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Pubbl. Gio, 19 Mag 2022

Le potenzialità dello strumento della mediazione obbligatoria per la ricerca di nuovi equilibri nei rapporti medico-paziente

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Ida Virtuoso



Il presente articolo illustra, in una prospettiva comparata, la proficuità dell´approccio non avversariale nella risoluzione delle controversie in ambito medico-sanitario, con particolare riferimento all´istituto della mediazione obbligatoria. In una prospettiva diacronica, vengono sinteticamente illustrate le origini e gli sviluppi del rapporto medico-paziente, per poi soffermarsi sul fenomeno della cd. medicina difensiva. E´ descritto il sistema della responsabilità civile della struttura sanitaria nell’ambito delle cc.dd. “infezioni nosocomiali” , compresa quella da Covid-19, nonché le soluzioni giuridiche adottate nei diversi ordinamenti giuridici.


ENG The aim of this article is to demonstrate the effectiveness of alternative dispute resolution methods in resolving medical controversies, with particular reference to the institution of compulsory mediation. In a diachronic perspective, the origins and developments of the doctor-patient relationship are briefly illustrated, then the phenomenon of defensive medicine is summarised. Moreover, the legal regime of civil liability for health institutions is described, in reference to nosocomial infections, including Covid-19, as well as the legal solutions adopted in different legal systems.

Sommario: 1. Cenni sulle origini e lo sviluppo dell'alleanza terapeutica medico-paziente; 2. Sulla nozione di “medicina difensiva”; 3. La responsabilità civile della struttura sanitaria nell’ambito delle cc.dd. “infezioni nosocomiali” da COVID-19; 4. La mediazione quale efficace strumento di gestione del conflitto medico-sanitario.

1. Cenni sulle origini e lo sviluppo dell'alleanza terapeutica medico-paziente

Il rapporto di cura ha attraversato, nel corso della Storia, svariate dinamiche e subìto numerosi cambiamenti. Il medico ippocratico, come emerge dalla lettura del testo classico del noto Giuramento (IV sec. a.C. circa), dopo una lunga iniziazione, fatta di studi e conoscenze acquisite sul campo, professava, forte di un’integerrima responsabilità morale e religiosa più che giuridica, di essere pronto a destinare il resto dell’esistenza ad alleviare le sofferenze dei pazienti.

La professione medica era intesa come un’autentica missione, ad un’unica richiesta: l’ottenimento di una totale dedizione del malato a seguire le prescrizioni impartite, poiché la capacità di diagnosi e il discernimento dei vantaggi e svantaggi della terapia erano appannaggio esclusivo del patrimonio di scienza privata dell’esperto. Questo approccio consentiva al medico, sostanzialmente, di esercitare la professione in un regime di relativa irresponsabilità1. Sulla medesima linea di pensiero si poneva Aristotele, secondo cui il rapporto tra medico e paziente non è altro che un’amicizia tra diseguali2. Tale connaturato squilibrio, nel pensiero aristotelico, è tendenzialmente insuperabile, in quanto il potere del medico si contrappone alla necessaria dipendenza passiva del malato. Un possibile riequilibrio è dato dall’assunzione responsabile del medico di tutti i doveri di cura nei confronti del paziente3.

Sul solco della tradizione ippocratica, il rapporto di cura si è evoluto (o è degenerato) verso un approccio sempre più paternalistico. Nel tentativo di ripristinare uno schema naturale turbato dalla malattia, il medico aveva l’obbligo di provvedere alla cura del paziente e quest’ultimo doveva considerare utile e vantaggiosa ogni scelta terapeutica che gli veniva proposta ed attuata in modo considerato competente4. In altre parole, il cd. paternalismo sanitario ha realizzato una sorta di regressione infantile del malato, al quale non si riconosce alcuna soggettività ed autonomia. Tale condizione è acuita sfruttando linguaggi criptici e tecnicismi, enfatizzando l’asimmetria informativa che sbilancia l’equilibrio tra i due protagonisti della relazione terapeutica (in questo caso, parla di paternalismo “forte”)5. Emblematico, al riguardo, è il comportamento dei sanitari descritto da L. Tolstoj nel romanzo La morte di Ivan Il’ic (1886). Ivan è affetto da una malattia estremamente grave e chiama al suo capezzale vari medici che finiscono per adottare una condotta che potrebbe rientrare a pieno titolo nella nozione de quo, in quanto trattano il malato come un bambino: prescrivono la terapia e benevolmente spiegano che, seguendola, vi è possibilità di guarigione ma non rendono edotto il paziente del suo effettivo stato di salute né gli comunicano la prognosi infausta6.

Una migliore presa di coscienza dei propri diritti, supportata dalla “scoperta” della libertà morale e del suo precipitato pratico più rilevante – il cd. consenso informato – cui sommare la crisi dei rapporti di autorità e una maggiore accessibilità e fruibilità del sapere clinico, al giorno d’oggi facilmente attingibili attraverso la consultazione on-line anche da parte di non addetti ai lavori, ha sancito il definitivo tramonto del paternalismo ed ha instillato nei pazienti/utenti il convincimento di non poter essere esautorati dall’assunzione di decisioni che incidono direttamente su beni personalissimi. Lo squilibrio paternalistico viene rimodulato e pienamente controbilanciato attraverso l’agire contrattuale, ponendo l’accento sull’autonomia e sulla completezza informativa, anche se il costo da pagare è il cedimento ad un’esecuzione talvolta pedissequa dei desideri dell’utente, con il rischio conseguente di snaturare il significato profondo dell’impegno alla cura, da intendersi, soprattutto, come capacità di essere solidale e sentirsi coinvolto nella richiesta d’aiuto da parte di un individuo che soffre.

Questa nuova tendenza alla pariteticità del rapporto medico/paziente, almeno per quel che riguarda l’analisi costi-benefici che discendono dalle diverse opzioni terapeutiche, ha dato vita ad una medicina cd. contrattualizzata, mutuata dalla tradizione anglosassone, dove la fonte del rapporto tra assistente ed assistito risiede in un contratto mediante il quale le parti raggiungono un’intesa sui contenuti e sulle modalità di svolgimento di una determinata prestazione professionale7. Il ricorso al paradigma contrattuale nasconderebbe in sé una doppia sfiducia, un conflitto tra medico e paziente, sospettosi l’uno dell’altro, congelato fallacemente dal raggiungimento di un accordo. Il modello contrattuale si fonda su basi legalistiche ed individualistiche, che propongono una visione consumeristica del diritto alla salute, dove la guarigione o il miglioramento della patologia assumono i caratteri di beni di scambio, in una sorta di mercato delle prestazioni sanitarie8.

In questo contesto, l’istituto della mediazione obbligatoria (art. 5, co. 1bis, d.lgs. n. 28/2010 e art. 8, l. 28/2017) si atteggia come uno strumento efficace non solo per ripristinare e rafforzare l’alleanza terapeutica medico-paziente (fortemente logorata dal fenomeno della c.d. “medicina difensiva9”) ma anche per fornire una risposta celere e concreta, grazie ad un’elevata specializzazione dei soggetti preposti, alla crescente domanda di giustizia in materia di responsabilità medica e sanitaria, rispetto alla quale la Magistratura non sembra aver ancora trovato un punto di equilibrio (fenomeno della giurisprudenza “pietistica” o “compassionevole”, del tutto sbilanciata a favore del paziente e a tutto svantaggio della classe medica che ne esce penalizzata10), contribuendo ad un flood of litigation che, di fatto, grava su un sistema giudiziario già ingolfato, qual è quello italiano.

