Pubbl. Mer, 20 Lug 2022
Le misure cautelari e precautelari per un efficace contrasto alla violenza intrafamiliare
Modifica paginaIl legislatore ha individuato una serie di strumenti procedurali e sostanziali, volti a contrastare l’attuale fenomeno della violenza domestica e di genere. Tra questi strumenti, una fondamentale importanza rivestono le misure cautelari e precautelari, in quanto permettono al Giudice, al Pubblico Ministero o agli operatori di PG d’intervenire tempestivamente ed evitare che la violenza sia portata a conseguenze ulteriori. È di tutta evidenza che l’obiettivo del procedimento penale è rivolto all’accertamento di un fatto ma, in taluni casi ed in talune ipotesi di reato, la salvaguardia dell’incolumità della vittima dev’essere anteposta.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Le misure precautelari nei reati di violenza domestica e di genere; 2.1. Lo stato di flagranza nei reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori: la giurisprudenza; 2.2. L’allontanamento d’urgenza dalla casa famigliare; 3. Le misure cautelari idonee a contrastare la violenza domestica e di genere; 3.1. La sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, ex art. 288 del codice di procedura penale; 4. Considerazioni finali.
1. Introduzione
La legge c.d. “Codice Rosso”[1] introduce una serie di novità, sia in ambito di diritto penale sostanziale che in ambito di diritto penale procedurale, volte a garantire una tutela nei confronti delle vittime di violenza domestica e di genere.
Concentrando l’attenzione sulle misure precautelari e cautelari, è importante sottolineare come questi strumenti costituiscano dei provvedimenti limitativi della libertà personale dell’indagato, che intervengono antecedentemente rispetto ad una condanna definitiva.
La base giuridica legittimante l’applicazione di misure limitative della libertà personale, ante condanna, è da rinvenire nell’art. 13 della Carta costituzionale. Infatti, l’art. 13 Cost., dopo aver sancito l’inviolabilità della libertà personale e l’inammissibilità di qualsiasi forma di restrizione della libertà personale in assenza di un atto motivato dall’Autorità giudiziaria, prevede un’eccezione, attraverso la quale l’Autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale in presenza di casi di necessità ed urgenza.
Attraverso l’introduzione dei concetti di “necessità”, “urgenza” ed alla presenza di “un atto motivato dell’Autorità giudiziaria” è possibile anticipare l’applicazione di forme di restrizione della libertà personale, tra le quali si possono sicuramente annoverare le misure precautelari e cautelari.
In merito alle misure precautelari, è importante osservare che, secondo autorevole dottrina[2], queste misure consistono in un anticipo della tutela apprestata dalle misure cautelari.
Sulla scorta di questa osservazione, però, la Corte costituzionale[3] ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “di una disposizione che prevedeva un ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza che non poteva trasformarsi in una misura cautelare coercitiva”.
2. Le misure precautelari nei reati di violenza domestica e di genere
Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio, disciplinato dall’art. 279 c.p.p., secondo il quale solo il giudice è competente una misura cautelare che limiti la libertà personale; se ciò è vero, altrettanto vero è che, in situazioni di urgenza e di particolare necessità, il potere di limitare la libertà personale dell’indagato può essere disposto su iniziativa della polizia giudiziaria.
Le misure precautelari, svolgono quindi la particolare funzione di anticipare la tutela predisposta mediante l’applicazione di misure cautelari, nei casi in cui non sia possibile attendere lo svolgimento del c.d. procedimento cautelare[4].
In dottrina[5] si è, altresì, sottolineato il carattere strumentale delle misure precautelari (c.d. plurifunzionalità delle misure precautelari), perché tendono ad evitare che il tempo necessario all'accertamento penale possa compromettere la proficuità dell'azione giudiziaria; la loro adozione vuol scongiurare le conseguenze pregiudizievoli che possano scaturire da situazioni di pericolo, quali ad esempio il pericolo di inquinamento, di dispersione delle fonti di prova, di reiterazione di condotta criminose, di sottrazione alla esecuzione della condanna, in caso di affermazione di penale responsabilità.
In senso difforme, si evidenzia invece, secondo altra parte della dottrina[6], l'allontanamento finalistico dell'arresto e del fermo dalle misure cautelari (basti pensare alla collocazione di entrambi gli istituti nel libro concernente le disposizioni relative alle indagini preliminari) consente di rilevare, già a livello strutturale, un solido collegamento con la fase investigativa che, di fatto, li allontana per funzioni e finalità dagli omologhi strumenti di cautela.
