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Pubbl. Mar, 16 Ago 2022

Net neutrality: il dibattito sulla neutralità della rete come terreno di incontro fra tecnica e diritto

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Italo Guagliano



A quasi quattro anni dalla campagna “#BreakTheInternet” lanciata dal movimento Fight For Future in risposta alla riforma posta in essere dall’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, volta a eliminare dal panorama giuridico la Net Neutrality, il presente lavoro si pone come obiettivo l’analisi del principio tecnico-giuridico conosciuto in Italia come “neutralità della rete”, in forza del quale, la diffusione di contenuti culturali, scientifici, divulgativi, informativi e di tutti flussi di dati su Internet dovrebbe essere trattata da un punto di vista tecnico in maniera paritaria dai prestatori di servizi, i c.d. I.S.P., affinché questi ultimi non possano esercitare alcuna interferenza nella selezione dei contenuti veicolati.


ENG

Net neutrality: the debate about the network neutrality as a meeting ground between technique and law

Almost four years after the ”#BreakTheInternet” campaign launched by the Fight For Future movement in response to the reform put in place by the former President of the United States of America Donald Trump, aimed at eliminating Net Neutrality from the legal landscape, this work is aims to analyze the technical-legal principle known in Italy as ”net neutrality”, by virtue of which, the dissemination of cultural, scientific, informative and informative contents and all data flows on the Internet should be treated from a technical point of view on an equal basis by service providers, the so-called I.S.P., without any interference in the selection of the contents.

Sommario: 1. Cos’è la neutralità della rete?; 2. Internet Governance fra Net Neutrality e Traffic Management.

1. Cos’è la neutralità della rete?

Nel 1874 il governo del Mississippi completava i lavori per la costruzione dell’Eads Bridge, un ponte diretto fra la città di St. Louis e l’Illinois, pedissequamente venivano predisposti i binari lungo l’intero terminal.

Nel 1889 Jay Gould, intercettando la possibilità di intraprendere un fruttuoso business, fondò insieme ad altre compagnie ferroviarie la Terminal Railroad Association, con lo scopo di acquisire il controllo dei binari e gestire in maniera esclusiva il percorso fra St. Louis e l’Illinois. Un anno più tardi il Congresso completava i lavori per un secondo ponte e decretava il divieto per le compagnie già attive sull’Eads Bridge di intervenire sulla gestione della nuova linea.

Nel 1893 il venir meno di tale divieto, però, portò la Terminal Railroad Association ad acquisire il controllo dei nuovi binari, ottenendo così la gestione di tutti i percorsi colleganti Missouri e Illinois. Alla posizione monopolistica acquisita ne conseguì la possibilità per l’associazione di effettuare una discriminazione sui prezzi per l’attraversamento: il bridge arbitrary, ovvero l’imposizione di un pedaggio di due centesimi per ogni cento libbre di materiale, suscitò il malcontento generale e portò alla pronuncia della Corte Suprema che, adita dalle imprese locali, dichiarò l’associazione “illegal”, per aver violato tutte le norme poste alla base di un libero mercato e, in particolare, per aver sfruttato la propria posizione monopolistica per subordinare l’attraversamento del ponte al pagamento di una tassa.

L’associazione, pur ammettendo di avere l’astratta facoltà di incidere sulle attività delle imprese trasportanti, giustificò il proprio comportamento in fase difensiva asserendo che la completa gestione delle strutture risultasse fondamentale per offrire un servizio efficiente e che il pagamento differenziato permettesse un reinvestimento per la manutenzione e il miglioramento dei tragitti.[1]

In maniera simile, lo stesso fenomeno si ripropone nei giorni odierni, attraverso la circolazione dei vagoni virtuali sui binari della rete Internet. Il ruolo della Terminal Railroad Association è oggi svolto dagli Internet Service Provider (d’ora in avanti ISP), società aventi il compito di gestire il transito delle informazioni sull’infrastruttura informatica e in grado, almeno tecnicamente, di regolare il transito in maniera arbitraria, favorendo o discriminando informazioni diverse o provenienti da mittenti diversi. L’analisi di un esempio renderà di più facile comprensione l’analogia.

Nel distribuire il servizio Bell Mobile TV, un servizio assimilabile al più famoso Netflix, erogatore di media, la Bell Mobility Inc., un ISP canadese, era solita acquistare i diritti sui contenuti video direttamente dai titolari del copyright per poi distribuirli attraverso un catalogo liberamente consultabile on-demand. In virtù della posizione ricoperta in quanto impresa di erogazione di accesso alla Rete era poi solita offrire tariffe differenziate por coloro che avessero deciso di utilizzare il suo servizio di streaming piuttosto che uno di quelli avversari, sfruttando la propria posizione sul mercato degli ISP per acquisire una posizione di dominio anche sul diverso mercato dei contenuti video.

Nel dicembre del 2015 tale atteggiamento venne sanzionato dalla Canadian Radio-television and Telecommunications Commission (CRTC)[2] che ritenne che la preferenza assegnata dalla società ai propri servizi di streaming potesse, nel lungo periodo, incidere sulla libera determinazione dei consumatori. In particolare, la Commissione, nell’analizzare la posizione della Bell Mobility Inc. e la relativa disciplina applicabile qualificò l’ISP come common carrier – vettore comune – destinatario, quindi, della disposizione contenuta nella sez. 27(2) del Telecommunication Act (S.S. 1993, c. 38):

“Canadian carrier shall, in relation to the provision of a telecommunication service or the charging of a rate for it, unjustly discriminate or give an undue or unreasonable preference toward any person, including itself, or subject any person to an undue or unreasonable disvantage”.

Risulta chiaro, a questo punto, che, indipendentemente dalla natura del trasporto, chi gestisce i binari è in grado di condizionare l’andamento dei viaggi e dei mercati che si sviluppano sulla base degli stessi. A tale potere di mercato - cui consegue la capacità di comprimere la libertà di scelta delle controparti commerciali - si accompagna, però, l’accrescimento di risorse da parte del soggetto titolare della posizione di forza, idoneo a portare un miglioramento del sistema attraverso l’aumento degli investimenti e alla conseguente maggiore diversificazione dell’offerta, idonea a soddisfare maggiormente i consumatori.[3]

Affrontare il tema della neutralità della Rete significa preliminarmente conoscere i protagonisti di Internet e i relativi rapporti. Internet, infatti, presenta soggetti diversi con interessi non sovrapponibili, se non apparentemente.

Da una parte vi sono, infatti, gli ISP, gestori della fornitura della connessione, desiderosi di ottenere un compenso per l’allacciamento all’infrastruttura, e di poter gestire con la massima discrezionalità la propria Rete, in maniera tale da massimizzare la qualità della propria offerta; vi sono poi i fornitori di contenuti, detti anche content provider, ovvero coloro che svolgono la propria attività attraverso la rete, mettendo a disposizione degli end user applicativi e servizi, insofferenti dinanzi alla prospettiva di pagare maggiorazioni per raggiungere i consumatori e di subire la concorrenza di imprese legate agli ISP.

Vi sono, infine, gli utenti finali o consumatori, aventi come finalità la possibilità di viaggiare nel cyberspazio liberamente e attraverso tutti i dispositivi a loro disposizione.[4]

Fra queste categorie di soggetti, gli ISP si contraddistinguono per il potere - loro attribuito dalla funzione svolta - di incidere sulle modalità di circolazione dei dati sulla rete informatica. Essi, infatti, in assenza di vincoli non si pongono come asettici fornitori di accesso all’infrastruttura bensì intervengono attivamente sul traffico con modalità differenziate che assumono il nome di traffic management, in grado di influire sull’assetto di interessi di tutti gli agenti della Rete.[5]

In particolare la capacità degli ISP di incidere sul traffico informatico può svilupparsi su piani diversi: essa infatti può riguardare l’utente finale, attraverso la differenziazione della velocità, della banda minima e del quantitativo di traffico messo a sua disposizione[6]; i content provider, il cui trattamento può essere diversificato attraverso blocchi, rallentamenti, miglioramenti e politiche di pricing; può infine condizionare il traffico sulla base della tipologia dei bytes trasmessi, differenziandoli per velocità e banda minima. L’insieme di tali pratiche assume il nome di traffic management, o di broadband discrimination, sintetizzabile come l’insieme delle pratiche tese a differenziare i contenuti trasmessi via Internet.

La centralità del Web come mezzo maggiormente utilizzato per le comunicazioni digitali rende evidente la centralità della questione volta a definire la legittimità e l’opportunità di tali operazioni.[7]

In particolare, desta perplessità la possibilità degli Internet Service Provider di utilizzare algoritmi in grado di effettuare una deep packet inspection, ovvero un preventivo controllo della tipologia di traffico che permette all’operatore di rete di conoscere il contenuto della comunicazione veicolata attraverso l’infrastruttura, in maniera tale da incidere sulla trasmissione dei dati, rallentandola, velocizzandola o degradandola in ragione dell’identità dell’uploader o del downloader.

