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Pubbl. Mar, 21 Giu 2022

Concussione e induzione indebita

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Mariangela Miceli
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo



Il presente lavoro tenterà di illustrare in che modo si sia evoluta la normativa in materia di concussione e di corruzione, alla luce della riforma del 2012 con la legge n. 190 e la successiva modifica intervenuta a meno di tre anni nel 2015 con la legge n. 69. Sarà affrontata la ricostruzione della vecchia fattispecie di concussione e i problemi che ha sempre sollevato in ordine alla distinzione con la corruzione, mentre nel secondo capitolo verrà fatta una disamina della legge Severino e il c.d. ”spacchettamento” della concussione.


ENG This paper will attempt to illustrate how the legislation on bribery and corruption has evolved, in light of the 2012 reform with law no. 190 and the subsequent amendment that took place less than three years ago in 2015 with law no. 69. The reconstruction of the old case of extortion and the problems it has always raised regarding the distinction with corruption will be addressed, while in the second chapter an examination of the Severino law and the so-called ”Unpacking” of the crime of bribery.

Sommario: 1.1 La vecchia formulazione dell’art 317 c.p; 1.2 La legge 6 novembre 2012 n. 190, c.d. legge Severino; 2.1 La legge Severino e lo “spacchettamento” della concussione; 2.2 La distinzione tra i concetti di costrizione e di induzione; 3.1 La sentenza delle Sezioni Unite 24 ottobre 2013, Maldera e la distinzione tra concussione e induzione indebita; 3.2  Elementi comuni e differenziali alle fattispecie di concussione e induzione; 3.3 La legge n. 69/2015; 3.4  Il  captatore informatico alla luce della riforma del d.lgs. 216/2017; 3.5 Traffico di influenze illecite; 3.6 La delegazione europea e i riflessi in materia di corruzione; 4. Conclusioni.

1.1 La vecchia formulazione dell’art 317 c.p

Per poter meglio delineare i contorni della fattispecie di cui all’art. 317c.p., appare utile far un primo riferimento al dettato normativo codicistico attuale, la cui norma così recita: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.”

Dalla norma di cui sopra si può rilevare come la riforma anticorruzione abbia significativamente trasformato il delitto di concussione, adeguando la nostra normativa agli obblighi assunti dal nostro Paese a livello comunitario.

Partendo dalla formulazione precedente dell’articolo in parola: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.”, si evidenzia subito come la condotta incriminata si articolava in due forme: la “costrizione” e la “induzione” ed era realizzabile sia dal pubblico ufficiale, sia dall’incaricato di pubblico servizio.

La novella legislativa intervenuta nel 2012 con la legge n. 190, è tornata alla previsione del codice Zanardelli, procedendo non solo alla rimozione della persona incaricata di un pubblico servizio dal novero dei soggetti attivi, ma anche all’eliminazione della condotta della induzione.

Tale ultima condotta è ad oggi disciplinata dall’art. 319 quater che punisce, oltre il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio, anche il c.d. extraneus, ovvero colui il quale non essendo stato “costretto”  dal pubblico ufficiale alla promessa ma solo all’indebita dazione e quindi “indotto”, resta pur sempre libero di assecondare o meno le indebite richieste rivoltegli dall’intraneus, non potendosi considerare una vera e propria vittima.[1]

La nuova condotta prevista dal legislatore disciplina, quindi, un’autonoma disposizione collocata tra i reati di corruzione, perdendo così definitivamente ogni collocamento con il delitto di concussione, al fine di suggellare una forma di corruzione sui generis, che si differenzia dagli stessi per non essere caratterizzata da un rapporto sinallagmatico fra le parti ma dalla presenza di un “abuso della qualità o dei poteri” perpetrato dell’intraneus.

Da quanto sopra esposto, analizzato anche l’art. 318 c.p., si può evincere come i reati di corruzione e di concussione differiscano tra loro per l’elemento della condotta, poiché nella concussione l’agente deve avere determinato nel soggetto passivo uno stato di paura o di timore tale da viziarne palesemente la volontà, mentre nella corruzione i due soggetti agiscono su un piano paritario nella conclusione del patto criminoso.

Per quanto attiene la struttura soggettiva, essendo la corruzione, a differenza della concussione, un reato necessariamente plurisoggettivo, è differente anche la posizione del solvens;ne consegue che in tema di criteri differenziali tra concussione e corruzione non rileva tanto la circostanza della contrarietà dell’atto ai doveri di ufficio, per cui di regola il concusso certat de damno vitando mentre nella corruzione il corruttore certat de lucro captando.[2]

Da ciò discende che deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l’indebita dazione o promessa di denaro o altra utilità da parte del privato, nulla rilevando che quest’ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio, sempre che, tuttavia, si tratti di un vantaggio costituito da una utilità alle quali il privato avrebbe potuto legittimamente aspirare anche prima dell’intervento del soggetto pubblico ed al quale sarebbe altrimenti costretto a rinunciare costituendo proprio tale forzata rinuncia l’oggetto della prospettazione di danno ingiusto da parte del concessore.

1.2 La legge 6 novembre 2012 n. 190, c.d. legge Severino

Nel novellare la disciplina dei reati contro la P.A. il legislatore è intervenuto anche nel riformulare il reato di concussione.

Più di specifico è stato sostituito l’art. 317 c.p., con l’introduzione di una nuova fattispecie di “concussione”, configurabile adesso con la sola costrizione. Allo stesso tempo è stato introdotto un nuovo articolo, l’articolo 349 quater c.p., che ha introdotto la nuova figura della “induzione indebite a dare o promettere utilità”.

Si tratta, in pratica, di una figura intermedia tra la condotta concessiva sopraffattrice e l’accordo corruttivo integrato dagli artt. 318 e 319 c.p.

In dottrina[3] si è evidenziato come la novella legislativa del 2012 abbia di fatto “spacchettato” il reato di concussione, creando in tal modo due reati differenti:

 La concussione per la sola costrizione;

L’induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319 c.p.

Le ragioni sottese allo sdoppiamento dell’originaria formulazione dell’art. 317 c.p. sono da rinvenire all’interno della raccomandazione dell’Ocse in Italia in materia di anticorruzione.

In particolar modo è stato chiesto al legislatore italiano che si operasse al fine di evitare che la fattispecie di concussione potesse operare quale strumento di esonero della responsabilità in ambito internazionale.

La Legge 190/2012 e successivamente la Legge 69/2015  hanno  dato luogo ad una riforma organica del sistema preventivo e repressivo dei delitti contro la Pubblica Amministrazione,

Tra le modifiche apportate, la corruzione impropria ex art. 318 c.p. è stata rubricata come “corruzione per l’esercizio della funzione”.

La nuova previsione normativa contempla, così, l’ipotesi del “pubblico ufficiale che per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve per sé o un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa”.

È stato eliminato il nesso tra l’utilità ricevuta (o la promessa fatta), con un atto da compiersi o già compiuto, divenendo possibile anche la configurabilità del reato in assenza di uno specifico atto.[4]

In dottrina si è parlato di un nuovo reato, rubricato ancora come corruzione ma più congruo come “asservimento” del pubblico ufficiale ai desiderata del privato. L’eliminazione dell’oggetto di scambio ha così comportato una distinzione tra l’elemento oggettivo della corruzione impropria e quello della corruzione propria.

Vi è altresì da rilevare che dopo la novella legislativa l’art. 319 c.p si riferisce soltanto agli atti di ufficio.

La riforma ha, altresì, posto l’accento sulle scelte linguistiche significative, per esempio il legislatore ha scelto di le parole “denaro o altra utilità” in luogo della “retribuzione”, dalla cui eliminazione deriva che non sia necessario un vero e proprio connubio ma che vi sia stata una certa proporzionalità nel beneficio.

Infine, la nuova formula dell’art. 320 c.p.. ha eliminato la necessità che l’incaricato di pubblico servizio possieda la qualità di pubblico impiegato.

Quanto al delitto di concussione, l’introduzione  della fattispecie ex art. 319- quater c.p. (la c.d. “induzione indebita a dare o promettere utilità”) ha ricollocato la residua modalità di induzione, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. La norma sembra differenziarsi dalla concussione ex art. 317 c.p. con riferimento sia alla condotta tipica, sia alla punibilità.

Sulla base di questa valutazione, si afferma  che detta fattispecie sia intermedia  tra la corruzione e la concussione ed ex art. 321 c.p. è punito anche il corruttore che promette o corrisponde l’utilità.

La giurisprudenza in merito a tale disposizione ha applicato ulteriori criteri distintivi tra i reati in esame al presente paragrafo. In primo luogo non sono stati presi in considerazione i criteri della paternità dell’iniziativa, della conformità (o contrarietà) dell’atto ai doveri d’ufficio, nonché il criterio dell’ingiustizia del vantaggio perseguito dal privato.

E’ stato anche dato rilievo in merito al reato di concussione alla presenza di una volontà prevaricatrice del pubblico ufficiale cui consegua il condizionamento del privato in stato di soggezione dinanzi alla condotta del primo. Nella corruzione si configurerebbe una posizione di parità delle stesse condotte. L’elemento differenziale sarebbe nel tipo di rapporto intercorrente  fra la volontà dei soggetti agenti.

Vale la pena ricordare come nel reato di induzione indebita l’abuso di qualità è strumento di pressione psicologica sul soggetto indotto. Nella corruzione, invece, l’abuso di qualità pur essendo la condotta corruttiva, non integra la pressione psicologica.

Sulla linea temporale del tempus commissi delicti, la nuova normativa in materia di corruzione si pone in rapporto di continuità normativa con le precedenti.

