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Pubbl. Ven, 19 Ago 2022

Gli impianti sportivi comunali: analisi dei possibili modelli di gestione

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Flavio Oregioni



Il presente elaborato intende analizzare le possibili soluzioni di cui l´ente locale dispone per la gestione dei propri impianti sportivi. La normativa di riferimento, a lungo costituita dall´art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002 e dalle leggi regionali approvate in attuazione del dettato statale, è stata recentemente novellata dal d.lgs. n. 38/2021. Tuttavia, l´entrata in vigore del decreto è stata differita a gennaio 2023, determinando, da un lato, ulteriori criticità rispetto a un già incerto quadro normativo e, dall´altro, il frequente intervento del giudice amministrativo. Ed è proprio nelle più recenti pronunce, soprattutto del Consiglio di Stato, che si rinviene la puntuale analisi dei possibili modelli gestionali cui l´ente deve fare riferimento per gestire il bene.


Sommario: 1. L’impianto sportivo comunale. Definizione e natura del bene; 2. La qualificazione della gestione dell’impianto sportivo comunale; 3. La gestione dell’impianto sportivo comunale. La valutazione della rilevanza economica del servizio; 4. Analisi dei possibili modelli gestionali.

1. L’impianto sportivo comunale. Definizione e natura del bene

L’esatta perimetrazione della definizione di impianto sportivo è stata oggetto di vari interventi normativi, in ragione dell’importanza che questa assume anche ai fini gestionali del bene.

Tra i più significativi contributi, si segnala il decreto ministeriale 18 marzo 1996[1], dal quale emerge una nozione ampia, non circoscritta ai soli edifici in senso stretto, ma ricomprendente le aree funzionali all’attività sportiva, così come quelle di servizio.

Infatti, l’art. 2[2] del summenzionato decreto definisce l’impianto sportivo come l’«insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori, preposto allo svolgimento di manifestazioni sportive», comprendendo a tal fine «lo spazio o gli spazi di attività sportiva»«la zona spettatori», gli «eventuali spazi e servizi accessori», nonché «eventuali spazi e servizi di supporto»

Vanno dunque ricompresi anche spazi complementari per attività commerciali o ricreative, non indispensabili per lo svolgimento dell’attività sportiva, ma rilevanti per la gestione del bene e il benessere dell’utenza[3].

Un recente intervento normativo - il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 38[4] - ha riproposto tale impostazione, qualificandolo come «la struttura, all'aperto o al chiuso, preposta allo svolgimento di manifestazioni sportive, comprensiva di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, nonché di eventuali zone spettatori, servizi accessori e di supporto».

Anche l’individuazione della natura giuridica del bene ha generato notevole interesse. Sul punto, la giurisprudenza[5] è ormai consolidata nel qualificare l’impianto sportivo comunale quale bene patrimoniale indisponibile ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, del codice civile. 

In particolare, secondo l’ultimo capoverso della disposizione citata, rientrano in tale categoria anche «gli altri beni destinati a un pubblico servizio»: l’impianto sportivo è infatti destinato al soddisfacimento dell’interesse collettivo allo svolgimento delle attività sportive[6].

Anche in dottrina è condivisa suddetta qualificazione. Secondo alcuni[7] troverebbe conferma nella legislazione urbanistica, essendo gli impianti sportivi opere di urbanizzazione secondaria, nelle quali è implicita la necessaria destinazione al soddisfacimento di interessi generali e, conseguentemente, la destinazione a un pubblico servizio.

La vocazione naturale del bene ad essere impiegato in favore della collettività, per attività di interesse generale, comporta, inoltre, che su di esso insista un vincolo funzionale - coerentemente col regime di cui all’art. 828 c.c. - non potendo esser sottratto alla sua destinazione[8].

2. La qualificazione della gestione dell’impianto sportivo comunale

Le osservazioni svolte nel paragrafo precedente permettono di giungere a ulteriori considerazioni circa la natura - e il relativo regime giuridico - delle molteplici attività con cui l’ente locale (o il terzo affidatario) gestisce l’impianto.