Il condizionamento delle trasmissioni può inoltre avvenire sulla base di motivazioni commerciali, attraverso la limitazione della banda o della velocità del flusso immesso da fornitori non paganti per un trattamento differenziato e migliorativo.

D’altronde, l’esponenziale aumento del traffico IP, e la conseguente possibilità di un congestionamento della Rete dovuta al best effort – ovvero alla modalità di gestione in assenza di operazioni di discriminazione -  impone al giurista la necessità di guardare alle operazioni di traffic management senza ideologie o preconcetti, nella consapevolezza che una gestione del traffico oculata, implicante quindi la broadband discrimination, potrebbe incontrare le esigenze degli stessi utenti, certamente desiderosi di evitare malfunzionamenti della Rete.[8]

La consapevolezza raggiunta dei poteri esercitabili dai gestori della Rete ha portato alla preoccupazione di utenti e content provider, spaventati dall’idea che possano essere considerate legittime attività secondo loro lesive di diritti individuali, e in grado di determinare favoritismi a vantaggio di alcuni operatori a scapito degli altri, creando così un Internet “a due velocità”.[9]

Da tale timore nasce il dibattito sulla Net Neutrality, espressione spesso utilizzata senza la giusta consapevolezza. Non a caso, il prof. Owen nel 2014 scrisse: “I suppose most of the people who favor net neutrality have no very specific idea what it means. Net Neutrality is a slogan, not a policy. Perhaps deliberate vagueness explains the term’s popularity”.[10] L’espressione neutralità della rete, utilizzata per la prima volta da Thomas Wu in Network Neutrality, Broadband Discrimination del 2003, è spesso infatti abusata da utilizzatori del web inconsapevoli del suo reale portato.

La prima difficoltà che si incontra nel suo studio è, infatti, di tipo definitorio: i contributi della letteratura non sono stati in grado di giungere a una definizione univoca di Net Neutrality, mettendo in luce di volta in volta soltanto aspetti differenti e talvolta persino contrastanti, contribuendo a polarizzare il dibattito e di trasformarlo da tecnico a ideologico e, ad oggi, perfino partitico. Dello stesso avviso è il prof. Zhu che, nel 2010, cercando di riportare sul corretto binario il dibattito pubblico in tema di neutralità della Rete scrisse: “the network debate focuses on a technical question that has great economic significance, although the exact meaning of the term has received different and confusing interpretations”.[11]

In via generale la Net Neutrality potrebbe essere descritta con le parole utilizzate dall’Autorità per le Garanzie nelle telecomunicazioni:

un modello di gestione dei dati veicolati su Internet comprendente condizioni tecniche, giuridiche e commerciali in virtù del quale il traffico non subisce differenziazioni in ragione del tipo, dell’origine, della destinazione e del volume”.[12]

Binari, insomma, insensibili al cambiamento di utente trasportato. Il prof. Baratt descrisse tale concetto, in maniera evidentemente provocatoria, come figlio della stessa logica in base alla quale il funzionamento dell’impianto elettrico debba rimanere il medesimo indifferentemente dallo strumento da alimentare, sia esso un tostapane o un computer.[13]

I fautori della Net Neutrality ritengono, quindi, che debbano considerarsi illegittime tutte le discriminazioni tecnicamente effettuabili dagli ISP, comprese le pratiche volte a priorizzare determinate tipologie di flusso o a degradarle. Simili operazioni, infatti, porterebbero alla nascita di una fast lane ovvero una corsia preferenziale accessibile soltanto alle società più facoltose e in grado di sostenere le spese richieste dagli ISP, costringendo gli altri content provider all’utilizzo di una più economica, ma lenta, slow lane.[14]

Il divieto di simili pratiche affiderebbe la gestione del traffico al solo principio dell’end to end, in base al quale all’operatore di Rete è impedito il deep packet inspection, potendo esso solo occuparsi di trasmettere i pacchetti informativi indipendentemente dal loro contenuto.

Ciò, per i promotori della Net Neutrality, porterebbe a un aumento di competitività nel mercato delle web-app e dei servizi informatici, i cui programmatori dovrebbero interessarsi solo di accedere alla Rete e non anche di gestire le modalità per raggiungere gli utenti finali. Non essendo possibile in regime di net neutrality, stringere accordi con le ISP da parte degli operatori già attivi sul mercato, i nuovi non potrebbero temere discriminazioni.[15]

D’altra parte, una regolazione che limiti fortemente il raggio d’azione degli ISP tanto da impedir loro di differenziare l’offerta viene interpretato dagli operatori di Rete come un ostacolo alla libera competizione e un limite alla propria iniziativa economica.

E d’altronde, come si faceva notare in apertura, la struttura attuale di Internet insieme all’aumento esponenziale di domande d’accesso, impongono investimenti possibili solo in presenza di un internet in grado di essere efficientemente commercializzato.

Parte della dottrina statunitense sottolinea, inoltre, la mancanza di prove empiriche volte a dimostrare che una discriminazione delle tariffe da parte degli ISP ostacolerebbe l’innovazione tecnologica. Tali pratiche potrebbero anzi giovare risolvendo i problemi di congestionamento e favorendo la concorrenza fra gestori della Rete.[16]

Rimandando l’analisi del dibattito avente ad oggetto l’opportunità di adottare una normativa in tema di Net Neutrality, si può per il momento sintetizzare la posizione dei suoi fautori nell’obiettivo di impedire differenziazioni nella distribuzione dei pacchetti IP, indipendentemente dalla loro natura.[17] Il prof. Genna fortemente critico nei confronti di tale posizione scrisse che tale atteggiamento nei confronti degli ISP sarebbe come imporre un modello nazionale di automobile per evitare che qualcuno possa viaggiare un po’ più comodo o raggiungere prima la meta o, per dirlo con le parole dell’economista Mueller, sarebbe come obbligare tutti a indossare la stessa tunica Mao, per evitare che i ricchi possano risultare meglio vestiti delle classi meno abbienti.[18]

La conoscenza circa lo sviluppo di Internet non può che portare a non accogliere in pieno una tale visione della Rete, la cui nascita è stata caratterizzata dalle spinte proprio provenienti dai privati e, quindi, dal libero mercato.

È noto, infatti, come la gestione del sistema dei nomi a dominio (d’ora in poi DNS) sia tutt’ora caratterizzata da una forte presenza di gruppi privati che ne gestiscono il funzionamento cercando di emanciparsi dall’intervento dei pubblici poteri. I protocolli di funzionamento di Internet non sono innati della piattaforma, sono bensì il frutto di convenzioni stipulate fra gli operatori della rete stessa in assenza di regolamentazione, lo stesso protocollo DNS è insensibile rispetto alla scelta di rendere prioritari alcuni pacchetti rispetto ad altri.

L’intervento discriminatorio degli ISP ha inoltre certamente contribuito all’innovazione dell’infrastruttura informatica: come sottolinea Mueller, infatti, un’estensione della Net Neutrality volta rendere assolutamente eguale per tutti la connessione avrebbe impedito la nascita della banda larga, in quanto non sarebbe stato possibile pagare tariffe differenziate per ottenere una velocità maggiore. Riservando al paragrafo successivo l’analisi di tali posizioni, risulta da subito evidente come una completa parificazione di ogni pacchetto IP presente sulla rete sia utopistica e, forse, nemmeno auspicabile.[19] In tale ottica vale la pena richiamare le parole di Nicholas Negroponte, pioniere della Rete dai suoi albori:

“The truth is all bits are not created equal. An entire book, digitized, is about a megabyte. One second of high definition video, though, is more than a megabyte. If you have a pacemaker that trasmits, then a few bits of your heart data are small fraction of a book. So you have bits that represent your heart, bits that represent books, and bits that represent video. To argue that they’re all equal is crazy.”[20]

Dello stesso avviso è anche il prof. Gregory dell’Università della Columbia, arrivato a definire la Net Neutrality come la proposta in veste moderna e informatica delle pretese economiche socialiste:

“Clearly, the notion that everything on the internet is valuable and worthwhile is a hilarious proposition to anyone who has actually been on the Internet”[21].