2. Sulla nozione di medicina difensiva

La letteratura statunitense fornisce la definizione più diffusa ed esaustiva di “medicina difensiva”, che «si verifica quando i medici ordinano test, procedure e visite, oppure evitano pazienti o procedure ad alto rischio, principalmente (ma non necessariamente) per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice, essi praticano una medicina difensiva positiva. Quando essi evitano certi pazienti o procedure, essi praticano una medicina difensiva negativa»11. Secondo alcuni, tale definizione sarebbe fuorviante, giacché recherebbe in sé il giudizio apoditticamente negativo dell’operato del medico mentre sarebbe più esatto ed esauriente parlare di “medicina dell’osservanza giurisprudenziale”, consistente nella condotta del sanitario diretta ad operare scelte terapeutiche condizionate dall’osservanza giurisprudenziale più che dai propri convincimenti scientifici12.

Da uno studio condotto a livello nazionale, viene in rilievo che circa il 50% dei professionisti interpellati ha dichiarato di prescrivere farmaci o ricoveri per ragioni di medicina difensiva, così come il 70% circa degli stessi ha ammesso di aver prescritto visite specialistiche o esami di laboratorio per le stessa ragione, per arrivare quasi al 76% di coloro che hanno fatto ricorso ad esami strumentali che potevano evitarsi: il tutto con la conseguenza che la somma spesa “inutilmente” dallo Stato ammonta a circa 13 miliardi di euro.

L’ex ministro della salute Beatrice Lorenzin ha dichiarato che la medicina difensiva incide sulla spesa sanitaria in misura pari al 10,5 % del totale e corrisponde allo 0,75% del P.I.L. Inoltre, nel 2015, sono stati pubblicati i risultati di una ricerca elaborata dall’Agenzia nazionale per i servizi Sanitari Regionali (AGENAS), che ha sperimentato un nuovo modello per la valutazione della diffusione della medicina difensiva e del relativo impatto economico, coinvolgendo nella rilevazione quattro regioni diversamente dislocate nel territorio italiano. La ricerca ha analizzato il fenomeno in tutte le sue sfaccettature, sia sociali che economiche ed il suo impatto sul Servizio Sanitario Nazionale. In tale contesto, il 58% dei medici partecipanti ha dichiarato di aver esercitato attività di medicina difensiva nell’ultimo anno e il 93% dell’intero campione intervistato ritiene che tale fenomeno è destinato ad aumentare; quanto all’impatto economico, esso è stato quantificato in una cifra pari a 10 miliardi di euro, cioè al 10,5% del Fondo Sanitario Regionale13.

La portata del fenomeno della “medicina difensiva” ha dato luogo ad altre conseguenze negative allarmanti, sul piano non solo giuridico ma anche sociale: si pensi alla lievitazione dei premi assicurativi, all’abbandono del settore della responsabilità medica da parte delle compagnie assicurative ed alla fuga all’estero dei medici italiani; lo scontro tra autorevoli categorie di professionisti, medici da una parte e avvocati dall’altra, in cui i primi accusano i secondi di voler trarre profitto della situazione, intentando cause perlopiù pretestuose.

Nel quadro qui delineato, il ricorso agli strumenti di ADR14 (Alternative Dispute Resolutions) ed in particolare alla mediazione obbligatoria, è funzionale a tutelare efficacemente gli interessi delle parti in conflitto, senza ingenerare malcontento tra le stesse (logica del win/win), garantendo altresì le esigenze di bilancio dello Stato, la serenità in ambito lavorativo dei medici ed, in generale, di tutto il personale sanitario e – soprattutto – la piena tutela della salute, quale fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.)15.

Infatti, giova sottolineare che nell’ambito della gestione e risoluzione dei conflitti, lo strumento della mediazione è considerato un fenomeno slegato dal mondo giudiziario. Mediare (dal latino “essere a metà”) significa ricercare, con l’aiuto di un soggetto neutrale, il modo di soddisfare le proprie esigenze contemperando, allo stesso tempo, anche quelle dell’altra parte (c.f.r. art. 1, d.lgs. n. 28/2010). E’ una giustizia della-e-per la coesistenza ma non ha nulla a che vedere con il processo, sia dal punto di vista del logos (ontologia) che della tekne (fenomenologia del tecnicismo e del metodo). Studiare l’istituto della mediazione come strumento ancillare (“minore” od anche solo “diverso”) rispetto al processo civile potrebbe risultare fuorviante e riduttivo, giacché le radici di tale fenomeno presentano un carattere autonomo e meta-giudiziale (non para-giudiziale), abbracciando trasversalmente branche del sapere quali l’antropologia, l’etologia umana, le teorie sociologico-evolutive, fino a colorarsi di forti connotazioni di tipo culturale e politico16.

3. La responsabilità civile della struttura sanitaria nell’ambito delle cc.dd. infezioni nosocomiali da COVID-19

Gli studi condotti in Italia, prima dell’emergenza Covid-19, hanno stimato che circa il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera17. Ogni anno, quindi, si verificavano in Italia 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si riteneva che circa il 30% fossero potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che fossero direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1350-2100 decessi prevenibili in un anno)18. Pertanto, il graduale progresso in campo medico-scientifico ha prodotto, in ambito ospedaliero, sia esso pubblico o privato, l’esigenza per la struttura sanitaria di allestire e di osservare specifiche procedure di controllo, atte ad assicurare la sterilità e l’igiene dei locali, nonché l’efficienza delle attrezzature utilizzate.

A livello europeo, il Consiglio dell’Unione Europea, ha emanato, il 9 giugno 2009, la Raccomandazione 2009/C 151/01, sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria, nella quale si legge che “la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria dovrebbero fare parte delle priorità strategiche a lungo termine delle istituzioni sanitarie. Tutti i livelli gerarchici e tutte le funzioni dovrebbero cooperare per modificare i comportamenti e l’organizzazione in base a un approccio improntato sui risultati, definendo responsabilità a tutti i livelli, organizzando strutture di sostegno e risorse tecniche locali e creando procedure di valutazione”. A livello nazionale e regionale, in Italia sono in vigore, già da tempo, misure di buone pratiche cliniche in tema di prevenzione delle I.C.A.19 Inoltre, la legge n. 24/2017 (Legge Gelli-Bianco) dedica il suo primo articolo al tema della prevenzione del risk management. Tuttavia, l’articolo finale di tale testo normativo (art. 18) contiene la clausola di invarianza finanziaria, sicché la disposizione iniziale potrebbe rimanere lettera morta, in assenza di congrui impegni di spesa20.

Pertanto, costituisce obbligo della struttura sanitaria, nell’ambito della propria responsabilità, garantire al paziente la sussistenza ed il buon funzionamento delle apparecchiature impiegate, nonché adeguate condizioni igieniche nell’intero ambiente ospedaliero. La tendenza a ricondurre in ambito contrattuale la responsabilità del presidio sanitario (c.d. contratto di spedalità) si era già sviluppata a partire dagli anni Settanta, quando la giurisprudenza di legittimità, conseguentemente alla istituzione del Sistema Sanitario Nazionale, riteneva di poter configurare in capo all’ente di cura una responsabilità contrattuale autonoma rispetto all’attività del medico ivi strutturato, riconducibile nell’alveo aquiliano21.

Alla luce della tragica emergenza sanitaria globale ancora in atto ed alla carenza di strumenti normativi ad hoc, l’istituto della responsabilità civile della struttura sanitaria nell’ambito delle cc.dd. “infezioni nosocomiali” 22 da COVID-19, al fine di valutare l’applicabilità, in un eventuale giudizio di responsabilità a carico della struttura sanitaria, del principio di precauzione23 ovvero considerare l’infezione da Coronavirus una causa di “forza maggiore” (cfr. art. 1467 c.c. “avvenimenti straordinari e imprevedibili”; art. 1256 c.c. in materia di estinzione dell’obbligazione quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa “impossibile24) garantendo, di fatto, alla struttura sanitaria una sorta di “immunità”.