Oggi è ampiamente condivisa, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, la qualificazione della gestione degli impianti sportivi come servizio pubblico locale.

Secondo alcuni commentatori[9] sarebbe giustificabile in quanto mira a «consentire e favorire lo svolgimento di attività sportive», risultando «funzionale all’erogazione di prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale»[10].

Ancor più puntuale è l’analisi svolta dal giudice amministrativo, secondo il quale «si tratta di un servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume un ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.)»11].

Una lettura del tutto coerente con il dato normativo: basti pensare al comma 24 dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289[12], secondo cui l'uso degli impianti sportivi deve essere «aperto a tutti i cittadini»

Va, inoltre, rilevato come la stessa giurisprudenza abbia ulteriormente precisato che la gestione di un impianto sportivo rientri, a pieno titolo, nell’area dei servizi alla persona, o dei servizi sociali, in quanto è indubbia e universalmente riconosciuta l’importanza della pratica sportiva ai fini dell’aggregazione sociale, della prevenzione delle malattie e della formazione giovanile[13].

Funzione sociale confermata anche dallo Statuto del CONI, secondo il quale la diffusione della pratica sportiva è finalizzata a garantire l’integrazione sociale e culturale degli individui e delle comunità residenti sul territorio[14].

La qualificazione come servizio pubblico locale non risente della circostanza per cui tale attività sia erogata in subordine o meno al pagamento di un corrispettivo. Va pertanto considerata tale anche la gestione svolta gratuitamente o con contribuzione pubblica, sempre che le prestazioni siano strumentali all’assolvimento di finalità sociali[15].

3. La gestione dell’impianto sportivo comunale. La valutazione della rilevanza economica del servizio

La configurazione della gestione degli impianti sportivi quale servizio pubblico locale porta con sé una serie di rilevanti implicazioni, specialmente per quanto riguarda le modalità di organizzazione ed espletamento di tale complesso di attività.

Per poter comprendere e valutare compiutamente le differenti strade gestionali di cui l’ente dispone, risulta essenziale una preliminare indagine circa la sussistenza o meno della rilevanza economica del servizio in questione. Impostazione che trova origine e aderenza con quanto sancito a livello euro-unitario, dove è posta la distinzione tra servizio di interesse economico generale e non di interesse economico generale. In più occasioni, la Consulta ha riconosciuto la corrispondenza tra servizio pubblico locale a rilevanza economica e servizio di interesse economico generale[16].

Ai fini della definizione della rilevanza economica del servizio sportivo è necessario distinguere tra servizi che si ritiene debbano essere resi alla collettività anche al di fuori di una logica di profitto d'impresa, cioè quelli che il mercato privato non è in grado o non è interessato a fornire, da quelli che, pur essendo di pubblica utilità, rientrino in una situazione di mercato appetibile per gli imprenditori in quanto la loro gestione consente una remunerazione dei fattori di produzione e del capitale e permette all'impresa di trarre dalla gestione la fonte della remunerazione[17].

Centrale, ai fini della comprensione di tale distinguo, risulta il criterio della remuneratività, essendo a rilevanza economica solo quei servizi che ne siano dotati.

Secondo quanto ricostruito dalla giurisprudenza[18], sia nazionale che euro-unitaria, tale canone deve essere inteso «in termini di reddittività, anche solo potenziale, cioè di possibilità di coprire i costi di gestione attraverso il conseguimento di un corrispettivo economico nel mercato»19].

Pertanto, il servizio ha rilevanza economica «quando il gestore ha la possibilità potenziale di coprire tutti i costi», mentre è privo di suddetta rilevanza «quando è strutturalmente antieconomico, perché potenzialmente non remunerativo», perché il mercato non è in grado o non è interessato a fornire quella prestazione.

In molteplici occasioni[20], è stato precisato che, con riferimento alla gestione degli impianti sportivi, la remuneratività debba essere valutata caso per caso[21], essendo connotata da un «carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura economica»22], né tantomeno limitarsi a considerare la sola tipologia o caratteristica merceologica del servizio[23].

