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Pubbl. Ven, 29 Lug 2022

La Corte di cassazione si esprime sull´adozione in casi particolari dopo la recente sentenza della Corte costituzionale

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Francesca Carpinelli



Il presente elaborato intende analizzare le recenti pronunce in tema di adozione del minore in casi particolari. Partendo dall’analisi dell’istituto, si arriverà ad analizzare quanto deciso dall’ordinanza Cass., Sez. I, ud. 30 marzo 2022, dep. 5 aprile 2022, n. 10989 secondo cui, in conformità alla sentenza n, 79/2022 della Corte di Cassazione, non deve considerarsi d’ostacolo all’adozione del minore ex art. 44 l. 184/1983, la circostanza che il minore mantenga comunque rapporti con l’altro genitore. Tale pronuncia ha voluto ancora una volta sottolineare quanto sia importante porre al centro il superiore interesse del fanciullo che è realizzato appieno nell’adozione.


ENG

The Court of Cassation expresses its opinion on adoption in particular cases after the recent sentence of the Constitutional Court

This paper intends to analyze the recent rulings regarding the adoption of the minor in particular cases. Starting from the analysis of the institute, we will come to analyze what was decided by the Supreme Court ordinance, Section I, ud. March 30, 2022, dep. 5 April 2022, n. 10989 according to which, in accordance with sentence no. 79/2022 of the Court of Cassation, it should not be considered an obstacle to the adoption of the minor pursuant to art. 44 l. 184/1983, the circumstance that the minor still maintains relations with the other parent. This ruling once again wanted to emphasize how important it is to focus on the child´s best interest, which is fully realized in adoption.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Analisi dell'istituto; 3. Ordinanza n. 10989 del 5 aprile 2022 della Corte di Cassazione; 4. Conclusioni. 

1. Introduzione 

L’adozione in casi particolari ha la fondamentale caratteristica di preservare i rapporti tra l’adottato e la propria famiglia di origine e di non comportare la costituzione dello status di figlio vero e proprio.

In virtù di queste peculiari caratteristiche, tale istituto veniva inizialmente definito “adozione non legittimante” o “semplice” e perseguiva una particolare funzione: conservare il patrimonio familiare ed individuare un erede. Perché ciò potesse avvenire senza problemi, però, era necessario che l’istituto individuasse quali destinatari persone adulte prive di discendenti.

Soltanto con il Codice del 1942 e le successive fonti a livello internazionale, l’istituto ha iniziato a subire importanti modifiche, perdendo la sua finalità economica a vantaggio di una funzione “paidocentrica” che ponesse al centro il superiore interesse del fanciullo[1]. Finalmente nell’approccio al diritto minorile iniziava a riservarsi una "crescente attenzione per la persona umana nella sua realtà globale e in tutti i suoi valori allo scopo di ottenere una maggiore aderenza alle esigenze vitali dell’uomo nelle diverse fasce d’età"[2]. Sulla scia di questo, due importanti leggi vennero emanate per sensibilizzare la Comunità al rispetto del minore in quanto soggetto e non oggetto di diritto: la legge di tutela del lavoro minorile e la riforma dell’adozione[3].

La riforma dell’adozione, nello specifico, si basava sulla convinzione che il permanere dei rapporti tra il minore e la famiglia di origine potesse incidere negativamente sulla sua personalità non permettendogli di sentirsi stabilmente parte della famiglia adottiva. Tale convinzione ha fatto sì che venisse introdotta nel nostro ordinamento una nuova figura di adozione, in base alla quale al momento dell’adozione dovesse verificarsi la cessazione dei rapporti con la famiglia d’origine ed il sorgere dello status di figlio legittimo degli adottanti.

Tale passaggio ha spianato la strada alle rivoluzioni avutesi con la successiva legge n. 184/1983, in base alle quali l’adozione piena ha iniziato ad essere inquadrata come regola generale per tutti i minori, mentre invece l’adozione ordinaria ha iniziato ad essere applicata a soli casi particolari[4]. Tale distinzione pareva tuttavia non tener conto del fatto che nella logica della sussidiarietà su cui si doveva basare il diritto minorile, l’adozione semplice doveva essere considerata come preferibile rispetto all’adozione piena che, avendo conseguenze più drastiche, doveva costituire extrema ratio.