Le misure precautelari che assumono rilevanza nei casi di violenza domestica o di genere, sono sostanzialmente tre: l’arresto in flagranza, il fermo (misura poco utilizzata in ambito di reati di genere e di violenza domestica) e l’allontanamento d’urgenza dalla casa famigliare (v. § 2.2).
L’arresto in flagranza, è un provvedimento che nella maggior parte dei casi viene disposto dalla polizia giudiziaria e, pertanto, trova la sua disciplina all’interno del Libro V, Titolo VI dal combinato disposto degli art. 380, 381 e 382 del codice di rito.
Sul punto è importante segnare i confini della nozione di flagranza e di quasi flagranza, la cui descrizione è fornita dall’art. 382 del codice di rito.
A norma dell’art. 382 c.p.p., “è stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere un reato” (c.d. flagranza propria) “ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce del dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima ” (c.d. flagranza impropria o quasi flagranza) [7] [8].
Definito lo stato di flagranza e di quasi flagranza, il codice prevede due ipotesi di arresto: arresto obbligatorio e l’arresto facoltativo.
L’arresto è obbligatorio in presenza “di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni[9]”, ovvero a seguito della commissione di uno dei delitti non colposi, consumati o tentati, indicati nel comma 2 dell’art 380 del codice di rito.
L’arresto è, invece, facoltativo in presenza “di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo pe il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni[10]”, ovvero in alcune ipotesi espressamente previste dall’art. 381 co. 2 c.p.p., a prescindere dalla pena edittale.
2.1. Lo stato di flagranza nei reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori: la giurisprudenza
La giurisprudenza di legittimità, in tema di stato di flagranza nei reati di maltrattamenti (ex art. 572 c.p.) e di atti persecutori (ex art. 612-bis c.p.), ha espresso il principio di diritto secondo il quale è da considerarsi illegittimo l’arresto, dell’indiziato di reato, sulla base di informazioni della vittima o di terzi, fornite nella immediatezza del fatto.
Sul punto, il solco ermeneutico lasciato dalla giurisprudenza della Suprema corte di cassazione[11] è nel senso di ritenere possibile, e quindi legittimo, l’arresto dell’indiziato di reato solo se, oltre alle dichiarazioni della persona offesa o di terzi informati sui fatti, la polizia giudiziaria abbia riscontrato i c.d. elementi a corredo, ovvero a seguito della diretta percezione dei fatti da parte degli stessi operanti di PG, sia in merito al delitto ex art. 572 c.p. che in merito all’art. 612-bis.
Ai fini dell’arresto dell’indiziato di reato in stato di flagranza, assumono sicuramente carattere determinante gli accertamenti sullo stato dei luoghi (“disordine domestico”, mobilia donneggiata, e altri), le verifiche in merito alle condizioni psico-fisiche della vittima o dei minori ivi presenti (ad esempio rinvenire bambini in lacrime può essere un indice di violenza appena perpetrata), presenza di precedenti denunce o richieste d’intervento da parte della vittima, reiterazione delle condotte di minaccia o violenza alla presenza degli operanti di PG (nella prassi quest’ultima situazione è molto ricorrente).
È del tutto evidente, quindi, la possibilità di valorizzare anche le dichiarazioni della persona offesa ove, però, queste siano idonee a delineare un quadro che si collochi in continuità rispetto a comportamenti di reiterata sopraffazione direttamente percepiti dagli operanti l'arresto[12].
In tema di continuità, il Supremo consesso[13] ha espresso il principio di diritto secondo il quale l'arresto in flagranza deve ritenersi legittimamente eseguito non solo quando gli agenti della polizia giudiziaria hanno assistito a una frazione di quelle condotte maltrattanti che costituiscono l'elemento oggettivo del delitto, ma anche quando siano intervenuti subito dopo la commissione di tale illecito e abbiano accertato che l'autore si sia dato alla fuga ovvero sia stato trovato con cose o tracce dimostrative della immediatamente precedente commissione del reato.