Anche in questo caso, la magistratura[24] ha fornito degli utili riferimenti per poter effettuare tale valutazione su un piano concreto e puntuale, in primis da parte dell’ente locale interessato[25], identificando una serie di indici[26].

Tra questi rientrano: a) «la scelta organizzativa stabilita dall’ente per soddisfare gli interessi della collettività». Risulteranno privi di rilevanza quei servizi resi con logica meramente erogativa e che non richiedono un’organizzazione imprenditoriale secondo i canoni civilistici, in ragione del fatto che l’ente ben possa decidere di erogare il servizio con o senza copertura dei costi[27]; b) «le caratteristiche dell’impianto», soprattutto in considerazione delle dimensioni e, conseguentemente, della quantità e qualità di attività sportive e non che vi si possono effettuare[28]; c) «le specifiche modalità della gestione e relativi oneri di manutenzione»; d) «il regime tariffario (libero ed imposto)», per il quale è stato puntualizzato che, di per sé, l’applicazione di tariffe concordate con il comune non costituisce elemento sufficiente per escludere la redditività[29]; e) «la praticabilità di attività accessorie». Ulteriore elemento di attenzione, già desumibile in sede definitoria, concerne la redditività, da intendersi in termini di mera e astratta potenzialità di produrre un utile di gestione da parte dell’impianto: da ciò discende che l’irrisorietà dell’utile di gestione che il servizio produce, per come in concreto organizzato, non è decisiva ai fini della esclusione della rilevanza economica[30]. Recentemente, inoltre, il Consiglio di Stato ha rimarcato la sussistenza di un evidente indice di remuneratività qualora il gestore, al quale sia riconosciuta la possibilità di percepire tutte le entrate del servizio, copra tutti i costi con i suddetti ricavi[31].

Tra gli altri possibili indicatori da considerare rientrano: il bacino e la numerosità d’utenza attesi, la propensione al consumo dei servizi sportivi che caratterizza il territorio di riferimento, la tipologia impiantistica oggetto di gestione (impianto monovalente/ polivalente), la tipologia della disciplina sportiva praticata (agonistica o attività sportiva di base), la presenza di servizi aggiuntivi che consentano di incrementare  l’autofinanziamento (es. wellness, fitness, ristorazione, vendita di prodotti sportivi, corsi di avviamento allo sport o per il benessere fisico, ecc.), la presenza o meno sul mercato di riferimento di potenziali imprese sponsor coinvolgibili. Spesso anche l'ente locale incide sulla potenziale rilevanza economica degli impianti con l'introduzione di vincoli che comprimono, di fatto, la capacità di autofinanziamento del soggetto gestore, quali il rispetto del sistema tariffario dei servizi rivolti all’utenza, i vincoli sociali di utilizzo, il numero di giornate di uso riservato degli impianti a titolo gratuito per iniziative del comune o di soggetti patrocinati.

4. Analisi dei possibili modelli gestionali

L’ente locale dispone di due soluzioni alternative per la gestione dei propri impianti sportivi: una forma diretta e una forma indiretta.

Nel primo caso, è il comune, avvalendosi della propria struttura organizzativa e delle proprie risorse umane, strumentali e finanziarie, a gestire il bene. Soluzione, questa, la cui legittimità è confermata dal giudice amministrativo[32] secondo cui, da un lato, nessuna norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno determinati servizi, ove preferiscano amministrarli in via diretta, e dall’altro lato, non sussiste per gli stessi la necessità di rintracciare un’esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio appartenente al novero di quelli per cui esso è istituito. L’ammissibilità di tale modello è stata inoltre sancita dalla Corte costituzionale[33] ed è pure rinvenibile nell’art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002, laddove il legislatore riconosce una gestione indiretta «nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi».

Secondo una lucida analisi[34], il modello diretto si sostanzia nell’affidamento della gestione da parte dell’amministrazione comunale ai propri uffici, comprendendo anche i casi dove siano affidati a ditte specializzate i servizi connessi al funzionamento dell’impianto (es. manutenzioni, pulizie).