Pertanto appare chiaro che ad oggi, le norme relative al reato di concussione non incriminerebbero alcuna condotta che oggi non sia già punibile, ad eccezione  per dell’ ipotesi del privato che dà o promette l’utilità in chiave di “mera remunerazione per una condotta già compiuta, e conforme al dovere d’ufficio.”[5]

Il dato che non deve essere trascurato è indubbiamente il fatto che la  nuova norma si presta a ricomprendere non soltanto le condotte oggi qualificate dalla giurisprudenza come corruzione impropria (attiva o passiva, antecedente o susseguente), ma anche quelle ipotesi che oggi tendono a essere qualificate come corruzione propria, pur non essendo stati identificati precisamente l’atto o la condotta oggetto di illecito mercimonio; con conseguente applicazione a questa tipologia di condotte, se commesse prima della riforma, della disciplina della corruzione per l’esercizio della funzione, laddove più favorevole per l’imputato.

Altro dato fondamentale è che in materia di concussione, le norme internazionali pattizie nulla dicono in merito e quindi risulta essere una caratteristica italiana.

D’altra parte un altro dato, oggetto d’interpretazioni contrastanti, non può essere trascurato: numerose istituzioni internazionali – dall’OCSE al GRECO – come già sopra accennato, esprimono da tempo dubbi in relazione al pericolo che, attraverso un uso del delitto di concussione,  il privato che ha effettuato un’indebita dazione di denaro o altra utilità sfugga alla punizione, allegando di essere stato “indotto” al pagamento o alla promessa da condotte abusive del pubblico funzionario.

Ma vi è di più l’azione tipica della concussione, può essere posta in essere anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva.

Prendiamo ad esempio un  casus decisus:

L’ausiliario di un perito veniva condannato in secondo grado per concussione, per aver, quale autore materiale, in concorso con il perito di ufficio di un giudizio penale, posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere la parte del processo, dietro la minaccia della predisposizione di una perizia a lui sfavorevole, a versare loro la somma indebita di 20.000 Euro, non riuscendovi per fatti indipendenti alla loro volontà, e dall’altro costretto il medesimo a consegnare a titolo di acconto la somma di 5.000 Euro. Pertanto, l’imputato ricorreva in Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 357 cod. pen. e vizio di motivazione, non potendo essere attribuita all’imputato, che rivestiva il ruolo di “ausiliario” del perito, la qualifica di pubblico ufficiale e di conseguenza mancava la qualifica soggettiva per l’integrazione del reato di concussione.

L’ausiliario di un perito in un giudizio penale, in accordo col perito, minaccia la parte in causa di elaborare una perizia a lei sfavorevole, se non avesse sborsato la somma di euro 20.000: si configura il reato di concussione, non rivestendo l’ausiliario la qualifica di pubblico ufficiale?

Su tale quesito si è espressa la Suprema Corte che ha dato risposta positiva, chiarendo che l’azione tipica della concussione, “fattispecie appartenente alla categoria dei reati propri esclusivi o di mano propria del pubblico agente, può essere posta in essere anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva, a condizione che costui, in accordo con il titolare della posizione pubblica, tenga una condotta che contribuisca a creare nel soggetto passivo quello stato di costrizione o di soggezione funzionale ad un atto di disposizione patrimoniale, purché la vittima sia consapevole che l’utilità sia richiesta e voluta dal pubblico ufficiale. Tali requisiti si rivengono nel caso in esame, laddove è stato accertato che l’ausiliario ha agito proprio sulla base dell’accordo col perito e la vittima era ben consapevole che la minaccia era riconducibile al pubblico ufficiale.”

Il Supremo Collegio ha altresì ritenuto infondati tutti i motivi sollevati dalla difesa dei ricorrenti, ritenendo tutti i motivi generici ed infondati. Sicché ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta continuazione per il reato di concorso in concussione.

Invero, la stessa sentenza di primo grado non è per nulla contraddittoria né carente dal punto di vista motivazionale, considerando che la condotta posta in essere dai prevenuti rientra all’interno del dato normativo di cui all’art. 317 c.p novellato dalla Legge Severino. A tal riguardo sanciscono il seguente principio di diritto, individuando al contempo il discrimen intercorrente con il delitto di cui al 319 quater (induzione indebita), in base al quale il delitto di concussione di cui all'art. 317 c.p., modificato dalla L. n.190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da “un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita”[6].

Vale la pena ricordare che il delitto di concussione si perfeziona o con la promessa o con la dazione indebita per effetto della costrizione o della induzione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.

Va da sé che se gli atti si susseguono, il momento consumativo si fissa nell'ultimo, venendo così a perdere di autonomia l'atto anteriore della promessa e concretizzandosi l'attività illecita con l'effettiva dazione, secondo un fenomeno simile al reato progressivo.

2.1 La legge Severino e lo “spacchettamento” della conduzione

La legge n.190\2012, nota come Legge Severino ha radicalmente modificato la normativa vigente in materia di tutela penale della P.A.,  avendo da un lato sensibilmente aumentato i limiti edittali di pena, dall’altro la ristrutturazione delle principali figure di corruption-crime, cui sono state aggiunti ulteriori tipi, come il “Traffico di influenze illecite” (art. 346bis) e la “Corruzione tra privati”.[7]

La novella legislativa si è resa necessaria a causa  di una mutata realtà socio economica, che ha visto una dimensione particolarmente aumentata dei reati di corruzione che gravitano ben oltre il mero ambito della pubblica amministrazione in senso stretto. I reati di cui sopra, infatti, nella loro prima formulazione si rifacevano al tipico modello mono -offensivo, contro un bene, sia pure istituzionale o, al più, potevano corrispondere a modelli di reato bi-offensivo, combinando la tutela del bene pubblico alla tutela di un caratteristico bene individuale (patrimonio, come nel caso del peculato, o libertà morale, come nel caso della concussione).[8]

Ad oggi i reati di corruzione hanno travalicato i confini della pubblica amministrazione ragion per cui nel 2012 e successivamente nel 2015 si è riformata l’intera materia.

Vale la pena evidenziare come i  fatti corruttivi, non solo quelli privati (ex art. 2635 c.c.) ma anche quelli nella sfera pubblica sono da considerarsi a tutti gli effetti reati economici.

Sono reati economici, poiché nella maggior parte dei casi, i reati di corruzione riguardano non solo settori economici, ma diventano strumento di strategie economiche e aziendali, (quale ad esempio al settore degli appalti).

In realtà il fenomeno corruttivo diventa il primo fattore distorsivo della concorrenza nel mercato ma non solo in ambiti settoriali e “locali”, ma a più elevati livelli, sia nazionali che internazionali, attacca direttamente proprio quegli interessi collettivi che, riqualificati come beni giuridici “finali” nella sempre più vasta  categoria dei “reati economici”[9].

La riforma è stata dettata anche dai mutati contesti sociali, per cui i reati corruttivi nella realtà economica moderna diventano un fatto sempre meno individuale, e sempre più un fatto collettivo o di gruppo.

Non è un caso che la legge n. 190 del 2012 sia nata grazie ad una spinta sovranazionale,  nella specie in attuazione della Convenzione di Merida del 2003 (Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione) e della Convenzione di Strasburgo del 1999 ( “Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa” del 27 gennaio 1999), ratificata dall'Italia con la l. 28 giugno 2012, n. 110.

In particolare, la Convenzione di Merida all’art. 15 rubricato “Bribery of national public officials” impone di configurare come reato il fatto di “(a) promettere, offrire o concedere a un pubblico ufficiale, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio, per se stesso o per un'altra persona o ente, affinché compia od ometta di compiere un atto inerente ai suoi doveri pubblici”; nonché il fatto di “(b) sollecitare o accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio, per se stesso o per un'altra persona o ente affinché compia od ometta di compiere un atto inerente ai suoi doveri pubblici”.

Anche la  Convenzione di Strasburgo, negli artt. 2 e 3, rubricati “Corruzione attiva di pubblici ufficiali nazionali” e “Corruzione passiva di pubblici ufficiali nazionali”, prevede gli stessi obblighi in tema di diritto penale.

La legislazione appena citata affermava quattro punti fermi in materia di reati corruttivi:

 -  parificazione nella punibilità e (pare comprendersi) nella misura della pena fra corruzione attiva e corruzione passiva, senza margini di impunità per il privato anche nell'ipotesi in cui la "sollecitazione" provenga dal pubblico ufficiale;

 -  fissazione del discrimine tra corruzione attiva e corruzione passiva, individuandolo esclusivamente nel criterio dell'iniziativa;

 -  cancellazione di ogni distinguo tra corruzione propria e corruzione impropria (per atto contrario vs per atto dovuto);

 - obbligo di incriminazione della sola corruzione antecedente, con esclusione dalla punibilità dei fatti di corruzione susseguente.[10]

Il nostro ordinamento quindi doveva essere necessariamente riformato e si chiedeva in particolar modo che il legislatore intervenisse su alcuni profili fondamentali:

 - Garantire una maggiore effettività della repressione del fenomeno corruttivo (anche in ragione del fatto che il nostro Paese si trova da tempo confinato sugli ultimi gradini della speciale scala compilata dall'ente internazionale “Transparency” per dare conto degli indici di diffusione della corruzione in ogni singolo Paese considerato).[11]

 - Di assicurare una certa ed effettiva punizione soprattutto della corruzione attiva, chiudendo al privato corruttore le vie di fuga che il nostro modello di disciplina, proprio per la sua particolare struttura e complessità, finiva, nella prassi, con il concedere.

 - Di superare la scansione, all'interno del sistema di tutela penale della P.A., fra la fattispecie di concussione (nella quale il privato "che paga" risulta vittima del reato, e dunque immune da pena) e le fattispecie di corruzione (che vedono sempre il privato nel ruolo di autore, ovviamente, come tale, punibile).

 La Legge Severino, quindi, ha tentato di tenere conto delle linee sovranazionali ma riuscendoci soltanto parzialmente.

La novella legislativa sembra aver complicato e non poco la fattispecie reatuale, non avendo superato di fatto le vecchie dicotomie legate alla fattispecie di concussione e corruzione. Pare aver creato alla giurisprudenza nuove difficoltà, sia nell'interpretazione di singole norme, sia più complessivamente sul piano sistematico.