La difficoltà di formulare il dibattito in termini scientifici scaturisce, come detto in precedenza, dall’indeterminatezza che l’espressione Net Neutrality assume fra i suoi stessi fautori. Net Neutrality è, infatti, sinonimo non di mera neutralità della rete, intesa come eguaglianza degli utenti sulla stessa, bensì di regolamentazione volta a impedire operazioni di traffic management. Le stesse operazioni, invece, considerate da chi si oppone a una normazione invasiva per gli ISP “per sé neither good nor bad”.[22]

Una tale definizione di Net Neutrality ci permette di dividere i suoi sostenitori in categorie, differenziate in base al grado di estensione del divieto di operazioni di gestione del traffico. Un approccio c.d. strong prevederebbe l’illegittimità di qualsiasi forma di traffic management, mentre un approccio più soft porterebbe a differenziare le operazioni lecite da quelle illecite sulla base di criteri definiti aprioristicamente: definizione delle attività legittime, trattamento eguale di traffici assimilabili, livelli minimi di Quality of Service (QoS) per i servizi privi di priorizzazione, anche per evitare degradazioni di banda tali da scoraggiare gli utenti a utilizzare servizi unmanaged.

La critica effettuata dai sostenitori dell’approccio più duro consiste nell’evidenziare il rischio che i servizi oggetti di priorizzazione possano togliere risorse a quelli abbandonati alla dirty road ed è rigettata da coloro che ritengono che alcune operazioni di traffic management potrebbero portare benefici agli utenti diminuendo le congestioni e avvicinando l’offerta alle effettive esigenze degli end user. Per concludere gli aspetti definitori vale la pena sottolineare che, ad oggi, limitare il dibattito sulla Net Neutrality alle mere operazioni effettuate dagli ISP significa avere una visione quantomeno miope del funzionamento dell’infrastruttura informatica.

La fruizione degli applicativi web, infatti, lungi dall’essere stata ostacolata dai provider anche in assenza di una normativa in materia di neutralità della rete, è di fatto resa non neutrale dagli altri operatori operanti in Internet: social network, motori di ricerca e social media indirizzano il traffico Internet in base ad algoritmi propri spesso influenzati da politiche di pricing e ranking.

Inoltre, produttori di hardware impediscono ai loro utenti l’interconnessione dei propri dispositivi con altri applicativi gratuiti o escludono servizi dai propri application store, aprendo a fenomeni di concorrenza sleale per le imprese poste in posizioni di potere di mercato. Ciò nonostante, tali soggetti sono sottoposti, giustamente a parere di chi scrive, soltanto alle normative in materia di tutela del consumatore e di concorrenza, nel rispetto così delle proprie strategie commerciali in assenza di illeciti concorrenziali.

La neutralità della rete non è sufficiente in un contesto in cui gli acquirenti di prodotti di una determinata produttrice di hardware possono accedere soltanto ai software da questa scelti. Ad impedire la compressione della determinazione del consumatore entrano in gioco i meccanismi concorrenziali: in un mercato come quello dei device tecnologici, caratterizzato da una forte competitività, i produttori agiscono in maniera tale da incontrare le esigenze degli end user liberi, altrimenti, di rivolgere la propria attenzione ad altre compagnie.

È evidente a questo punto che affrontare la questione Net Neutrality necessita l’attenzione e la conoscenza di tutti gli interessi ad essa subordinati, essa infatti coinvolge diritti anche costituzionalmente garantiti e snodi fondamentali quali la promozione dell’innovazione tecnologica, la tutela delle libertà universalmente riconosciute e la realizzazione di mercati concorrenziali, tanto quelli inerenti gli applicativi web, tanto quelli inerenti l’accesso alla Rete.[23]

La presenza di un dibattito induce a pensare che un problema esista ma scopo del giurista è quello di “sfuggire alla logica di un confronto manicheo tra chi, da un lato, intenderebbe trattare i bit in maniera assolutamente arbitraria e discriminatoria e chi, dall’altro, vorrebbe invece trattarli in maniera assolutamente egualitaria come nelle fattorie maoiste.”[24]

Nel prosieguo si proverà a comprendere se le operazioni di traffic management rappresentino o meno un pericolo per Internet così come lo conosciamo e se, in tal caso, sia necessaria una normativa organica ad hoc o se invece sia sufficiente il ricorso alle diverse forme di tutela e composizione già previste dall’ordinamento per far fronte agli abusi effettuati in danno ai soggetti economicamente più deboli e, in particolare, alla disciplina in materia di concorrenza e consumatori.[25]

2. Internet Governance fra Net Neutrality e Traffic Management

Comprendere se le spinte che vorrebbero un’assoluta parità di trattamento dei contenuti immessi in Internet meritino supporto non è cosa facile. Il dibattito ha visto nel corso degli anni l’intervento di economisti, giuristi e tecnici dell’infrastruttura senza addivenire a una soluzione univoca in grado di soddisfare tutti i partecipanti alla discussione. Ciò perché la net neutrality, lungi dall’essere solo frutto di ragionamenti tecnici, impone scelte di politica economica evidentemente influenzate dalle ideologie di chi, di volta in volta, si trova a doverle prendere. In questo paragrafo si cercherà di sintetizzare le ragioni che, nel corso degli anni, sono state proposte dai fautori della neutralità della rete e da coloro che - al contrario - ritengono alcune pratiche di traffic management indispensabili per una corretta gestione di Internet e per un suo sviluppo innovativo.

È assunto comune di coloro che vorrebbero imporre un Internet assolutamente neutrale che gli ISP siano tenuti a trattare acriticamente il traffico quotidianamente generato dagli utenti e dai content provider sulle proprie infrastrutture, favorendo la piena libertà di accesso a tutti i servizi che la Rete può offrire. In tale ottica, essi dovrebbero limitarsi a garantire agnosticamente il transito dei dati, favorendo così la concorrenza fra sviluppatori e content provider, a rischio di sacrificare quella fra gli stessi ISP. Il pensiero è sintetizzabile dalle parole di Thomas Wu che, come detto in precedenza, fu il primo autore a parlare di Network Neutrality:

A communications network like the Internet can be seen as a platform for a competition among application developers. Email, the web, and streaming applications are in a battle for attention and interests of web users. It is therefore important that the platform be neutrale to ensure the competition remains meritocratic”.[26]

Tale sistema, quindi, porterebbe al divieto per gli Internet Service Provider di compiere operazioni quali restringere l’utilizzo di web-app, degradare il traffico proveniente da determinati content provider o, al contrario, priorizzarlo. Per i sostenitori della Net Neutrality sarebbe – perciò - da considerarsi sempre illecita la richiesta di un programmatore di videogiochi online desideroso di pagare di più l’ISP per ottenere maggior banda e garantire così la massima esperienza utente a tutti gli utilizzatori del suo prodotto.[27]

Come abbiamo avuto modo di vedere, però, le posizioni dei sostenitori della Net Neutrality sono tutt’altro che univoche. Nuechterlein, ragionando su un tipo di pratica simile a quella appena analizzata, riassume le diverse anime che caratterizzano i fattori della neutralità della rete, evidenziandone i tre principali orientamenti: da una parte vi è il c.d. dumb pipe proposal, ovvero l’atteggiamento di colui che esclude categoricamente ogni pagamento effettuato agli ISP per ottenere priorizzazione; vi è poi chi sostiene la liceità delle attività di traffic management volte a favorire una determinata tipologia di traffico ma con esclusione dell’imposizione di pagamenti a carico dei content provider; vi è infine - weak form - chi ritiene legittimi e opportuni tali pagamenti se effettuati in base a tariffe non frutto di negoziazione ma, bensì, standardizzate.[28]

Tali posizioni trovano supporto nell’asserità necessità che Internet si basi sul principio tecnico dell’end to end. Esso, infatti, garantirebbe già ex se l’invocata neutralità dell’infrastruttura rispetto ai creatori di contenuti che viaggiano su di essa e permetterebbe il raggiungimento del migliore interesse per lo sviluppo di un mercato pienamente libero, corretto e dinamico.

Vale da subito notare, pur senza la pretesa di esaustività tecnica, che, sebbene tale principio debba considerarsi un pilastro dell’infrastruttura come la conosciamo, esso non debba essere considerato una regola assoluta e priva di eccezioni: Internet conosce numerosi casi nei quali tale principio cede dinanzi a altre e diverse esigenze, ciò potrebbe rivelare che, in realtà, l’utilizzo dell’end to end da parte dei fautori della Net Neutrality, sia null’altro che un pretesto. Tale concetto è ben sintetizzato dalle parole di C.Yoo:

“While it is true that allowing Internet providers to impose proprietary protocols could have a significant impact on innovation and competition, forbidding them from doing so could easely have dramatic effects”.[29]

I sostenitori della Net neutrality ritengono, inoltre, che le pratiche di traffic management, qualora giustificate da motivi commerciali, possano portare alla marginalizzazione dei content provider non in grado di sostenere il pagamento dei pedaggi che renderebbero il proprio servizio più appetibile agli end user, ciò rischierebbe di limitare fortemente anche la libera determinazione dei consumatori e la spinta innovativa sino ad ora sostenuta dai creatori di applicativi e servizi Internet. 