In tema di stalking, ad esempio, i giudici di Piazza Cavour, valorizzando l’elemento c.d. a corredo della presenza di precedenti denunce o richieste d’intervento da parte della vittima, hanno considerato “legittimo l'arresto di un soggetto denunciato e querelato più volte dalla ex compagna per condotte reiterate, consistite in minacce, anche alla vita, e molestie, giunte fino all'introduzione abusiva nell'abitazione della donna e all'inseguimento della stessa, nel giorno dell'arresto, fino alla caserma dei carabinieri”[14].
2.2. L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
Introdotta dal d.l. n. 93 del 2013, convertito in legge n. 119 del 2013, l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, ex art. 384-bis c.p.p., rappresenta una misura precautelare di sicura efficacia per il contrasto alla violenza intrafamiliare.
Dal punto di vista dogmatico, l’evidenza che si tratti di una misura precautelare è data sia dalla collocazione sistematica all’interno del titolo VI del libro V del codice di rito (dedicato all’arresto in flagranza e al fermo) che dalla fisionomia del nuovo istituto[15].
Questa misura precautelare consiste in un vero e proprio allontanamento fisico del soggetto colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, co. 6 c.p.p., che disciplina la misura cautelare dell’allontanamento della casa familiare.
L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare si prefigge lo scopo di dotare l'autorità giudiziaria, ed in particolare gli inquirenti, di un valido strumento di contrasto alle violenze domestiche e di genere[16], rafforzando così la tutela dei soggetti c.d. deboli.
I presupposti applicativi dell’istituto in esame sono sostanzialmente tre: la flagranza di reato, la presenza dei fondati motivi per ritenere sussistente la reiterazione delle condotte criminose, la gravità e l’attualità del pericolo di vita o dell’integrità psico-fisica della vittima.
La valutazione sui presupposti applicativi dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare è abbastanza complessa, poiché coinvolge più aspetti collegati fra loro, ed in particolare il pericolo di reiterazione del reato, il pericolo per la vita o l’integrità fisica o psichica della vittima, la gravità e l’ attualità di quest’ultimo, nonché il legame eziologico fra i pericoli, che gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria intervenuti dovranno valutare, prima di poter applicare l’istituto in argomento[17].
Sul punto, si può validamente ritenere che il requisito della reiterazione è in re ipsa nei reati perpetrati in ambito familiare, mentre l’attualità e la gravità del pericolo può desumersi dagli elementi c.d. a corredo (v. § 2.1).
Con l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, l’art. 384-bis c.p.p. prevede, altresì, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.
In tema di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, l'art. 4 della legge del 19.07.2019, n. 69 (c.d. “Codice Rosso”), ha introdotto una nuova fattispecie incriminatrice: la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex art. 387-bis del codice penale.
La finalità della nuova fattispecie incriminatrice è quella di apprestare una preventiva tutela, rispetto all'esecuzione delle due misure cautelari previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. e alla misura precautelare di cui all'art. 384-bis c.p.p., introducendo così efficace effetto deterrente rispetto alla violazione delle misure sopra menzionate, finalizzate a prevenire la prosecuzione di episodi di offesa e l'immediata cessazione di una situazione di pericolo[18].
L’introduzione di questa nuova fattispecie criminosa, però, non comporta il superamento di quanto disposto dall’art. 276 c.p.p. che, in materia di “trasgressione delle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare”, permetterebbe così al giudice di disporre anche la sostituzione della stessa o il cumulo con altra più grave[19].
3. Le misure cautelari idonee a contrastare la violenza domestica e di genere
Il legislatore italiano ha previsto una serie di provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, i quali sono finalizzati a scongiurare uno dei seguenti pericolo: il pericolo per l’accertamento del reato, il pericolo per l’esecuzione della sentenza ed il pericolo di reiterazione di ulteriori reati nonché il pericolo di aggravamento del reato commesso[20].
Nei reati caratterizzati dalla violenza domestica e di genere, le misure cautelari più idonee a salvaguardare l’incolumità psicofisica della vittima sono sostanzialmente cinque, ed in particolare la custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, l’allontanamento dalla casa familiare e la sospensione della responsabilità genitoriale.
Tralasciando il commento con riferimento alle misure cautelari della custodia in carcere e degli arresti domiciliari, in quanto misure generalmente applicate ad un’ampissima cerchia di tipologie delittuose, vorrei concentrarmi su quelle specificatamente orientate alla protezione della persona offesa, con riguardo al tema trattato nel presente lavoro.
