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Pubbl. Sab, 28 Mag 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio sull´esecuzione forzata civile. Gennaio/Marzo 2022

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Andrea Greco
AvvocatoUniversità degli Studi di Camerino



Rassegna delle principali sentenze rese dalla Corte di Cassazione in materia di esecuzione forzata civile. Gennaio - Marzo 2022.


ENG Review of the main judgments on private enforcement by Corte di Cassazione. January - March 2022

Sommario: 1) Processo esecutivo – Natura endoprocessuale del reclamo avverso l’ordinanza di estinzione della procedura. Esclusione. Termine per la riassunzione delle procedure sospese ai sensi dell’art. 624 bis c.p.c.. Sussistenza di un dies ad quem e non di un dies a quo; 2) Illeciti fallimentari – La responsabilità della "testa di legno"; 2) Processo esecutivo. Esecuzione mobiliare presso terzi – Limiti dell’accertamento dell’obbligo del terzo; modalità dell’intervento di altri creditori nel processo esecutivo mobiliare presso terzi; 3) Altre pronunce in rassegna.

SENTENZE IN PRIMO PIANO

1) Processo esecutivo – Natura endoprocessuale del reclamo avverso l’ordinanza di estinzione della procedura. Esclusione. Termine per la riassunzione delle procedure sospese ai sensi dell’art. 624 bis c.p.c.. Sussistenza di un dies ad quem ma non di un dies a quo. Cassazione, Sezioni Unite Civili, 5 ottobre 2021, 8 febbraio 2022, dep. 10 marzo 2022, n. 7877 – Pres. Spirito – Rel. M.Di Marzio.

(omissis)

FATTI DI CAUSA

1. F.D. e S.A., debitori esecutati in una procedura esecutiva immobiliare promossa dal creditore procedente B.R. S.r.l. dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme, con l’intervento dei creditori A.M.P., G.S., A.R. e P. S.r.l., hanno sollevato eccezione di estinzione della procedura esecutiva per inattività delle parti, assumendo che, successivamente alla sospensione di essa disposta sull’accordo delle parti ai sensi dell’articolo 624 bis, primo comma, c.p.c., fino alla data del 30 novembre 2015, il difensore del creditore procedente avesse depositato l’istanza per la prosecuzione del processo esecutivo in data 27 novembre 2015, in violazione dell’articolo 626 c.p.c., secondo il quale, quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, con conseguente inidoneità di detta istanza a dare impulso alla procedura esecutiva, senza che istanze ulteriori fossero state poi proposte nei termini.

2. ― Con ordinanza del 26 agosto 2016 il giudice dell’esecuzione ha dichiarato estinta la procedura esecutiva, ai sensi del secondo comma dell’articolo 630 c.p.c., ordinando procedersi alla cancellazione del pignoramento.

3. ― B.R. S.r.l., A.M.P. e G.S. hanno proposto reclamo ai sensi del terzo comma dello stesso articolo 630 c.p.c.

4. ― F.D. e S.A. hanno dedotto l’inammissibilità del reclamo perché non depositato telematicamente, contestandone ammissibilità e fondatezza anche sotto ulteriori profili.

5. ― Il Tribunale di Lamezia Terme ha accolto il reclamo e revocato la pronuncia di estinzione della procedura esecutiva.

6. ― F.. D. e S.A. hanno proposto appello, cui hanno resistito B.R. S.r.l., A.M.P. e G.S., contumaci A.R. e P. S.r.l.

7. ― La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 19 dicembre 2018 ha respinto l’appello, con compensazione di spese.

7.1. ― Con particolare riguardo al motivo concernente l’inammissibilità del reclamo avverso l’ordinanza di estinzione, perché proposto in cartaceo e non telematicamente, la Corte d’appello ha osservato quanto segue: «Sebbene il reclamo abbia natura di atto endoprocessuale, esso instaura una fase incidentale di cognizione nell'ambito del processo di esecuzione, in tal modo introducendo un nuovo procedimento che viene autonomamente iscritto a ruolo. Di conseguenza deve ritenersi che per tale tipologia di atto la sua presentazione in forma telematica sia facoltativa … In ogni caso, in assenza di una espressa comminatoria di inammissibilità ed in base al principio di conservazione degli atti nulli, la relativa nullità è sanata dal raggiungimento dello scopo dell'atto, posto che il reclamo, sebbene espresso in forma cartacea ha parimenti consentito la regolare instaurazione del contraddittorio”.

7.2. ― La Corte territoriale ha poi disatteso gli altri due motivi di appello, concernenti validità e tempestività dell’istanza di prosecuzione depositata in pendenza di sospensione.

8. ― Per la cassazione della sentenza F.D. e S.A. hanno proposto ricorso per tre mezzi illustrati da memoria. G.S. ha resistito con controricorso e depositato memoria. Gli altri intimati non hanno spiegato difese. 9. ― Con ordinanza del 21 luglio 2021 la terza sezione di questa Corte ha disposto trasmettersi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, prospettando il ricorso una questione di massima di particolare importanza. Il Primo Presidente ha provveduto in conformità. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. ― Il ricorso contiene tre mezzi. 10.1. ― Il primo motivo denuncia: «violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 630, 624 bis e 626 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. L'art. 624 bis, comma 2, cod. proc. civ., nel determinare il termine finale per la presentazione dell'istanza di riassunzione al giudice dell'esecuzione con l'espressione "entro dieci giorni dalla scadenza del termine (di sospensione della procedura esecutiva)" fa riferimento al termine iniziale (dies a quo) decorrente dalla scadenza del termine di sospensione del processo esecutivo, per come risulta dagli insegnamenti sanciti dalla sentenza n. 6015 del 2017 della Corte Suprema. Nel caso specifico la procedura esecutiva era sospesa fino al 30.11.2015, per cui il dies a quo per la presentazione dell'istanza di riassunzione del processo esecutivo era il 1°.12.2015 (scadenza del termine di sospensione) e il dies ad quem era il 10.12.2015; ne consegue che l'istanza presentata in data 27.11.2015, durante il periodo di concordata quiescenza e prima del dies a quo previsto dalla norma, comporta inattività della parte cagionante ex art. 630 cod. proc. civ. l'estinzione del procedimento esecutivo che può essere rilevata d'ufficio dal giudice».

10.2. ― Il secondo motivo denuncia: «violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 630, comma 3, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. Posto che il reclamo al collegio ex art. 630, comma 3, cod. proc. civ. è un mezzo di impugnazione regolato dal principio devolutivo (artt. 112 e 342 cod. proc. civ.), il giudice di primo grado, in violazione degli art. 112, 342 e 630, comma 3, cod. proc. civ., ha accolto il reclamo per ragioni diverse dalle censure sollevate con i motivi di reclamo. Nell'atto di reclamo i resistenti B.R. s.r.l., A.M.P. e G.S. avevano chiesto la revoca dell'ordinanza di estinzione della procedura esecutiva n. 57/2014 R.G.E. adducendo che l'istanza di prosecuzione presentata il 27.11.2015 sarebbe tempestiva perché il termine previsto dall'art. 624 bis, comma 2, cod. proc. civ. sarebbe un termine a ritroso decorrente dalla cessazione del periodo di concordata quiescenza. Invece, il giudice di primo grado, nonostante abbia ritenuto che il termine previsto dall'art. 624 bis, comma 2, cod. proc. civ. non è a ritroso, ha accolto il reclamo sulla base di ragioni diverse. L'impugnata sentenza ha erroneamente escluso la sussistenza del vizio di ultrapetizione».