Ad essere interessati dalle pratiche di traffic management, non sono però, secondo i pionieri della neutralità della rete, solo gli aspetti economici. Esse, infatti, sarebbero in grado di influenzare diritti costituzionalmente garantiti quali la libera manifestazione del pensiero, la libertà di comunicazione e la privacy. Non solo gli equilibri economici, quindi, sarebbero interessati dalla tematica della Net Neutrality. Il dibattito, anche in questo caso, ha preso vita oltreoceano: la letteratura statunitense ha infatti individuato il fondamento del “free speech market” di Internet nel I emendamento della Costituzione americana, di seguito riportato integralmente:

“Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech or of the press; or the right of the peole peacebly to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.”

Su tale argomentazione si fonderebbe, quindi, la volontà di non limitare il dibattito sulla neutralità della rete alle mere problematiche tecniche inerenti la trasmissione dei dati sull’infrastruttura ma bensì tenendo come principale oggetto di indagine i diritti ad essa sottesi.

Prima di analizzare i principali aspetti derivanti da tale concezione vale la pena notare che la dottrina americana avversa a una regolazione in materia di Net Neutrality ha da tempo chiarito che esiste una distinzione fra gli aspetti inerenti la tecnica e gli aspetti più squisitamente commerciali, sussumibili sotto l’espressione net neutrality, e quelli che invece afferiscono alla libertà d’espressione in rete, riconducibili alla c.d. net freedom, suscettibili dei tradizionali strumenti messi a disposizione per la tutela della libertà d’espressione.[30]

Ciò nonostante, ad avviso di chi scrive, comprendere le motivazioni dei fautori della Net Neutrality significa coglierne il portato complessivo, compreso lo stretto legame da loro ipotizzato fra gli aspetti tecnici e giuridici, in maniera tale di evitare conclusioni frammentarie e il rischio di conseguire a risultati non utili in quanto frutto dell’impiego di un metodo scorretto. Tale visione è, in particolare, ben rappresentata da Fabio dell’Aversana il quale, nell’analizzare le ragioni pro-net neutrality richiama alcune conclusioni formulate dalla giurisprudenza costituzionale sul tema del pluralismo informativo, nate in materia di assetto del sistema radiotelevisivo ma impiegabili, a parere dell’autore, mutatis mutandis, con riguardo alla problematica della neutralità della rete. In particolare, ricorda l’autore:

 “la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare in più di un’occasione, che il principio del pluralismo informativo presenta un imperativo ineludibile, in virtù del quale si deve assicurare l’accesso al sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse”. [31]

In tale settore l’esigenza di permettere un maggior numero di opinioni ha portato alle numerose sentenze della Corte costituzionale, la quale modificando la disciplina previgente l’ha fortemente distanziata dalla fattispecie generale di illecito antitrust.  La tutela del pluralismo informativo ha infatti portato a una normativa in grado di quantificare ex ante la percentuale di risorse detenibili da un unico operatore del settore, considerando la posizione di dominio sul mercato sanzionabile in quanto tale, in quanto vista come ostacolo alla presenza di una molteplicità di forme informative, in una prospettiva completamente diversa rispetto a quella contenuta nella disciplina antitrust generale.[32]

Secondo il prof. Dell’Aversana, dunque, l’insegnamento proveniente dall’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in tema di settore radiotelevisivo sarebbe rappresentato dall’insufficienza del mero pluralismo tecnico a garanzia del pluralismo informativo e la necessità che il decisore politico guidi le scelte degli operatori tecnici anche, probabilmente, a costo di sacrificare parte della loro iniziativa economica privata.[33] Eppure parte della dottrina non può fare a meno di notare che il divieto assoluto di tutte le operazioni di traffic management porta con se il rischio che la “forzosa standardizzazione dei rapporti degeneri in egualitarismo”.[34]

Da ciò deriverebbero una serie di conseguenze negative, apprezzabili sia sul piano economico che su quello tecnico: semplificazione e svilimento dei differenziati bisogni di tutti gli utenti che utilizzano la rete, possibilità di saturazione della rete con conseguenze negative per i servizi bisognosi di banda, conseguenza delle meccaniche di best effort, velocità e banda variabili in relazione alle fasce orarie di utilizzo. [35] Come si è avuto modo di dire analizzando il concetto di Net Neutrality, anche attraverso le parole di illustri autori, affermare l’assoluta eguaglianza di tutti i pacchetti IP rappresenta una mistificazione incapace di incontrare le esigenze reali dell’infrastruttura informatica.

Gli interessi sottesi alle diverse applicazioni online sono diversi, conseguenza ne è che anche le stesse informazioni alle quali gli interessi si riferiscono non possono essere oggetto di un trattamento assolutamente indifferenziato. Un maggior valore attribuito a un determinato servizio potrebbe giustificare la disponibilità degli end user a un pagamento maggiorato idoneo a garantire l’efficienza dello stesso. C.Yoo, analizzando le conseguenze della neutralità della rete su concorrenza e competizione, reputò che le stesse siano meglio servite dando attuazione all’opposto principio di network diversity, e che il cambiamento della stessa struttura di Internet abbia definitivamente mutato le condizioni sulle quali si basava il dialogo in tema di net neutrality inizialmente, con l’approdo di applicazioni sensibili alla variazione nel tempo della distribuzione e meritevoli, quindi, di priorizzazione.[36]

Le operazioni di traffic management e la diversificazione delle offerte in base ai servizi potrebbero, in tale ottica, portare a un accrescimento del benessere generale in maniera simile a quanto avvenne per le imprese automobilistiche, la cui concorrenza trasformò optional considerati lussuosi in equipaggiamento di serie.[37]

La logica che porterebbe a questa conseguenza è quella figlia dell’economia liberista in base alla quale permettere un miglioramento del servizio per coloro in grado di sostenerne i costi porta inevitabilmente, in un mercato concorrenziale, a un innalzamento dei livelli di investimento e di conseguenza a vantaggi in termini di innovazione e sostenibilità. E d’altronde, lo stesso avviene in materia di spedizioni postali, per le quali l’utente finale è ben disposto a pagare prezzi maggiori per superare la lentezza dei trasporti ordinari: una maggior offerta incontra più facilmente le concrete esigenze dell’utente e permette a questo di spendere il prezzo idoneo alle sue necessità.

Come sottolinea il prof. Owen, un’economia concorrenziale premia la possibilità del consumatore di pagare meno per un servizio inferiore e di più per uno migliore, una tale parametrazione dei prezzi ai costi può essere sostenuta solo in presenza di politiche di gestione del traffico, da svolgersi in ogni caso sotto l’occhio attento dell’autorità antitrust per evitare discriminazioni in danno del consumatore.

Sottrarre i servizi sensibili alla qualità, ovvero quei servizi che richiedono il trasferimento dei dati in tempo reale per essere efficienti, al meccanismo del best effort, porterebbe un vantaggio di immediata rilevabilità agli utenti finali, anche per la porzione di rete ancora in best effort che beneficerebbe di una migliore gestione della banda. In tale ottica una posizione intermedia è assunta da coloro che ritengono si possa parlare di politiche di traffic management abusive solo in presenza di trattamenti differenziati per servizi del tutto simili o equivalenti ma provenienti da content provider diversi. [38]

Prima di proseguire con l’analisi di tale prospettiva vale la pena analizzare come questa trovi riscontro nella recente evoluzione tecnologica che sta coinvolgendo le infrastrutture di reti informatiche: come si è avuto modo di vedere nel primo capitolo, infatti, Internet ha visto la propria estensione interessare ambiti sempre maggiori e ciò ha portato all’affermazione di servizi e contenuti quali video, cloud computing, gaming, ecc, richiedenti sempre maggiore banda e qualità di trasmissione dei dati. Conseguenza di tali servizi è la continua crescita di traffico internet, alla quale consegue la necessità per gli ISP di effettuare investimenti non sufficientemente supportati dai servizi tradizionali. L’utilizzo di operazioni di traffic management e la possibilità di una maggiore diversificazione dell’offerta rischia di essere l’unica metodologia perseguibile per supportare tali livelli di investimento.[39]

La fornitura di servizi a qualità garantita ad un prezzo maggiorato, eventualmente sopportato tanto dagli utenti finali, disposti a un aumento del prezzo in grado di garantir loro l’efficienza del servizio, tanto dai content creator, porterebbe a un livello di risorse maggiore a disposizione degli ISP che potrebbero sostenere in maniera adeguata le spese derivanti dall’innovazione e dalla sostenibilità delle infrastrutture. Ciò coadiuverebbe il prossimo sviluppo del c.d. 5G, standard tecnologico che porterà nei prossimi anni un cambiamento epocale nella concezione della rete e dei suoi utilizzi, in grado grazie a una velocità 50-100 volte maggiore del 4G di abilitare una serie di nuovi servizi specializzati quali e-health, driverless cars, smart cities, ecc la cui ampia richiesta di banda e la sempre più stringente necessità di cybersecurity porterà inevitabilmente a un cambiamento totale del modo di concepire la neutralità della rete. [40]