Questa strada comporta il farsi carico di esigenze complesse, sia nel campo organizzativo (attività ed eventi da organizzare secondo logiche manageriali senza disporre di adeguate professionalità), sia in quello della ricerca delle risorse necessarie all’autofinanziamento delle spese gestionali (sponsorizzazioni, vendita di prodotti di merchandising, corsi formativi, eventi).

Ed è proprio in ragione di tali complessità che la gestione diretta si adatta a situazioni residuali, legate a impianti di modeste dimensioni, con oneri organizzativi ed economici limitati. Residualità[35] desumibile anche dal fatto che tale opzione sarà ragionevolmente percorribile solo dopo aver verificato che nel mercato locale di riferimento non esistano altri soggetti in grado di assicurare il servizio con lo stesso grado di qualità richiesto, e a condizioni maggiormente vantaggiose in termini di efficacia, efficienza ed economicità.

Può dunque affermarsi che l’ente locale ben possa intraprendere la strada della gestione diretta qualora ritenga, in considerazione delle connotazioni economiche, sociali e ambientali del contesto territoriale di riferimento, non possibile un proficuo ricorso al mercato.

Le considerazioni sin qui svolte portano a desumere come la gestione indiretta sia la scelta più frequentemente adottata dai comuni. In ragione di ciò e del fatto che trattasi di un servizio pubblico locale peculiare, il modello gestionale in parola è stato oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore statale.

Di riferimento è stata la legge 27 dicembre 2002, n. 289 e, più precisamente, il comma 25 dell’art. 90 secondo cui «nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari. Le regioni disciplinano, con propria legge, le modalità di affidamento».

Un modello gestionale, dunque, che accorda una preferenza (e non una riserva) di carattere soggettivo ai gestori[36] - seppur nell’ambito di una preventiva individuazione dei criteri selettivi - escludendo però possa essere estesa a riferimenti territoriali[37].

La completa definizione di tale sistema è stata rimessa al legislatore regionale che, seppur con differenti profili, ha regolato le possibili modalità di affidamento degli impianti, prevedendo anche ipotesi di individuazione diretta del gestore[38].

Secondo autorevole posizione[39], a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, la previsione di cui all’art. 90, comma 25, deve ritenersi superata e non più applicabile poiché dettata in un differente contesto normativo. Ed è proprio la disciplina del d.lgs. n. 50/2016 (così come la distinzione tra impianti sportivi con o senza rilevanza economica) a rappresentare la base su cui Anac e giurisprudenza[40] individuano i tre possibili modelli alternativi in cui si sostanzia attualmente la gestione indiretta.

Qualora l’ente locale ne accerti la rilevanza economica, dovrà necessariamente optare per l’affidamento dell’impianto mediante concessione di servizi, ex artt. 164 ss. del d.lgs. n. 50/2016.

Sul punto giova ricordare come sia consolidato l’orientamento per cui l’affidamento di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici, destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento di attività sportive, «non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura, per l’appunto, una concessione di servizi»[41].

Rapporto che si caratterizza per il trasferimento in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione del servizio, ossia di quel rischio reale e non puramente nominale per cui, in condizioni operative normali, non è garantito all’operatore il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti, soggiacendo l’equilibrio del piano economico-finanziario alle fluttuazioni del mercato[42]. Ai sensi del comma secondo dell’art. 164, l’iter di aggiudicazione della concessione del servizio è soggetto alla disciplina riguardante gli appalti.

Fondamentale, ai fini della procedura, risulta la quantificazione del valore della concessione, da intendersi quale stima del fatturato complessivo generato dalla gestione dell’impianto per tutta la durata del contratto[43]: operazione da compiersi da parte dell’ente attraverso la redazione di un piano economico-finanziario e da intendersi quale sviluppo delle preliminari valutazioni che hanno condotto all’accertamento della rilevanza economica del servizio.