Sulla scia di questo, infatti, preme ricordare che "l’adozione particolare non deve essere considerata strumento di realizzazione personale degli adottanti, ma istituto a sostegno di minori per i quali non può operare l’adozione piena, la quale, a sua volta, assume un evitabile carattere sussidiario nei confronti della filiazione naturale e di solidarietà verso il minore"[5].  

L’evoluzione giurisprudenziale, pertanto, ha portato ad un sempre più evidente mutamento del concetto di essere famiglia che deve adeguarsi alla concezione secondo cui devono considerarsi genitori coloro che effettivamente assolvano le funzioni genitoriali in modo continuativo.

In un’epoca in cui il nucleo familiare è spesso costituito dalla coppia e dai figli nati da precedenti relazioni sentimentali, la giurisprudenza si è spesso espressa definendo il partner come “genitore sociale” che – pur non avendo alcun riconoscimento giuridico – risulta essere titolare di un diritto a vedere tutelato il legame che negli anni può essersi instaurato con il minore.

Tuttavia, è ormai opinione diffusa che di “genitore sociale” possa parlarsi anche nei casi in cui il minore, rimasto orfano di entrambi i genitori, venga accudito stabilmente da una persona che ha instaurato con lui un legame affettivo forte; in questo caso, dunque, il legislatore ha previsto l’istituto dell’adozione in casi particolari proprio per tutelare questi particolari tipi di genitorialità sociale.

2. Analisi dell’istituto

La legge n. 184/1983, nel delineare requisiti e finalità dell’adozione, persegue lo scopo di garantire al minore il diritto ad essere cresciuto ed allevato nella propria famiglia; nel caso in cui, tuttavia, questa non risulti essere in grado di mantenerlo ed educarlo assicurandogli una stabilità affettiva idonea, è possibile ricorrere all’istituto dell’adozione.

Come già precedentemente accennato, la legge sull’adozione prevede all’art. 44, accanto all’adozione tradizionale, quattro casi in cui è possibile ricorrere all’adozione “particolare” applicabile al minore che non possa essere dichiarato in stato di adottabilità; tali situazioni, quindi, prevedono l’adozione a favore di parenti o terzi estranei, l’adozione da parte del coniuge del genitore, l’adozione del minore portatore di handicap nonchè l’adozione per impossibilità di affidamento preadottivo.

Tale istituto si pone l’obiettivo di tutelare il diritto del minore alla famiglia in situazioni che non avrebbero consentito di giungere ad un’adozione piena ma nelle quali, tuttavia, l’adozione rappresenta una soluzione auspicabile. L’adozione piena, infatti, interrompe i rapporti fra il minore e la sua famiglia d’origine e, per questo motivo, può essere disposta solo nel caso in cui il bambino sia stato completamente abbandonato; in tutti gli altri casi in cui sia auspicabile procedere all’adozione ma non si possa ricorrere all’adozione piena, il legislatore ha previsto l’istituto dell’adozione in casi particolari.

Passando alla disamina dei quattro casi prima riportati, è possibile innanzitutto soffermarsi sull’adozione a favore di parenti entro il sesto grado o terzi estranei. Infatti, ai sensi dell’art. 4 della L. 173/2015, il minore orfano di entrambi i genitori può essere adottato "non solo da parsone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo" ma anche da chi, pur non essendo legato al giovane da legame di parentela, abbia maturato con lui una relazione continuativa con nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento. In questo modo si consente anche alla persona singola o alla coppia di conviventi (non necessariamente di sesso diverso) di adottare il minore che gli sia stato precedentemente affidato.

L’adozione in casi particolari può ricorrere altresì quando a farne richiesta sia il coniuge del genitore (biologico o adottivo); in tal caso, ovviamente, l’adozione è realizzabile allorché vi sia il consenso espresso del coniuge adottante, il consenso espresso del figlio che abbia compiuto gli anni quattordici nonché l’assenso dei genitori. Dunque, se da un lato è richiesto che venga espresso il consenso di coloro che siano direttamente coinvolti nell’adozione (adottante e adottando), dall’altro è richiesto l’assenso dei soggetti che – pur non essendo parti del rapporto – possono in qualche modo essere lesi da esso.