10.3. ― Il terzo mezzo denuncia: «violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 630, comma 3, e 178, commi 3, 4 e 5, cod. proc. civ., art. 16 bis, comma 2, d.l. n. 179 del 2012, artt. 121 e 156, commi 1 e 3, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. L'impugnata sentenza, in violazione dell'art. 630 comma 3 e 178 commi 3, 4 e 5 cod. proc. civ., afferma che il reclamo avverso l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo esecutivo introduce una fase incidentale di nuovo giudizio di cognizione, con la conseguenza che la presentazione in forma telematica sarebbe meramente facoltativa, anziché obbligatoria. Il reclamo … avverso l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo esecutivo, invece, ha natura di atto endoprocedimentale prosecutorio del processo, con il corollario che la sottoscrizione e la trasmissione con modalità telematiche sono obbligatorie. L'art. 16 bis, comma 2 impone la creazione e la sottoscrizione dell'atto con modalità telematiche, con la conseguenza che il reclamo redatto e sottoscritto in forma cartacea, privo della necessaria sottoscrizione con la firma digitale, è da considerarsi giuridicamente inesistente, con conseguente insanabilità del vizio. L'impugnata sentenza ha erroneamente ritenuto sanato il vizio dell'inesistenza dell'atto di reclamo».

11. ― La terza sezione ha ritenuto che quest’ultimo motivo ponesse una questione di massima di particolare importanza. L’ordinanza che ha rimesso gli atti al Primo Presidente, richiamato il testo dell’articolo 16 bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni in legge 17 dicembre 2012, ha in breve posto un duplice quesito, e cioè: a) se il reclamo di cui al terzo comma dell’articolo 630 c.p.c. abbia o meno natura di atto endoprocessuale; b) per l’ipotesi di risposta affermativa al primo interrogativo, quali siano le conseguenze del deposito cartaceo dell’atto, come nella specie, in luogo di quello telematico.

12. ― Il ricorso va respinto.

13. ― Ha priorità logica l’esame del terzo motivo, che ha determinato la rimessione della causa alle Sezioni Unite.

13.1. ― L’articolo 16-bis del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sotto la rubrica: «Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali», stabilisce al primo comma, per quanto qui interessa, che: «… nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e  dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici …». Il secondo comma della stessa disposizione aggiunge che: «Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell'atto con cui inizia l'esecuzione… ».

13.2. ― Il primo comma citato, nello stabilire che «il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche», fissa la regola dell'obbligatorietà del deposito telematico degli atti comunemente definiti come endoprocessuali, mentre per le parti non precedentemente costituite vale ― lasciando da parte le disposizioni sul deposito telematico dettate per far fronte alla pandemia, e fintanto che non entrerà in vigore la riforma in corso del codice di rito ― la regola dell’alternatività, a scelta dell’interessato, tra il deposito telematico e quello cartaceo, in forza del comma 1 bis dello stesso articolo 16 bis, secondo cui: «Nell'ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e … alle corti di appello è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1».

13.3. ― Al fine di individuare gli atti c.d. endoprocessuali, «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale», la norma, al primo comma, distingue a seconda che «le parti», munite del difensore, siano o meno «precedentemente costituite».

13.3.1. ― La costituzione in giudizio, non definita dal codice di rito, ma menzionata anzitutto agli articoli 165 e 166 c.p.c., è ― intesa nel significato suo proprio ― atto formale mediante il quale, per mezzo degli adempimenti di volta in volta richiesti, si concretizza il rapporto tra la parte che si costituisce ed il giudice, allo scopo di rendere possibile il dispiegamento del contraddittorio, di regola, per l’intero corso del grado. La parte che non si costituisce, e che cioè non pone in essere la formalità necessaria e sufficiente per determinare la propria presenza legale nel processo, secondo quanto stabilisce l’articolo 171, terzo comma, c.p.c., è dichiarata contumace. La costituzione in giudizio, così come espressamente disciplinata dal codice di rito, è dunque formalità collegata alla contumacia, e che non trova perciò applicazione laddove non sia prevista dalla legge e non sia correlativamente contemplato il procedimento in contumacia.

13.3.2. ― Tale osservazione induce a ritenere che l’espressione «parti precedentemente costituite», contenuta nel primo comma dell’articolo 16 bis, non possa essere intesa come riferita soltanto alla nozione di costituzione in giudizio in senso tecnico cui si è appena accennato. Ciò è reso manifesto dalla considerazione che il primo comma della disposizione definisce il proprio ambito di applicazione circoscrivendolo ai «procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione». Quest’ultima dicitura, peraltro imprecisa, giacché sembra supporre, con la disgiuntiva «o», che i procedimenti di volontaria giurisdizione abbiano perciò stesso natura non contenziosa, il che certo non è, testimonia che la costituzione cui la norma allude non può essere quella in mancanza della quale si determina la contumacia della parte non costituita, dal momento che una simile nozione di costituzione, prima indicata, non si attaglia, per certo, tra gli altri, ai procedimenti volontari, tanto più se non contenziosi.

13.3.3. ― A rincalzo, merita aggiungere che l’articolo 16 bis, nel suo complesso, reca, oltre alla previsione di portata generale del primo comma, ulteriori disposizioni concernenti i «processi esecutivi», nei quali il deposito telematico «si applica successivamente al deposito dell'atto con cui inizia l'esecuzione» (secondo comma), le «procedure concorsuali», nelle quali il deposito telematico è obbligatorio esclusivamente per l’organo che gestisce la procedura (terzo comma), i «procedimenti giudiziali diretti all'apertura delle procedure concorsuali» (comma 4 bis). Ma, se si leggesse il primo comma nel senso che esso recepisce la nozione di costituzione in senso tecnico, e lo si coniugasse con le previsioni degli ulteriori commi ora richiamati, si finirebbe per ammettere che l’articolo 16 bis nulla dispone quanto al deposito telematico in una larga parte di procedimenti anche contenziosi disciplinati dal codice di procedura civile, che non prevedono specificamente l’adempimento della costituzione ― basti pensare, a mero titolo di esempio, che nessuna disciplina della costituzione il codice di rito detta per i procedimenti cautelari, e che non può discorrersi di una costituzione del ricorrente in monitorio, come pure nel giudizio di legittimità, attesa la sua connotazione officiosa che non contempla la contumacia dell’intimato ― e neppure sono riconducibili al ristretto ambito coperto da dette previsioni aggiuntive, concernenti le esecuzioni e le procedure concorsuali.