Giova ricordare che la soluzione concessoria debba necessariamente essere integrata con le prescrizioni del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali e, più precisamente, con i differenti modelli prescritti dall'art. 113 (affidamento in house, a società a capitale misto, al mercato privato).

Nel caso in cui l’impianto sportivo non sia remunerativo, sempre secondo la recente ricostruzione giurisprudenziale, si prospettano per l’ente locale due possibilità. In primo luogo, il modello della «concessione strumentale del bene pubblico ovvero della relativa gestione»44], tipicamente riconducile alle ipotesi di «uso associativo (…) di impianti di ridotte dimensioni, per i quali non è ipotizzabile l’uso diffuso di una tariffa»45]. In questa ipotesi risulta molto chiara la prescrizione dettata dall’art. 164, comma terzo, del d.lgs. n. 50/2016[46] per cui l’affidamento dell’impianto, in quanto non economico, è svincolato dall’applicazione della disciplina del Codice stesso e, più precisamente, relativa alle concessioni di servizi.

Tale assegnazione, essendo finalizzata alla stipula di un c.d. contratto escluso, dovrà avvenire, in ossequio a quanto disposto dall’art. 4 del Codice dei contratti pubblici, attraverso una procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto dei princìpi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

Altra strada gestionale per l’ente, sempre nel caso di assenza di rilevanza economica, è il ricorso all’appalto di servizi. Una soluzione peculiare e nettamente differente dal modello precedente (ispirato a una logica concessoria), riconducibile alle ipotesi in cui «l’attività non sia resa in favore della collettività indifferenziata, ma direttamente a favore dell’ente locale ed in assenza di rischio operativo»47].

In particolare, si tratterà di un appalto riconducibile alla materia dei servizi sociali, di cui all’allegato IX del d.lgs. n. 50/2016, da aggiudicare secondo la disciplina ex artt. 140 ss. dello stesso decreto[48].

Occorre infine rilevare che il quadro normativo sopra delineato è stato recentemente novellato dal decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 38[49], il quale, all’art. 6[50], ha previsto che gli affidamenti della gestione degli impianti sportivi, che l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente, siano «disposti nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e della normativa euro-unitaria vigente». Con questo intervento legislativo, inoltre, è stato espressamente abrogato l’art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002[51].

Tuttavia, tale nuova disciplina non è ancora applicabile poiché il decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, ne ha disposto la proroga dell’entrata in vigore alla data del 1 gennaio 2023[52].

Nelle more della vigenza della novella, che espressamente richiama il Codice dei contratti pubblici come fonte regolatrice delle procedure di affidamento della gestione degli impianti sportivi, la giurisprudenza ha identificato i tre descritti modelli di gestione indiretta a cui gli enti devono attenersi, segnalando altresì la necessità che questi continuino a conformarsi alla disciplina prevista dall’art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002 - e dalle leggi regionali - essendone stata differita l’abrogazione[53].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Decreto concernente “Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi”.

[2] Definizione confermata anche dal successivo D.M. 6 giugno 2005, che ha apportato alcune modifiche al testo del 1996.

[3] Rilievo formulato da V. PORZIA, Gli impianti sportivi pubblici, in Rivista di Diritto Sportivo, n. 1/2017, p. 99 ss. Secondo l’autrice, tale concezione sarebbe in linea con una visione dello sport quale attività in grado di offrire risvolti economici e sociali.

[4] Decreto rubricato “Attuazione dell'articolo 7 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”.

[5] In tal senso vedasi Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 23 luglio 2001, n. 10013. Questa pronuncia ha costituito un punto fermo per la successiva giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, che ha più volte confermato il principio formulato (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 20 aprile 2015, n. 7959; Consiglio di Stato, Sezione V, sentenze 16 aprile 2003, n. 1991; 2 maggio 2013, n. 2385; T.A.R. Abruzzo, Sezione I, sentenza 9 febbraio 2018, n. 54; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sezione II, sentenza 22 maggio 2017, n. 683; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sentenza 11 luglio 2016, n. 258; T.A.R. Liguria, Sezione I, sentenza 23 giugno 2016, n. 700; T.A.R. Valle d’Aosta, Sezione I, sentenza 15 dicembre 2015, n. 98). In particolare, le Sezioni Unite della Cassazione, con ordinanza 25 marzo 2016, n. 6019, hanno precisato che un bene, per poter rientrare tra quelli patrimoniali indisponibili, deve soddisfare il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.