Nella letteratura medica, le infezioni ospedaliere sono considerate come delle complicanze (“anomalie del processo di cura”), cioè eventi dannosi astrattamente prevedibili ma difficilmente evitabili25. In ambito giuridico, invece, come osservato dalla Giurisprudenza26, non sussiste una soluzione simile e le uniche ipotesi configurabili sono due: o il peggioramento è prevedibile ed evitabile, ed in tal caso porterà all’insorgenza di responsabilità, ovvero è imprevedibile ed inevitabile, ed in tal caso ricorrono gli estremi della causa non imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c. Anche al fine della prova liberatoria, pertanto, assume valore decisivo la dimostrazione di aver tenuto un comportamento conforme a leges artis, mediante strumenti organizzativi idonei a prevenire le infezioni ospedaliere, ed il rispetto di tutte le norme, regolamenti, ordini o discipline27.

Con precipuo riferimento al Coronavirus, occorre riflettere sulla prevedibilità ed evitabilità di tale infezione in ambito ospedaliero. La risposta appare incerta e sicuramente dipenderà dalla valutazione delle circostanze del caso concreto. Ai fini dell'individuazione di eventuali profili di responsabilità della struttura ospedaliera nell'ambito della pandemia da COVID-19, occorrerà sicuramente sindacarne le modalità di organizzazione, gravando su di essa precipui oneri diretti a garantire il massimo livello di sicurezza per l'utenza, anche in termini di prevedibilità e prevenibilità del contagio.

Il pieno rispetto delle normative di rango legislativo che, del caso, stabiliscano le dotazioni delle strutture sanitarie non varrà da esimente se, in relazione proprio a quelle condizioni di partenza seppur non ottimali, le condotte degli operatori siano valutate comunque inadeguate. Infatti, è necessario che siano osservate anche le regole comuni di diligenza e prudenza, anche ulteriori e diverse rispetto a quelle concernenti l'organizzazione minima o i requisiti di sicurezza28 che formano precipuo oggetto di obbligazione contrattuale nel contratto cd. di spedalità. Non sussistendo una legge scientifica di copertura della malattia da COVID-19, ciò riverberandosi necessariamente sugli aspetti della colpa, è necessario esaminare le posizioni di garanzia dei presunti responsabili in base all'esito delle indagini svolte attraverso molteplici strumenti diagnostici e tanatologici. Ulteriori profili di responsabilità possono insorgere anche per aver disatteso o realizzato con significativo ed ingiustificato ritardo le misure precauzionali generalmente contemplate dalle guidelines in tema di infezioni nosocomiali. Sotto il profilo causale, varrà da esimente di responsabilità della struttura ospedaliera la prova circa l'inevitabilità dell'esito letale in relazione alla gravità delle condizioni in cui versava il paziente, le quali avrebbero dovuto essere talmente disperate che nessun intervento avrebbe potuto evitarne la degenerazione sino al decesso.

Al contrario, sussiste la responsabilità civile della struttura sanitaria in ipotesi di peggioramento irreversibile ed irrimediabile delle condizioni di salute del paziente a causa di negligenze o imprudenze definitivamente accertate, sia pure in termini probabilistici. Sotto il profilo civilistico, è sufficiente la possibilità di un mero differimento dell'esito letale, sussistendo anche in tal caso un'incidenza causale diretta. Spetta alla struttura sanitaria dimostrare mediante una valutazione prognostica che, nonostante l'inesatto adempimento, la morte sarebbe giunta egualmente29. I soggetti cui sono ascrivibili i relativi profili di responsabilità sono gli enti di gestione, in particolare le Regioni, i Direttori generali o amministrativi delle strutture sanitarie pubbliche o private, comprese le strutture per anziani, oltre ai singoli operatori sanitari.

4. La mediazione quale efficace strumento di gestione del conflitto medico-sanitario

L’espletamento della procedura di mediazione è condizione di procedibilità per il giudizio civile in materia di risarcimento del danno derivante dalla responsabilità medica e sanitaria30. L’originario testo dell’art. 5, comma 1, d.lgs 28/2010 aveva assoggettato le controversie in materia di “responsabilità medica” alla condizione di procedibilità costituita dal previo esperimento del procedimento di mediazione. Anche a causa delle ambiguità di tale locuzione, la riforma del 201331 (d.l. 69/2013, conv. con modif. in legge 98/2013) ha esteso l’ambito di applicazione del “filtro” alle controversie in materia di “responsabilità sanitaria” (v. il nuovo comma 1bis dell’art. 5 d.lgs 28 cit.), che, come sottolinea la relazione di accompagnamento al decreto legislativo, presentano non diversamente dalle prime profili di particolare delicatezza e comunque un alto tasso di conflittualità che suggerisce di tentare la via compositiva stragiudiziale32.

In linea generale, il procedimento di mediazione si caratterizza per l’assenza di forme vincolanti e per la libertà che viene lasciata alle parti di individuare autonomamente la soluzione della lite che soddisfi al meglio le loro esigenze e i loro interessi, anche non economici. Pertanto, data la peculiare complessità del settore della responsabilità medica, occorre che il mediatore sia posto in condizione di districarsi nella molteplicità delle discipline e delle specializzazioni, al fine di individuare la tecnica migliore su cui imperniare l’attività conciliativa.

Negli Stati Uniti, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è assistito ad un progressivo sviluppo delle pratiche conciliatorie applicate alle controversie tra medico e paziente, in conseguenza del crescente ricorso alla tutela risarcitoria. La ribalta degli strumenti di ADR in questo ambito è da ricercare in una marcata e crescente sfiducia nei confronti del sistema giudiziale statunitense, definito in maniera colorita dall’American Medical Association come “una lotteria processuale”, in cui pochi pazienti ed i loro avvocati ricevono cospicui risarcimenti ed il resto della società ne paga il prezzo. Inoltre, il timore degli esercenti professioni sanitarie di venire coinvolti in un giudizio per malpractice ha esasperato comportamenti riconducibili al fenomeno della “medicina difensiva”.

La dottrina nordamericana33 ha intuito i vantaggi che possono derivare dall’utilizzo della procedura di mediazione per risolvere le controversie in tema di responsabilità medica, anzitutto con riferimento alla possibilità che il conflitto sia sottoposto all’esame di un soggetto esperto del settore, di modo che egli possa dialogare fin da subito con le parti conoscendo la materia e le sue specificità.

Da un punto di vista comparatistico, ciascuno Stato federale ha legiferato per dotarsi di metodi ADR in subiecta materia, conseguendo rilutati differenti a seconda dello strumento utilizzato. Senza alcuna pretesa di esaustività, è d’uopo riportare che alcuni Stati (Michigan, Massachussetts e Wisconsin) hanno introdotto il cd. “Screening Panel”, cioè una commissione composta da avvocati e medici legali che ha il compito di esaminare il caso prima del processo, al fine di valutarne la fondatezza ed epurare la vertenza dalle denunce che appaiono manifestamente infondate. A ben guardare, siffatto sistema si avvicina maggiormente ad un arbitrato che ad una mediazione, poiché si focalizza esclusivamente sugli aspetti tecnico-giuridici della questione e si risolve sempre in un procedimento avente natura aggiudicativa, in cui vi è un vincitore ed un perdente, secondo lo schema cd. di win/lose34. Il procedimento si conclude con una decisione adottata dalla commissione che individua i diritti e le responsabilità delle parti, quantificando anche l’importo dell’eventuale risarcimento. Tale pronuncia non è vincolante e non preclude l’accesso alla giustizia ordinaria, ma è indubbio che influenzi lo svolgimento del successivo processo35.

Altri Stati, come la Pennsylvania, hanno introdotto un sistema denominato “Intermediation”. In questo caso, il procedimento è obbligatorio (compulsory) ma il risultato non è vincolante per le parti. Il ruolo dello “intermediatore” è quello di chiarificare i punti di forza e le posizioni di ciascuna parte e, basandosi sulla propria esperienza professionale, anche extra-giuridica, indicare in modo realistico le possibili soluzioni del conflitto. In questa procedura sono rinvenibili i canoni della mediazione cd. facilitativa, giacché l’intermediator ha lo scopo di facilitare la comunicazione tra le parti, al fine di aiutarle ed assisterle nella ricerca, di loro sponte, di un accordo amichevole. Rispetto alla mediazione classica, l’intermediazione ha inizio a processo già avviato (dopo la fase di discovery/istruttoria) e si svolge comunque nelle aule di tribunale, di modo che il giudice possa sempre intervenire per risolvere questioni di carattere “procedurale”. Inoltre, l’intermediatore deve redigere un resoconto circa lo svolgimento del procedimento, che potrà essere utilizzato dal giudice qualora le parti decidano di proseguire il giudizio36.

