

[59] Cfr sentenza n. 85/2013 sul caso Ilva dove la Corte costituzionale, negando ogni gerarchia aprioristica tra diritti fondamentali protetti dalla Costituzione, ha affermato come questi siano «in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».

[60] M.CECCHETTI, Legislazione statale e legislazione regionale per la tutela dell'ambiente: niente di nuovo dopo la riforma costituzionale del Titolo V?, in Regioni, 2003, n. 1, 318 ss; S.MANGIAMELI, Sull'arte di definire le materie dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, ivi, 337 ss; F.S.MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle materie "trasversali": dalla sent. n. 282 alla n. 407 del 2002, in Giur. cost., 2002, n. 4, 2951 ss; C.SARTORETTI, La tutela dell'ambiente dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione: valore costituzionalmente protetto o materia in senso tecnico?, in Giur. it, 2003, n. 3, 417 ss; cfr P.CARETTI – V.BONCINELLI, La tutela dell’ambiente negli sviluppi della giurisprudenza costituzionale pre e post-riforma del Titolo V, in Giur. cost., n. 6, 2009, 5191, dove gli A. evidenziano come la sentenza contenga una «una fortissima dose di ambiguità, che costringerà la giurisprudenza successiva a veri e propri “salti mortali” ermeneutici, alla ricerca di una impossibile “quadratura del cerchio”».

[61] La prima decisione dove la Corte individuò la presenza di ambiti materiali indicati nell'art. 117 co. 2 ma non configurabili come "materie" in senso stretto ma piuttosto competenze statali idonee ad investire una pluralità di materie è stata la sentenza n. 282/2002; A.D’ATENA, La Consulta parla… e la riforma del Titolo V entra in vigore, in Giur. cost., 2002, n. 3, 2030 ss; D.MORANA, La tutela della salute, fra libertà e prestazioni, dopo la riforma del Titolo V. A proposito della sentenza 282/2002, ivi, 2002, n. 3, 2034 ss; R.BIN, Il nuovo riparto di competenze legislative: un primo, importante chiarimento, in Regioni, n. 6, 2002, 1445 ss.; in generale sull’argomento F. BENELLI, La «smaterializzazione» delle materie. Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V della Costituzione, 2006 e in precedenza ID, L'ambiente tra "smaterializzazione" della materia e sussidiarietà legislativa, in Regioni, n. 1, 2004, p 176 ss.

[62] Sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998.

[63] P.CARETTI – V.BONCINELLI, La tutela dell’ambiente negli sviluppi della giurisprudenza costituzionale pre e post-riforma del Titolo V, cit., 5188, dove gli A. osservano come, anche in riferimento alla legislazione precedente la riforma del Titolo V e in particolare nel D.Lgs. 112/1998, «l’abbandono della concezione che vedeva nell’ambiente una “materia” o “supermateria” (quest’ultima espressione è di A.Predieri) per abbracciare una concezione della protezione ambientale in termini valoriali e finalistici, come una “non materia” (D’Atena) ovvero come “materia trasversale”, in grado di attraversare ambiti competenziali diversi quanto a natura, estensione e titolarità, si sia risolta in una evidente “contaminazione” tra la prima e la seconda parte della Costituzione»; A.MITROTTI, L’interesse nazionale nell’ordinamento italiano. Itinerari della genesi ed evoluzione di un’araba fenice, 2020, p. 158.

[64] M.CERUTI, La Corte costituzionale detta il “decalogo” della buona legge regionale in materia di inquinamento elettromagnetico sulla base della inderogabilità (anche in melius) dei valori soglia statali, in Riv. giur. ambiente, 2004, n. 2, 258 ss; F. DE LEONARDIS, La Corte costituzionale sulla "necessità" degli impianti di telecomunicazione (nota a C. cost., 7 ottobre 2003, n. 307), in Il Foro amministrativo (CDS), 2003, vol. 2, fasc. 10, 2811 ss; Q.CAMERLENGO, Il nuovo assetto costituzionale delle funzioni legislative tra equilibri intangibili e legalità sostanziale (Nota a Corte cost. 307/2003), in Le Regioni, 2004, n. 1, 623 ss.; G. TARANTINI, La disciplina dell’elettrosmog tra Stato e Regioni, in federalismi.it, n. 20/2004; G.M. SALERNO, Derogabilità in melius e inviolabilità dell’equilibrio stabilito dalla legislazione statale organica, ivi, n. 14/2003; F. ORLINI, Tutela dell’ambiente e riforma del Titolo V della Costituzione: spunti di riflessione in tema di competenze dello Stato e delle Regioni, in Riv. giur. edil., n. 2,  2004, 406 ss.