[6] In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza 26 luglio 2016, n. 3380.

[7] N. BASSI, La proprietà e la gestione degli impianti sportivi, in Rivista di Diritto Sportivo, 2013, pp. 15 ss.

[8] Precisazione espressa da Anac con il parere sulla normativa del 2 dicembre 2015 - AG 87/2015/AP e confermato dalla stessa Autorità con la delibera 14 dicembre 2016, n. 1300. Vincolo di destinazione la cui sussistenza è stata recentemente ribadita anche dal giudice amministrativo (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sezione I, sentenza 13 ottobre 2021, n. 251). In dottrina, analoga considerazione è svolta, tra gli altri, da E. CASETTA, F. FRACCHIA, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, 2019, p. 214.

[9] A. SOLA, Affidamento e gestione degli impianti sportivi pubblici: la disciplina del d.lgs. n. 38/2021, in www.appaltiecontratti.it, 17 settembre 2021.

[10] In tal senso si esprime anche il T.A.R. Lombardia, Milano, Sezione III, sentenza 20 dicembre 2005, n. 5633.

[11] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 28 gennaio 2021, n. 858.

[12] Dispone il comma 24 che “L'uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive”.

[13] T.A.R. Lazio, Sezione II ter, sentenza 22 marzo 2011, n. 2538.

[14] In tal senso vedasi l’art. 3, comma 1, dello Statuto CONI, così come modificato dal Consiglio Nazionale il 2 ottobre 2019.

[15] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 16 dicembre 2004, n. 8090.

[16] Ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza 17 novembre 2010, n. 325. Distinzione che trova fondamento, a livello europeo, nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (artt.  14, 57 e 106), e viene riprodotta nel nostro ordinamento dal Tuel (artt. 113 e 113 bis, anche se quest’ultimo dichiarato illegittimo con la sentenza 27 luglio 2004, n. 272, della Corte costituzionale), dal Codice dei contratti pubblici (desumibile dalla differente disciplina delle concessioni ex art. 164) e dall’art. 2 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175).

[17] Principio rinvenibile in T.A.R. Lazio, Roma, Sezione II ter, sentenza 22 marzo 2011, n. 2538.

[18] Recentemente il Consiglio di Stato ha fornito un preciso quadro riepilogativo con le sentenze 28 gennaio 2021, n. 858 e 18 agosto 2021, n. 5915.

[19] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 28 gennaio 2021, n. 858.

[20] Impostazione rinvenibile nella delibera Anac 14 dicembre 2016, n. 1300, ma anche nella costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001), secondo cui compete al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi all’attività e dell’eventuale finanziamento pubblico della medesima.

[21] La rilevanza economica va accertata, di volta in volta, con riferimento al singolo servizio da espletare, da parte dell’ente stesso, avendo riguardo all’impatto che il servizio stesso può avere sul contesto dello specifico mercato concorrenziale di riferimento ed ai suoi caratteri di redditività/autosufficienza economica, ossia di capacità di produrre profitti o per lo meno di coprire i costi con i ricavi (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 195/2009/PAR).

[22] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 23 ottobre 2012, n. 5409.

[23] In tal senso si esprime T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sentenza 13 ottobre 2021, n. 251.

[24] Di riferimento, tra le varie pronunce, è la recente sentenza 14 marzo 2022, n. 1784 della Sezione V del Consiglio di Stato.

[25] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 10 settembre 2010, n. 6529. Con questa pronuncia viene infatti rimarcato il ruolo esclusivo dell’ente titolare del servizio nel determinare la qualificazione dello stesso come economicamente significativo o meno. Inoltre, viene segnalata la necessità di effettuare tale valutazione “facendo ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio”, preferendolo “all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo, o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale (i.e. la capacità di produrre utili)”.