Orbene, sia l’allontanamento dalla casa familiare – ex art. 282-bis c.p.p. – che il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa – ex art. 282-ter c.p.p. – costituiscono, teoricamente, due fondamentali strumenti idealizzati dal legislatore a protezione delle vittime di violenza domestica e di genere.
In linea pratica, però, questi strumenti hanno presentato notevoli punti di criticità in merito alle modalità di controllo ad opera della polizia giudiziaria[21].
Infatti, tra gli aspetti maggiore problematicità vi è sicuramente l’ampiezza e la diversità del territorio da sottoporre a controllo che, di fatto, produce l’evidente pregiudizio per la p.o. e i relativi familiari, di farsi carico di vigilare l’osservanza delle prescrizioni imposte dal giudice, affinché possano segnalarsi alla polizia giudiziaria le eventuali trasgressioni[22].
Per far fronte a queste criticità, il legislatore ha introdotto, sul piano sostanziale, il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, sul piano processuale, ha esteso anche per il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa la possibilità di controllare l’autore delle condotte lesive mediante il c.d. “braccialetto elettronico” [23].
In tema di allontanamento dalla casa familiare, alcuni interessanti arresti giurisprudenziali hanno evidenziato che è certamente possibile applicare la misura cautelare in discorso, anche nell'ipotesi in cui l'indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico per intervenuta separazione coniugale[24], non dando rilevanza unicamente alla condizione di coabitazione “attuale”.
Sulla scorta di queste argomentazioni, la Suprema corte di cassazione ha però precisato l’illegittimità applicativa della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare “con riferimento a soggetti estranei alla casa familiare, in quanto l’estensione dell’operatività dell’art 282-bis c.p. al di fuori dei delitti commessi in ambito familiare comporterebbe la lesione dei principi di legalità e tassatività, operanti in materia di misure cautelari” [25].
Inoltre, l’art. 282-bis co. 3 c.p.p., conferisce al giudice il potere, contestualmente o successivamente all'allontanamento dalla casa familiare, su richiesta del pubblico ministero, di ingiungere l'imputato al pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, qualora per effetto della misura cautelare disposta siano venuti meno i mezzi adeguati di sostentamento.
Questo aspetto è di fondamentale importanza, poiché molte volte il “fattore” economico gioca un ruolo determinante in termini di disincentivazione della vittima a sporgere denuncia; non può essere trascurato, altresì, che la “dipendenza economica” della vittima è spesso utilizzata dal partner per sottoporre quest’ultima al proprio “potere patriarcale” ed è, nella stragrande maggior parte dei casi, un indice del delitto di maltrattamenti (art 570 c.p.).
Circa la nozione di “mezzi adeguati di sostentamento”, la dottrina[26] ritiene che debba intendersi richiamato l'omologo presupposto, previsto dall' art. 5, L. 1.12.1970, n. 898 sul divorzio.
In merito, invece, alla misura ex art. 282-ter c.p.p., è utile segnalare che esiste un forte contrasto giurisprudenziale (destinato comunque ad essere risolto dalle Sezioni Unite, cui la questione è stata rimessa) in merito alla questione della necessità o meno dell’individuazione dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, all’interno del provvedimento di applicazione della misura stessa.
Sul punto, un recente approdo giurisprudenziale[27] ha espresso il principio secondo cui “è legittimo il provvedimento del giudice con il quale dispone il divieto di avvicinamento […], senza indicare specificatamente i luoghi oggetto del divieto”.
Il divieto di avvicinamento, di cui all'art. 282-ter c.p.p., secondo recente giurisprudenza di legittimità, “può essere esteso anche con riguardo a soggetti diversi dalla persona offesa, a condizione che siano indicate le specifiche ragioni che giustificano le aggiuntive limitazioni alla libertà di circolazione dell'obbligato, dovendosi contemperare le esigenze di tutela della vittima con quelle di salvaguardia dei rapporti esistenti tra i soggetti terzi e l'indagato” [28].
Particolare importanza, nei reati c.d. da “Codice Rosso”, assume il dettato normativo di cui all’art. 282-quater c.p.p. (rubricato “obblighi di comunicazione”) in materia di avvisi alla persona offesa.