È astrattamente ammessa anche l’adozione a favore del coniuge del genitore in via di separazione purché questo corrisponda all’interesse del minore; in tal senso la Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 21651/2011 che ha al riguardo specificato che: "benché l’adozione del figlio del coniuge, qualora il provvedimento sia giustificato dal preminente interesse del minore, possa ammettersi anche nel caso in cui la comunione di vita tra i coniugi sia venuta meno, l’adozione deve essere negata se il clima familiare, altamente conflittuale creatosi per effetto della separazione, è assolutamente in contrasto con la realizzazione di tale interesse e tale da rendere l’adozione addirittura nociva"[6].

Secondo quanto previsto alla lettera c) dell’art. 44, inoltre, "I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7 quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3 co1 della Legge 5 febbraio 1992 n. 104 e sia orfano di padre e di madre".

Dunque, nel rispetto di quanto previsto dalla Legge 104/1992 deve ritenersi persona handicappata chi presenti una minorazione fisica, psichica e sensoriale stabilizzata o progressiva che causa difficoltà di apprendimento, di relazione o integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale ed emarginazione. A tutela del minore che per il suo handicap possa avere difficoltà di inserimento nella famiglia d’origine che non abbia frequentato, quindi, è prevista la possibilità che lo stesso venga adottato da colui che abbia con esso un forte legame affettivo. I requisiti richiesti per gli adottanti sono meno rigidi di quelli richiesti per l’adozione legittimante in quanto non è necessario che lo stesso sia sposato.

Per quanto attiene poi alla constata impossibilità di fare luogo ad un affidamento preadottivo, tale situazione può verificarsi in una moltitudine di differenti ipotesi. Tale circostanza, infatti, ricomprende sicuramente la situazione in cui il minore abbandonato non riesca ad inserirsi in una nuova famiglia adottiva a causa della sua età, personalità, carattere o infermità. La constatata impossibilità di affidamento, dunque, non solo attiene alla impossibilità genetica per assenza di una situazione idonea a sfociare in un’adozione ordinaria, ma anche all’impossibilità di inserire il minore in un’altra famiglia o costruire un valido rapporto con gli affidatari; in questo caso, quindi, il legislatore ritiene che debbano essere valorizzati i rapporti e legami affettivi già instaurati dal minore.

Tale fattispecie è stata applicata in varie occasioni dai Tribunali che hanno fatto ad essa ricorso per accogliere, ad esempio, le domande di adozioni provenienti da coppie omosessuali; la stessa Corte di Cassazione, infatti, ha recentemente chiarito che "in tema di affidamento dei figli in sede di separazione personale dei coniugi, la circostanza che la famiglia della madre sia composta da due donne legate da una relazione omosessuale non appare di per sé rilevante in carenza di alcuna allegazione in ordine ad eventuali ripercussioni negative dell’ambiente familiare sul piano educativo e della crescita del bambino; secondo la S.C., infatti, non può darsi rilievo alcuno al “mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale"[7].   

A prescindere dal caso preso in esame, il soggetto che desideri adottare deve presentare ricorso ex art. 44 della L. 184/1983 al Tribunale per i Minorenni territorialmente competente; tale atto di impulso, presentato personalmente o per mezzo del proprio difensore, deve essere corredato da una serie di documenti quali il consenso scritto delle parti, il certificato di sana e robusta costituzione e le analisi mediche dell’adottante. Il Tribunale per i Minorenni, una volta controllato che sussistano i requisiti previsti per legge e che l’adozione risulti rispondente al superiore interesse del minore, provvede con sentenza dando impulso ad una situazione particolare.