[26] Secondo S. VILLAMENA, Impianti sportivi comunali: aspetti problematici della gestione “indiretta”, in Cooperative e Enti non profit, n. 11-12/2013, p. 47, si tratterebbe di “meri indicatori presuntivi”, espressione che ben descrive la complessità e, spesso, l’aleatorietà di una simile attività qualificatoria.

[27] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 23 ottobre 2012, n. 5409.

[28] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 14 marzo 2022, n. 1784, con cui il collegio ha qualificato, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, come avente rilevanza economica un impianto sportivo in ragione delle sue “significative dimensioni, comprendendo due vasche, delle quali una adatta allo svolgimento di attività agonistiche, come pure un “parco estivo”, aree attrezzate, palestra, campi sportivi funzionali ed altri locali utilizzabili per attività accessorie”.

[29] T.A.R. Marche, Sezione I, sentenza 24 gennaio 2013, n. 73.

[30] Riflessioni svolte dal Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza 27 agosto 2009, n. 5097, con cui il giudice ha rimarcato l’impossibilità di escludere la rilevanza economica dell’impianto sportivo quando l’incapacità di essere condotto in modo economicamente proficuo derivi da una scelta gestionale. In tal caso, infatti, questa scelta ben potrà essere modificata e consentire il verificarsi in concreto di una redditività già sussistente in termini potenziali.

[31] A. BARBIERO, Corte conti, un servizio pubblico è rilevante economicamente se genera ricavi che coprono i costi, in www.ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com, 22 marzo 2022. L’autore, commentando la sentenza n. 1784/2022 del Consiglio di Stato, precisa come, alla luce delle riflessioni svolte dal giudice, risultano compatibili con il modello gestionale remunerativo sia la riconduzione al concessionario delle spese di manutenzione, soprattutto se proporzionate al quadro dei ricavi complessivi, sia l’eventuale corrispettivo parziale versato dal comune quale sostegno all’equilibrio economico.

[32] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 26 gennaio 2011, n. 552.

[33] Corte costituzionale, sentenza 29 dicembre 2004, n. 424, secondo cui agli enti locali “è assicurata, in via principale, la possibilità di gestire direttamente gli impianti”.

[34] Rinvenibile in T.A.R. Lazio, Sezione II ter, sentenza 22 marzo 2011, n. 2538.

[35] In dottrina, sulla scorta di tali riflessioni, la gestione diretta da parte del comune è stata definita quale modello recessivo (S. VILLAMENA, op. cit., p. 48). Lo stesso autore precisa come la scelta dell’ente su quale modello optare appartenga alla sfera del merito amministrativo e, in quanto tale, insindacabile dal giudice.

[36] Sulla portata del profilo preferenziale, il T.A.R. Puglia, Lecce, con la sentenza 27 novembre 2009, n. 2868, ha precisato che tali previsioni (nel caso di specie disposte anche dalla normativa regionale, ossia la legge n. 33/2016, art. 19) “impongono di prevedere agevolazioni o punteggi aggiuntivi per i soggetti favoriti ma non proibiscono agli altri organismi di partecipare alla gara”. Estensione soggettiva che è stata recentemente confermata anche dal T.A.R. Campania, Salerno, Sezione I, che, con la sentenza 18 febbraio 2022, n. 502, ha statuito come l’ampliamento del novero dei concorrenti operato dalla lex specialis “risulta in linea con il principio di matrice euro-unitaria del favor partecipationis” e “trova conforto nel cit. art. 90, comma 25 (…) ai sensi del quale la gestione degli impianti sportivi (…) viene affidata in via preferenziale e non esclusiva”.

Quest’ultima pronuncia risulta rilevante anche per delineare i confini definitori tra i soggetti ai quali la preferenza si riferisce: infatti, sottolinea il giudice che tra gli enti di promozione sportiva rientra anche un’associazione affiliata al Centro Sportivo Italiano (CSI), in quanto quest’ultimo risulta ente di promozione sportiva riconosciuto dal CONI. Affiliazione che, al contrario, non pare sufficiente per acquisire la natura di associazione sportiva dilettantistica.