Diversificare i costi per i content provider, per i sostenitori della liceità e opportunità delle operazioni di traffic management, potrebbe quindi non discriminare le imprese minori ma bensì avvicinare i costi sostenuti dagli utenti finali alle loro effettive disponibilità e esigenze, legati in regime di Net Neutrality a tariffe flat non in grado di intercettare le esigenze degli end user, effettuare una più equa redistribuzione dei costi fra ISP e content provider e fra questi ultimi, al momento resa iniqua dalle tariffe indifferenti dal traffico di dati trasportato; potrebbe infine portare ai service provider maggiori risorse da investire in innovazione, in maniera simile a quanto avvenuto grazie alla possibilità concessa in passato agli utenti di pagare di più per ottenere modem, DSL o fibre più performanti.[41]

M.L. Katz e C. Shapiro, nell’affrontare le possibili conseguenze della Net Neutrality sul mercato concorrenziale degli ISP fanno notare come in qualsiasi mercato standardizzare in maniera perfetta i prodotti acquistabili porta conseguenze negative e rappresenta una stortura della concorrenza, con conseguente perdita per la società globalmente intesa. In mancanza di differenziazione fra i prodotti, infatti, le logiche di domanda e offerta seguono esclusivamente dinamiche di pricing, con conseguente svilimento della soddisfazione dei consumatori.[42]

I fautori della Net Neutrality, osserva Yoo, si concentrano sul problema sbagliato: la concorrenza dei content provider non è a rischio e anzi, il mercato a valle dei servizi e degli applicativi web è cresciuto e prosperato in assenza di una regolazione in tema di Net Neutrality che, invece, rischierebbe di svilire la concorrenza nel diverso mercato dell’accesso alla Rete:

“broadband policy would be better served if such efforts were directed towards identifying and increasing the competitiveness of the last mile, which remains the industry segment that is the most concentrated and protected by entry barriers”

La presenza di una scarsa concorrenza fra i fornitori di accesso alla Rete giustifica, in tale ottica, la diversificazione dei costi e dell’offerta, tale da permettere agli utenti di pagare in maniera differenziata per il servizio che decidono di acquistare e di ottimizzare tanto i profitti delle ISP tanto i benefici degli stessi utenti. Come sottolineano il prof. Chirico e il prof. Larouche, la neutralità della rete sarebbe ottenibile pur in assenza di regolamentazione in un mercato di fornitori di accesso alla rete pienamente competitivo:

“In un contesto di tale tipo, al fine di massimizzare i profitti, i content provider avrebbero interesse a servirsi di tutti gli ISP e questi sarebbero incentivati a distribuire i dati immessi da tutti i content provider, gli utenti finali potrebbero scegliere di acquistare il servizio da un operatore o da un altro secondo il libero gioco di domanda e offerta.”[43]

La massimizzazione dei benefici sociali si otterrebbe, quindi, soltanto in presenza di un mercato degli ISP concorrenziale. Mercato concorrenziale che è, però, come si è avuto modo di vedere, minato dalle stesse regolazioni in tema di Net Neutrality che limitando la possibilità di differenziare l’offerta porterebbero all’annichilimento di un campo la cui competitività è già minata dalla bassa presenza di operatori.

Le regolamentazioni in tema di traffic management, inoltre, rischiano di limitare ulteriormente l’ingresso di nuovi operatori sul mercato e conseguentemente, i capitali da questi disposti a investire: è ciò che traspare dall’opinione dissenziente effettuata dal commissario della FCC Robert M. Mcdowell in occasione dell’adozione da parte dell’authority dell’Open Internet Preserving Act. Egli per dimostrare tale eventualità si rifà alla posizione espressa dalla Lariat, una piccola società che fornisce servizi di accesso ad Internet nel Wyoming, così sintetizzata:

“Lariat has told the Commission that the imposition of network management rules will impede its ability to obtain investment capital and will limit the company’s ability to deploy new service to currently unserved and under served areas (…) Lariat also notes that the imposition of net neutrality rules would cause immediate harm such that due to immediate deleterious impacts upon investments, there damaging effects would be likely to occur eve if the Commission’s Order was later invalidated, nullified or effectively modified by a court challenge or Congressional action.

Risulta a questo punto evidente che il ridotto numero di ISP sia elemento dal quale deriva necessariamente in capo a questi un potere di mercato tale da permetter loro, astrattamente, di impedire il corretto svolgimento di mercato concorrenziale a valle fra i content provider.

Ciononostante la capacità delle operazioni di traffic management di rendere più efficienti la gestione della rete, di aumentare il livello di investimento e il grado di competitività nello stesso mercato degli Internet Service Provider rende chiaro che bisogna sfuggire dall’ipotesi di considerare la posizione di dominanza degli enti gestori della rete un mala ex se, non è infatti la mera la forza negoziale il problema da superare, quanto bensì la possibilità che questa possa essere sfruttata in maniera controfunzionale.

Solo l’analisi delle singole modalità di esercizio può farci addivenire a un giudizio di abusività, determinato da un esercizio della condotta economica potenzialmente in grado di diminuire il benessere economico complessivo e, in particolare, quello del consumatore.[44]

Tale pregiudizio non è mai causato dalla semplice differenziazione dell’offerta e quindi dalle pratiche di traffic management. Esso è, invece, riscontrabile in tutti quei casi nei quali il potere economico detenuto viene utilizzato per ridurre la varietà dell’offerta, degradare la qualità della stessa o ritardare l’innovazione. Nel mercato di accesso a Internet la varietà dell’offerta passa proprio per la diversificazione dei rapporti con i content provider e ISP, la cui liceità o illiceità non può che essere riscontrata in concreto attraverso un’opera di bilanciamento effettuata fra l’autonomia privata – che verrebbe inevitabilmente lesa dall’obbligo di una assoluta parità di trattamento derivante dalla Net Neutrality -, e il principio di uguaglianza nell’accesso al mercato.[45]

Al termine di tale giudizio concreto potrebbe essere definita l’operazione di traffic management lecita - se in grado di aumentare la soddisfazione degli utenti e favorire la circolazione della ricchezza anche in ottica reinvestimenti e innovazioni – oppure illecita – qualora essa fosse servita solo per assecondare il desiderio dell’ISP di accrescere la propria posizione sul mercato -. Nel caso da ultimo descritto ci troveremmo dinanzi a un approfittamento antisolidale, in quanto tale sanzionabile sulla base della disciplina nazionale in materia antitrust.

L’operazione, infatti, pur non essendo necessariamente direttamente pregiudizievole per l’end user, rischia di pregiudicare la competitività del diverso mercato di fornitura di applicativi e servizi web. Gli ISP, infatti, attraverso operazioni di traffic management, quali ad esempio la censura di alcuni contenuti di alcuni content provider non affiliati, potrebbero migliorare la propria posizione in un mercato diverso rispetto a quello del quale essi risultano già essere oligopolisti, mettendo in atto una pratica evidentemente espressiva di un abuso di posizione dominante.

È evidente, a questo punto, che le società di gestione della rete dispongono potenzialmente degli strumenti per influenzare tutti i mercati strettamente connessi all’accesso alla rete, ciononostante le operazioni di gestione del traffico non rappresentano ex se un fallimento del mercato o una riduzione del benessere dell’utente finale. Il rischio, invece, si cela dietro le motivazioni che di volta in volta spingono gli operatori a mettere in atto il traffic management, potendo esso essere determinato da volontà abusive o, invece, dal perseguimento di interessi meritevoli di tutela.

Nella convinzione, quindi, che sia “impossibile definire una regolamentazione di sistema in grado di evitare tutte le pratiche di discriminazione dannosa e far salve tutte quelle discriminatorie ma utili, è necessario ragionare sui parametri di valutazione dell’abusività dell’atto.[46] Il problema rimane, quindi, individuare di volta in volta, con attenzione alle caratteristiche del caso concreto, quando le operazioni di traffic management integrino un approfittamento antisolidale e, perciò, un abuso.