La Legge Severino, infatti, è intervenuta su alcuni aspetti , al di là del generale inasprimento delle pene, che hanno riguardato:

- la “scomposizione”, mantenendola in vita, della figura delittuosa della concussione, ora articolata in due distinte fattispecie delittuose;

-  il rimodellamento della tipologia di figure corruttive, cui è stata aggregata la fattispecie "satellite" del “Traffico di influenze illecite” (art. 346bis c.p.).

La figura della  concussione è rimasta, con pene ulteriormente aumentate sempre disciplinata sotto l’art. 317 c.p., nella sola componente della costrizione, invece, il reato di concussione per “induzione” è trasmigrata in calce alla serie delle “corruzioni” sotto l'intitolato “Induzione indebita a dare o promettere utilità” , all’art. 319quater.

La differenza consiste nel fatto che la nuova fattispecie incrimina sia il pubblico ufficiale, sia il privato, anch'egli punito benché con pena assai più contenuta (un massimo di tre anni, a fronte del massimo edittale di otto anni comminato al pubblico ufficiale).

Per quanto attiene le figure di corruzione quali la corruzione propria ed impropria il legislatore è intervenuto in modo significativo, con:

 - L ‘Eliminazione del requisito dell' “atto conforme ai doveri d'ufficio”, ora sostituito dalla locuzione “per l'esercizio delle sue funzioni”;

 - L’Eliminazione di ogni riferimento al concetto di “retribuzione” limitandosi la norma, nel descrivere la condotta tipica, alla “ricezione” o alla “promessa” del denaro (o di altra utilità);

 - Soppressione, in un tutt'una con la caducazione dell’originario secondo comma dell'art. 318, della distinzione tra corruzione antecedente e corruzione susseguente, con derivata neo-incriminazione della corruzione impropria attiva susseguente.

Altra modifica apportata dalla stessa legge n.190/2012 riguarda il modificato articolo 320 c.p. cosicché ora l'art. 318 c.p. risulta applicabile all'incaricato di pubblico servizio, anche qualora questi non rivesta la qualità di pubblico impiegato. In altri termini, il nuovo art. 320 c.p. non richiede più che l'incaricato sia legato all'ente pubblico da un rapporto di lavoro subordinato che lo faccia entrare a far parte dell'organizzazione dell'ente.

Come già sopraesposto,  la novella legislativa ha introdotto una sorta di reato ostacolo che viene definitivo in quello che il legislatore ha definito come “traffico di influenze”.

Tale fattispecie sussidiaria punisce, con una tutela fortemente anticipata, la “mediazione” corruttiva, cioè il passaggio di denaro da privato a privato, volto a remunerare l'”interessamento” finalizzato a una successiva realizzazione di un patto corruttivo, ovvero destinato a costituire la “provvista” per future tangenti prima che il patto corruttivo venga in essere.

La nuova previsione normativa ha però dato adito ad un serie di problemi interpretativi, in parte già affrontati dalla giurisprudenza anche di legittimità.

Un primo nucleo problematico è rappresentato certamente dalla ricollocazione delle figure di corruzione in senso stretto, principalmente disegnate dalla coppia di norme di cui agli artt. 318-319 c.p.

Anche in questo ambito, rispetto alle indicazioni sovranazionali, il legislatore del 2012 in parte ha recepito le direttive ed in parte si è dimostrato renitente.

Da un lato ha senza dubbio recepito il principio di fondo della previsione “induzione indebita” , condotta punibile per entrambe le parti del rapporto.

Ciò che pone una nota di “demerito” alla riforma Severino è la circostanza per cui non è stato mantenuto ciò che le convenzioni  apponevano a principio generale: cioè che il mercimonio punibile debba riguardare condotte future del pubblico ufficiale, escludendosi la rilevanza di corruzioni susseguenti.

Così come, contraddittoriamente, si è voluta mantenere la suddivisione, scandita dalle due norme distinte, tra corruzione propria e impropria.

Da ciò ne deriva che:

la corruzione impropria di cui all'art. 318 c.p., si caratterizza sotto il profilo della tipicità degli elementi costitutivi, non tanto “in positivo”, quanto “in negativo”: non cioè, in ragione della qualità dell'atto da compiersi quanto della presenza - assenza dell’atto stesso: si integrerà l'art. 318 solo in assenza di un atto, cioè quando l'atto (uno specifico atto amministrativo) non sia identificabile o comunque non sia identificato.

Viceversa, la corruzione propria di cui all’art. 319 c.p., si caratterizza per il doppio requisito, della presenza di un atto, e della sua contrarietà al dovere.

D'altra parte, la nuova fattispecie consente di correttamente inquadrare il ben noto fenomeno della “messa a libro paga” di un pubblico ufficiale da parte di un privato corruttore; in vista di atti favorevoli futuri, o per una generalizzata e (non ancora) meglio specificata “benevolenza” del titolare di un potere pubblico, di solito, autorizzativo, o di vigilanza, nei confronti del gestore di interessi privati, per lo più collegati ad attività di impresa[12].

Va da sé che la scelta del legislatore del 2012 sia inquadrabile sotto l’aspetto più garantista nel rispetto della nostra tradizione penalistica.

2.2 La distinzione tra i concetti di costrizione e di induzione

La distinzione tra i concetti di costrizione e di induzione basata esclusivamente sul maggiore o minore grado di coartazione morale ha creato in passato non poche difficoltà interpretative.

La parte più consistente di decisioni di legittimità si è però concentrata, com'era facile intuire, sulla linea di confine che corre tra il vigente delitto di concussione e la figura ricavatane ex novo “per separazione”, dell’induzione indebita.

A leggere bene la norma di riferimento è evidente che la norma e di conseguenza il reato disciplinato è stato letteralmente “spacchettato” in due: da una parte è rimasto il fatto tipico proprio del solo pubblico ufficiale mentre è invece trasmigrato il fatto tipico proprio, sia del pubblico ufficiale, sia dell'incaricato di pubblico servizio che esercitino una azione induttiva - che si rendano cioè autori di una condotta di induzione.

La fattispecie di concussione è pertanto soltanto diminuita di alcuni elementi caratterizzanti, relativi alla soggettività propria e alla modalità di condotta; la nuova fattispecie di induzione invece risulta, rispetto alla figura “di provenienza”, diminuita del solo elemento caratterizzante relativo alla modalità di condotta (coercitiva), ma al contempo accresciuta di un elemento costitutivo relativo alla soggettività: la figura del privato nel ruolo di partecipe necessario proprio, cioè punibile.

In materia di reati di corruzione, la giurisprudenza si era più volte espressa con una  ricognizione di confini tra figure delittuose , ma questo tipo di intervento era limitato ad un binomio concussione - corruzione, e si rivelava particolarmente spinosa rispetto a situazioni che la giurisprudenza aveva cominciato a qualificare come (eventuali) ipotesi di concussione “ambientale” .

Altra difficoltà ricognitiva consisteva nel fatto che i due diversi tipi delittuosi riguardavano il nucleo caratterizzante della condotta, cioè il tipo di comunicazione intercorso fra i soggetti, pubblico e privato, e le reciproche posizioni, oggettive di interesse e soggettive di rapporto interpersonale.

In tale contesto, nel tempo erano state individuate tre principali teorie (sia in dottrina che in giurisprudenza) per qualificare la tipicità di un fatto di concussione distinguendola dalla tipicità della corruzione(19):

- la teoria dell'iniziativa (del pubblico ufficiale);

- la teoria della genesi dell'accordo: consistente nel “metus publicae potestatis” e nel “pactum sceleris”;

-  la teoria della controprestazione: riparo da un danno ingiusto (obiettivo tipico del concusso) contrapposto all'ottenimento di un vantaggio illecito (obiettivo tipico del corruttore).

La teoria dell'iniziativa, la più risalente e la prima a essere abbandonata, distingueva le due figure di reato in base alla circostanza che l'iniziativa della mercificazione venisse assunta dal privato (caso di corruzione) piuttosto che dal pubblico ufficiale (caso di concussione)(20).

 Avverso questa teoria, incentrata su di un criterio formale (e perciò ritenuta troppo formalistica) si è successivamente affermata - basata su di un criterio, invece, sostanziale - la teoria della genesi dell'accordo: se determinato dal “metus publicae potestatis” che produce un consenso viziato da violenza (psicologica), l'accordo corruttivo integra la concussione; si versa invece in ipotesi di corruzione ogni qual volta si manifesti un puro “pactum sceleris”, consensualmente stipulato.

La conseguenza di uno “stato di soggezione” del privato rispetto al pubblico ufficiale, purché però risultasse provata una superiorità del pubblico agente intesa come “preminenza prevaricatrice” idonea ad intimorire il privato e a viziarne la volontà,  sarebbe perciò stata mossa esclusivamente dal c.d. metus publicae potestatis. In tale circostanza sarebbe stato in realtà il pubblico ufficiale, ad abusare dei propri poteri o della propria qualifica, ed a porre in essere la causa determinante della volontà altrui[13].

Negli ultimi tempi, sino a giungere a ridosso della riforma, l'orientamento giurisprudenziale prevalente approdava a una terza opzione discretiva, motivando questo cambio di paradigma sulla fragilità, e scarsa praticabilità, soprattutto probatoria di un criterio, come il precedente, fondato su valutazioni di tipo psicologico. Da una prospettiva soggettivistica ci si era dunque spostati su di una prospettiva oggettivistica, individuando nella natura delle conseguenze (dell'atto, o comunque dell'attività pubblica) il fulcro distintivo: in un danno ingiusto, che fosse prospettato dal pubblico ufficiale, e che il privato con la sua dazione tendesse ad evitare, si ravvisava l'elemento in concreto tipizzante la fattispecie di concussione; mentre elemento costitutivo in concreto della fattispecie di corruzione sarebbe stato, viceversa, un illecito vantaggio che il privato tendesse a perseguire attraverso la manipolazione prezzolata della funzione pubblica (genralmetne: il privato, nella concussione “certat de damno vitando”; nella corruzione, “certat de lucro captando”)[14].