Orbene, attraverso gli “obblighi di comunicazione” la persona offesa, il suo difensore (ove nominato), l’autorità di pubblica sicurezza competente e i servizi socio-assistenziali del territorio ricevono comunicazione in merito ai provvedimenti ex art. 282-bis e 282-ter del codice di rito.
Tuttavia, è importante segnalare la difficoltà nell’ipotizzare le relative conseguenze in caso d’inosservanza[29], stante la mancanza di una disciplina ad hoc.
3.1. La sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, ex art. 288 del codice di procedura penale
L’istituto della responsabilità genitoriale, trova la sua collocazione giuridica negli artt. 316 e ss. del codice civile, disciplinando i diritti e i doveri dei genitori di provvedere all’educazione, alla cura e all’istruzione dei figli minori, oltre che di curarne gli interessi patrimoniali e di rappresentanza in atti civili, penali ed amministrativi.
Sul punto, giova rammentare che l’ultima novella apportata all’istituto è rappresentata dall'art. 93 del D.Lgs. n. 154/2013, che ha riformato la disciplina civilistica della filiazione, sostituendo, in tutte le disposizioni del codice penale e di procedura penale, l'espressione “potestà dei genitori” con “responsabilità genitoriale”, in conformità alla riforma orientata allo scopo di eliminare diciture che differenzino i figli legittimi o legittimati e naturali, facendo riferimento ad un'unica disciplina sullo stato di figlio.
Orbene, in determinate circostanze che richiedono interventi di tutela immediati, nei confronti dei figli minorenni, il legislatore ha per l’appunto previsto l’istituto della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
È di tutta evidenza che con il provvedimento dispositivo della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice “priva temporaneamente l’imputato, in tutto o in parte, dei poteri a essa inerenti”[30] .
Entrando nel dettaglio dell’istituto in questione, è importante rilevare che la misura interdittiva di cui trattasi vede la sua compiuta regolamentazione dal combinato disposto degli artt. 287 e 288 del codice di rito.
Infatti, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale può essere suddivisa in due parti: una prima parte, di carattere generale (ex art. 287 c.p.p.), richiama i limiti minimi di pena funzionali alla applicazione della misura interdittiva; mentre la seconda parte introduce una deroga ai limiti imposti nella prima, in relazione a talune tipologie di reato, relativi a delitti contro la libertà sessuale ed i reati di cui agli artt. 520 e 571 c.p., commessi in danno di prossimi congiunti.
Orbene, è ormai noto che la legge del 15.02.1996, n. 66 ha abrogato il capo I del titolo IX
del libro II del codice penale, relativo ai reati sessuali, nonché il reato di corruzione di minorenne (ex art. 530 c.p.).
Sul punto la dottrina[31], rilevando degli evidenti problemi di coordinamento tra le novelle apportate all’interno del codice penale (legge n. 66/96) e la lettera del codice di rito, ha concluso nel senso di ritenere che il riferimento ai reati sessuali debba intendersi riferito al complesso di norme introdotte dalla novella legislativa, facendo prevalere la sostanza del dato normativo rispetto alla mera qualificazione formale[32].
Alle stesse conclusioni di c.d. continuità normativa, si può giungere in merito al riferimento fatto dal codice di procedura penale all’art. 530 c.p. (ormai abrogato) [33].
Sempre in un’ottica di critica normativa, dottrina più attenta[34] ha rilevato un’irragionevolezza da parte del legislatore (o meglio dire un’ingiustificata dimenticanza) nell’escludere talune tipologie di reato, quali ad es. la violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570 c.p., e le fattispecie di sottrazione di minore, di cui al combinato disposto degli artt. 573 e 574 c.p., che ben si coniugherebbero con le finalità preposte dalla misura interdittiva di cui trattasi.
4. Considerazioni finali
L’accertamento di un fatto e l’eventuale applicazione della sanzione penale, nonché il soddisfacimento delle pretese patrimoniali, costituiscono l’obbiettivo cardine del procedimento penale.
Lo iato temporale che intercorre tra l’acquisizione della notitia criminis e l’esecuzione della sentenza irrevocabile di condanna, rischia di rendere vano lo scopo a cui è orientato il procedimento penale.
Per evitare questa situazione, il legislatore ha previsto due strumenti: le misure precautelari e le misure cautelari.
In ambito dei reati di violenza domestica e di genere, l’esigenza di una rapida ed efficace tutela è avvertita con maggior necessità, proprio per evitare che le condotte criminose siano portate a conseguenze ulteriori.