[37] Sul punto, la giurisprudenza (vedasi T.A.R. Piemonte, Sezione II, sentenza 12 dicembre 2016, n. 1514 e T.A.R. Campania, Sezione I, sentenza 27 maggio 2010, n. 9742) è consolidata nell’escludere la legittimità della previsione nel bando di gara per l’assegnazione della gestione di clausole che restringono il novero dei possibili concorrenti ai soli soggetti aventi sede o radicamento nel territorio comunale. Tali clausole sarebbero infatti irragionevoli e discriminatorie, in quanto violano i princìpi di imparzialità, parità di trattamento e di massima partecipazione.

[38] Impostazione coerente con il dettato costituzionale, essendo la materia “ordinamento sportivo” competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione. Per la Regione Lombardia è stata disciplinata con la legge regionale 14 dicembre 2006, n. 27.

[39] Anac, delibera 14 dicembre 2016, n. 1300.

[40] In particolare, vedasi Consiglio di Stato, Sezione V, sentenze 28 gennaio 2021, n. 858 e 18 agosto 2021, n. 5915.

[41] T.A.R. Lombardia, Milano, Sezione I, sentenza 29 luglio 2021, n. 1848. Sul punto, si segnalano anche alcune decisioni di segno opposto, rappresentative di un orientamento minoritario (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sezione I, sentenza 29 aprile 2009, n. 358).

[42] Impostazione desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 165 del d.lgs. n. 50/2016.

[43] Secondo il T.A.R. Lombardia, Brescia, Sezione I, sentenza 4 dicembre 2017, n. 1408, il valore stimato non può essere inteso come il limite dei ricavi. Mancando un corrispettivo certo come negli appalti, è infatti sempre possibile ipotizzare ricavi ulteriori, grazie all’attrazione di nuova domanda o a una gestione virtuosa dei costi. Per il T.A.R. Campania, Napoli, Sezione VII, sentenza 21 maggio 2019, n. 2706, il valore della concessione non può essere parametrato sic et simpliciter all’importo del canone concessorio, sussistendo inoltre l’obbligo, per la stazione appaltante, di indicare nel bando di gara il valore della concessione in tutte le sue componenti.

[44] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 18 agosto 2021, n. 5915.

[45] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 28 gennaio 2021, n. 858.

[46] Dispone l’art. 164, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 che “I servizi non economici di interesse generale non rientrano nell'ambito di applicazione della presente Parte”.

[47] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 28 gennaio 2021, n. 858.

[48] Sul riconoscimento di tale modello vedasi T.A.R. Veneto, Sezione I, sentenza 27 aprile 2021, n. 542, dove il giudice amministrativo riconosce all’ente, nell’ambito dell’appalto del servizio, un margine flessibile di discrezionalità nella scelta della procedura e dei requisiti di partecipazione, purché non viziati da manifesta irragionevolezza, né disparità di trattamento (Vedasi anche il commento di A. SANTUARI, La gestione degli impianti sportivi tra discrezionalità amministrativa e il coinvolgimento degli enti sportivi dilettantistici, in Diritto dello Sport, www.dirittodellosport.eu, n. 6/2021).

[49] Decreto adottato in attuazione dell'art. 7 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante “Misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”.

[50] In particolare, dispone l’art. 6 che “L'uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive”. Inoltre, “Nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire

direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri

generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari”. Rilevante anche la previsione del comma terzo, secondo cui “Gli affidamenti di cui al comma 2 sono disposti nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e della normativa euro-unitaria vigente”.

[51] Art. 12, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 38/2021.

[52] Art. 12 bis del d.lgs. n. 38/2021, introdotto inizialmente dal decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito con modifiche dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, con previsione originaria del termine di proroga al 31 dicembre 2023.

[53] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 18 agosto 2021, n. 5915.