Il minore, infatti, mantiene il rapporto con la propria famiglia di origine ed i diritti successori nei loro confronti, aggiungendo ad essi i diritti derivanti dal nuovo legame con la famiglia adottiva. In questo modo, pertanto, il minore acquista lo status di figlio adottivo dell’adottante, conserva i propri diritti e doveri nei confronti della famiglia di origine, antepone al proprio cognome quello della famiglia adottiva ed assume nei confronti dell’adottante i medesimi diritti successori del figlio nato in costanza di matrimonio; per quanto attiene alla responsabilità dell’adottante, invece, esso assume a pieno titolo gli obblighi di mantenimento, educazione ed istruzione derivanti dal sorgere del rapporto di filiazione.

3. Ordinanza n. 10989 del 5 aprile 2022 della Corte di Cassazione

La Corte d’Appello di Bologna, confermando quanto già statuito dal Tribunale per i Minorenni, rigettava l’istanza presentata dal partner relativa all’adozione in casi particolari di una minore, figlia della moglie; il Giudice di secondo grado osservava che non sussistevano i presupposti richiesti dall’art. 44 co1 lett. b) della L. 184/83 in quanto l’adozione non avrebbe garantito l’interesse della minore la quale conviveva con la madre ed il suo nuovo marito, pur mantenendo un buon rapporto con il padre biologico.

Il partner e nuovo marito della madre, pertanto, ricorreva in Cassazione riferendosi a tre diversi motivi per cui riteneva che la Corte dovesse cassare le pronunce di merito. Innanzitutto, egli denunciava la falsa applicazione degli artt. 44 co 1 lett. b), 46, 48 co 1-2, 50 co1, 57 L. 184/83, 2 e 3 Costituzione nonché dell’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York per avere la Corte d’Appello ritenuto non sussistenti i requisiti dell’adozione per la sola sussistenza di un rapporto continuativo tra il padre biologico e la minore; la Corte d’appello aveva ritenuto l’impossibilità di trasferire la responsabilità genitoriale in capo a tre persone dal momento che la minore manteneva un rapporto continuativo con il proprio padre biologico e continuava a chiamarlo “papà” nonostante vivesse ormai da tempo con il nuovo marito della madre.

A tal proposito, il ricorrente specificava che è lo stesso art. 48 del Codice civile, per la fattispecie de quo, prevede che le responsabilità genitoriali dell’adottato sono esercitate dall’adottante e dalla coniuge, madre del minore, mentre il padre biologico continua ad esercitare un ruolo di guida, controllo ed indirizzo sull’esercizio della predetta responsabilità.

Con il secondo motivo, invece, il ricorrente deduceva l’illogicità e la carenza di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto insussistente un interesse concreto della minore all’adozione sulla base delle relazioni del Servizio Sociale che descrivevano uno stato di grande serenità della minore, molto legata sia al padre sia al nuovo marito della madre.

Così statuendo la Corte di Appello aveva ritenuto di non poter valorizzare maggiormente la figura del ricorrente ai fini della richiesta di adozione e, non potendo il padre biologico provvedere al mantenimento, aveva statuito che si provvedesse allo stesso in altri modi. In questo modo il ricorrente lamentava che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto del consenso manifestato da tutti i soggetti interessati e della posizione del minore. Il terzo motivo, infine, denunciava la contraddittorietà della motivazione per violazione dell’art. 132 co2 n. 4 del Codice di procedura civile per aver dapprima affermato e poi escluso la Corte che le ipotesi tipiche (morte, abbandono e disinteresse) debbano essere ritenute quelle rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda di adozione in casi particolari.

La Corte di Cassazione, ritenendo fondati i tre motivi proposti, li esaminava congiuntamente ed accoglieva il ricorso cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

I Giudici di legittimità sottolineavano come l’ordinamento giuridico italiano prevedesse differenti modelli di adozione, di cui alcuni fondati sulla radicale recisione dei rapporti con i genitori biologici ed altri, invece, basati sulla conservazione del rapporto così come previsto dalle forme di adozione disciplinate dall’art. 44 della L. 184/1983; in riferimento a queste ultime, è la stessa giurisprudenza[8] ad aver più volte sottolineato che l’adozione in questione comporta la conservazione dello status di figlia dell’adottata rispetto al genitore biologico e la continuità relazionale con lo stesso.