Come già sopra accennato, dopo l’entrata in vigore della legge Severino si è registrata  una intensa attività giurisprudenziale nomofilattica, che la Cassazione ha dovuto svolgere sul diritto intertemporale, in applicazione dell'art. 2 comma 4 c.p. e tali decisioni hanno proprio riguardato il regolamento di confini tra l'art. 317 e l'art. 319quater.

Analizzando questo filone giurisprudenziale si sono potuti rintracciare tre distinti orientamenti, mentre la sentenza delle Sezioni Unite ha poi fornito una soluzione di sintesi che tuttavia sembra aver dato una “quarta soluzione”[15].

Le sentenze a cui si fa riferimento sono tre:

 - la sentenza Nardi;

  - lo schema Roscia;

 - la sentenza Melfi.

 - la decisione a Sezioni Unite in re Maldera.

Appare utile quindi analizzare le sentenze appena citate.

Lo schema della sentenza Nardi[16].

In questo primo contesto interpretativo il giudice della legge fonda la sua proposta di lettura muovendo dalla premessa che le due condotte “separate” dal legislatore hanno conservata intatta, e identica, la loro fisionomia anche nella nuova collocazione normativa.

Premesso ciò,  la giurisprudenza ha così tenuto conto di quanto deciso prima della riforma pre-Severino che, pur finalizzando tale sforzo interpretativo delle nozioni di costrizione - induzione alla distinzione fra delitto di concussione e delitto di corruzione, ha tuttavia fornito un contributo conoscitivo alla medesima questione nel tempo consolidatosi.

Su questa base, allora, il fulcro della distinzione viene ricercato nelle modalità di esercizio dell'abuso (delle qualità e dei poteri) da parte dell'agente pubblico, abuso che in questa impostazione viene individuato - sembra di capire - come il modello di condotta generale del tipo concussivo, di cui costrizione e, rispettivamente, induzione non sono che le specifiche forme di manifestazione.

La distinzione viene pertanto fissata in termini gradualistici, considerando la costrizione come progressione quantitativa della induzione (o, viceversa, l'induzione una forma di manifestazione attenuata della costrizione):

- “L'abuso di potere e di qualità si atteggia in modo diverso a seconda che il soggetto passivo soggiaccia alla costrizione oppure all'induzione. Nel primo caso vi è timore per un danno minacciato dal pubblico ufficiale, nel secondo la soggezione di preminenza su cui il medesimo, abusando della propria qualità o funzione, fa leva, per suggestionare, persuadere, o convincere a dare o promettere qualcosa allo scopo di evitare un male maggiore. In questo caso, la volontà del privato è repressa dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale, quand'anche senza avanzare aperte ed esplicite pretese, operi di fatto in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata persuasione di dover sottostare alle sue decisioni per evitare il pericolo di subire un pregiudizio eventualmente maggiore”[17].

Questo tipo di ricostruzione ha tenuto in vita la teoria del “metus” teoria sorta proprio al fine di recuperare alla concussione, sub specie di “induzione”, i casi di pressione soft o addirittura solo allusiva o implicita .

Questo primo approccio non è isolato, perché altre contemporanee sentenze sono riconducibili allo stesso alveo. Lo sono, in particolare, la sentenza nel caso Aurati, nella quale la formula del “metus” è expressis verbis evocata[18], nonché altre decisioni che pur con varianti descrittive seguono la stessa ratio: quella nel caso Vaccaro, in cui si analizza l'argomento gradualistico soprattutto in termini di intensità oggettiva della pressione, e quella, per contro, nel caso Sarno, che valorizza il diverso grado di percezione psicologica della pressione da parte del soggetto privato.[19]

La sentenza Roscia[20].

In netto contrasto con questo primo schema si pone la decisione nel caso Roscia.

Qui la Corte parte proprio dalla critica allo schema precedente, sospettandone addirittura l'incostituzionalità, nella misura in cui il criterio gradualistico-quantitativo, per la sua indubbia vaghezza rimette totalmente al giudice una valutazione caso per caso, discrezionale e pertanto contraria all'art. 25 comma 2 Cost.

Rovesciando la lettura della fattispecie, si pongono in alternativa strutturale le due condotte di costrizione e induzione, interpretate come ontologicamente diverse, anziché come due varianti, in quantitativa progressione, di un medesimo modulo comportamentale. Ora, il fulcro della condotta costrittiva viene individuato nella minaccia, e nella violenza morale che vi è insita.

Ciò premesso, dovranno valere gli stessi criteri interpretativi usati per il corrispondente delitto “comune” (quello preveduto e punito dall'art. 612 c.p.), si avrà concussione quando viene prospettato, qualunque sia il grado di pressione, un danno ingiusto; si  avrà invece induzione indebita quando la dazione venga rappresentata come il prezzo da pagare per evitare conseguenti sfavorevoli.

Nella sentenza Roscia, anche sotto il profilo sistematico politico-criminale si legge che  “sotto l'aspetto assiologico è comprensibile perché chi prospetti un male ingiusto è punibile più gravemente di chi prospetti un danno che derivi dalla legge. E ancora e soprattutto si veste di ragionevolezza prevedere in quest'ultimo caso la punizione di chi aderisce alla violazione della legge per un suo tornaconto. Viceversa, punire chi si è piegato alla minaccia, ancorché essa si sia presentata in forma blanda, significa richiedere al soggetto virtù civiche ispirate a concezioni di Stato etico proprie di ordinamenti che si volgono verso concezioni antisolidaristiche e illiberali”[21].

Anche in questo caso non è difficile riconoscere la matrice culturale di tale schema: è la più recente delle teorie pre-Severino, che si è prima ricordata come “teoria della controprestazione” (danno ingiusto vs illecito vantaggio

La sentenza Melfi.

Di fronte a un così netto contrasto di opzioni interpretative, non poteva mancare il tentativo mediatorio, o, come è stato definito, sincretistico[22].

La decisione nel caso Melfi  parte innanzitutto dalla critica allo schema Roscia, e in particolare dal suo rifiuto del criterio gradualistico-quantitativo.

Per i giudici all’interno della sentenza Melfi, la modifica legislativa non ha cambiato i contenuti strutturali della figura originaria ”la prima descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell'altrui volontà che pone l'interlocutore di fronte a un aut-aut (voluit quia coactus); la seconda una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di “spingere” taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente (coactus tamen voluit)”[23].

Fra l'altro, rimarca la Corte sempre in chiave critica, la tesi che essa contrasta sottovaluterebbe ingiustificatamente il ruolo dell'elemento-abuso (in questo caso della funzione), tenuto conto che una “minaccia” penalmente rilevante è integrata anche dalla prospettazione, a fini distorsivi, di un male “giusto” come concordemente ritiene la giurisprudenza di legittimità in tema di estorsione (art. 629 c.p.), nel caso di abuso (in quel caso del diritto) per ottenere vantaggi indebiti per il mancato esercizio di un diritto.

Quello che precede viene confermato come il criterio discretivo principale.

Facendosi però carico anche dei profili di indubbia vaghezza rivestiti da questo schema discretivo, soprattutto nelle ipotesi-limite, la sentenza in re Melfi fa spazio, come criterio accessorio, complementare di giudizio anche all'elemento del danno/vantaggio:

- “Tale indice integrativo è ragionevolmente rappresentato dal tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione. Egli è certamente persona offesa di una concussione se il pubblico agente lo ha posto di fronte all'alternativa “secca” di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto. Al contrario il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente formula una richiesta di dazione ponendola come condizione per un atto da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito”[24].

Dal tenore della sentenza si ricava in realtà l'impressione che il rapporto tra i due criteri più che di complementarietà sia di alternatività

L'intervento delle Sezioni Unite si è rivelato a questo punto indispensabile, ma è dubbio che sia risultato altrettanto risolutivo.

La sentenza Maldera.[25]

Una sentenza complessa e voluminosa, prodotta per effetto dalla rinunzia inerente al caso omonimo, ha permesso di riconsiderare i principi di applicabilità in linea al profilo del diritto intertemporale, di analizzare in termini strutturali i rapporti tra le differenti figure, nello specifico le “vecchie” e le “nuove” di briberv incriminata dal legislatore italiano del 2012, facendo un passo in avanti rispetto alla semplice analisi sui confini tra le due figure di illecito.

La decisione si può riassumere in quattro parti.

In primo luogo, attraverso la pars destruens, troviamo una critica nei confronti dei tre schemi, i quali risultano essere non sufficienti nel fornire un certo criterio discretivo, nonostante la loro capacità di evidenziare degli aspetti sicuramenti condivisibili.

Proseguendo verso la pars construens, le Sezioni Unite manifestano l’esigenza di dover porre in essere una netta differenza in merito ai rapporti che intercorrono tra i soggetti coinvolti, quali autori e vittime nella concussione, entrambi partecipi nell’induzione illecita. La ratio della decisione, si esprime in linea a quanto appena descritto. Se da un lato ritrova forza la tesi delle “distinte modalità di un’unica condotta” tradotta nell’abuso ed in sostanziale riferimento in un restauro del criterio quantitativo del metus; dall’altro lato il recupero del criterio ausiliario del danno/vantaggio, divenuto ormai integrativo ai fini della distinzione identificativa nel concetto di “induzione”, nasce soprattutto per caratterizzare al meglio quest’ultima, analizzandone la struttura di fattispecie plurisoggettiva, nonché la punibilità di entrambi e soggetti.

Di seguito si riportano dei passi particolarmente significativi:

- “In sintesi: la costrizione evoca una condotta di violenza o di minaccia. La minaccia, in particolare, quale vis compulsiva, ingenera ab extrinseco il timore di un male contra ius, per scongiurare il quale il destinatario finisce con l'aderire alla richiesta dell'indebita dazione o promessa”.