Un ulteriore schema utilizzato è quello della cd. “apology based mediation”, cioè la mediazione fondata sulle scuse del medico e/o della struttura. Nel 2005, lo Stato dell’Illinois ha introdotto un programma denominato “Sorry works!” (Scusarsi funziona!) per le proprie strutture sanitarie. In base a tale programma, personale appositamente formato in ciascun ospedale esamina immediatamente ogni evento negativo derivante da un intervento medico e se tale evenienza è riconducibile ad un errore medico, i dottori e lo staff dell’ospedale si attivano per scusarsi con il paziente ed i suoi familiari, fornendo loro tutte le informazioni del caso e per individuare i possibili rimedi, anche in termini economici37.

Di particolare interesse è il programma di mediazione adottato dall’ospedale di Chicago “Rush-Presbyterian St. Luke’s Medical Center” che, dal 1995, rappresenta un esempio virtuoso di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario. Trattasi di un procedimento di mediazione in cui sono presenti due co-mediatori, che ricoprono la qualifica di legali ed esperti della materia, l’uno che usualmente difende i pazienti e l’altro che, in genere, difende i medici e/o le strutture sanitarie. Entrambi i co-mediatori sono scelti dal paziente medesimo, qualora decida di sottoporre a mediazione la controversia per malpractice38.

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, anche in Francia sono stati proposti numerosi progetti di legge, redatti da parlamentari di tutti gli schieramenti, dal Mediatore della Repubblica e da associazioni di categoria (vittime, medici o assicuratori), in cui il costante richiamo ai concetti di informazione, conciliazione e mediazione testimoniano la volontà di risolvere i conflitti medico-paziente in via non contenziosa e stragiudiziale. In particolare, il decreto n. 81-582 del maggio 1981 rappresentava il documento di maggiore rilevanza in materia di Mediatori o Conciliatori medici. Dagli artt. 1 e 2 si evince che queste figure svolgevano una importante funzione informativa dei pazienti e si occupavano di facilitare la regolazione amichevole delle questioni relative alla responsabilità del medico per un suo atto professionale. Si trattava di magistrati onorari dotati notevole libertà d’indagine, potendo accedere a tutta la documentazione ospedaliera e richiedere incontri con le parti. Inoltre, essi erano vincolati al segreto professionale e non esercitavano alcun potere coercitivo39.

In seguito, la normativa introdotta nel Codice di Sanità Pubblica francese del 2005 ha previsto l’istituzione, a livello ospedaliero, di un mediatore medico e di un mediatore non medico. Ai sensi dell’articolo R. 1112-92, co. 2, del Codice il “mediatore medico è competente a conoscere denunce o reclami che mettono esclusivamente in causa l’organizzazione delle cure e il funzionamento sanitario del servizi, mentre il mediatore non medico è competente per conoscere le questioni estranee alle precedenti”. A chiusura del sistema, l’ordinamento giuridico francese aveva, poi, già previsto dal 2002, a livello regionale, l’istituzione di Commissioni di conciliazione ed indennizzo per gli incidenti medici, le affezioni iatrogene e infezioni nosocomiali (CRCI). Questi organismi, di natura amministrativa ma presieduti da un magistrato, svolgono ancora oggi due funzioni essenziali, cioè quella di favorire la risoluzione dei conflitti tramite la conciliazione e quella di permettere l’indennizzo di chi sia stato vittima di incidente medico che abbia provocato un danno superiore ad una certa soglia, anche indipendentemente dalla valutazione della culpa del singolo professionista o della struttura40.

Come già accettato supra (v. par. 2), la mediazione consente alle parti di dare rilievo anche ad aspetti non strettamente giuridici, quali esigenze e sentimenti che nelle aule di un tribunale non troverebbero spazio41. Mentre in sede di contenzioso giudiziario vengono in rilievo esclusivamente gli aspetti tecnici della questione ed è quindi pressoché impossibile soddisfare le esigenze emotive del paziente, la mediazione, per sua stessa natura, consente al medico di rispondere direttamente e liberamente alle domande ed alle perplessità del paziente42, ponendo le basi per un effettivo risanamento dell’alleanza terapeutica.

Un ulteriore vantaggio risiede nel maggior grado di confidenzialità che caratterizza il procedimento di mediazione. È noto che non appena viene denunciato un errore medico gli assicuratori ed i legali consigliano ai possibili responsabili di non discutere della questione con il paziente, per evitare ammissioni o riconoscimenti di colpa che potrebbero essere utilizzati dal paziente in sede giudiziale. Nella mediazione non si pone questo problema, giacché uno dei pilastri del procedimento è proprio la confidenzialità43, che consente alle parti di comunicare liberamente, senza temere che quanto dichiarato possa essere sfruttato a proprio favore dall’altra parte nell’eventuale, successivo giudizio. In questa maniera, verrebbe favorito un dialogo aperto e costruttivo, che porrebbe il medico in condizione di scusarsi e di esprimere le proprie opinioni al paziente, senza temere di pregiudicare la sua posizione dinanzi all’autorità giudiziaria44. La riattivazione dei canali comunicativi attraverso un confronto con il paziente, garantito dalla confidenzialità, rappresenta un fattore decisivo per consentire alle parti di trovare un accordo e, quindi, di risolvere amichevolmente la controversia45, salvaguardando il rapporto di cura e la fiducia reciproca.

Infine, l’esperienza nordamericana ha dimostrato l’efficacia deterrente dello strumento della mediazione, ossia la capacità di ridurre il rischio di reiterazione del medesimo errore in futuro. La convinzione per cui la possibilità di essere chiamati a rispondere dei propri errori davanti al giudice dovrebbe indurre i medici a comportamenti virtuosi e ad evitare, quindi, il ripetersi di tali errori ha ceduto il passo alla dimostrazione46 per cui invece, è proprio l’esistenza di un contenzioso giudiziario a creare situazioni di stress tali da aumentare il rischio di futuri errori da parte dei medici coinvolti nel procedimento. L’abbandono della logica avversariale ha fatto sì che molte mediazioni si siano concluse positivamente con l’impegno del medico a frequentare corsi di aggiornamento o a modificare procedure risultate errate47.

Un quadro analogo è riscontrabile anche in Italia. L’incremento delle richieste di risarcimento, con la logica conseguenza dell’esplosione delle cause civili e del costo dei risarcimenti, purtroppo ha fatto seguito anche ad un aumento esorbitante del numero dei sinistri denunciati alle imprese di assicurazione e si è registrato un allungamento dei tempi necessari per arrivare alla definizione della querelle a causa dei frequenti contenziosi giudiziari e del periodo necessariamente esteso per avere una valutazione completa e definitiva dell’eventuale lesione fisica subita. La mediazione è uno strumento con cui le organizzazioni sanitarie tentano di reagire alla crisi del rapporto tra cittadini ed esercenti le professioni sanitarie, sviluppatasi a causa della reciproca diffidenza. Le strade percorribili per attivare la procedura di mediazione sono l’art. 5, comma 1bis, d.lgs. n. 28/2010 e l’art. 8 della l. n. 24/2017.

Inoltre, la pandemia da Coronavirus ha posto un nuovo interrogativo concernente potenziali profili di responsabilità civile a carico delle strutture sanitarie per le infezioni da COVID-19 contratte presso le strutture medesime. Questo tema implica una riflessione sulla cd. responsabilità organizzativa della struttura sanitaria e sul danno nosocomiale, a distanza di tre anni dall’entrata in vigore della legge Gelli (Legge 8 marzo 2017, n. 24), che ha posto al centro del sistema della responsabilità medica i profili della prevenzione e del c.d. risk management48.