La materia è delicata anche per tanti altri fattori, tra i quali si possiamo rammentare l’esistenza di pregiudizi e stereotipi basati sul genere, nonché sul ruolo relegato alla donna all’interno del contesto famigliare, le condizioni di particolare vulnerabilità della vittima per questa categoria di reati, l’incapacità del sistema giustizia ad apprestare una reale tutela alle vittime di violenza e ad evitare (di fatto) la vittimizzazione secondaria.
Il nostro sistema di giustizia è, purtroppo, ancora lacunoso in tema di tutela contro i reati domestici e di genere, basti pensare alle diverse condanne, che ancora oggi, il nostro Paese subisce da parte del giudice di Strasburgo.
Sul punto infatti possiamo ricordare, tra i tanti, il caso Talpis c. Italia (Corte EDU, sezione Prima, del 2 marzo 2017, ricorso n. 41237/14) e Landi c. Italia (Corte EDU, sezione Prima, del 7 aprile 2022, ricorso n. 10929/19), nell’ambito dei quali la Corte EDU censurava proprio la grave inerzia delle autorità nell’applicare le misure volte ad apprestare una tutela alle vittime di violenza.
[1] L. del 19 luglio 2019, n. 69 (entrata in vigore dal 9 agosto 2019), recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”;
[2] P. TONINI, Manuale di Procedura penale, quindicesima edizione, Giuffrè Editore, p. 558;
[3] Corte Cost. del 15 luglio 2004, n. 223;
[4] P. TONINI, Manuale di Procedura penale, op. cit., p. 558 ss.;
[5] DALIA-FERRAIOLI, Manuale di diritto Processuale penale, Padova, 1997, p. 228 ss.;
[6] VERGINE, Arresto in flagranza e fermo di indiziato, in Spangher, Trattato di procedura penale, III, Torino, 2009, 377 ss.; M. D'AGNOLO, F. GIUNCHEDI, C. SANTORIELLO, Codice di Procedura Penale commentato, a cura di A. Gaito con la collaborazione di A. Bargi, G. Dean, C. Fiorio, G. Garuti, F. Giunchedi, O. Mazza, M. Montagna, C. Santoriello, Wolters Kluwer Italia s.r.l., Onelegale, Codice di Procedura Penale commentato on line;
[7] Art. 382, co. 1 del codice di procedura penale.
[8] JOVINO, Brevi riflessioni sulla "nuova" nozione di flagranza, in CP, 1991, II, 257, p. 84; DUBOLINO, BAGLIONE, BARTOLINI, Il nuovo codice di procedura penale illustrato per articolo, Piacenza, 1992, p. 984; P. TONINI, Manuale di Procedura penale, Op. cit, p. 559 ss.; NAPPI, Guida al nuovo codice di procedura penale, 3a ed., Milano, 1992, p. 190;
[9] Art 380, co. 1 del codice di procedura penale.
[10] Art 381, co. 1 del codice di procedura penale.
[11] Cass. Pen. Sezioni Unite, n. 39131/2016;
[12] Cass. Pen. Sez. VI, n. 7139/2019; Cass. Pen. Sez. VI, n. 34551/2013;
[13] Cass. Pen. Sez. VI, n. 17853/2020; Cass. Pen. Sez. V, n. 7915/2019
[14] Cass. Pen. Sez. V, n. 26437/2014;
[15] A. TRINCI E V. VENTURA, Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e rito direttissimo, Diritto Penale Contemporaneo – rivista trimestrale, Editore Luca Santa Maria, Direttore responsabile Francesco Viganò, 2013, p. 2;
[16] BRICCHETTI, Arriva agli inquirenti l'arma dell'allontanamento, in Gdir, 2013, 36, p. 74;
[17] A. TRINCI E V. VENTURA, Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e rito direttissimo, op. cit., p. 4 ss.;
[18] CISTERNA, Pena fino a tre anni se il soggetto viola l'ordine di protezione, in Gdir, 2019, 37, p. 75 ss.;