- “La tipicità della fattispecie induttiva è quindi integrata dai seguenti elementi: 1) l'abuso prevaricatore del pubblico agente; 2) il fine determinante di vantaggio indebito dell'extraneus. Conclusivamente, il funzionario pubblico, ponendo in essere l'abuso induttivo, opera comunque da una posizione di forza e sfrutta la situazione di debolezza psicologica del privato, il quale presta acquiescenza alla richiesta non certo per evitare un danno contra ius, ma con l'evidente finalità di conseguire un vantaggio indebito (certat de lucro captando)”.

Da ciò ne discende che la Corte apporti un cambio di direzione, affermando che:

- “Devesi, tuttavia, rilevare che il percorso argomentativo sin qui sviluppato nel tracciare il discrimen tra i concetti di costrizione e di induzione è certamente fruibile, senza alcuna difficoltà, in quei casi in cui la situazione di fatto non evidenzia incertezze di sorta, nel senso che appare chiaro, sul piano probatorio, l'effetto perentoriamente coartante ovvero quello persuasivo che l'abuso del pubblico agente cagiona sulla libertà di autodeterminazione della controparte. Non possono però sottovalutarsi casi più ambigui, border line, che si collocano al confine tra concussione e induzione indebita, per i quali non sempre è agevole affidarsi, quasi in automatico, al modello interpretativo qui privilegiato”.

Per quanto possa apparire scontato definiti dalla Corte “zona grigia”, richiedono principi discretivi molto solidi. Le Sezioni Unite, forniscono un catalogo di esempi riferiti alla zona grigia, di seguito sintetizzati:

- Abuso generico di qualifica: il caso del pubblico ufficiale che “fa pesare, per conseguire la dazione, tutto il peso della sua posizione soggettiva, senza alcun riferimento al compimento di uno specifico atto del proprio ufficio o servizio”;

- Esposizione di un danno generico, “che il destinatario, per autosuggestione o per metus ab intrinseco, può caricare di significati negativi, paventando di poter subire un'oggettiva ingiustizia”[26];

- Minaccia-promessa o minaccia-offerta: fattispecie che “che ricorre quando il pubblico agente che non si sia limitato a minacciare un danno ingiusto (ad es., l'illegittima e arbitraria esclusione da una gara d'appalto) ma abbia allettato contestualmente il suo interlocutore con la promessa di un vantaggio indebito (aggiudicazione certa dell'appalto pubblico a scapito dei concorrenti)”;

- Minaccia dell'uso di un potere discrezionale: in riferimento all’uso concreto della discrezionalità amministrativa.

Alla luce di tali criticità, la sentenza, considerando che “il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e staticità, di individuare il reale disvalore di vicende che occupano la c.d. “zona grigia” diminuisce le proprie certezze ed allarga il modello interpretativo.

Da quanto sopra esposto appare chiaro come vi siano stati una modifica dei modelli organizzativi imposti dalla nuova normativa, basti pensare alle modifiche dell’art. 25 d.lgs n. 231/2001 introdotte dalla neo-incriminazione del privato indotto, oppure alla novità dell’art. 318, ci troviamo dinanzi alla necessità di revisione rispettivamente in senso estensivo e rimodulatorio. In tal senso, la necessità di una chiara visione sia del quadro normativo-formale, sia del diritto in riferimento alla formazione giurisprudenziale, è indispensabile tanto per gli organismi di vigilanza sottoposti a regime dell’art. 321, quanto per la dirigenza stessa. Tuttavia, ciò che sembrerebbe prevalere sui punti fermi, sono questioni di difficile risoluzione in via interpretativa, a causa della generalità dei vizi sulla norma.

Alla luce di tali questioni che rimangono aperte e di difficile risoluzione, la Cassazione avrà il compito di dare coerenza e stabilità ai quesiti fino ad ora affrontati e di svolgere una funzione orientativa, nel modo più lineare possibile, per le persone giuridiche e per i destinatari della norma.

3.1 La sentenza delle Sezioni Unite 24 ottobre 2013, Maldera e la distinzione tra concussione e induzione indebita

Sono trascorsi sette anni da quando la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha emesso la sentenza Maldera, con tale  pronuncia la Suprema Corte ha posto fine ad un contrasto giurisprudenziale in materia di diritto penale e più in particolare, come già sopra esposto, in tema di demarcazione tra la concussione riformata ex art. 317 c.p. e l'induzione indebita di nuovo conio ex art. 319 quater c.p.[27]

Vale la pena evidenziare come  da una parte la  riforma contenuta nella L. n. 190/2012 abbia calamitato l'attenzione della comunità scientifica, così come il deposito della motivazione a sezioni unite, mentre dall'altra a parte in dottrina si sia  perlopiù ignorato la produzione giurisprudenziale successiva alla pubblicazione della sentenza Maldera[28].

Appare evidente ora più che mai come la funzione della Corte di Cassazione dopo la pronuncia della sentenza a sezioni unite sia una funzione nomofilattica, tale per cui ,  ad oggi si è individuato un  criterio discretivo tra i due reati, con  conseguenze in termini di uguaglianza e prevedibilità della decisione giudiziaria.

Ricordando ciò che è stato statuito all’interno della sentenza Maldera di evidenzia quanto segue:

“a. la concussione si caratterizza da un elemento di tipicità - la minaccia - che ha come riferimento la condotta vincolata del delitto di estorsione ex art. 329 c.p.;

b. l'induzione indebita, invece, è un reato a concorso necessario caratterizzato dalla punibilità di entrambi i soggetti contraenti del pactum sceleris. Pertanto, più che della concussione, lo schema tipico è quello della corruzione. Da ciò, si desumono i due elementi caratterizzanti il delitto di nuovo conio: l'assenza della minaccia da parte dell'intraneus ed il vantaggio indebito conseguito/conseguibile dall'extraneus.”[29]

Pur tuttavia la stessa Corte si è preoccupata di evidenziare come vi siano delle pronunce di merito in cui vi sia la presenza di differenti gradi del danno ingiusto e del vantaggio indebito in capo al privato  che ad ogni  modo no consentono di applicare i principi di diritto che sono stati enunciati all’interno della sentenza di cui al presente paragrafo, tanto che , precisa la Corte che il giudice dovrà procedere “alla esatta ricostruzione in fatto della vicenda portata alla sua cognizione, cogliendone gli aspetti più qualificanti, e quindi al corretto inquadramento nella norma incriminatrice di riferimento, lasciandosi guidare, alla luce comunque dei parametri rivelatori dell'abuso costrittivo o di quello induttivo, verso la soluzione applicativa più giusta”.[30]

La sentenza si preoccupa di elencare tali macro ipotesi:

le situazioni cc.dd. miste, di minaccia-offerta o minaccia-promessa;

i casi non classificabili, in cui è necessario impiegare il criterio sussidiario del bilanciamento dei beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale;

 la minaccia dell'uso di un potere discrezionale;

 la prospettazione di un danno generico, per mezzo di autosuggestione o per metus ab intrinseco;

 la presenza del c.d. abuso di qualità.[31]

In merito a questa ultima ipotesi all’interno della sentenza, la Corte ha espresso un parere  in relazione alla posizione soggettiva del pubblico ufficiale ed alla forma di abuso , secondo i i giudici di legittimità, la forma di abuso “si presta ad una duplice plausibile lettura, in quanto può porre il privato in una condizione di pressoché totale soggezione, determinata dal timore di possibili ritorsioni antigiuridiche, per evitare le quali finisce con l'assecondare la richiesta; ovvero può indurre il privato a dare o promettere l'indebito, per acquisire la benevolenza del pubblico agente, foriera potenzialmente di futuri favori, posto che il vantaggio indebito, sotto il profilo contenutistico, può consistere, oltre che in un beneficio determinato e specificamente individuato, anche in una generica 'disponibilità clientelare' del pubblico agente”.

3.2  Elementi comuni e differenziali alle fattispecie di concussione e induzione

L’analisi fin qui esposta ci ha portati  ad una disamina che riguarda le disposizioni di cui agli artt. 317 e 319 quater, ma deve consentire al giudice  di ipotizzare con ragionevole sicurezza in quale norme penali rientri la fattispecie concreta.

In ordine alla differenza tra induzione indebita e corruzione, all’interno della sentenza si legge che “ciò che rileva è il diverso modo con cui l’intraneus, nei due delitti, riesca a realizzare l'illecita utilità: la corruzione è caratterizzata (...) da un accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale parità sinallagmatica, tra i due soggetti, che mirano ad un comune obiettivo illecito; l'induzione indebita, invece, è designata da uno stato di soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è innescato, in sequenza causale, dall'abuso del funzionario pubblico, che volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo”.[32]

Sul punto in dottrina si è evidenziato come il principio contenuto all’interno della statuizione in esame sia in realtà poco praticabile, poiché, individuare nella soggezione psicologica del privato, l’elemento caratterizzante  pare ledere il principio di sufficiente determinatezza  della norma in diritto penale, potendo mostrare il fianco a degli atteggiamenti vittimologici che rischiano di andare oltre rispetto alla condotta posta in essere dall'intraneus.[33]

Altro punto sottolineato è il fatto che  la Corte stessa, passi improvvisamente dalle classificazioni astratte all'individuazione di un criterio concreto, sicuro e determinato: “indice sintomatico dell'induzione è certamente quello dell'iniziativa assunta dal pubblico agente”.

Da tale elemento però non appare comunque facile affermare che a contrario che la Corte ritenga che nella corruzione propria l'iniziativa sia sempre del privato.

Ciò premesso, è di tutta evidenza come l'istigazione alla corruzione propria ex art. 322, comma 4 e sanziona la condotta dell'intraneus che  “sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte del privato per le finalità...”.

Se così è appare chiaro che il delitto si strutturi come un reato di pura condotta , la cui lettera impone all'intraneus di non chiedere ciò che non gli è dovuto.

Se il privato non accetta, la condotta si sussume pacificamente nel delitto di istigazione alla corruzione propria.

Ma se il privato accetta?

Se il privato accetta, sembra  destinatario di due norme: la sua condotta infatti diviene sì rientrante nel paradigma del corruttore ex artt. 319 e 321, ma anche dell'indotto ex art. 319 quater, comma 2.