A tal proposito, occorre ricordare che in sede di conversione del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) non è stata introdotta alcuna limitazione di responsabilità degli operatori sanitari, neppure con riferimento alla responsabilità delle strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private ed alle figure professionali-tecniche amministrative del Servizio sanitario, atteso che l’unico emendamento presentato a tale riguardo è stato, in seguito, ritirato (cfr. emendamento A.S. 1766 a firma Marcucci). Al contrario, svariati Stati federali degli Stati Uniti (tra cui New York, New Jersey e Michigan) si sono dotati di precipui strumenti normativi che forniscono agli operatori sanitari e agli ospedali “l’immunità dalla responsabilità civile per qualsiasi infortunio o morte che si ritiene siano stati sostenuti a causa di atti o omissioni commessi in buona fede” durante la pandemia. Lo U.S. Department of Health and Human Services ha dichiarato, in data 4 febbraio 2020, che le contromisure mediche per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19 saranno immuni da responsabilità in base alla legge federale e statale.

L’immunità copre l’uso e la prescrizione di farmaci e dispositivi. Allo stesso modo, per lo stato di New York, il Governatore Andrew Cuomo ha emesso un ordine esecutivo che è stato codificato in Emergency o Disaster Treatment Protection Act (EDTPA). Tale legge garantisce l’immunità qualificata a ospedali, case di cura, amministratori e operatori sanitari da responsabilità civile e penale derivante da atti e omissioni per tutta la durata dell’emergenza. L’immunità non si applica in ipotesi di negligenza grave e di cattiva condotta imprudente. La negligenza grave è definita come “indifferenza imprudente verso i diritti degli altri” (“reckless indifference to the rights of others”)49. Ciò è diverso dalla legge federale che nega l’immunità solo in situazioni di “cattiva condotta intenzionale”, che richiede la prova della consapevolezza cosciente dell’errore. Analoga richiesta di norme che prevedano immunità da responsabilità per colpa medica degli operatori sanitari è stata richiesta nel Regno Unito dalla Medical Defence Union50.

La legge 26 novembre 2021, n. 206 di riforma del processo civile, recependo gli obbiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e lungo le direttrici programmatiche individuate dalla Ministra Marta Cartabia, intende valorizzare i percorsi stragiudiziali complementari alla giurisdizione. Il ricorso allo strumento della mediazione obbligatoria non sopprime né preclude il libero accesso alla giustizia pubblica, ma è foriero di innumerevoli opportunità per le parti in termini di libertà di determinare la sorte della vertenza attraverso il dialogo pacifico, costruttivo ed assistito da adeguate competenze, soprattutto nel contesto del conflitto medico-sanitario. Intervenire sulla complementarietà e sulla coesistenza delle due strade, significa, dunque, non solo ampliare la risposta del servizio giustizia a beneficio degli interessati e della comunità, ma anche ridisegnare nuovi e più proficui equilibri del patto di cura.


Note e riferimenti bibliografici

1 S.B. NULAND, Storia della medicina, 2017, Mondadori, passim

2 ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, Libro VIII 

3 S. GIVONE, Medicina e filosofia, in Salute e Territorio, 2015, 207, pp. 707-709

4 S. ARDIS, M. MARCUCCI, La comunicazione sanitario-paziente, 2013, Stati Uniti, pp. 94 ss.

5 G.F. AZZONE, L’etica medica nello stato liberale, 2003, Ist. Veneto di Scienze, p. 32

6 per approfondimenti sulla nozione di paternalismo medico e sulle diverse tipologie, v. H.R. WULFF, S.A. PEDERSEN, R. ROSENBERG, Filosofia della medicina, 1996, Raffaello Cortina Editore

7 M. CAPUTO, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, 2017, Giappichelli, pp. 7-12

8 Per una ricognizione circa i cambiamenti e le tendenze che investono il mondo dell’assistenza sanitaria c.f.r. I. CAVICCHI, Questione medica, in S. ALEO, R. DE MATTEIS, G. VECCHIO (a cura di), Le responsabilità in ambito sanitario, I, 2014, CEDAM, pp. 1 ss.

9 R. GENOVESE, P. MARIOTTI, Responsabilità sanitaria e medicina difensiva, Maggioli, 2013, p. 11 ss.; G. FORTI, M. CATINO, F. D’ALESSANDRO, C. MAZZUCATO, G. VARRASO (a cura di), Il problema della medicina difensiva, 2010, ETS; N. CONFALONIERI, Rapporto medico- paziente: i pericoli della medicina difensiva, in http://www.cineas.it.

10 C.f.r. D. PARIS, I rischi di una giurisprudenza “compassionevole”. Riflessioni sull’operato della magistratura ordinaria nel caso Stamina, in Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna, 31 luglio 2015, pp. 1-19; M. ROSSETTI, La responsabilità professionale del medico, in Quaderno del Massimario su Responsabilità sanitaria e Tutela della Salute, Ufficio del Massimario, 2011, edito dalla Corte Suprema di Cassazione.

11 OTA (Office of Technology assessment), USA Congress, 1994

12 M. MAGGIOROTTI, Medicina difensiva obbligatoria per legge, in Brescia Medica, Novembre-Dicembre-Gennaio 2012-13, n. 365, pp. 6-8

13 In merito alle ricerche summenzionate, cfr. R. BARRESI, A. BATTAGLINO, A. CALABRESE, R. LOMASTRO, G. MAFFIONE, V. NATOLI, E. PARENTE, A. QUAZZICO, Impatto sociale, economico e giuridico della pratica della medicina difensiva in Italia e negli Stati Uniti, in Programma Scienziati in Azienda, XII edizione, Stresa 26 settembre 2011-16 luglio 2012, Io Project Work della Fondazione Studi Stresa; Q. TOZZI, Il progetto Agenas sulla medicina difensiva, in Pratica Medica & Aspetti Legali, 9(2), 2015, pp. 27-30, M.C. PARRAVICINI, Medicina difensiva e U. GENOVESE, La medicina difensiva vista dal medico legale, entrambi in Bollettino OMC e OMI, n. 2/2011, in http://www.assimedici.it.

14 I metodi di ADR trovarono un fertile terreno di nascita negli Stati Uniti, a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e si posero subito come un fenomeno vasto e complesso, portatore di esigenze di grandi movimenti culturali, che in quel momento attraversavano la società statunitense, nonché i profondi i cambiamenti intervenuti nel sistema giuridico, che misero in discussione il metodo di gestione delle controversie allora predominante. Nel corso di un decennio ebbe luogo quella che viene definita la cd. Litigation Explosion. In argomento, si vedano O.G. CHASE, I metodi alternativi di soluzione delle controversie e la cultura del processo: il caso degli Stati Uniti d’America, in V. VARANO (a cura di), L’altra giustizia, Giuffré, 2007, pp. 140 ss.; M.J. HOROWITZ, La trasformazione del diritto americano 1870-1960, 2004, Il Mulino. Fra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Novanta del secolo scorso, le cause civili dinanzi alle corti federali distrettuali aumentarono del trecento percento e dagli anni Trenta agli anni Novanta, le tort actions aumentarono in misura quattro volte superiore rispetto al tasso di crescita economica (G. DE PALO, G. GUIDI, Risoluzione delle controversie. ADR nelle corti federali degli Stati Uniti, 2000, Giuffré, pp. 8 ss., 115 ss.). Tale repentina impennata della litigiosità fu addebitata, oltre che ad un incremento delle attività economiche , anche a nuove forme di rivendicazione dei diritti (S.S. MEINHOLD, D.W. NEUBAUER, Exploring Attitudes About the Litigation Explosion, in The Justice System Journal, vol. 22/2001, pp. 2 ss.). Quella che venne definita in senso critico da qualcuno “ipertrofia giuridica” (c.f.r. O.G. CHASE, Gestire i conflitti. Diritto, cultura, rituali, 2009, Laterza) causò una pressione sulle istituzioni giuridiche ed una vera e propria minaccia per le istituzioni dello Stato, che perdevano di autorevolezza e di forza simbolica agli occhi della comunità (sul movimento ADR come espressione del controculturalismo sessantottino, v. D.R. HENSLER, Our Courts, Ourselves: How the Alternative Dispute Resolution Movement is Reshaping Our Legas System, in Penn State Law Review, vol. 108, 2003, pp. 174-175; J.S. AUERBACH, Justice Without Law, 1983, Oxford University Press, pp. 115-131; C.A. REICH, The Greening of America: How the Youth Revolution is trying to Make America Livable, 1970, New York, pp. 225-263). Altri autori, invece, pongono in dubbio l’esistenza del fenomeno della Litigation Explosion, ritenendo che la ribalta data allo stesso quale “emergenza” sia stata voluta dalle organizzazioni economiche e politiche che, attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica e della classe politica, miravano ad ottenere la riforma del sistema giurisdizionale (F. DANOVI, F. FERRARIS, La cultura della mediazione e la mediazione come cultura, 2013, Giuffré, p. 23). Il movimento per l’ADR, comunque, sebbene intrinsecamente connesso ai mutamenti che hanno interessato la società nordamericana, ha comunque lasciato tracce significative anche in Europa, ad esempio nel contesto dell’ampio progetto culturale di riforma istituzionale noto come Access to Justice, elaborato, sempre negli anni Settanta, da Mauro Cappelletti; c.f.r., in proposito, M. CAPPELLETTI, B. GARTH, Access to Justice. The Worldwide Movement to Make Rights Effective. A General Report, in M. CAPPELLETTI (a cura di), Access to Justice, Milano, 1978, vol. I, Book 1, pp. 3 ss.