Nel fare ciò la dottrina più moderata sottolinea l’importanza di non cedere alla tentazione di dividere tali operazioni in categorie a compartimenti stagni né a quella di limitare lo studio a soli due angoli prospettici, quello del consumatore e quello dell’imprenditore: i due profili, infatti, non possono che essere legati da un nesso di complementarità e necessitano, quindi, uno studio unitario.[47]

Parte della letteratura, infatti, si è spinta, nel tentativo di velocizzare il processo di indagine sulla liceità delle operazioni di traffic management, ad effettuare una bipartizione delle stesse guidata dalle motivazioni astratte ad esse sottostanti: da una parte vi sarebbe il ritardo o lo scarto di alcune informazioni dettato da esigenze di natura tecnica, idoneo a evitare un congestionamento della Rete e dall’altra le discriminazioni giustificate da tutte le “altre” ragioni.

Una tale schematizzazione sottenderebbe un giudizio di liceità nei confronti della prima categoria di operazioni e uno di riprovevolezza nei confronti della seconda. Tale approccio soffre, a parere di chi scrive, di una ingiustificata semplificazione: non tutte le operazioni di traffic management dettate da ragioni non tecniche possono essere considerate illecite senza un giudizio nel merito: talora, infatti, la discriminazione potrebbe essere impercettibile per l’utente finale ma utile per una riduzione dei costi di trasporto, in altri casi, come si è avuto modo di vedere, la velocizzazione della banda potrebbe incontrare il favore dell’utente finale per quei servizi la cui efficienza è legata alla qualità della trasmissione.[48]

Il giudizio di abusività dovrebbe quindi essere condotto in concreto, sorretto dal criterio della ragionevolezza, utilizzato come parametro nel bilanciamento degli interessi direttamente e indirettamente coinvolti dalla singola operazione. Tale criterio, d’altronde, è stato fatto proprio anche dall’Open Internet Rules americano del 2015, il quale, nel disciplinare la neutralità della rete, al paragrafo 68 recita:

“Reasonable network management shall not constitute unreasonable descrimination”.

Vale a questo punto la pena analizzare alcune delle pratiche più frequenti di traffic management messe in atto dagli ISP per cercare di individuarne i profili di legittimità e opportunità.

Una delle operazioni di gestione del traffico più contestate è quella riguardante l’inibizione da parte del service provider di alcuni servizi, quali ad esempio quelli di Voip, concorrenti di quelli tradizionali offerti dal medesimo operatore di rete: l’esperienza internazionale ha considerato tali operazioni “unjust”, unreasanoble” e “unlawful”[49] e, in definitiva, abusive e contrarie alla disciplina in materia concorrenziale. Esplicativo in tal senso è il caso della TELCO statunitense Madison River Company che, nel 2005, inibì i servizi di Voice over IP[50] dell’applicazione Vonage. In tali casi le motivazioni che guidano gli ISP non sono da ricercare in ragioni tecniche, vista anche la scarsa richiesta di banda richiesta dal traffico vocale, bensì nella volontà degli operatori di proteggere il business da questi portato avanti nel settore delle comunicazioni vocali tradizionali.

A dimostrazione di ciò l’evidenza che nella maggior parte dei casi tali blocchi hanno riguardato le applicazioni maggiormente utilizzate dagli utenti e quindi i competitor maggiori sul mercato.[51] Tali pratiche sono state considerate dalla Commissione europea, pur in assenza di una normativa sulla Net Neutrality, comunque intollerabili. I sistemi di telefonia online rappresentano, infatti, servizi caratterizzati da una maggiore economicità e da una migliore stabilità rispetto ai servizi tradizionalmente offerti dagli ISP, concetti sintetizzati nelle espressioni “cost-efficient” e “consumer-friendly”. La discriminazione effettuata dagli ISP si porrebbe inoltre in contrasto con le disposizioni volte a salvaguardare il meccanismo concorrenziale e quelle finalizzate all’abbattimento delle barriere del mercato unico delle telecomunicazioni. L’insieme delle considerazioni fino ad ora effettuate rende evidente che un simile utilizzo delle operazioni di traffic management, finalizzato esclusivamente ad estendere il proprio dominio su un mercato diverso rispetto a quello di accesso alla rete, al perseguimento quindi di un utile maggiore mediante la degradazione di servizi di qualità migliore, comporta: l’annichilimento di interessi collettivi, un pregiudizio allo sviluppo del mercato globale delle comunicazioni e in definitiva una distorsione dei meccanismi concorrenziali anche grazie all’influenza sulla libera determinazione dei consumatori, resa perfino maggiore dalla scarsa trasparenza delle motivazioni del blocco.

Da ciò risulta convincente la posizione di chi ritiene tali atteggiamenti abusivi e sanzionabili, diversamente da quelle operazioni di differenziazione del traffico determinate dalla volontà di rendere più efficiente l’utilizzo delle web-app sensibili alla qualità di trasmissione dei dati. [52]

Le considerazioni da effettuare cambiano invece se l’accesso a una determinata applicazione non è del tutto inibito ma è subordinato al pagamento di una tariffa maggiorata o comunque differenziata, in maniera simile a quanto effettuato anche in campo nazionale dagli operatori di rete mobile che, in passato, predisponevano piani differenziati per l’accesso ai servizi Voip da smartphone. Bisogna a questo punto ricordare quanto detto in precedenza riguardo l’opportunità e i benefici derivanti da un mercato che permetta la differenziazione dell’offerta in relazione ai bisogni e alla disponibilità a pagare degli utenti. In tal senso si espresse la Vodafone che, nel 2011 a fronte le accuse di violazione del principio della Net Neutrality dichiarò:

La priorità per la nostra azienda è la trasparenza: offriamo tariffe di ogni tipo e per ogni fascia di utenza. Alcune comprendono il Voip, altre no. Naturalmente il traffico Voip ha un costo, ma è un tipo di servizio che non può interessare tutti. Per questo tipo di clienti, ci sono offerte che non comprendono l’utilizzo del Voip, a costi inferiori rispetto a quelle che lo comprendono”.[53]

Vi è quindi la necessità di individuare, anche in tali ipotesi, quali operazioni possono definirsi abusive e quali, invece, pienamente legittime e opportune. Tutto ciò è reso più complesso dalla particolare struttura del mercato di riferimento. Il mercato virtuale, infatti, si differenzia dal modello classico di mercato le cui logiche di prezzo sono guidate dal semplice incontro fra domanda e offerta delle due categorie di soggetti presenti al suo interno. Esso è definito dagli economisti un c.d. “two-sided-market”[54], ovvero un mercato caratterizzato dalla presenza di due aree, teoricamente autonome, ma de facto, strettamente interconnesse. Nel caso di specie tali aree sono rappresentate da quella comprendenti i rapporti fra gli end user e gli ISP e da quella avente ad oggetto il legame fra questi ultimi e i content provider. In un simile assetto gli Internet Service Provider ricoprono il ruolo di collegamento, o anello di congiunzione, fra i due diversi “sub-mercati”, grazie al quale i produttori di servizi e applicativi web possono raggiungere gli utenti finali e questi ultimi possono godere delle app messe a disposizione dai primi.

La prima peculiarità di un simile modello è rappresentata dalla creazione di esternalità di rete, ovvero da condizionamenti reciproci fra le categorie di utenti: risulta chiaro ad un occhio attento che l’aumento di applicazioni offerto dai content provider, comporta un aumento di utenti che, correlativamente, stimola gli stessi creatori di contenuti ad ampliare la propria offerta. In tale schema, il compito degli ISP è quello di rendere rispettivamente sostenibili e realizzabili costi di transazione e benefici economici.[55]

La funzione degli operatori di rete è, quindi, paragonabile a quella svolta dai gestori delle applicazioni che consentono l’incontro fra ristoratori e clienti e le relative prenotazioni: i benefici di efficienza ad essa legati, però, sono subordinati alla condizione che la stessa sia utilizzata da un elevato numero di utenti di entrambe le categorie. I rapporti che intercorrono fra gli ISP e una categoria di soggetti finisce per influenzare tutti gli altri, il gestore di rete, infatti, per attirare gli utenti deve poter disporre di un elevato numero di content provider, i quali a loro volta scelgono di entrare a far parte dell’infrastruttura offerta dall’operatore solo in presenza di una potenzialmente ampia base di utenti.[56]

Da ciò deriva che le politiche di pricing tenute dal service provider lungi dall’essere condizionate solo dai costi sostenuti, sono in realtà condizionate dalla domanda di entrambi i gruppi:[57] se gli utenti finali fossero costretti a pagare prezzi eccessivi si ridurrebbe il numero degli accessi, ciò condizionerebbe anche il comportamento dei content provider che sarebbero meno interessati a stringere rapporti con l’ISP interessata dall’aumento tariffario. A tale meccanismo si collega, inoltre, il problema, già parzialmente analizzato, delle risorse da destinare all’innovazione delle infrastrutture.