13.3.4. ― Con l’espressione «parti precedentemente costituite», il primo comma dell’articolo 16 bis si riferisce non soltanto all’atto di costituzione nel senso indicato, dalla cui omissione discende la contumacia, nelle ipotesi in cui la costituzione sia prevista, ma anche, più in generale, alla acquisizione della veste di parte in senso formale nel procedimento incardinato dinanzi al giudice adito, veste che, almeno in senso lato, compete a ciascuna parte in qualunque procedimento destinato a svolgersi dinanzi al tribunale. Ai sensi della disposizione dettata dal primo comma dell’articolo 16 bis, una volta che le parti sono entrate in contatto con il giudice, a mezzo del loro primo atto, che può a discrezione delle medesime essere depositato telematicamente o in cartaceo, ogni deposito successivo deve essere ormai obbligatoriamente telematico, fintanto che il rapporto parti-giudice non debba essere nuovamente instaurato, o perché la parte non è più la stessa, o perché non è più lo stesso il giudice.

14. ― Le considerazioni fino ad ora svolte rilevano ai fini della soluzione del quesito se il reclamo di cui al terzo comma dell’articolo 630 c.p.c. esiga o meno il deposito telematico.

14.1. ― L’articolo 630, terzo comma, c.p.c., stabilisce che: «Contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione ovvero rigetta l'eccezione relativa è ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di venti giorni dall'udienza o dalla comunicazione dell'ordinanza e con l'osservanza delle forme di cui all'articolo 178 terzo, quarto e quinto comma. Il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza». Il rinvio al terzo comma dell’articolo 178 c.p.c. è da ascriversi ad un difetto di coordinamento. L’inciso «da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di venti giorni dall'udienza o dalla comunicazione dell'ordinanza e» è stato inserito nella norma dall'articolo 2, terzo comma, lettera e), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in legge 14 maggio 2005, n. 80. Il che taglia fuori il terzo comma dell’articolo 178 c.p.c. secondo cui: «Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni, decorrente dalla pronuncia della ordinanza se avvenuta in udienza, o altrimenti decorrente dalla comunicazione dell'ordinanza medesima». Rimangono invece vivi i rinvii ai commi quarto, secondo cui: «Il reclamo è presentato con semplice dichiarazione nel verbale d'udienza, o con ricorso al giudice istruttore», e quinto, secondo cui: «Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna nella stessa udienza, ove le parti lo richiedano, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è proposto con ricorso, questo è comunicato a mezzo della cancelleria alle altre parti, insieme con decreto, in calce, del giudice istruttore, che assegna un termine per la comunicazione dell'eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i quindici giorni successivi».

È appena il caso di osservare che il reclamo di cui all’articolo 630, terzo comma, c.p.c. è sopravvissuto alla novella introdotta dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, che attribuisce la competenza per le cause di esecuzione forzata al giudice dell’esecuzione in funzione di giudice unico, in combinazione con l’articolo 178, secondo comma, c.p.c. a norma del quale l’ordinanza del giudice istruttore che non operi in funzione di giudice unico quando dichiara l’estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio (Cass. 1° luglio 2005, n. 14096).

14.2. ― Si tratta di un procedimento peculiare sia per le modalità di proposizione, sia per la previsione della decisione con sentenza, appellabile secondo le regole generali, siccome la legge non lo esclude (sull’appellabilità, oltre a Cass. 1° luglio 2005, n. 14096, v. Cass. 18 luglio 2018, n. 19102; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2185; Cass. 18 luglio 2016, n. 14646). Questa Corte ha già avuto modo di prendere posizione sulla natura di detto rimedio, osservando che, attraverso esso, «è assicurato un controllo sistemico del provvedimento di estinzione, al quale deve essere riconosciuta struttura cognitiva, che, per questa ragione, si conclude con una sentenza, contro la quale è consentito il normale regime delle impugnazioni costituito dall'appello. Quando la parte che vi ha interesse chiede una decisione sull'estinzione del processo esecutivo e propone reclamo contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione o rigetta la relativa eccezione …, il reclamo apre un giudizio sul contrapposto interesse sostanziale dei creditori e del debitore a conseguire il risultato utile dell'espropriazione ovvero a riottenere la libera disponibilità dei beni pignorati o di quanto è stato ricavato dalla loro espropriazione, come si ricava dalle norme che regolano gli effetti dell'estinzione del processo esecutivo» (così la citata Cass. 1° luglio 2005, n. 14096).

14.3. ― Trattandosi di procedimento di natura cognitiva, e che dunque si colloca al di fuori dei «processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile», cui si riferisce il secondo comma dell’articolo 16 bis, il regime del deposito telematico va desunto dalla regola generale posta dal primo comma della disposizione. E, attesa la natura cognitiva del procedimento, che si dipana sullo sfondo dell’esecuzione forzata, ma del tutto al di fuori di essa, palesando una chiara natura impugnatoria ― ché, se esso non è proposto nei termini previsti, la decisione già adottata in punto di estinzione si stabilizza ― tale da determinare una netta cesura tra la fase esecutiva e quella cognitiva, deve aversi per certo che la proposizione del reclamo in discorso non sia riconducibile al novero degli atti endoprocessuali.

Ed invero, posto che la nozione di costituzione, cui si riferisce l’articolo 16 bis, è nella specie evidentemente fuori gioco, e considerato che non vi è una immutazione delle parti, occorre però constatare che, per effetto del reclamo, si instaura una nuova relazione parti-giudice, tale ricondurre il reclamo medesimo al novero degli atti introduttivi sottratti alla disciplina dell’obbligatorio deposito telematico. Val quanto dire che, al momento del reclamo, il rapporto tra le parti ed il giudice chiamato a decidere su di esso non si è ancora instaurato, atteso che lo stesso, pur rivolto al giudice dell’esecuzione, è tuttavia deciso dal collegio ai sensi dell’articolo 630, terzo comma (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2500): è solo col reclamo, dunque, che il reclamante entra per la prima contatto col collegio. In conclusione il reclamo di cui al terzo comma dell’articolo 630 c.p.c. non è atto c.d. endoprocessuale soggetto alla disciplina dell’obbligatorio deposito telematico.

14.4. ― Il che sta in definitiva a significare che il reclamo è stato correttamente depositato in cartaceo, sicché non occorre soffermarsi sull’ulteriore questione, indicata nell’ordinanza di rimessione, delle implicazioni del deposito cartaceo degli atti endoprocessuali.

15. ― Il primo mezzo è infondato. La tesi dei ricorrenti si riassume ciò, che, essendo stata disposta la sospensione su istanza delle parti fino al 30 novembre del 2015, l’istanza di prosecuzione presentata ai sensi dell’articolo 624 bis, terzo comma, c.p.c., il precedente 27 novembre, dovesse reputarsi tamquam non esset, in applicazione dell’articolo 626 c.p.c., secondo cui quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto.