15 Per un’analisi storica del fondamento del diritto alla salute e sulla sua natura di diritto sociale, v. G. ALPA, Diritto «alla salute», in Nov. Digesto It., Appendice, VI, 1986, pp. 913 ss.; P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, ESI, 2005, pp. 3 ss.; A. SANTOSUOSSO, Dalla salute pubblica all’autodeterminazione: il percorso del diritto alla salute, in Medicina e diritto, a cura di A. BARNI - A. SANTOSUOSSO, Giuffrè, 1995, pp. 95 ss.

16 G. DI RAGO, M. CICOGNA, G.N. GIUDICE, Manuale delle tecniche di mediazione nella nuova conciliazione, 2010, Maggioli, pp. 12-13.

17 Quando si parla di infezioni ospedaliere si fa riferimento alle malattie infettive contratte dal paziente in ospedale o in altri ambienti sanitari che, al momento del suo ingresso nella struttura assistenziale, non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Le suddette infezioni possono verificarsi non soltanto nelle strutture ospedaliere ma in ogni àmbito clinico-assistenziale: non solo in conseguenza di ricoveri in lungodegenza ma anche in day-hospital, in assistenza ambulatoriale e presso il domicilio del paziente, nonché nelle strutture residenziali territoriali per anziani (R.S.A.). Pertanto, la locuzione più corretta per indicare tali infezioni è quella di “Infezioni Correlate all’Assistenza” (I.C.A.), c.f.r. OMS, Prevention of hospital-acquired infections. A practical guide, 2002; G. GUERRINI, G.P. RAMPONI, C. SCARCELLA, M. TRABUCCHI, Manuale di igiene e organizzazione sanitaria delle residenze sanitarie assistenziali, 2014, Maggioli, pp. 256 ss.

18 E.A. DEBBIA (a cura di), Microbiologia clinica, 2018, Esculapio, p. 299

19 Circolare Ministeriale n. 52/1985 “Lotta alle infezioni ospedaliere”, nella quale viene raccomandato l’avvio di un programma di controllo delle infezioni in ciascun presidio nosocomiale e, tal fine, viene istitutito un Comitato multidisciplinare, un gruppo operativo e personale infermieristico a ciò dedicato, affindandone alla Regioni il relativo coordinamento; Circolare Ministeriale n. 8/1988 “Lotta alle infezioni ospedaliere: la sorveglianza”; Decreto Ministero della Sanità 13 settembre 1988, istitutivo del Comitato Ospedaliero per le infezioni nosocomiali

20 Così osserva R. CUOMO, COVID-19: riflessioni in tema di infezioni ospedaliere e di responsabilità sanitaria, in Ius Itinere, 17 aprile 2020, consultabile in https://www.iusinitinere.it

21 c.f.r. Cass. 6141/1978; 1716/1979. Per approfondimenti, v. P. CENDON (a cura di), Responsabilità civile, UTET, 2020, pp. 2832 ss. e 2996 ss.

22 Quando si parla di infezioni ospedaliere si fa riferimento alle malattie infettive contratte dal paziente in ospedale o in altri ambienti sanitari che, al momento del suo ingresso nella struttura assistenziale, non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Le suddette infezioni possono verificarsi non soltanto nelle strutture ospedaliere ma in ogni àmbito clinico-assistenziale: non solo in conseguenza di ricoveri in lungodegenza ma anche in day-hospital, in assistenza ambulatoriale e presso il domicilio del paziente, nonché nelle strutture residenziali territoriali per anziani (R.S.A.). Pertanto, la locuzione più corretta per indicare tali infezioni è quella di “Infezioni Correlate all’Assistenza” (I.C.A.), c.f.r. OMS, Prevention of hospital-acquired infections. A practical guide, 2002; G. GUERRINI, G.P. RAMPONI, C. SCARCELLA, M. TRABUCCHI, Manuale di igiene e organizzazione sanitaria delle residenze sanitarie assistenziali, 2014, Maggioli, pp. 256 ss.

23 A differenza del c.d. principio di prevenzione (Gefahrenavwehr), applicato per fronteggiare un rischio certo, cioè che si produrrà con sufficiente probabilità sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, il c.d. principio di precauzione (Vorsorgeprinzip, in tedesco “preoccuparsi prima”) è applicato in caso di tutela da rischi potenziali. Si tratta di uno strumento di gestione dei rischi che viene invocato nell’ipotesi in cui si è in presenza di incertezza o mancanza di dati scientifici sufficienti su un presunto rischio per la salute o per l’ambiente, derivante da un prodotto o da una azione o da una determinata politica. Si è, in altre parole, in presenza di un pericolo futuro che può essere previsto, ma che non si conosce con assoluta certezza. Pertanto, si opera una anticipazione della tutela nei casi in cui i dati scientifici non siano sufficienti a dimostrare il verificarsi di un danno e, pertanto, non siano sufficienti a integrare una situazione di pericolo. In argomento, v. A. NAPOLITANO, L’evoluzione del principio di precauzione nel panorama giuridico nazionale ed europeo, in De Iustitia, n. 1/2019, pp. 64-82; B. BERTARINI, Tutela della salute, principio di precauzione e mercato del medicinale: profili di regolazione giuridica europea e nazionale, Giappichelli, 2016, p. 21; S. GRASSI, Prime osservazioni sul “Principio di precauzione”, in Diritto e gestione dell’ambiente, 2001, p. 39.

24 Per approfondimenti, v. S.E. BONZIGLIA [et. al], Responsabilità medico-sanitaria e risarcimenti, Giuffré, 2021

25 Per approfondimenti, v. F. CIRAOLO, F. GIOFRÈ, Sala operatoria e terapia intensiva. Dalla pratica medica al design per la prevenzione delle infezioni, 2013, Maggioli, pp. 35 ss.