Tale orientamento pare essere stato confermato anche dalla Corte Costituzionale che, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della L. 184/1983, ha recentemente sottolineato come la norma dovesse ritenersi illegittima nella misura in cui prevedeva che l’adozione in casi particolari non dovesse indurre alcun rapporto civile tra l’adottato ed i parenti dell’adottante.

La Corte Costituzionale[9], pertanto, sottolineava come il minore in “semi-abbandono permanente” potesse sfuggire al destino del ricovero in Istituti o al succedersi di affidamenti temporanei tramite l’adozione in casi particolari. La Corte di Cassazione investita del caso in esame, pertanto, sottolineava come i Giudici di merito nel ritenere che l’adozione in casi particolari non corrispondesse al superiore interesse della minore non aveva tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale.

Il persistere dei rapporti con il padre biologico non poteva essere considerato elemento ostativo all’accoglimento della domanda di adozione, soprattutto perché era stato lo stesso padre biologico a dichiarare di non poter esercitare con pienezza la responsabilità genitoriale.

Partendo da siffatte premesse, i Giudici riportavano quanto precedentemente statuito dalla Corte Costituzionale nella misura in cui: "l’idea per cui si possa avere una sola famiglia appare smentita proprio dalla riforma della filiazione e da come il principio di eguaglianza si è riverberato sullo status filiationis; il figlio nato fuori dal matrimonio ha, infatti, a ben vedere, due distinte famiglie giuridicamente tra di loro non comunicanti; l’identità stessa del bambino è connotata da questa doppia appartenenza, e disconoscere i legami che scaturiscono dal vincolo adottivo, quasi fossero compensati dai rapporti familiari di sangue, equivale a disconoscere tale identità e, dunque, non è conforme ai principi costituzionali".

Basando su quanto appena enunciato la propria decisione, pertanto, la Corte di Cassazione sottolineava che non potesse non considerarsi l’adozione rispondente al preminente interesse del minore; la bambina, infatti, aveva prestato il suo consenso all’adozione ed erano stati gli stessi Servizi Sociali a sottolineare come ella mantenesse un valido legame affettivo con entrambi gli uomini.

4. Conclusioni

Basando ancora una volta la propria decisione sul principio del “best interest of the child”, la Corte Costituzionale ha sottolineato ancora la necessità di garantire al minore un ambiente familiare idoneo e consono allo sviluppo della sua personalità, nonché della sua identità nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. In riferimento all’istituto dell’adozione in casi particolari, inoltre, è lo stesso istituto ad essere stato ideato dal Legislatore per colmare il vuoto e l’instabilità latenti attorno ai casi di “semi-abbandono permanente” che, come nel caso di specie, possono ad esempio verificarsi quando il padre della minore risulti non essere in grado di mantenere la prole adeguatamente.


Note e riferimenti bibliografici

[1] V. SCALISI, Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come diritto, in Riv. Dir. Civ., 2018.

[2] L. MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1982.

[3] L. 5 giugno 1967, n. 431 – Modifiche al titolo VIII del libro I del Codice Civile “Dell’Adozione” ed inserimento del nuovo capo III con il titolo “Dell’adozione speciale”, pubblicata in G.U. il 22 giugno 1967.

[4] A. FINOCCHIARO, M. FINOCCHIARO, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, Commento pratico teorico alla legge 4 maggio 1983 n. 184, Milano, Giuffrè Editore, 1983.

[5] A. NICOLUSSI, La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica, in Allargare lo spazio familiare: adozione e affido, Studi interdisciplinari sulla famiglia, a cura di E. SCABINI – G. ROSSI, Vita e Pensiero, Milano, 2014.

[6] Corte di Cassazione, I Sezione Civile, 19/10/2011, n. 21651 in Fam. Per. Succ., 2012, 426 nota di GORINI.

[7] Corte di Cassazione, I Sezione Civile, 8 novembre 2012, sentenza n. 604, in Articolo29 famiglia, orientamento sessuale e identità di genere.  

[8] Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, sentenza n. 3646/2020 in sentenze.laleggepertutti.it; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 12193/2019, in AIAF; Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, sentenza n. 12962/2016 in altalex.  

[9] Corte Costituzionale, 28 marzo 2022, sentenza n. 79 in Osservatorio Famiglia.