L’assunto non può essere condiviso, giacché non considera che l’articolo 624 bis citato stabilisce, nell’ultimo periodo del primo comma, che l’ordinanza con cui è disposta la sospensione sull’accordo delle parti «è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un suo creditore e sentito comunque il debitore», il che, unitamente al rilievo che il successivo terzo comma della stessa disposizione fissa esclusivamente un termine ad quem per la proposizione dell’istanza volta la fissazione dell’udienza per la prosecuzione, ma non un termine a quo, rende manifesto che il creditore ben può proporre istanza per la prosecuzione anche prima della scadenza, risolvendosi essa in un minus rispetto all’istanza di revoca, diretta pertanto la riattivazione una volta che il termine della sospensione sia spirato.

16. ― Il secondo mezzo è infondato. Come già osservato dalla Corte d’appello, nel proporre il reclamo, i creditori avevano non soltanto dedotto la tesi secondo cui il termine previsto dal terzo comma dell’articolo 624 bis c.p.c. dovesse essere computato a ritroso, ma anche negato, più in generale, che, in presenza dell’istanza di prosecuzione proposta, potesse discorrersi di inattività delle parti, tale da giustificare il provvedimento dichiarativo dell’estinzione. Sicché è del tutto evidente che il reclamo aveva investito il collegio e poi la Corte d’appello anche della questione su cui l’uno e l’altra si sono pronunciati, reputando per l’appunto che l’istanza di prosecuzione depositata in prossimità della scadenza fosse idonea, per le ragioni già evidenziate, alla riattivazione del processo esecutivo.

17. ― Le spese di questo giudizio di legittimità meritano di essere integralmente compensate, tenuto conto della centralità dell’esame della questione, nuova, della riconducibilità del reclamo proposto all’area degli atti endoprocessuali. 18. ― Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PER QUESTI MOTIVI

rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2022.

Il caso ed il processo: La vicenda processuale nasce dall’eccezione di estinzione di una procedura esecutiva per inattività delle parti sollevata dai debitori esecutati dinnanzi al Tribunale di Lamezia Terme. Nello specifico, la procedura era stata sospesa ai sensi dell’art. 624 bis c.p.c. sino al 30 novembre 2015 ed il difensore del creditore procedente aveva depositato istanza per la prosecuzione del processo esecutivo tre giorni prima dello spirare di detto termine in violazione dunque dell’articolo 626 c.p.c. secondo il quale quando il processo è sospeso nessun atto esecutivo può essere compiuto. Con ordinanza del 26 agosto 2016 il giudice dell’esecuzione dichiarava quindi estinta la procedura esecutiva ai sensi del secondo comma dell’articolo 630 c.p.c.. Avverso detto provvedimento B.R.  S.r.l., A.M.P. e G.S. avevano proposto reclamo ai sensi del terzo comma dello stesso articolo 630 c.p.c.. A loro volta F.D. e S.A. avevano dedotto l’inammissibilità del reclamo perché non depositato telematicamente. Il Tribunale di Lamezia Terme aveva accolto il reclamo revocando il provvedimento di estinzione della procedura ed detto provvedimento era stato confermato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria adita dal F.D. e dalla S.A.. Avverso detta sentenza veniva quindi spiegato ricorso per Cassazione.

La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato. Ed infatti, con riferimento alla natura del reclamo reso ai sensi dell’art. 630 c.p.c. la Corte ha precisato che quest’ultimo non costituisce atto endoprocedimentale ma giudizio nuovo incardinabile, dunque, non solo con modalità telematiche ma anche con modalità tradizionali. Con riferimento alla struttura della sospensione ex art 624 c.p.c. ed agli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione dei creditori per procedere alla riassunzione della procedura, la Suprema Corte ha inoltre precisato che la menzionata disposizione stabilisce un termine ad quem per la proposizione dell’istanza volta alla fissazione dell’udienza per la prosecuzione, ma non un termine a quo, motivo per il quale il creditore ben può proporre istanza per la prosecuzione anche prima della scadenza, “risolvendosi essa in un minus rispetto all’istanza di revoca, diretta pertanto la riattivazione una volta che il termine della sospensione sia spirato”.

Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sul reclamo ex art. 630 c.p.c. e sul differente ricorso allo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi quale strumento di impugnazione del provvedimento di estinzione di una procedura esecutiva si veda Cass. Civ. Sez. VI – 3 Ord. 5226 del 5 marzo 2014 (ud. 12 febbraio 2014) ed in tempi più recenti T. Avezzano, 06 febbraio 2019, n. 32 secondo il quale “nell'espropriazione forzata, il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione dichiari l'estinzione del processo esecutivo per cause diverse da quelle tipiche e, quindi, per motivi c.d. "atipici", implica, più che un'estinzione, una sua improseguibilità, ed ha natura sostanziale di atto viziato del processo esecutivo impugnabile con l'opposizione ex art. 617 c.p.c., costituente il rimedio proprio previsto per tali atti, e non con il reclamo previsto dall'art. 630 c.p.c. che, invece, rappresenta lo strumento impugnatorio per la dichiarazione di estinzione "tipica" e cioè la rinuncia agli atti ex art. 629 c.p.c., l'inattività delle parti ex art. 630 c.p.c., la mancata comparizione delle parti a due udienze successive ex art. 631 c.p.c.”.

Sulla natura ordinatoria o perentoria del termine per il deposito dell’istanza di prosecuzione della procedura esecutiva sospesa ai sensi e per gli effetti dell’art. 624 bis c.p.c. si veda T.Verona, Sez. III, 27 giugno 2011 secondo il quale: “Il termine di dieci giorni fissato dall'art. 624 bis, comma 2, c.p.c. per la riattivazione del processo esecutivo dopo l'inutile decorso del periodo di sospensione volontaria è perentorio. Il periodo di sospensione ex art. 624 bis c.p.c., concesso dal giudice dell’esecuzione su istanza dei creditori muniti di titolo esecutivo, deve consistere in un periodo di tempo utilizzabile, in maniera effettiva e per tutta la sua durata, per lo svolgimento delle attività implicitamente correlate alla sospensione stessa (piano di rientro, pagamenti, ecc.). Pertanto, esso è soggetto a sospensione in periodo feriale, al pari di ogni altro termine del processo di esecuzione non rientrante fra le eccezioni previste dall’art. 3 della legge n. 742/1969 in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario”.

Sulla natura ordinatoria o perentoria del termine per il deposito dell’istanza di prosecuzione della procedura esecutiva sospesa ai sensi e per gli effetti dell’art. 624 bis c.p.c. nonché sull’applicabilità della sospensione feriale si veda G.Tota, Riattivazione del processo esecutivo, in Giurisprudenza Italiana, n. 3, 1 marzo 2013, p. 633; sulla revocabilità dell’istanza di sospensione E.Astuni, Le vicende del processo esecutivo, in AA.VV., Il nuovo rito civile, III, Le esecuzioni a cura di Demarchi, Milano, 2006, 651. Sull’istituto della sospensione concordata si veda, in generale, A.M.Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano 2019.