[65] Cfr M.MICHETTI, La tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in AA.VV., Scritti in onore di Antonio D’Atena, 2015, 1924-1927; nel determinare il punto di equilibrio sulla necessità per lo stato di rispettare il principio di sussidiarietà «che si concretizza in una verifica di ragionevolezza e proporzionalità» F.BENELLI, Separazione vs collaborazione: due nuove pronunce della Corte costituzionale in tema di tutela dell’ambiente e di materie trasversali, in Regioni, 2008, n. 4/5, 910.

[66] Sent. n. 331/2003.

[67] Sent. n. 307/2003; ns il corsivo.

[68] Infatti ai sensi dell’art. 20, co. 1, d.lgs n. 199/2021 i decreti interministeriali dovranno stabilire «principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili» (ns il corsivo).

[69] L’identificazione di tali aree comporta solo «una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione» (sentenza n. 11 del 2022), e, dunque, integra un giudizio di primo livello «con finalità acceleratorie, spettando poi al procedimento di autorizzazione il compito di verificare» (sentenza n. 77 del 2022) «se l’impianto così come effettivamente progettato, considerati i vincoli insistenti sull’area, possa essere realizzabile» (sentenza n. 177 del 2021 e, di seguito, sentenze n. 77 e n. 11 del 2022).

[70] Si tenga presente come, nel quadro delle disposizioni attinenti il PNRR, già qualche mese prima rispetto all’emanazione del d.lgs. 99/2021, nel d.l. 77/2021 del 31 maggio 2021, convertito in L. 108/2021 del 29 luglio 2021, n. 108 recante «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure» sono state previste delle indicazioni specifiche relative alle aree contermini; difatti con l’art. 30 co. 1 è stato aggiunto all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 un ulteriore comma 3 bis dove è stato precisato che il MIC «partecipa  al  procedimento unico ai sensi del presente articolo in relazione ai progetti  aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti  rinnovabili, comprese  le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione  e all'esercizio degli stessi impianti, localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere,  ai  sensi  del  decreto  legislativo  22 gennaio 2004, n. 42, nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo»; ma più significativo è quanto disposto all’art. 30 co. 2 dove, sempre in relazione alle aree contermini a quelle sottoposte a tutela paesaggistica, è stato stabilito che nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da  fonti  rinnovabili il MIC si esprima nell'ambito della conferenza di servizi con parere obbligatorio non vincolante e come in caso di silenzio l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda; è stato anche specificato come in tali casi non possano essere attivati i rimedi per le amministrazioni dissenzienti ex art. 14-quinquies della L. 241/1990.

[71] Cfr. la ricostruzione supra par. 4.

[72] Mentre invece per le aree individuate nell’art. 20, co. 8, lett. c-ter) si fa riferimento solo alla parte II del D.Lgs. n. 42/2004 ossia solo ai beni culturali.

[73] Il dato non è così immediato da verificare ma la possibilità che la combinazione del numero di beni protetti con l’applicazione della distanze della fasce di rispetto determini una scarsità di aree sembra tutt’altro che improbabile; cfr l’articolo sul sole 24 ore di giovedì 16 giugno a p. 18 di J.GILIBERTO, Rinnovabili in Emilia-Romagna pochi ettari per i nuovi impianti, dove emerge che per gli impianti eolici vi sarebbero solo due località a disposizione.

[74] L’Italia ha superato l’obiettivo del 17% assegnato all’Italia dalla Direttiva 2009/28/CE da raggiungere entro il 2020; cfr supra nota n. 23.

[75] Il presente contributo viene chiuso il 30 luglio 2022.

[76] Cfr. anche il recente rapporto IPCC (AR6 WG3) che prospetta scenari alquanto negativi e richiederebbe una riduzione delle emissioni inquinanti decisamente significativa nel breve periodo.

[77] W.D.NORDHAUS, The climate casino: risk, uncertainty and economics for a warming world, 2013, 318; l’A. nel 2018 ha ricevuto il premio Nobel per l’economia assieme a P.M.ROMER per i loro studi sui rapporti tra macroeconomia, tecnologia e cambiamenti climatici.