Sembra quasi infatti che le due condotte non hanno alcuna differenza:

 - art. 321: “le pene stabilite (...) si applicano anche a chi dà o promette (...) il denaro od altra utilità”, cioè la reclusione da sei a dieci anni;

- art. 319 quater, comma 2: “chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”.

Come si spiega allora la diversa comminazione della pena?  La forbice infatti sembra di gran lunga più grave guardando all’art. 321 c.p.

Come già fin qui  esposto sembra che il discrimen nelle predette figure reatuali sia proprio costituito dall’elemento soggettivo che dovrebbe costituire la misura del disvalore complessivo del reato.

All’interno del nuovo art. 319 quater, comma 2, infatti, ritroviamo il c.d. disvalore di intenzione ,  ad essere notevolmente inferiore rispetto all'ipotesi del corruttore, perché il privato indotto è punibile  solo in presenza della richiesta dell'intraneus, quindi, solo in presenza della sua disponibilità ad abusare del suo ruolo.

Questo elemento, posto in relazione alle norme destinate ai pubblici ufficiali, porta ad individuare nell'iniziativa dell'intraneus il possibile criterio tra induzione e corruzione.

Tale condotta e criterio prima dell’introduzione della novella legislativa di cui al presente lavoro, era di difficile indicazione anche e soprattutto in termini di punibilità, si riteneva in giurisprudenza, infatti, che non poteva rimanere esente da pena  il privato che, pur  non titolare dell'iniziativa, avesse comunque concluso un pactum sceleris a lui favorevole, a danno della collettività[34].

Con l’introduzione dell’art.  ex art. 319 quater, comma 2, viene punito anche la  criminalizzazione del privato indotto.

Ma a questo punto  ci si deve chiedere in che modo il giudice debba valutare la condotta del privato qualora  quest’ultimo commetta un fatto atipico, che addirittura lo connota quale persona offesa del reato?

La soluzione proposta dalla sentenza Maldera sembra restringere il campo alla c.d.  nota modale implicita che rende strettamente vincolata la condotta: la violenza o la minaccia.

In altre parole, la costrizione assume rilevanza qualora ai sensi dell’art. 317 la tentata estorsione diventi aggravata dalla qualifica di pubblico ufficiale ex artt. 56, 629, 61, n. 9.

Pertanto, ogni qual volta la condotta non raggiunga gli estremi per integrare tali requisiti ma vi sia l'iniziativa dell'intraneus, accettata dal privato, si versa nel caso di induzione ex art. 319 quater. D'altra parte, in caso di rifiuto dell'extraneus, nell'ipotesi di istigazione alla corruzione passiva ex art. 322, comma 4.

Ogni qual volta invece l'iniziativa sia in capo al privato, la norma a rilevare sarà quella della corruzione propria ex art. 319.

3.3 La legge n. 69/2015

Con la legge n.69 del 2015, contenente le “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione , di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, il legislatore italiano è infatti tornato sulla disciplina penale della corruzione pubblica e fattispecie contigue, con l’intento di rafforzare ulteriormente il bene giuridico protetto dalla norma.[35]

Il legislatore è intervenuto al fine di inasprire la pena in tema di  concussione, corruzione e induzione indebita, fino a toccare figure di reato di tipo societario.

L’intervento riformatore del 2015 ha inciso in vario modo sulla disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la P.A.

Vale la pena evidenziare come le leggi in commento siano intervenute con scelte opposte.

La legge Severino, infatti,  nel riformulare le fattispecie di reato, aveva in qualche modo la fattispecie “indietro nel tempo” a quelle che furono le previsione del codice Rocco, innovato in chiave estensiva dalla legge n.86\1990.

Riformulando l’articolo, la legge 190 aveva affermato che solo solo il pubblico ufficiale avrebbe potuto ingenerare il c.d. metus pubblicae potestatis.

Per quanto attenente alle condotte del solo incarico di pubblico servizio la legge ha previsto come alla concussione siano subentrate le fattispecie comuni di estorsione (art. 629 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) o violenza sessuale (art. 609-bis c.p.); tutte aggravate dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.)[36] .

In dottrina si è però evidenziato come, rispetto all’ipotesi ex art. 629 c.p., vi sia un forte dislivello sanzionatorio in attrito con l’art. 3 Costituzione.

A questo punto, sarà compito del giudice verificare in concreto quale sia la disposizione più favorevole per gli abusi costrittivi commessi prima della l. n. 190/2012 e per quelli successivi a questa ma anteriori alla novella del 2015[37].

Il legislatore del 2015 ha previsto in tema di pena che: “il tentativo di intraprendere un percorso non monoliticamente repressivo, ma più costruttivo sul piano della tutela degli interessi delle amministrazioni pubbliche”.

Su tale punto la riforma ha, infatti, previsto il recupero del lucro illecito ottenuto dai funzionari pubblici, con l’introduzione dell’ art. 323-quater c.p., che prevede una nuova misura cogente di  riparazione pecuniaria,consistente nel “pagamento di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio”.

Il pagamento è testualmente imposto “a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno”.

A seguito della riforma  si poteva o  introdurre una vera e propria causa di non punibilità fondata sulla collaborazione o prevedere in casi simili un’attenuazione della pena, ferma l’obbligatorietà dell’azione penale e della condanna in presenza dei requisiti di un patto corruttivo.

Questo tipo di critiche ha comportato l’approdo da parte del legislatore del 2015 di non spingersi sul terreno della premialità sino a prevedere una causa speciale di non punibilità.

Si è ritenuto più ragionevole, cercare di intervenire al fine di rompere l’omertà che lega le due parti dell’accordo corruttivo, senza però rompere il legame tra reato e pena.

E’ stato aggiunto così il reato di cui all’art. 323-bis c.p.: “Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi”.

Le condotte che vengono premiate sono quelle  sul piano delle prove o sul piano strettamente materiale.

In relazione ai reati commessi dopo la data di entrata in vigore della legge (14 giugno 2015), la collaborazione può temperare i consistenti aumenti edittali stabiliti dalla L. n. 69 del 2015. Al riguardo, l’incentivo alla denuncia e alla collaborazione dei privati corruttori sarebbe risultato sicuramente maggiore nel caso in cui il legislatore avesse limitato agli intranei alla p.a. l’incremento delle soglie edittali di pena dei delitti di corruzione. “Ma non era affatto agevole infrangere l’impostazione tradizionale che, nel nostro sistema penale, equipara nel trattamento punitivo entrambi i lati del pactumsceleris.”[38]

3.4  Il  captatore informatico alla luce della riforma del d.lgs. 216/2017

Chi non  ricorda il leggendario cavallo di Troia?

Lo strumento con cui Ulisse, uomo dall’inestimabile ingegno, riuscì ad entrare nelle mura delle città ed a conquistarla.

Il virus trojan probabilmente prende il nome proprio dalla leggenda narrata da Omero, con ‘l’inganno’con un semplicissimo download entra all’interno dell’apparecchio che si vuole intercettare.

Il sistema è abbastanza intuitivo, una volta installato il virus informatico, permette alla p.g. di controllare tutto ciò che viene digitato all’interno dello smartphone, del tablet o nel computer. 

Ogni qual volta si parla di captatore informatico in ambito investigativo, tuttavia, è necessario distinguere due diverse modalità: online  search e online surveillance.

I primi permettono di fare copia, totale o parziale, delle unità di memoria di sistema informatico individuato come obiettivo. I dati sono trasmessi in tempo reale o ad intervalli prestabiliti agli organi di investigazione tramite la rete internet in modalità nascosta o protetta.

Con i secondi, invece, è possibile captare il flusso informatico intercorrente tra le periferiche  - video, microfono, tastiera, webcam – ed il microprocessore del dispositivo bersaglio, consentendo al centro remoto di controllo di monitorare in tempo reale tutto ciò che viene visualizzato sullo schermo c.d. screenshot, digitato sulla tastiera le c.d. keylogger o pronunciato al microfono.

Si tratta di software che, prescindendo dalle autorizzazioni dell’utente, si installano in un sistema scelto come obiettivo e ne acquisiscono qualsiasi informazione.

La natura polivalente di tali strumenti, in un primo momento ha comportato l’aver considerato tali strumenti prove atipiche, al fine di poterne fare largo uso ai fini processuali e di accertamento della verità.[39]

Quando infatti ci si trova dinnanzi ad una prova atipica, in materia di diritto processuale, la normativa impone  soltanto che siano rispettate le tre condizioni della sua idoneità all'accertamento, dell’assenza di pregiudizi per la libertà morale della persona e dell’ assunzione in contraddittorio prima di procedere alla sua ammissione.

Tale definizione però non ha convinto, proprio per le caratteristiche dei captatori informatici , quest’ultimi infatti  insidiano parecchio non solo la libertà e segretezza della corrispondenza, ma anche quella personale e di domicilio per le quali la Costituzione impone la riserva di legge e di giurisdizione non ammettendo prove ed investigazioni atipiche che incidano sul nucleo dei diritti inviolabili di cui agli artt. 13, 14 e 15 Costituzione.

 A tal fine, si potrebbero prospettare due diverse strade:

inquadrare ciascuna singola attività di indagine compiuta fra le fattispecie già positivamente regolate dalla legge processuale, come quelle di ispezione, intercettazione, perquisizione e sequestro;

in assenza di una regolamentazione normativa ad hoc, dovrebbe prospettarsi un uso limitato se non escluso delle relative risultanze.

Risale al 2009 una delle prime pronunce in cui si chiedeva alla Corte di Cassazione se fosse possibile l’utilizzo da parte della polizia giudiziaria, di un software “spia” per acquisire e copiare file contenuti all'interno di un personal computer in uso agli indagati. In quella occasione, l'attività investigativa venne autorizzata dal pubblico ministero tramite un decreto di acquisizione ex art. 234 c.p.p. e qualificata come attività di acquisizione dati.[40]

 Nel caso di cui alla sentenza sopra citata  le prove erano relative alla memorizzazione non di un mero “ flusso di comunicazioni” ma riguardava la  relazione operativa tra microprocessore e video del sistema elettronico all'interno del personal computer.[41]

A tal riguardo non sarebbe stata utile nemmeno richiamare la disciplina sugli accertamenti tecnici irripetibili, atteso che le operazioni compiute non avevano comportato l'alterazione né la distruzione dell'archivio informatico.