Ad oggi i costi derivanti dal funzionamento della rete sono per la maggior parte sostenuti dagli utilizzatori finali della rete, i quali pagano tariffe flat, come visto non in grado di massimizzare adeguatamente i ricavi e i benefici. I content provider, dal canto loro, si servono dell’infrastruttura pur non corrispondendo costi differenziati in base all’utilizzazione della stessa. Non è un caso che nel mercato nordamericano da anni gli operatori di rete auspichino la possibilità di ricavare utilità aggiuntive imponendo il pagamento differenziato anche ai diversi content provider.[58]

Risulta, a questo punto, destituita di fondamento a parere di chi scrive, l’opinione formulata da parte della dottrina secondo la quale in tale sistema non vi sarebbero fenomeni di free riding, ovvero di soggetti in grado di usufruire del servizio senza un’adeguata contribuzione economica.[59]

Tale posizione è fiancheggiata da parte della letteratura la quale ritiene che l’efficienza del sistema potrebbe aumentare spostando parte del peso economico sui produttori di contenuti, la cui conseguenza sarebbe una maggiore disponibilità di risorse per gli ISP da investire in innovazione, una maggior qualità dei servizi priorizzati della quale beneficerebbero in primis gli utenti, e indirettamente, gli stessi content provider i quali sarebbero in grado di raggiungere i consumatori con qualità e efficienza impossibili in regime di best effort  e Net Neutrality.

E d’altronde il rischio che gli ISP possano effettuare una strozzatura anticoncorrenziale applicando tariffe eccessive ad entrambe le categorie è evitabile proprio grazie ai meccanismi propri di un mercato competitivo: i service provider avendo, infatti, interesse a raggiungere un elevato numero di utenze, non possono rischiare di eliminare dalla propria offerta servizi web o produttori di applicazioni virtuali, in particolare quelli che, in forza della loro forza sul mercato dei content provider (Google, ad esempio), sarebbero in grado di imporre le proprie condizioni e influenzare il mercato degli utenti delle ISP, desiderosi di poter usufruire dei contenuti da loro messi a disposizione.[60]

Una più efficiente redistribuzione dei costi di innovazione e mantenimento della Rete viene inoltre suggerita da un’analisi più approfondita dei rapporti economici fra content provider e il mercato di riferimento. La natura two-sided, infatti, ha permesso ai creatori di contenuti (anche detti OTT, over the top) di realizzare utili sia dal mercato a monte come per l’advertising, sia da quello a valle attraverso i servizi a pagamento messi a disposizione degli utenti degli ISP, basti pensare a Netflix o a Youtube Premium, divenendo così dei veri e propri competitor - in alcuni settori - dei service provider stessi.

Ciò ha portato a uno squilibrio evidente fra i volumi d’affari delle due categorie e la relativa contribuzione al sostenimento dei costi per la manutenzione delle reti: per avere un’idea di tale squilibrio basti pensare che i ricavi dei cinque maggiori OTT mondiali superano del 113% quelli degli ISP e che la loro capitalizzazione è oltre il 560% quella degli operatori di rete.[61] Ciò spiega meglio perché gli ISP, nel lamentare lo sbilanciamento fra i propri margini e quelli dei content provider, ritengono di fondamentale importanza la possibilità di effettuare una più efficiente gestione del traffico attraverso le pratiche di traffic management.

La differenziazione dei prezzi, alla luce di quanto detto, non è quindi sempre classificabile come discriminatoria e, qualora lo fosse, non ha necessariamente come conseguenza un pregiudizio al mercato concorrenziale, specialmente in quei casi in cui pedaggi diversi sono imposti a content provider produttori di servizi di diversa qualità o che richiedono risorse addizionali per la efficiente trasmissione in Rete. Non stupisce né indigna, d’altronde, l’applicazione di prezzi diversi per trasporti ferroviari di diversa qualità, la cui vasta scelta ha come conseguenza un accrescimento del benessere sociale.

Diverso è il caso rappresentato dall’imposizione da parte degli ISP di tariffe eccessivamente alte tali da escludere alcuni soggetti dal mercato o differenziate per motivi diversi dai diversi costi necessari per la trasmissione del servizio.[62]

All’interno di un mercato competitivo, come visto, un simile pricing abusivo potrebbe però rivelarsi controproducente per lo stesso operatore di rete, il quale rischierebbe di perdere una larga fetta di utenza tagliando fuori alcuni content provider, a favore delle altre società operanti sul mercato. Da ciò si deduce quanto sia importante effettuare interventi tali da incentivare l’ingresso di nuovi fornitori di rete dell’ultimo miglio.[63]

Non sembra invece dubitabile l’illegalità di attività di traffic management guidate da motivazioni pregiudizievoli di interessi di carattere non patrimoniale. È il caso di censure effettuate dagli ISP volte a impedire o ostacolare la libertà di espressioni degli utenti della rete. In tal caso l’attività, incidendo pesantemente sulla libertà di espressione, di opinione e di manifestazione del pensiero politico, si pone in spregio del pluralismo informativo e nel bilanciamento degli interessi coinvolti, la libertà dell’ISP di gestire il traffico informatico “cede dinanzi all’esigenza di tutelare valori esistenziali fondamentali come, oltre a quelli già menzionati: libertà di aggregazione e partecipazione, diritto alla riservatezza delle comunicazioni personali o istanze di moderna espressione come il diritto di accesso a Internet, il superamento del digital divide e il diritto d’autore”.

Quanto detto fino ad ora non ha la pretesa di completare esaustivamente un dibattito, quello sulla convenienza di una normativa in materia di Net Neutrality, che impegna economisti, giuristi e pionieri del web da quasi due decenni. Ciò che traspare, però, è l’importanza di evitare, come si diceva in apertura “un confronto manicheo tra chi, da un lato, intenderebbe trattare i bit in maniera assolutamente arbitraria e discriminatoria e chi, dall’altro, vorrebbe invece trattarli in maniera assolutamente egualitaria come nelle fattorie maoiste.”[64] Ogni operazione di traffic management necessita, quindi, indipendentemente dalle motivazioni ad essa sottese o dagli interessi coinvolti, una completa analisi volta ad accertarne la ragionevolezza e la legittimità.

Giudizio di ragionevolezza come precedentemente detto, finalizzato a evitare che tali attività possano sostanziarsi in interferenze, discriminazione e gravi svantaggi procurati agli utenti finali e ai content provider. J. E. Nuechterlein, pur descrivendo l’attività di individuare le operazioni di traffic managemente ragionevoli “a no easy task”,[65]mai nega l’importanza che l’indagine sull’abusività debba riguardare le singole operazioni, in materia tale da discernere quelle in grado di apportare potenzialmente vantaggi e benefici al mercato attraverso una più efficiente distribuzione delle risorse e una maggiore quantità di risorse da investire in innovazione, da quelle invece anticompetitive o lesive di diritti e libertà fondamentali.

Gli interessi da bilanciare sono, d’altronde, innumerevoli: esigenze legate alla concorrenza e alla libera e consapevole determinazione economica del consumatore rendono difficile se non impossibile, come sottolinea Hurwitz, stabilire ex ante se una pratica sarà utile o pregiudizievole per gli interessi del consumatore. Solo in tale maniera è possibile, a parere di chi scrive, comprendere quando il traffic management si pone a vantaggio del consumatore, e quando esso si pone in contrasto con altri interessi meritevoli di tutela.

Prescindendo, quindi, da astratte qualificazioni o categorie precompilate incapaci di cogliere le peculiarità del caso concreto o da un divieto tout court, come vorrebbero i fautori della Net Neutrality, potenzialmente più dannoso per l’innovazione delle reti più delle stesse attività di traffic management.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’aneddoto è tratto da A. Fachechi, Net Neutrality e discriminazioni arbitrarie, Napoli, 2017, pp. 9 e 10.

[2] La decisione n. 2015-26 del 29 gennaio 2015 è disponibile su www.crtc.gc.ca

[3] A conclusioni simili arriva anche A.Fachechi, op. cit., p. 12, cfr.

[4] S. Lunceford, Net Neutrality: a Pipe Nightmare, in U. Balt. Intell. Prop. L.J., 2008, p. 28, cfr.

[5] R. Bocchini, La centralità della qualità del servizio nel dibattito in tema di network neutrality, in Dir. Inf., 2016, p. 517 e ss.

[6] J. M. Peha, The benefits and Risks of Mandating Network Neutrality, and a Quest for a Balanced Policy, in http://repository.cmu.edu/epp, p. 6 e A.Fachechi, op. cit, p. 14.

[7] F.Dell’Aversana, Le libertà economiche in Internet: Competition, Net Neutrality e Copyright, Roma, 2014, p. 97.