2) Processo esecutivo. Esecuzione mobiliare presso terzi – Limiti dell’accertamento dell’obbligo del terzo; modalità dell’intervento di altri creditori nel processo esecutivo mobiliare presso teriz. Cass. Civ. Sez. III, 17 gennaio 2022 (ud. 04 novembre 2022, dep. 17 gennaio 2022), n. 1170.– Pres. De Stefano – Rel. Rossetti – P.M. Soldi

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

1. La Banca… (il cui credito, per effetto di successive fusioni, pervenne all'odierna ricorrente …; d'ora innanzi, per brevità, "il Banco") nel 2008 chiese ed ottenne dal Tribunale di Lodi un decreto ingiuntivo nei confronti di B.P.G..

Questi propose opposizione al decreto, la quale venne rigettata dal Tribunale di Lodi con la sentenza n. 880/11.

2. Munito di tale titolo, il Banco intimò precetto al proprio debitore con atto notificato il 23 novembre 2011.

Perdurando la mora, il Banco iniziò l'esecuzione forzata pignorando il credito vantato da B.P.G. nei confronti della "Associazione Professionale B., C. & Associati Dottori Commercialisti", cui il debitore era associato, con pignoramento notificato al terzo, debitor debitoris, il 22 marzo 2012.

3. L'Associazione professionale negò di essere debitrice di G. B.P.G., dichiarando per i fini di cui all'art. 547 c.p.c., che questi, con atto notificato all'Associazione Professionale il 14 dicembre 2011, aveva ceduto tutti i crediti vantati nei confronti dell'Associazione Professionale alla B.P.S..

4. Il Banco introdusse allora il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo (secondo la procedura applicabile ratione temporis), sostenendo che la suddetta cessione non potesse essergli opposta con riferimento ai "pagamenti effettuati in data successiva al pignoramento".

5. Con sentenza 19 gennaio 2016 n. 723 il Tribunale, dopo aver negato esservi prova di una valida cessione del credito, stabilì che "in mancanza di concorrenti domande di parte attrice, la domanda di accertamento avente ad oggetto i rapporti tra l'Associazione Professionale e il B. deve essere limitata alla somma di Euro 44.115,64, atteso che il creditore pignorante ha pignorato un credito per questa somma".

6. La sentenza venne appellata dalla Associazione Professionale e da B.P.G. in via principale, e dal Banco in via incidentale. Quest'ultimo, in particolare, chiese alla Corte d'appello di accertare che l'Associazione Professionale era debitrice nei confronti di B.P.G. della maggior somma di Euro 412.843,58, secondo quanto emerso dall'istruttoria compiuta in primo grado.

7. La Corte d'appello di Milano, con sentenza 24 settembre 2018 n. 4217, rigettò tanto l'appello principale, quanto l'appello incidentale.

Per quanto in questa sede ancora rileva la Corte d'appello ritenne che:

-) il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo ha per oggetto "il credito di cui alla pretesa esecutiva per come indicata nell'atto di pignoramento";

-) nel caso di specie l'atto di pignoramento dichiarava di voler sottoporre a vincolo le somme dovute dall'Associazione Professionale a B.P.G. "sino alla complessiva somma portata dall'atto di precetto del 18 novembre 2011, aumentata della metà ai sensi dell'art. 546 c.p.c., e così complessivamente Euro 44.115,64";

-) in nessun caso il creditore pignorante può vedersi assegnare somme maggiori rispetto all'importo indicato nell'atto di pignoramento.

8. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dal Banco BPM con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da ampia memoria; l'Associazione Professionale ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di sette diverse norme del codice di procedura civile, di due norme costituzionali e dell'art. 2741 c.c..

Al di là di tali riferimenti normativi, nella illustrazione del motivo la difesa del Banco espone una tesi giuridica così riassumibile:

-) oggetto del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c. (vecchio testo), è "l'intero rapporto obbligatorio intercorrente fra il terzo pignorato e il debitore esecutato";

-) il giudice chiamato a compiere il suddetto accertamento, pertanto, deve verificare se il terzo abbia o non abbia debiti nei confronti del debitore esecutato, e deve stabilirne la misura;

-) la Corte d'appello quindi avrebbe dovuto accertare quali fossero tutti i debiti dell'Associazione Professionale nei confronti di B.P.G., senza limitarsi ad accertare che la prima fosse debitrice del secondo almeno d'una somma pari all'importo precettato.

Formulata in linea generale questa tesi, la società ricorrente la corrobora con ulteriori osservazioni (pp. 15 e ss. del ricorso) così riassumibili:

-) così come il giudice dell'accertamento dell'obbligo del terzo non potrebbe estendere la propria cognizione a questioni riservate al giudice dell'esecuzione (quale ad esempio la pignorabilità del credito), allo stesso modo il giudice dell'accertamento dell'obbligo del terzo non potrebbe limitare la sua pronuncia di accertamento alla somma indicata nel precetto, perché lo stabilire se il credito pignorato sia esorbitante rispetto alla somma precettata è questione che riguarda il giudice dell'esecuzione (pp. 16-17);

-) sarebbe contrario ai principi costituzionali di effettività della tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo imporre al creditore procedente, nel caso di insorgenza di nuovi crediti durante lo svolgimento dell'esecuzione forzata, non potere avvalersi del pignoramento già eseguito, così da costringerlo ad iniziare una nuova procedura esecutiva;

-) il giudice d'appello in ogni caso non tenne conto del fatto che il creditore procedente aveva dimostrato, nel corso del giudizio d'appello, di avere depositato due atti di intervento nel processo esecutivo, fondati su ulteriori titoli esecutivi; e che tali interventi erano "idonei ad estendere gli effetti del pignoramento" (pp. 18-19);

-) infatti, poiché nel caso di pignoramento presso terzi oggetto del pignoramento è l'intero credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo, l'intervento di altri creditori o del medesimo creditore procedente, fondato su ulteriori titoli esecutivi, produrrebbe ope legis l'estensione degli effetti del pignoramento (p. 20).

2. Il motivo è infondato.

Nel caso di specie il Banco ha effettuato un pignoramento presso terzi per l'importo di Euro 44.000 e il giudice dell'accertamento dell'obbligo del terzo ha accertato che il terzo era debitore del debitore esecutato per almeno 44.000 Euro.

La decisione del giudice dell'accertamento dell'obbligo del terzo fu dunque corretta alla luce del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui il limite dell'importo del credito precettato aumentato della metà, previsto dall'art. 546 c.p.c., comma 1, "individua anche l'oggetto del processo esecutivo, sicché, in difetto di rituale estensione del pignoramento, un intervento successivo, pur se del medesimo procedente, non consente il superamento del detto limite e, quindi, l'assegnazione di crediti in misura maggiore" (Sez. 3 -, Sentenza n. 15595 del 11/06/2019, Rv. 654473 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9054 del 18/05/2020, Rv. 657740 - 01).