Si trattava, quindi, di una attività ripetibile qualora si fosse approdato ad uno sviluppo dibattimentale del procedimento.

Peraltro, nella pronuncia presa in considerazione  la reale situazione di fatto non perorava la definizione di prova atipica dell’attività investigativa.

Successivamente, con la pronuncia a Sezioni Unite, nota come sentenza “Scurato” ha individuato i casi di impiego del captatore circoscrivendolo ai reati di criminalità organizzata .

Dopo aver individuato le caratteristiche tecniche del dispositivo   La Suprema Corte ha posto l’ attenzione sulla qualificazione giuridica dell'attività di indagine svolta dagli inquirenti: attività che non può svolgersi all’interno di intercettazioni di tipo “ambientale”.

Tutto ciò premesso, appare evidente che quanto disposto in sede di legittimità dal Supremo Collegio a Sezioni Unite, riferibili a tale tipo di intercettazione sono gli artt.  artt. 266, 267 e 271 c.p.p. e quelli di cui all'art. 13 del d.l. n. 152/1991 stante la contestazione di un reato di criminalità organizzata.

Di più immediata applicazione , invece , appare l’utilizzo delle intercettazioni nei reati di corruzione, concussione e peculato.

Ciò grazie all’intervento legislativo di cui all’art. 6 del decreto legislativo 216/2017, che ha previsto l’estensione alle inchieste a carico di pubblici ufficiali indagati per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione delle condizioni e dei presupposti già previsti per l'utilizzo di questo mezzo di ricerca della prova nei procedimenti relativi ai reati di criminalità organizzata.

La stessa novella legislativa ha poi previsto in materia di reati commessi dai pubblici ufficiali che possano essere applicati i virus trojan horse che, inseriti dalla polizia giudiziaria nei dispositivi portatili li trasforma in apparecchi audio-video-rice-trasmittenti di quanto avviene attorno a chi li possiede.

La riforma ha delegato il Governo ad adottare provvedimenti per novellare la materia delle intercettazioni telefoniche, disciplinare l'uso del captatore informatico e semplificare le condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Per quanto attiene i reati di corruzione , concussione, induzione indebita e peculato, è ora sempre possibile impiegare le intercettazioni, telefoniche e ambientali, a condizione che siano presenti sufficienti  indizi di reato e a condizione che esse siano necessarie ai fini dello svolgimento  delle indagini. La durata delle operazioni, a differenza di quanto previsto per le ipotesi ordinarie è di 40 giorni, prorogabili dal Gip.

3.5 Traffico di influenze illecite

Tra gli interventi di riforma dell'apparato repressivo a contrasto dei fenomeni corruttivi messi in campo dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, spicca la riforma del delitto di traffico di influenze illecite, che mette in evidenza in maniera esemplare la logica di fondo che ha ispirato l'intera riforma anticorruzione. Si allude alla ormai sempre più radicata consapevolezza delle capacità massmediatiche del diritto penale e alla sopravvalutazione delle sue capacità nel contrasto ai macrofenomeni criminosi sistemici. In effetti, di fronte ai fenomeni criminali sistemici che generano allarme sociale anche a prescindere dalla loro reale consistenza, il legislatore continua a puntare tutto sull'apparato repressivo e a disinteressarsi degli strumenti/discipline di prevenzione non penali. Conseguentemente, lo strumento penalistico viene utilizzato, non già come mezzo sussidiario di tutela in presenza della conclamata insufficienza dei rimedi alternativi, ma come mezzo di lotta al fenomeno criminoso e in definitiva come una sorta di sostituto a basso costo di discipline non penali realmente efficaci ma politicamente meno appaganti e più complesse da elaborare. A questa logica di fondo, fa da pendant sul piano tecnico il progressivo allontanamento dal crisma caratterizzante il diritto penale moderno e segnatamente dal principio di tipicità e dalle garanzie a cui esso assolve.

Così, il legislatore, per potenziare l'azione di contrasto al fenomeno corruttivo di tipo politico-affaristico sistemico in cui l'intesa corruttiva si realizza grazie alla figura del mediatore senza che corrotto e corruttore entrino in contatto direttamente, anziché occuparsi prima di tutto della disciplina extrapenale del lobbismo, ha puntato ancora una volta tutto sulla disciplina penale giungendo alla costruzione di una (mini-) macro-fattispecie incriminatrice di traffico di influenze illecite dai confini sempre più incerti e sempre meno espressione di un tipo criminoso omogeneo, munita di un apparato sanzionatorio ai limiti della ragionevolezza. L'intervento riformatore della L. 9 gennaio 2019, n. 3, al fine “di fare terra bruciata” intorno al fenomeno corruttivo, ha ampliato sensibilmente il raggio d'azione del delitto di traffico di influenze illecite e ne ha rafforzato l'apparato sanzionatorio. Per quanto riguarda la struttura della fattispecie incriminatrice, l'estensione della portata applicativa del delitto di traffico di influenze illecite è stata realizzata muovendosi in più direzioni. Anzitutto, il legislatore, per un verso, recependo le sollecitazioni internazionali, ha sganciato la fattispecie incriminatrice dal requisito implicito della necessaria idoneità della influenza venduta ad incidere effettivamente sul pubblico agente e, per un altro verso, ha abrogato l'art. 346 c.p. che prevedeva il delitto di millantato credito.

Conseguentemente, sia il mediatore che il committente della mediazione sono punibili ai sensi del riformato art. 346-bis c.p. a prescindere dalla reale capacità del mediatore di influenzare il pubblico agente. In secondo luogo, il legislatore, riformulando il comma 1 dell'art. 346-bis c.p. con la sostituzione della parte “..ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio” con “...ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”, ha ampliato la direzione finalistica del traffico di influenze illecite attribuendo rilevanza anche alla corruzione per l'esercizio della funzione. Con la conseguenza che assume rilevanza il patto d'influenze illecite c.d. gratuito o c.d. oneroso realizzato in vista del compimento del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, che prima della riforma non rientrava tra i reati scopo delle due forme di traffico di influenze illecite.

In terzo luogo, il raggio d'azione della fattispecie incriminatrice è stato ulteriormente esteso ampliando l'ambito della prestazione del committente della mediazione, che non è più circoscritta al vantaggio di carattere patrimoniale essendo stata estesa a qualsiasi utilità.

Infine, il processo espansivo del raggio d'azione della fattispecie incriminatrice è stato completato inserendo i pubblici agenti internazionali indicati dall'art. 322-bis c.p. tra i destinatari dell'influenza illecita.

Per quanto riguarda l'apparato sanzionatorio, il rafforzamento ha riguardato non solo il limite massimo della pena principale che passa da 3 anni a quattro anni e sei mesi di reclusione, ma anche le pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione. Ed infatti, in primo luogo, il delitto di traffico di influenze illecite è stato inserito nell'ambito del catalogo dei reati ai quali, ai sensi dell'art. 32-quater del c.p., consegue la pena accessoria dell'incapacità temporanea di contrarre con la pubblica amministrazione se commessi in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale ovvero in relazione ad essa.

Nell'ambito di quelli previsti dal riformulato art. 317-bis c.p. a cui conseguono le pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell'incapacità in perpetuo di contrarre con la pubblica amministrazione in caso di condanna ad una pena superiore a due anni nonché dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici e della incapacità temporanea di contrarre con la pubblica amministrazione in caso di condanna pari o inferiore ai due anni oppure di sussistenza delle circostanze attenuanti di cui all'art. 323-bis c.p. In secondo luogo, il traffico di influenza e illecite è stato inserito nel novero dei reati per i quali, in caso di concessione della sospensione condizionale della pena, il giudice - in deroga alla disciplina generale di cui all'art. 166 c.p. - può disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie. In terzo luogo, il riformato traffico di influenze illecite è stato inserito tra quelli per i quali in caso di patteggiamento: a) la parte può subordinare la richiesta di cui all'art. 444, comma 1, c.p.p., alla esenzione dalle pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici o della incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione oppure all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie; e il giudice, qualora ritenga di dovere applicare tali pene accessorie oppure che l'estensione degli effetti della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta di patteggiamento; b) il giudice può comunque applicare le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e della incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione anche se la pena irrogata non supera i due anni di reclusione.

Nel quadro del rafforzamento dell'apparato sanzionatorio si colloca poi anche l'inserimento del traffico di influenze illecite nell'orbita dei reati che determinano la responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

Gli aspetti più significativi della riforma del delitto di traffico di influenze illecite, v'è, da un lato, il disancoramento della fattispecie incriminatrice dal requisito (implicito) della “esistenza di relazioni con il pubblico agente idonee a condizionarne efficacemente l'attività”, che delimitava i confini esterni del traffico di influenze illecite rispetto al millantato credito e, dall'altro lato, l'abrogazione dell'art. 346 c.p., che prevedeva per l'appunto il reato di millantato credito. In effetti, il delitto di traffico di influenze illecite nella formulazione originaria si considerava applicabile esclusivamente alle ipotesi in cui si raggiungeva la tutt'altro che agevole prova che il mediatore al momento del patto poteva contare su una effettiva relazione con il pubblico agente concretamente idonea ad influenzarne l'attività, mentre nelle ipotesi in cui le relazioni con il pubblico agente non risultavano concretamente idonee a condizionarne i poteri o il servizio si riteneva applicabile il previgente delitto di millantato credito.