[8] A.Ananasso, Evoluzione dei modelli di interconnessione e platform enablement: strategie di routing innovative per servizi real-time session-based nell’evoluzione verso architetture full-IP, Tesi di Dottorato in Ingegneria delle Telecomunicazioni e Microelettronica, Università degli studi di Roma Tor Vergata, 30 giugno 2015, pubblicata in www.tesipub.it

[9] A.Fachechi, op. cit, p. 16, cfr.

[10] B.M. Owen, Net Neutrality: is Antitrust Law More Effective Than Regulation in Protecting Consumers and Innovation?, in http://judiciary.house.gov, 2014.

[11] K. Zhu, Bringing Neutrality to Network Neutrality, in Berkley Technology Law Journal, 2007, Volume 22, p. 615.

[12] [12] F.Dell’Aversana, Le libertà economiche in Internet: Competition, Net Neutrality e Copyright, Roma, 2014, p. 80. E All. A delibera AGCOM n. 714/11/CONS.

[13] N. Baratt, Net Neutrality: Policy and The Public Interest, Washington, 2010, p. 296.

[14] L. Lessig, No Tolls on the Internet, cit.

[15] J. L. Zittrain, The future of the Internet and how to Stop It, New Haven, 2008, p. 86.

[16] Tale posizione è evidenziata da P. Ganley e B. Allgrove in Net Neutrality Debate, in Computers e Law, 2006, 17, pp. 454 e ss. e sarà analizzata nel dettaglio nel capitolo successivo dedicato al confronto fra i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla Nat Neutrality.

[17] In termini simili e parimenti, a parere di chi scrive, contestabili si esprime il promotore del d.d.l. n. C.2520 dell’8 luglio 2014: “E’ come se il gestore di un’autostrada praticasse tariffe inferiori o assicurasse limiti di velocità maggiori ai trasportatori di merci dei fornitori con cui lo stesso gestore ha stipulato accordi commerciale”, dimenticando le differenziazioni che spesso i vettori impongono in base al diverso peso del trasporto.

[18] M.Mueller, op cit., p. 29-

[19] In questo senso anche P.Perlingieri, Relazione conclusiva in C.Perlingieri e L.Ruggeri (a cura di), Internet e Diritto Civile, Napoli, 2015, p. 423.

[20] K. Cox, Maybe Net Neutrality isn’t such a good idea after all, 14 August 2014, in https://consumerist.com/2014/08/14/founder-of-one-laptop-per-child-maybe-net-neutrality-isnt-such-a-good-idea-after-all/

[21] P.Gregory, Net Neutrality is Techno Socialism, in The Institute of Pubblic Affairs Rev: A Quarterly Review of Politics and Public Affairs, 2015, 67(2), p. 33.

[22] OFCOM, Traffic Management and “Net neutrality”, 2010, https://www.ofcom.org.uk/__data/assets/pdf_file/0026/55556/netneutrality.pdf

[23] Questi i punti fondamentali per A.Reicher, Redefining Net Neutrality after Comcast v. FCC, cit. p. 735, ss. cfr.

[24] I. Genna, op cit., p.38.

[25] A.Fachechi, op. cit.p. 140.

[26] T.Wu, Network Neutrality, Broadband Discrimination, in J. Telecomm e High Tech. L. 2003, 2 p. 146.

[27] L’esempio è tratto da A.Facheci, op. cit. p. 54.

[28] J.E. Nuechterlein, Antitrust Oversight on an Antitrust Dispute, in J.Telecomm e High Tech, L. 2009, 7, p. 31.

[29] C.Yoo, Would Mandating Broadband Nettwork Neutrality Help or Hurt Competition? A comment to End to End Debate, in J.Telecomm e High Tech, L. 2004, p. 23 e ss.

[30] J.Crowcroft, Net Neutrality: the technical side of the Debate: A White Paper, in Computer Communication Review, 2007, Volume 37, I, 49.

[31] F.Dell’Aversana, op cit, p. 90 cfr. arg. ex Corte Cost., sentenza 26 marzo 1993, n.112, in Giurcost.

[32] G.De Minico, L’affaire audiovisivo tra legislatore e giudice: una storia infinita? In Politica del diritto, 2008, 2, 323 e in Aa. Vv., Scritti in onore di Michele Scudiero, Tomo II, Napoli, 2008, p. 914.

[33] In tali termini si esprime anche G.De Minico in Internet, Regola e Anarchia, Roma, 2012.

[34] A.Fachechi, op. cit, p. 58, cfr. Sul concetto di egualitarismo sia concesso rinviare a A.Cerri, Eguaglianza giuridica e egualitarismo, L’Aquila-Roma, 1984.

[35] Ibidem.

[36] C.Yoo, op cit., pp. 56 e ss.

[37] L’esempio proviene da M.Mueller, Net Neutrality as a Global Principle, cit, p. 1 ed è tradotto in A.Facheci, op. cit, p. 59.

[38] H.Leir, S.E.Gillett, M.A.Sirbu,J.M.Peha, Scenarios for the Network Neutrality Arms Race, in Int’l. Comm., 2007, 1, pp. 5 e ss.

[39] [39] M.R. Allegri – G.D’Ippolito, Accesso a internet e neutralità della rete fra principi costituzionali e regole europee, Roma, 2017,p. 123, cfr.

[40] Ibidem, p. 126.

[41] In questi termini si esprime J.D. Wright, Defining and Measuring Search Bias: Some Preliminary Evidence, in George Mason Univ. Law e Econ. Research Paper Series, Working Paper n. 12-14, 2011, cfr. e A.Fachechi, op cit, p. 60, nota n. 124.

[42] M.L. Katz, C.Shapiro, System Competition and Network Effects, in J.Econ. Persp, 1994, 8, p. 93 e ss.

[43] F.Chirico, P.Larouche, Network Neutrality in Eu, cit, p. 24.

[44] In questi termini R.A.Posner, Antitrust Law, Boston, 2001.

[45] In questo senso G.Carapezza Figlia, Contratto, dignità della persona e ambiente civile. Riflessioni sul divieto di discriminazione nei rapporti contrattuali in Aa.Vv., Benessere e regole dei rapporti civili. Lo sviluppo oltre la crisi, Atti del 9° Convegno Nazionale in ricordo di Giovanni Gabrielli, Napoli, 8-9-10 maggio 2014, Napoli, 2015, pp. 423 e ss. e A.Facheci, op cit, p. 65, nota. 137.

[46] J.M.Peha, The benefits and Risks of Mandating Natwork Neutrality , cit, p. 645, cit.

[47] A.Fachechi, op. cit, p. 69, nota n. 149.

[48] A.Reicher, Redefining Net Neutrality after Comcast v. FCC, cit., p. 761.

[49] Così nel caso Madison River Commc’ns, LLC, 20 FCC, Red, 4295, 2005, consultabile in http://www.fcc.gov/eb/Orders/2005/DA-05-543A2.html

[50] Comunicazioni informatiche che si sostituiscono alle tradizionali telefonate.

[51] C.M.Christensen, The innovator’s Dilemma, New York, 2000, cfr.

[52] A.Fachechi, op. cit, pp. 73-74, cfr.

[53] La dichiarazione completa è consultabile in http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/808/_vodafone-per-servizi-voip-tariffe-differenziate.html

[54] J.C.Rochet e J.Tirole, Two sided market: A Progress Report, in RAND J.Econ., 2006, 37, pp. 645 e ss.

[55] A.Fachechi, op cit, p. 75.

[56] Ibidem, p. 76.

[57] J.C.Rochet e J.Tirole, Two sided market: A Progress Report, in RAND J.Econ., 2006, 37, pp. 645 e ss.

[58] In questo senso la posizione di AT&T, Verizon e Comcast analizzata in S.White, Net Neutrality and Libraries: Conflicts of Access, in The Serials Librarians, 2014, 67(2), p. 151 e ss.

[59] Il riferimento è a quanto espresso da F.Dell’Aversana in op cit, p. 85.

[60] L.F.Darby, Consumer Welfare, Capital Formation and Net Neutrality, in Media L. Pol’y, 2007, 16, p. 121 e ss.

[61] E.M.Bagnasco e G.Ciccarella, Verso la rete di contenuti, Notiziario tecnico Telecom Italia, n. 2, 2014, consultabile in http://www.telecomitalia.com/content/dam/telecomitalia/it/archivio

e T.Seals, The OTT TV Push for Original Content Shakes Up Business Model, Febbraio 2014, consultabile in http://www.techzone360.com/topics/techzone/articles.html

[62] H.Leir, S.E. Gillett, M.A. Sirbu e J.M.Peha, op cit, p. 5.

[63] Giunge alle medesime conclusioni A.Reicher, Redefining Net Neutrality after Comcast v. FCC, cit. p. 737.

[64] I.Genna, op cit, p. 38

[65] J.E.Nuechterlein, op cit.