Pubbl. Mar, 17 Nov 2015
Procreazione medicalmente assistita: ancora una volta la Consulta sulla l. 40/2004 IWQ4V7EY6EDV0RS
Modifica paginaDepositata mercoledì 11 novembre l´ultima sentenza, n. 229/2015, con cui il Giudice delle Leggi è intervenuto sulla l. 40 del 2004. La questione, sollevata dal Tribunale di Napoli, deve essere letta alla luce di un´altra recente pronuncia sullo stesso testo legislativo. Con la sent. 96/2015 dello scorso maggio, infatti, la Consulta ammetteva alla pratica della procreazione medicalmente assistita (PMA) anche le coppie portatrici di malattie genetiche di particolare gravità.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 96/2015, ammettendo la PMA anche alle coppie portatrici di malattie genetiche gravi, consentiva la diagnosi preimpianto (DGP) sugli embrioni al fine di individuare quelli geneticamente sani.
In aperta contraddizione, tuttavia, rimaneva salva la disposizione della l. 40 che prevedeva una sanzione penale in capo al medico che svolgesse tale selezione sugli embrioni. La necessità di un nuovo intervento della Corte Costituzionale su questa materia è, ancora una volta, indice della difficoltà nell´ordinamento italiano di bilanciare la tutela dell´embrione e gli altri diritti.
Il Tribunale di Napoli, con ord. n. 149/2014, rimetteva alla Corte Costituzionale la questione relativa a due disposizioni della l. 19 febbraio 2004, n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita". La prima disposizione censurata, art. 13, comma 3, lettera b) sanciva il divieto di "ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni", prevendo poi al comma 4 una duplice sanzione detentiva e pecuniaria. Analogamente l'art. 14, seconda norma oggetto della questione di costituzionalità, pone ai comma 1 e 6 rispettivamente un divieto assoluto di "crioconservazione e soppressione degli embrioni" e la previsione di una condanna a reclusione e di una multa. I due giudizi di costituzionalità, che nell'impostazione del giudice a quo risultano indissolubilmente legati o quanto meno conseguenziali, hanno però avuto esisti diametralmente opposti. Ciò è dovuto, come si approfondirà più avanti, al preponderante bilanciamento in favore della tutela dell'embrione operato dalla Consulta.
Più specificatamente, nel giudizio principale il giudice partenopeo accoglie l'istanza d'inconstituzionalità proposta da alcuni medici accusati rispettivamente dal reato di selezione eugenetica nell'ambito di procedure finalizzate "all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche" e, in relazioni a tali fatti, del reato di soppressione degli embrioni soprannumerari che risultavano affetti da tali patologie.
Il rimettente rileva un contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, qui articolata come vizio di coerenza della norma: infatti, le malattie genetiche individuate sono le stesse per cui la l. 194 del 1978 prevede la possibilità di aborto terapeutico anche oltre i 90 giorni. Si sarebbe potuti arrivare, in maniera del tutto paradossale, ad un'interpretazione per cui la donna è "forzata" all'impianto dell'embrione malato, salvo poi avere la possibilità di interrompere la gravidanza. Altri profili di incostituzionalità sollevati dal giudice a quo riguardano l'art. 2, nello specifico "la tutela del diritto all'autodeterminazione della coppia", e la presunta violazione del diritto alla salute ex art. 32 della coppia generatrice.
Un ulteriore parametro è individuato nell'art. 8 della CEDU, come norma interposta in virtù del rinvio mobile di cui all’art. 117, primo comma, Cost. Già infatti nella sentenza del 28 luglio 2012, Costa e Pavan contro Italia, la Corte EDU aveva censurato la normativa italiana per violazione del "diritto al rispetto della vita privata e familiare [che] include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica".
In recepimento di questa pronuncia, con la sent. 96/2015, il nostro ordinamento perviene all'estensione del diritto di avvalersi delle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche "alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 […], accertate da apposite strutture pubbliche". Tra le procedure di PMA ammesse rientra anche la diagnosi genetica preimpianto con il fine esclusivo, in funzione dell'impianto, di individuare gli embrioni non affetti dalla malattia del genitore e per cui non sussiste il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro.
La Corte, nell'odierna 229/2015, richiamandosi al principio di non contraddizione, afferma con una nuova pronunzia additiva l'ammissibilità della selezione eugenetica per i casi sopra richiamati e dichiara l'illegittimità dei commi 3, lettera b) e 4 dell'art. 13, nella misura in cui non prevede tale ipotesi. Dunque il professionista sanitario che opera la DGP sugli embrioni, selezionado quelli sani ai fini dell'impianto, non solo non commette reato, ma agisce in applicazione di un espresso "criterio normativo di gravità".
Su un piano del tutto diverso, la Suprema Corte si pronuncia per l'infondatezza della questione costituzionale in merito all'art. 14, valorizzando al massimo grado la discrezionalità del legislatore del 2004. Nella ratio della Legge 40 l'embrione che a seguito di DGP risulta affetto da grave patologia genetica è totalmente equiparabile - e di fatto equiparato - all'embrione sano sotto il profilo del divieto di soppressione. "Nella fattispecie in esame, - continua la Corte in uno dei passaggi più significativi - il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista". Ritorna qui il tema del bilanciamento tra la tutela dell'embrione e la tutela di altri diritti, potendo la prima soccombere rispetto a valori costituzionalmente considerati più rilevanti, quali la salute della donna (sent. 151/2009).
A una prima lettura può apparire incoerente la scelta di non ammettere comunque la soppressione di embrioni quando questi ultimi, se impiantati o direttamente formatisi nell’utero, potrebbero ex lege essere volontariamente abortiti dalla donna. Non di meno il criterio che fonda il decisum della Corte Costituzionale punta a far salva l’assolutezza del divieto di soppressione dell’embrione, e finanche di quello gravemente malato. Così facendo si ribadisce ancora una volta l’esistenza di una concreta linea di demarcazione tra ciò che potrebbe diventare trattamento di "mero materiale biologico" e quanto, invece, l’ordinamento si propone: tutelare, pur con diversi e soggettivi gradi di riconoscibilità, la "genesi della vita".
Bibliografia
- S. Canestrari, Delitti contro la vita, inserito in AA. VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, VI ed., 2014, p. 479 e seg.
- F. Minni e A. Morrone, Il diritto alla salute nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, pubblicato da Associazione italiana dei costituzionalisti, rivista n° 3/2013
- A. Morrone, Ubi scientia ibi iura. A prima lettura sull'eterologa in Consulta Online 2014