E nel caso di specie non risulta mai avvenuta - e comunque la società ricorrente non ne dà conto ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 6 - una "rituale estensione del pignoramento", da compiersi mediante la notifica al debitore di un nuovo atto di intimazione, e non semplicemente depositando un atto di intervento dinanzi al giudice dell'esecuzione.

Il pignoramento, infatti, si può estendere solo per effetto di una intimazione formale, senza la quale il terzo esecutato non sarebbe in condizione di sapere se, e nelle mani di chi, possa o debba adempiere la propria obbligazione.

2.1. Il ricorso va dunque rigettato alla luce dei seguenti principi di diritto:

a) la misura del pignoramento circoscrive l'oggetto del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo;

b) se, pendente il processo di accertamento dell'obbligo del terzo, il creditore esecutante acquisisse nuovi titoli ed intervenisse nel processo esecutivo, tale intervento potrà modificare l'oggetto del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo solo a due condizioni:

b') che il creditore abbia ritualmente esteso il pignoramento, notificando l'atto di intervento al debitore ed al terzo;

b") che il creditore-attore nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo abbia formulato rituale istanza di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., per modificare la domanda, sempre che ne sussistano i presupposti.

2.2. Ritiene doveroso questa Corte precisare che i principi appena elencati, per ovvie ragioni di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, vengono affermati con riferimento ad una vicenda processuale in cui l'accertamento dell'obbligo del terzo si svolse in un autonomo giudizio e dinanzi ad un giudice diverso da quello dell'esecuzione (secondo le regole previgenti alle modifiche introdotte della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 20, n. 4)). Essi, tuttavia, restano validi anche nel vigente sistema processuale, in cui l'accertamento dell'obbligo del terzo, in caso di contestazioni, è devoluto allo stesso giudice dell'esecuzione.

La circostanza, infatti, che le contestazioni circa la sussistenza dell'obbligo del terzo debbano essere risolte celeriter et breviter in un subprocedimento incidentale dinanzi al giudice dell'esecuzione, non toglie che scopo di quel giudizio resti comunque e soltanto consentire il prosieguo dell'esecuzione.

E per consentire il prosieguo dell'esecuzione non è necessario conoscere quanti e quali rapporti patrimoniali esistano tra debitore e terzo, ma è sufficiente accertare se il secondo debba o non debba al primo un importo almeno pari alla somma assegnabile, vale a dire l'importo precettato aumentato della metà.

2. Col secondo motivo la società ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d'un fatto decisivo.

Il "fatto decisivo" che si assume essere stato trascurato è il duplice intervento compiuto dal Banco nel processo esecutivo, per effetto del quale il credito complessivo vantato dal Banco nei confronti del debitore esecutato era cresciuto ben oltre l'originale importo di Euro 44.000.

2.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.

Infatti, una volta stabilito che il creditore avrebbe dovuto estendere il pignoramento e non risulta averlo fatto; e che in mancanza di tale estensione l'oggetto del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo non poteva ampliarsi, l'omesso esame di cui la ricorrente si duole ha ad oggetto un fatto irrilevante.

3. L'incontestata esistenza d'un debito maggiore del debitore verso il creditore procedente, e le oscillazioni giurisprudenziali in subiecta materia costituiscono gravi motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Il principio di diritto: Nell'espropriazione presso terzi, il limite dell'importo del credito precettato aumentato della metà, previsto dall'art. 546, comma 1, c.p.c., individua anche l'oggetto del processo esecutivo, sicché, in difetto di rituale estensione del pignoramento, un intervento successivo, pur se del medesimo procedente, non consente il superamento del detto limite e l'assegnazione di crediti in misura maggiore; pertanto, nell'ipotesi di intervento del creditore procedente nel processo esecutivo, in base a nuovi titoli ed in pendenza del processo di accertamento dell'obbligo del terzo, l'oggetto di tale giudizio, circoscritto dalla misura del pignoramento, può essere modificato solo a condizione che il creditore abbia ritualmente esteso il pignoramento, notificando l'atto di intervento al debitore e al terzo, e che, nella sua qualità di attore nel predetto giudizio, abbia formulato rituale istanza di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. per modificare la domanda, sempre che ne ricorrano i presupposti.

Il caso ed il processo: Un istituto di credito chiede ed ottiene un titolo esecutivo nei confronti di un libero professionista sulla cui base provvede poi ad incardinare una procedura esecutiva mobiliare presso l’associazione professionale della quale il professionista faceva parte. Nelle more, l’istituto di credito interviene nel processo esecutivo del quale era creditore procedente per un’ulteriore e ben più alta somma. Il terzo pignorato rende dichiarazione negativa che viene contestata con giudizio di accertamento dell’obbligo da parte del procedente. Il giudizio di accertamento si chiude con una sentenza con la quale si stabilisce che la domanda di accertamento avente ad oggetto i rapporti tra il terzo pignorato ed il debitore deve essere limitata alla somma di cui all’originario pignoramento. Detta sentenza viene confermata anche in grado di appello e, quindi, impugnata in Cassazione dall’istituto di credito.

La soluzione resa dalla Corte: la Suprema Corte ha ritenuto da un lato che l’oggetto dell’accertamento dell’obbligo del terzo non possa che limitarsi all’esistenza del credito azionato con l’originario atto di pignoramento e non si estenda, dunque, alla quantificazione dell’intero rapporto dare – avere tra debitore e terzo pignorato; dall’altro ha ribadito l’onere per i creditori intervenuti di estendere il pignoramento mediante “una intimazione formale, senza la quale il terzo esecutato non sarebbe in condizione di sapere se, e nelle mani di chi, possa o debba adempiere la propria obbligazione” pena l’impossibilità di ampliare l’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.

Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: Sulla necessità per il creditore intervenuto di estendere il pignoramento ed in generale sui limiti del pignoramento mobiliare presso terzi si veda Cass. Civ., Sez. III, 11 giugno 2019, 15595 secondo la quale “il limite previsto dall'art. 546, comma 1, c.p.c., vale a dire l'importo del credito precettato aumentato della metà, delimita anche l'oggetto del processo esecutivo; pertanto, in difetto di rituale estensione del pignoramento, un intervento successivo, quand'anche del medesimo procedente, non consente il superamento di quel limite e quindi l'assegnazione di crediti in misura maggiore”.