26 Cfr., ex pluribus, Cass. 33770/2017, nella quale si afferma che le infezioni nosocomiali sono un rischio tipico e prevedibile nei casi di non breve permanenza nei reparti ospedalieri, nel caso di spec. di terapia intensiva; Cass. 25689/2016; Cass. 13328/2015; Cass. 22379/2012. Nel merito, da ultimo, v. Corte appello di Napoli, sez. VII, 28/01/2020, n. 350

27 Cfr. Cass. 13328/2015; M. DONELLI, M. GABBRIELLI, Responsabilità medica nelle infezioni ospedaliere, profili giuridici e medico-legali, Maggioli, 2014, pp. 132 e 151

28 D. CHINDEMI, Responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata, Altalex, 2021, pp. 138 ss.

29 C. IORIO, Responsabilità medica e tutela del paziente ai tempi del Coronavirus, in Judicium, 12 giugno 2020.

30 Le nozioni di responsabilità “medica” e di responsabilità “sanitaria” non trovano un preciso appiglio normativo, ma costituiscono il frutto della elaborazione interpretativa dottrinale e giurisprudenziale. Al fine di assicurare effettiva tutela al degente in nosocomio, parte della dottrina attribuisce un’ampia rilevanza alla struttura sanitaria ed individua in capo alla struttura ed al medico operante al suo interno una “doppia responsabilità diretta”, ove emerge una responsabilità distinta, una responsabilità contrattuale della struttura che è indipendente rispetto all’operato dei medici che vi lavorano, questo tipo di responsabilità deriva dall’inesatta esecuzione di un servizio sanitario ove operano più fattori (da cui deriva un “danno da infezione nosocomiale per inefficienza della struttura”), ed una responsabilità del singolo, medico o infermiere, che deriva dal danno ingiusto cagionato. Secondo tale orientamento, è possibile estendere l’applicazione dell’art. 1681 c.c. sulla responsabilità del vettore al contratto di assistenza sanitaria, ponendo al centro del rapporto la tutela del diritto alla salute quale interesse primario e fondamentale, costituzionalmente garantito, in cui la dimensione organizzativa della struttura risulta l’elemento che qualifica il contratto medesimo (sul punto, v. R. DE MATTEIS, Dall’atto medico all’attività sanitaria: quali responsabilità?, in Trattato di Biodiritto, vol. IV, diretto da Belvedere-Zatti, Giuffrè, 2011).

31 La riforma del 2013 è seguita alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5, comma 1, d.lgs 28/2010, in virtù della sentenza emessa da Corte Cost. 6 dicembre 2012, n. 272, in Foro it., 2013, I, pp. 1091 ss. Per approfondimenti, v. G. AUTORINO, D. NOVIELLO, C. TROISI, Mediazione e conciliazione nelle controversie civili e commerciali, 2014, Maggioli, pp. 131-140; C. GAMBA, La Corte costituzionale e la mediazione: un «giudice indifferente al conflitto» o una corte che tace?, in Nuova giur. civ. comm., 2013, pp. 569 ss.; F.P. LUISO, L’eccesso di delega della mediazione obbligatoria e le incostituzionalità consequenziali, in Società, 2013, pp. 76 ss.; I. PAGNI, Gli spazi e il ruolo della mediazione dopo la sentenza della Corte Costituzionale 6 dicembre 2012, n. 272, in Corriere giur., 2013, pp. 262 ss.; I. BUONOCORE, La Consulta e la incostituzionalità dell’obbligo del previo tentativo di mediazione, in Lavoro giur., 2013, pp. 483 ss.; C. BESSO, La Corte Costituzionale e la mediazione, in Giur. it., 2013, pp. 605 ss.; E. DALMOTTO, Mediazione ancora obbligatoria, se il contratto o lo statuto lo prevedono, ibid., pp. 893 ss.; C. PERAGO, Orientamenti in tema di mediaconciliazione, in Resp. civ., 2013, pp. 779 ss.; R. TISCINI, L’incostituzionalità della mediazione obbligatoria per eccesso di delega: una scelta discutibile, in Riv. arbitrato, 2013, pp. 105 ss.; A. BUSACCA, Ratio della riforma e coerenza con la disciplina europea: è incostituzionale la mediazione obbligatoria, in Contratti, 2013, pp. 231 ss.; E. MINERVINI, La “storia infinita della mediazione obbligatoria”, ibid., pp. 1153 ss.; G. FINOCCHIARO, Osservazioni minime a margine della declaratoria di illegittimità costituzionale della c.d. «mediazione obbligatoria», in Giust. civ., 2013, I, pp. 23 ss.; G. PISTORIO, Uso o abuso dell’assorbimento. Nota a margine della sentenza n. 272 del 2012, in Giur. cost., 2012, pp. 4333 ss.

32 G. REALI, La mediazione obbligatoria e delegata: riflessi sul processo civile, in Giusto proc. civ., 2014, p. 742; è critica sul punto R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo nel d.lgs. n. 28/2010 e nei d.m. n. 180/2010 e 145/2011, Giappichelli, 2011, p. 115, la quale trova poco condivisibile il criterio dell’alta conflittualità, poiché proprio nelle controversie che presentano questo elemento è più difficile che si assista ad una effettiva emersione degli interessi delle parti alla presenza di un terzo.

33 F. YEE, Mandatory Mediation: the extra dose needed to cure the medical malpractice crisis, in Cardozo Journal of Conflict resolution, vol. 7, n. 2, 2007, p. 396; N.C. MERUELO, Mediation and Medical Malpractice, in Journal of Legal Medicine, 2008, vol. 29, n. 3, p. 285; C.M. CURRIE, Mediation and Medical Malpractice Disputes, in Mediation Quarterly, vol. 15, n. 3, 1998, p. 215.

34 H. BURGESS, G. BURGESS, Encyclopedia of Conflict Resolution, Denver, 1997, pp. 306-307, 309-310

35 S. MEANI, cit.

36 C.B. LIEBMAN, C.S. HYMAN, Medical Error Disclosure, Mediation Skills and Malpractice Litigation, 2005, reperibile su http://www.medliabilitypa.org

37 F. YEE, cit., p. 440

38 Per approfondimenti, v. C. ONG, Medical mediation: Bringing everyone to the table, in Bulletin of the American College of Surgeon, 2013, su http://bulletin.facs.org/; D. GUADAGNINO, Malpractice mediation poised to expand, in Physician’s News Digest, 2004, su http://www.physiciansnews.com; R. BLATT, M. BROWN, J. LERNER, Co-mediation: A success story at Chicago’s Rush Medical Center, 2001, su http://www.adrsystems.com/

39 Cfr. Décret n° 81-582 du 15 mai 1981 relatif aux conciliateur médicaux, in Journal Officiel de la Republique Française, 19 maggio 1981, pp. 1556 ss.

40 H. ROCHANT, P. CHEVALIER, La médiation médicale à l’hôpital, 2008, Doin; C. GUY-ECABERT, O. GUILLOD, Médiation et santé, 2008, Berne

41 Quest’ultima considerazione pone in rilievo le peculiarità della mediazione nel campo della responsabilità medica. Difatti, è stato accertato che il paziente che si ritiene vittima di un errore medico generalmente mira a raggiungere tre obiettivi, oltre al risarcimento del danno: individuare la causa dell’errore, ricevere una dichiarazione di scuse da parte del medico o dell’ospedale, ottenere rassicurazioni che l’errore non si ripeterà. Sul punto, v. V. REITMAN, Healing Sound of a Word: “Sorry”; Doctors and Hospitals are learning to disclose their mistakes. Patients often respond with lowered demands for damages, in L.A. Times, 24 marzo 2003. L’autrice dell’articolo riassume i risultati di un’indagine svolta dall’Università di Harvard; N.C. MERUELO, cit., p. 289. Per approfondimenti, v. anche N. BRUTTI, Law & Apologies: profilo comparatistico delle “scuse riparatorie”, 2017, Giappichelli, pp. 55-56.

42 M. MARINARO, Malpractice, nell’attesa di un riordino normativo, la conciliazione ricuce il rapporto medico- paziente, in Guida al diritto, n. 22, 2010, pp. 100-102 e 104-106.