[19] A. MARANDOLA, Le modifiche al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, in A. Marandola-G. Pavich, Codice Rosso l. n. 69/2019, Milano, Giuffrè, 2019, p. 52 ss.; N. TRIGGIANI, L’ultimo tassello nel percorso legislativo di contrasto alla violenza domestica e di genere: la legge “Codice Rosso”, tra effettive innovazioni e novità solo apparenti, in Processo penale e giustizia n. 2|2020, Giappichelli Editore Dibattiti tra norme e prassi, p. 467;
[20] P. TONINI, Manuale di Procedura penale, op. cit., p. 418 ss.;
[21] N. TRIGGIANI, L’ultimo tassello nel percorso legislativo di contrasto alla violenza domestica e di genere: la legge “Codice Rosso”, tra effettive innovazioni e novità solo apparenti, op. cit., p. 466 ss.;
[22] S. RECCHIONE, Codice rosso. Come cambia la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere con la legge 69/2019, in Il penalista, Focus 26 luglio 2019, p. 6; N. TRIGGIANI, L’ultimo tassello nel percorso legislativo di contrasto alla violenza domestica e di genere: la legge “Codice Rosso”, tra effettive innovazioni e novità solo apparenti, op. cit., p. 466 ss.;
[23] art. 282-ter, co. 1 in relazione all’art. 275-bis c.p.p. ;
[24] Cass. Pen. Sez. VI, n. 28958/08; Cass. Pen. Sez. VI, Pellerano, in Mass. Uff., 234625/06; Cass. Pen. Sez. VI, Pala, n. 240664/08;
[25] P. TONINI, Manuale di Procedura penale, quindicesima edizione, Giuffrè Editore, p. 423 ss.; Cass. Pen. Sez. V, n. 260565/14;
[26] ZANASI, Violenza in famiglia e stalking, dalle indagini difensive agli ordini di protezione, Milano, 2006, p. 370 ss.; P. DELL’ANNO, F. GIUNCHEDI, C. SANTORIELLO, Codice di Procedura Penale commentato, a cura di A. Gaito con la collaborazione di A. Bargi, G. Dean, C. Fiorio, G. Garuti, F. Giunchedi, O. Mazza, M. Montagna, C. Santoriello, Wolters Kluwer Italia s.r.l., Onelegale, Codice di Procedura Penale commentato on line;
[27] Cass. Pen. Sez. V, n. 28677/16; Cass. Pen. Sez. V, n. 36887/13; Cass. Pen. Sez. V, n. 48395/14; in senso difforme v. Cass. Pen. Sez. V, n. 5664/14; Cass. Pen. Sez. VI, n. 8333/15; Cass. Pen. Sez. VI, n. 28225/15;
[28] Cass. Pen. Sez. V, n. 2393/20;
[29] CORTE DI CASSAZIONE – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Sez. Penale –, Relazione su novità normativa: legge 19 luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Relazione n. 62/2019, p. 28; N. TRIGGIANI, L’ultimo tassello nel percorso legislativo di contrasto alla violenza domestica e di genere: la legge “Codice Rosso”, tra effettive innovazioni e novità solo apparenti, op. cit., p. 468 ss.;
[30] Art. 288, co. 1 del codice di procedura penale;
[31] APRILE, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006, p. 379 ss.; DE GIORGIO, GUAGLIANI, Le misure interdittive a carico delle persone fisiche e giuridiche, Torino, 2008, p. 34;
[32] A. ZAMPAGLIONE, F. GIUNCHEDI, C. SANTORIELLO, Codice di Procedura Penale commentato, a cura di A. Gaito con la collaborazione di A. Bargi, G. Dean, C. Fiorio, G. Garuti, F. Giunchedi, O. Mazza, M. Montagna, C. Santoriello, Wolters Kluwer Italia s.r.l., Onelegale, Codice di Procedura Penale commentato on line;
[33] DE GIORGIO, GUAGLIANI, Le misure interdittive a carico delle persone fisiche e giuridiche, Torino, 2008, p. 35; sul punto anche la giurisprudenza di legittimità rimarca la continuità normativa, v. Cass. Pen. Sez. III, n. 2097/01, Costa e Costa, in CP, 2002).
[34] A. ZAMPAGLIONE, F. GIUNCHEDI, C. SANTORIELLO, Codice di Procedura Penale commentato, op. cit.; DE GIORGIO, GUAGLIANI, Le misure interdittive a carico delle persone fisiche e giuridiche, Torino, 2008, p. 35; MACCHIA, Spunti in tema di misure interdittive, in CP, 1994, II, p. 3151.