Sulla legittimità costituzionale del meccanismo individuato dall’art. 549 c.p.c. ed in particolare sull’istruttoria da svolgere, si veda Corte Costituzionale – 10 luglio 2019, n. 172 secondo la quale “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 549 c.p.c., come modificato dall'art. 1, comma 20, n. 3), l. 24 dicembre 2012 n. 228, e come successivamente riformulato dall'art. 13, comma 1, lett. m-ter), d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv., con modif., in l. 6 agosto 2015, n. 132, censurato per violazione degli artt. 2, 3, 24, commi 1 e 2, 81 e 111, commi 1, 2, 6 e 7, Cost., nella parte in cui stabilisce le forme del nuovo procedimento per l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato in caso di “contestazioni” sulla sua dichiarazione, nell'ambito della procedura esecutiva di pignoramento presso terzi. Non sussiste, in primo luogo, la denunciata violazione dell'art. 111, comma 1, Cost., per il profilo della asserita carente disciplina dell'espropriazione presso terzi, atteso che la nuova disciplina risponde alla precisa scelta del legislatore — che rientra nell'ampio margine di discrezionalità allo stesso riservato in materia processuale — di fare ricorso ad una istruttoria deformalizzata in vista dell'obiettivo, di rilievo costituzionale, di assicurare, nel rispetto dei principi fondamentali che governano il processo, la celerità e con ciò la “ragionevole durata” dello stesso. Non risultano del pari violati gli artt. 111, comma 2, e 24 Cost., dal momento che la norma censurata presuppone chiaramente l'indispensabilità dell'impulso di parte, che deve necessariamente enunciare le ragioni dell'istanza, in modo da garantire il diritto di difesa dei convenuti attraverso l'individuazione del rapporto assunto come esistente tra il debitore e il terzo, oltre che del quantum dell'obbligo, almeno nel suo massimo. Quanto alla fase istruttoria, le relative modalità sono demandate al giudice dell'esecuzione, ma gli accertamenti da quest'ultimo reputati necessari devono essere compiuti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo e nel rispetto dei principi generali di cui agli artt. 3 e 24 Cost. Insussistente è anche la violazione dell'art. 111, commi 6 e 7, Cost., posto che il procedimento in questione si conclude con una ordinanza, e cioè con un provvedimento che, ex art. 134 c.p.c., assicura una, sia pur succinta, motivazione, e che è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., senza che sia prevista una limitazione delle ragioni impugnatorie a soli vizi formali, oltre che con ricorso straordinario per cassazione. La normativa scrutinata neppure contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost., dovendo escludersi che il terzo, in quanto debitor debitoris, possa dirsi discriminato (rispetto ad ogni altro debitore esecutato), per il solo fatto che il creditore che agisce nei suoi confronti si avvalga di un titolo esecutivo già ottenuto nei confronti di un altro soggetto. Infine, la censura di violazione dell'art. 81 Cost. è non pertinente nei confronti dell'art. 13, comma 1, lett. m-ter), della l. 132 del 2015, che è legge (non di stabilità ma) propriamente attinente alla materia processuale e all'amministrazione giudiziaria (sentt. nn. 191 del 2016, 45 del 2018 e n. 191 del 2016).

Sul riformato procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo si veda G.Mastrogiovanni Parti e contraddittorio nel riformato procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato in Rivista dell’Esecuzione forzata, n. 4, 1 ottobre 2020, p. 1033. Sul regime probatorio dell’accertamento dell’obbligo del terzo nella vigenza della precedente normativa si veda G.Felloni, L’estratto del conto di transito come prova nel giudizio di accertamento dell’obbligo del tesoriere terzo pignorato, in Rivista Esecuzione forzata, n. 1, 1 gennaio 2022, p. 95. In generale sul procedimento esecutivo mobiliare presso terzi si veda A.M.Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano 2019.


ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA

Cassazione Civile, Sez. VI -3, 4 gennaio 2022, (ud. 30 novembre 2021, dep. 4 gennaio 2022), n. 77 – Pres. Scoditti – Rel. Valle.

In tema di esecuzione forzata nei confronti della P.A., la comunicazione dell'ente locale con cui viene portata a conoscenza del creditore l'avvenuta emissione del mandato di pagamento, ancorché senza trasmettere copia del mandato, esclude che il creditore possa fare ricorso all'azione esecutiva e intimare il precetto, atteso che i pagamenti dell'ente locale vengono eseguiti attraverso il tesoriere e nella sede di questo, sicché non v'è luogo per l'attuazione coattiva del diritto allorquando il debitore abbia già proceduto alla liquidazione della spesa, alla emissione e trasmissione del mandato al tesoriere, così facendo quanto dovuto per adempiere, mentre è il creditore a dover, a questo punto, collaborare per ricevere il pagamento.

Cassazione, Sez. Un. Civili, 17 gennaio 2022, (ud. 14 dicembre 2021, dep. 17 gennaio 2022), n. 1216 – Pres. Amendola – Rel. Rubino – P.M. Fresa.

Nell'ambito di una esecuzione di obblighi di fare (nel caso di specie, relativa al rilascio di un immobile), ex art. 612 c.p.c., la contestazione relativa alla violazione dei limiti ai poteri del giudice dell'esecuzione di ordinare un facere all'esecutato, qualora vengano previste modalità involgenti aspetti autorizzatori riservati alla Pubblica amministrazione, può essere formulata solo con lo strumento dell'opposizione all'esecuzione o dell'opposizione agli atti esecutivi ma non con lo strumento del regolamento preventivo di esecuzione.

Cassazione Civile, Sez. III, 17 gennaio 2022 (ud. 4 novembre 2021, dep. 17 gennaio 2022), n. 1171 – Pres. De Stefano – Rel. Porreca – P.M. Soldi.

Una sentenza esecutiva, pronunciata nei confronti di un coobbligato solidale non può essere messa in esecuzione nei confronti degli altri condebitori. Diversamente, qualora una sentenza sia stata pronunciata nei confronti di un soggetto in proprio e nella qualità di rappresentante di terzi è senz'altro eseguibile anche nei confronti dei rappresentati. (Nella specie in tema di associazione temporanea di imprese la condanna era stata pronunciata sui confronti della capogruppo in proprio e nella qualità di rappresentante delle altre imprese. In applicazione del principio sopra esposto la Suprema corte ha ritenuto eseguibile la pronunzia di condanna anche nei confronti delle altre imprese, atteso che al mandatario di un'associazione temporanea d'impresa è riconosciuta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all'estinzione di ogni rapporto sicché l'appaltante può agire in giudizio anche nei confronti della sola mandataria in proprio, stante il vincolo di responsabilità solidale che sorge con l'offerta delle imprese riunite in associazione).

Cassazione Civile, Sez. III, 17 gennaio 2022 (ud. 4 novembre 2021, dep. 17 gennaio 2022), n. 1172 – Pres. De Stefano – Rel. Porreca.

In tema di opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, la definizione in rito del giudizio di merito, introdotto a seguito della sospensione dell'esecuzione, impedisce il prodursi dell'effetto estintivo di cui all'art. 624, comma 3, c.p.c. (Nella specie, la S.C., confermando la sentenza di merito, pronunciata a seguito di impugnazione di una sentenza emessa in sede di reclamo ex art. 630 c.p.c. ha escluso che la procedura esecutiva - già sospesa ex art. 624 c.p.c. comma 1, e successivamente riassunta dal creditore procedente - si fosse estinta, essendo "medio tempore" divenuta definitiva la sentenza conclusiva del giudizio di merito sull'opposizione instaurato dal debitore, con la quale era stata dichiarata inammissibile, per carenza di interesse, la domanda proposta.