43 Si vedano, nell’ordinamento italiano, gli artt. 9 e 10, d.lgs 28/2010. In particolare, l’art. 9 individua, al co. 1, un generale obbligo di riservatezza, indirizzato nei confronti dei terzi estranei alla procedura (riservatezza esterna) ed, al co. 2, con riferimento al procedimento, garantisce il carattere di confidenzialità degli incontri individuali, indicando il mediatore quale soggetto obbligato (riservatezza interna). L’art. 10 fa riferimento, invece, al più ben preciso ambito del processo instaurato a seguito del mancato raggiungimento della conciliazione e si inquadra nel sistema dei rapporti tra procedura di mediazione e processo. Il carattere della confidenzialità risulta supportato dalla ulteriore garanzia di non poter strumentalizzare la procedura di mediazione al fine di trarre o procurarsi materiale probatorio da utilizzare nel successivo giudizio e viene esplicitamente esclusa la possibilità di deferire il giuramento decisorio o di ammettere prove testimoniali sul contenuto delle informazioni acquisite e delle dichiarazioni rese nel corso delle sedute della procedura (F. RUSCETTA, M. CARADONNA, M. GIORGETTI, Codice commentato della mediazione, 2014, IPSOA, pp. 140 ss.). Parallelamente, l’art. 9 del Real Decreto-Ley n. 5/2012 del 5 marzo sulla mediazione civile e commerciale, trasformato in legge con la Ley n. 5/2012 de 6 de julio, de mediación en asuntos civiles y mercantiles, disciplina, per quel che riguarda la Spagna, il principio di confidenzialità (confidencialidad) stabilendo che il procedimento di mediazione e la documentazione utilizzata nello stesso sia appunto confidenziale; tale obbligo si estende al mediatore ed alle parti, in modo che esse non possano rivelare le informazioni che abbiano acquisito nel corso del procedimento. Viene, altresì, precluso che i mediatori e le parti siano obbligate a testimoniare o a fornire documentazioni nel processo riguardanti informazioni derivanti dal procedimento di mediazione. La violazione del dovere di confidenzialità genera responsabilità nei termini previsti dall’ordinamento giuridico iberico (c.f.r. C. TROISI, Saggi in tema di controversie civilistiche e rimedi stragiudiziali, 2017, ESI, p. 54). Per approfondimenti, v. Á. COELLO PULIDO, El juego de la mediación. El espacio cooperativo en la negociación asistida civil y mercantil, Bosch, 2016, pp. 87 ss.; M.Á. TORRES, B.G. VALLEJO, J.J. MORCILLO JIMÉNEZ, Mediación civil y mercantil, Dykinson, 2013, pp. 157 ss.

44 C. OXHOLM III, Med Mal Mediations in Philadelphia: Report on Drexel Med’s First Year, in Arbitration & Mediation: a newsletter of the Pennsylvania Bar Association Alternative Dispute Resolution Commetee, Inverno 2005, pp. 1 ss. (così come citato in F. YEE, cit., p. 443, nota 225), il quale osserva che “Presentare le scuse è un qualche cosa a cui gli avvocati non sono abituati e non si verifica nelle aule di Tribunale. Senonché, ciò fornisce ad entrambe le vittime dell’errore medico – il paziente ed il professionista – l’opportunità di chiudere la vicenda in modo assai più veloce, evitando tutti gli inconvenienti ed i fastidi del procedimento giudiziale; permette al dottore di rispondere alle domande ed ai dubbi del paziente e della sua famiglia sul perché l’errore sia avvenuto e consente a tutti i soggetti coinvolti di focalizzarsi sui rimedi di cui il paziente e la sua famiglia hanno realmente bisogno” (trad. di S. MEANI, cit., nota 37).

45 S. MEANI, Conciliazione in materia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica: spunti di riflessione sulla scorta dell’esperienza americana, in Corriere Giur., 2011, 8, pp. 1163 ss.

46 Teoria della cd. compensation-deterrence. Sul punto, v. F. YEE, cit., p. 442. Per approfondimenti, v. M.A. GEISTFELD, The Coherence of Compensation-Deterrence Theory in Tort Law, in DePaul Law Review, vol. 61, Issue 2, Inverno 2012, pp. 383-418.

47 S. MEANI, cit.

48 Il sistema di c.d. “gestione del rischio clinico” o Risk Management, realizzato a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso nel Regno Unito, grazie agli studi già condotti in Australia e negli Stati Uniti per trovare una soluzione all’esigenza di ridurre i danni provocati dalle cure mediche e per contenere i costi delle cause di risarcimento instaurate dai pazienti, aveva la funzione di evitare (o ridurre) le probabilità che ad un degente venisse arrecato, in occasione di una cura sanitaria richiesta ad una struttura pubblica o privata, una nuova patologia, un aggravamento di quella trattata in precedenza, oppure, anche solo un disagio nel corso della terapia o del soggiorno in ospedale ovvero successivamente alle dimissioni. In particolare, si è osservato (L. KOHN, J. CORRIGAN, M. DONALDSON, To Err is Human, in National Academy Press, Washington D.C., 1999) come nel trattamento delle patologie riconducibili ad erronee pratiche sanitarie per negligenza, imprudenza od imperizia del medico, il danno al paziente si verifica non solo per l’adempimento dell’esercente la professione sanitaria ma anche a causa di specifiche pratiche gestionali non correttamente eseguite. Peranto, il modello di risk management consente di enucleare errori di trattamento nelle strutture sanitarie prima che un vero e proprio danno al paziente possa venire cagionato, attraverso l’individuazione di situazioni prevenibili ed evitabili, al fine di sottoporre gli errori a classificazione e di uniformare gli interventi per la loro riduzione od eliminazione. Una delle più attuali definizioni di risk management comprende nel termine anche tutta l’attività finalizzata alla prevenzione dell’errore, descrivendolo come “l’insieme degli strumenti, dei metodi e delle azioni attivate, mediante cui si misura o si stima il rischio e successivamente si sviluppano le strategie per governarlo” (così A. BUSCEMI, Il Risk Management in sanità, Giuffrè, 2015, pp. 15 ss.). Il potenziale danno arrecato al paziente, tipizzato nelle tre ipotesi più frequenti (nuova patologia – aggravamento di quella in cura – disagio nel suo trattamento), sarebbe determinato dall’errore, inteso come un “fallimento nella pianificazione e/o esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non attribuibile al “caso”, dell’obiettivo desiderato” o dall’evento avverso descritto come “evento inatteso correlato al processo assistenziale che comporta un danno al paziente, di carattere non intenzionale e indesiderabile. Gli eventi avversi possono essere prevenibili e non prevenibili. Un evento avverso attribuibile ad errore è un evento avverso prevenibile”. L’applicazione del sistema consente, quindi, alle strutture sanitaria di attivarsi per prevenire, ridurre e/o neutralizzare i rischi di contenzioso e di risarcimento del danno da malpractice e viene completato con il trasferimento del rischio di alcuni errori e delle sue conseguenze sull’assicuratore della responsabilità civile. Con la stipula di polizze a copertura dei residui danni arrecabili ai pazienti in occasione dell’attività sanitaria, le conseguenze economiche sui responsabili degli errori sono state limitate al solo pagamento da parte della struttura di un premio di polizza commisurato alla valutazione della sua esposizione alla possibilità ipotetica di arrecare pregiudizi ai pazienti (c.f.r. F. LEGA, Management della Sanità, Giuffrè, 2013, pp. 206 ss.; M. DEL VECCHIO, L. COSMI, Il Risk Management nelle aziende sanitarie, Giuffrè, 2003, pp. 6 ss.).

49 O. VOINAREVICH, An Overview of the Grossly Inconsistent Definitions of “Gross Negligence” in American Jurisprudence, in John Marshall Law Review, vol. 48, Issue 2, Inverno 2015, pp. 471-481, spec. p. 474 in riferimento al diritto newyorkese

50 K. DUIGNAN, C. BRADBURY, Covid-19 and medical negligence litigation: Immunity for healtcare professionals?, in Medico-Legal Journal, 23 luglio 2020, consultabile in https://journals.sagepub.com/; J. HYDE, Covid-19: “Grant doctors immunity from clin neg claims”, in The Law Society Gazette, 16 maggio 2020, consultabile in https://www.lawgazette.co.uk/