Cassazione Civile, Sez. III, 26 gennaio 2022, (ud. 28 ottobre 2021, dep. 26 gennaio 2022), n. 2347 – Pres. De Stefano – Rel. Guizzi.

L'opposizione a precetto determina la sospensione del termine di efficacia dello stesso ma non impedisce al creditore di procedere all'esecuzione forzata, anche dopo il decorso del termine di cui all'art. 481 c.p.c. e senza necessità di attendere la definizione del giudizio di opposizione, in tal modo bilanciandosi il vantaggio di poter avviare l'esecuzione in qualsiasi momento con il rischio connesso all'eventuale accoglimento dell'opposizione medesima.

Cassazione Civile, Sez. VI – 3, 31 gennaio 2022, (ud. 16 novembre 2021, dep. 31 gennaio 2022), n. 2882 – Pres. Amendola – Rel. Fiacconi – P.M. Basile.

Ai fini della competenza nei giudizi di opposizione all'esecuzione, il valore della controversia si determina, ai sensi dell'art. 17 c.p.c. in base all'importo indicato nell'atto di intimazione (nella specie, rivolto "pro quota" millesimale nei confronti dei singoli condomini di un condominio, contro cui si era formato il titolo), non assumendo rilevanza che il titolo esecutivo tragga origine da un'unica obbligazione e che l'opposizione sia stata spiegata congiuntamente dai singoli debitori.

Cassazione Civile, Sez. II, 8 febbraio 2022, (ud. 16 novembre 2021, dep. 8 febbraio 2022), n. 4005 – Pres. Di Virgilio – Rel. Giannaccari – P.G. De Matteis.

Il decreto di trasferimento immobiliare ex art. 586 c.p.c. tanto nell'espropriazione individuale che in quella concorsuale che si svolga sul modello della prima, implica l'immediato e indifferibile trasferimento del bene purgato e libero dai pesi indicati dalla norma o ricavabili dal regime del processo esecutivo, con conseguente obbligo per il conservatore dei registri immobiliari (o, secondo l'attuale definizione, direttore del servizio di pubblicità immobiliare dell'Ufficio provinciale del territorio istituito presso l'Agenzia delle Entrate) di procedere alla cancellazione di questi immediatamente, incondizionatamente e, in ogni caso, indipendentemente dal decorso dei termini previsti per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi avverso il provvedimento traslativo in parola.

Cassazione Civile, Sez. II, 11 febbraio 2022, (ud. 16 novembre 2021, dep. 11 febbraio 2022), n. 4473 – Pres. Manna – Rel. Dongiacomo.

La divisione esecutiva, pur non potendo essere considerata come una fase o un subprocedimento della espropriazione immobiliare in cui si innesta, rimane funzionalmente connessa al procedimento esecutivo per cui il giudice, che si identifica non a caso con il giudice della esecuzione, può - anzi deve - utilizzare non soltanto le prove tempestivamente e ritualmente offerte dalle parti nel relativo giudizio, ma - anche e soprattutto - gli atti e di documenti già contenuti nel fascicolo dell'esecuzione.

Cassazione Civile, Sez. III, 7 marzo 2022, (ud. 23 novembre 2021, dep. 7 marzo 2022), n. 7342 – Pres. Vivaldi – Rel. Fanticini.

In tema di pignoramento immobiliare, gli errori o le imprecisioni di identificazione del bene negli atti di provenienza sono di per sé irrilevanti rispetto ai terzi di buon fede che abbiano eseguito il pignoramento dopo aver diligentemente verificato i registri immobiliari, né l'indicazione nel pignoramento o nella sua nota di trascrizione di dati catastali non aggiornati ha alcun effetto invalidante, ove non vi sia comunque incertezza sulla fisica identificazione dei beni ed ove sussista continuità tra i dati catastali precedenti e quelli corretti al momento dell'imposizione del vincolo, sì che l'erroneità di per sé considerata non comporti alcuna confusione sui beni che si intendono pignorare.

Cassazione Civile, Sez. III, 18 marzo 2022, (ud. 1 febbraio 2022, dep. 18 marzo 2022), n. 8906 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo.

L'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo, contenuta nel precetto a norma dell’art. 480 comma 1 c.p.c. non richiede, quale requisito formale a pena di nullità, oltre all'indicazione della somma domandata in base al titolo esecutivo, anche quella del procedimento logico-giuridico e del calcolo matematico seguiti per determinarla.

Cassazione Civile, Sez. III, 22 marzo 2022, (ud. 24 gennaio 2022, dep. 22 marzo 2022) n. 9226 – Pres. Vivaldi – Rel. Tatangelo.

Nelle opposizioni esecutive non è ammessa la formulazione di domande nuove, né la deduzione di motivi ulteriori rispetto alle domande avanzate ed ai motivi dedotti nell'atto introduttivo, anche se tali da comportare la caducazione del titolo esecutivo o, comunque, l'insussistenza del diritto del creditore di procedere all'esecuzione forzata.

Cassazione Civile, Sez. III, 22 marzo 2022, (ud. 24 gennaio 2022, dep. 22 marzo 2022), n. 9231 – Pres. Vivaldi – Rel. Fanticini

La trascrizione del pignoramento, se anteriore a quella del sequestro, non determina l'improseguibilità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore e, soprattutto, l'acquisto compiuto da terzi di buona fede nell'ambito di tale procedimento è destinato a prevalere anche sulla confisca

Cassazione Civile, Sez. III, 28 marzo 2022, (ud. 15 febbraio 2022, dep. 28 marzo 2022), n. 9877 – Pres. Vivaldi – Rel. De Stefano – P.M. Soldi. 

Il terzo, originariamente estraneo al processo esecutivo, locatario del bene immobile pignorato, può dispiegare opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordine di liberazione del bene emanato ai sensi dell’art. 560 c.p.c. sul presupposto della non opponibilità del contratto stesso per essere il canone ritenuto inferiore di un terzo a quello giusto ai sensi dell’art. 2923 c.c. comma 3; poiché in detta opposizione sono litisconsorti necessari anche i debitori ed i creditori e la non integrità originaria del contraddittorio è rilevabile d'ufficio anche per la prima volta in sede di legittimità, ove gli uni o gli altri non abbiano partecipato al giudizio, va disposta la cassazione con rinvio, ai sensi dell’art. 383 c.p.c. comma 3 e art. 354 c.p.c. al giudice di unico grado di merito, affinché il giudizio stesso sia celebrato a contraddittorio integro anche con i litisconsorti necessari pretermessi.


Note e riferimenti bibliografici