Ebbene, il disancoramento del traffico di influenze illecite dalla esistenza di relazioni con il pubblico agente idonee a condizionarne efficacemente l'attività ha comportato la creazione di una (mini-)macro-fattispecie incriminatrice nell'ambito della quale finiscono per rientrare patti d'influenza illecita connotati da un contenuto di disvalore non proprio omogeneo. Da un lato, il traffico di influenza "effettivo", nel quale il patto illecito ha ad oggetto una relazione effettivamente esistente e un potere di influenza capace di condizionare realmente il pubblico agente, ed in cui disvalore consiste nel pericolo concreto di contatto illecito con il pubblico agente; e dall'altro lato, il traffico di influenze “potenziale”, nel quale il patto illecito non ha ad oggetto un potere di influenza effettivamente idoneo a condizionare il pubblico agente, in cui indubbiamente la anticipazione della tutela è più accentuata e il disvalore più rarefatto. Così, ad esempio, si pensi al caso in cui il mediatore al momento del patto illecito non possa contare su una relazione realmente esistente con il pubblico agente e si faccia remunerare per instaurarla in vista di una eventuale mediazione illecita.

Più problematico invece è stabilire se alla nuova (mini-)macro-fattispecie sia riconducibile anche il traffico di influenze “putativo/impossibile” in cui mediatore, privo di qualsiasi possibilità di influenza sul pubblico agente, ingannando il committente, si faccia dare o promettere utilità. In effetti, la punibilità del traffico di influenze putativo/impossibile sembra compatibile sia con l'espressione del riformulato art. 346 bis c.p. “vantando relazione asserite” sia con la voluntas legis che emerge chiaramente dalla Relazione al disegno di legge nella parte in cui afferma che “...nelle normative sovranazionali, l'eventuale "inganno" di una parte ai danni dell'altra ed il conseguente buon esito dell'operazione non incidono in alcun modo sulla configurabilità della fattispecie e sulla responsabilità dei soggetti coinvolti..”[42]. Sennonché, alla riconducibilità del traffico di influenze illecite putativo/impossibile al riformato art. 346 bis c.p. osta il principio di offensività e prima ancora di materialità del reato. Ed infatti, mentre il disvalore della condotta del venditore di fumo, potrebbe essere colto sul versante del prestigio della pubblica amministrazione, offeso dalla millanteria rivolta al committente che fa apparire il pubblico agente sensibile alle ingerenze indebite. Al contrario, il disvalore della condotta del committente della mediazione è privo di reale consistenza materiale concentrandosi essenzialmente sul fine illecito perseguito. Conseguentemente, per rendere compatibile la riformulata fattispecie incriminatrice con il principio di materialità e di offensività, occorre interpretare vantando relazioni asserite come relazioni con il pubblico agente non esistenti al momento del patto ma che è possibile instaurare in vista di una eventuale mediazione illecita.

Problematica appare anche la riformulazione del primo comma dell'art. 346 bis c.p. e segnatamente la sostituzione del periodo “...ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”[43] con “... ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”. In effetti, sulla base della precedente formulazione della fattispecie incriminatrice[44] , si riteneva che sia la mediazione a titolo gratuito che quella a titolo oneroso dovessero essere indirizzate al compimento da parte del pubblico agente di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

Ebbene, se, per un verso, la riformulazione del primo comma dell'art. 346-bis c.p. amplia chiaramente la direzione finalistica del traffico di influenze illecite c.d. gratuito fino al compimento di atti funzionali remunerati riconducibili al delitto di corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318 c.p.), per un altro verso, più complicata risulta la delimitazione dei confini del traffico di influenze illecite c.d. oneroso, in quanto venendo meno il riferimento “al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”, la selezione delle mediazioni c.d. onerose rilevanti è affidata unicamente ai due incerti requisiti del carattere indebito della prestazione del committente e della illiceità della mediazione del mediatore. In particolare, non è agevole stabilire se nel riformato traffico di influenze c.d. oneroso l'illiceità della mediazione riguardi esclusivamente le modalità che il mediatore si impegna ad usare per influenzare il pubblico agente oppure anche lo scopo della mediazione. In sostanza, ci si chiede se, a seguito della riformulazione della fattispecie incriminatrice, a concorrere a fondare il contenuto di disvalore del reato sia ancora lo scopo dell'attività di influenza oppure il contenuto di disvalore si fondi esclusivamente sui mezzi di persuasione che il mediatore si propone di usare per influenzare la decisione del pubblico agente.

La riformulazione del primo comma dell'art. 346-bis c.p. potrebbe spingere a ritenere che il traffico di influenze c.d. oneroso abbia cambiato paradigma funzionale e si incentri esclusivamente sulle modalità di pressione che il mediatore si propone di utilizzare per persuadere il pubblico agente a compiere l'atto funzionale. Secondo questa prospettiva interpretativa, la punibilità del traffico di influenze non dipenderebbe dalla natura della decisione del pubblico agente, che potrebbe essere indifferentemente legittima o illegittima, ma dai mezzi che il mediatore si impegna ad utilizzare per influenzare il pubblico agente. Sennonché, in assenza di una disciplina organica del lobbismo[45], a cui ancorare il profilo di illiceità modale della mediazione, non solo i confini della riformata fattispecie incriminatrice risulterebbero davvero inafferrabili, visto che spetterebbe al giudice penale individuare di volta in volta le modalità abusive rilevanti, ma si correrebbe il rischio di punire fatti connotati da un contenuto di disvalore eccessivamente rarefatto[46]. Così, ad esempio, incentrando il disvalore della mediazione onerosa su indeterminate modalità abusive di contatto con il pubblico agente, si potrebbe giungere ad attribuire rilevanza penale anche alla mediazione onerosa con la quale il mediatore si impegna ad influenzare l'esercizio legittimo delle funzioni del pubblico agente utilizzando non solo le proprie capacità professionali ma anche pregresse relazioni personali.

Ecco allora che, al fine di conferire al traffico di influenze c.d. oneroso un sufficiente livello di determinatezza e un contenuto di disvalore pregnante ed omogeneo a quello del traffico di influenze c.d. gratuito, in primo luogo, è necessario ancorare l'illiceità della mediazione onerosa allo scopo dell'attività d'influenza; in secondo luogo, occorre identificare l'obiettivo finale dell'influenza compravenduta, non già nel mero esercizio illegittimo delle funzioni o dei poteri del pubblico agente a vantaggio del committente della mediazione, ma in un illecito penale idoneo a produrre indebiti vantaggi al committente, compreso il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione cui all'art. 318 c.p., che prima della riforma non rientrava tra i reati scopo né del traffico di influenze illecite c.d. gratuito né del traffico di influenze illecite c.d. oneroso.

Per quanto riguarda il rapporto tra il riformato traffico di influenze illecite e i reati scopo del pactum sceleris, l'inserimento nella clausola di riserva dell'art. 346-bis c.p., accanto ai reati di corruzione propria (art. 319 c.p.) e di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.), dei reati di corruzione di cui agli artt. 318 e 322-bis c.p. esclude la configurabilità del concorso con tali reati nel caso in cui successivamente al traffico di influenze illecite tali delitti si perfezionino.

Per quanto riguarda gli altri reati puniti più gravemente del traffico di influenze illecite ai quali può essere finalizzata la mediazione illecita e non presi in considerazione dalla clausola di riserva come ad esempio l'abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), la turbativa d'asta (art. 353 c.p.) o la rivelazione di segreti d'ufficio (art. 326 c.p.), il concorso di reati va escluso in quanto il traffico d'influenze risulta assorbito in questi più gravi delitti. E analogamente il concorso di norme va escluso nel caso in cui il patto d'influenze sia finalizzato al delitto di istigazione alla corruzione propria (art. 322, comma 2°, c.p.), perché ammettere il concorso reale di norme sarebbe irragionevole visto che esso va escluso nella più grave ipotesi della corruzione consumata. Al contrario, pare difficile escludere il concorso con il delitto di omissione d'atti d'ufficio (art. 328 c.p.), visto che essendo meno grave del traffico d'influenze quest'ultimo non può considerarsi assorbito.

In conclusione, la neonata (mini-)macro-fattispecie di traffico di influenze illecite appare davvero problematica sul versante dei principi di garanzia, in quanto ancora più indeterminata e disomogenea di quella elaborata dalla L. n. 190 del 2012. Peraltro, va osservato come la costruzione della nuova (mini)-macro-fattispecie di traffico di influenze non possa neppure essere caricata di eccessive aspettative sotto il profilo politico-criminale.

Ed infatti, se, per un verso, la costruzione di una macro-fattispecie può produrre una certa semplificazione probatoria, in quanto ai fini dell'accertamento del delitto di traffico di influenze illecite non sarà più necessario dimostrare la esistenza di un effettivo potere di influenza sul pubblico agente; per un altro verso, non potranno essere adoperati i mezzi di ricerca della prova utilizzati per l'accertamento del previgente delitto di millantato credito, visto che la incrementata pena edittale non consente le intercettazioni. Senza considerare che la punibilità di ambedue le parti del patto illecito e l'esclusione del traffico di influenze illecite dal novero dei reati ai quali è applicabile la nuova causa di non punibilità di cui all'art. 323-ter, comma 1°, c.p. non favorirà l'emersione del patto di influenze illecite. Inoltre, si consideri che, essendo il limite massimo edittale inferiore a cinque anni di reclusione, il riformato traffico di influenze illecite rientra tra i reati per i quali è possibile applicare la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis c.p.

In realtà, l'azione riformatrice si sarebbe potuta muovere secondo itinerari diversi più appaganti sia sul versante dei principi di garanzia che su quello politico-criminale. In particolare, il legislatore anziché costruire una macro-fattispecie indeterminata e poco omogenea avrebbe potuto cogliere l'occasione, per un verso, per costruire una organica disciplina dell'attività di lobbying e, per un altro verso, per differenziare il modello di incriminazione del traffico di influenze del pubblico agente da quello del traffico di influenze del privato. In effetti, come ha messo in evidenza anche la recente prassi applicativa, nei casi di traffico di influenze del pubblico agente realizzati sfruttando la posizione derivante dalla propria carica pubblica, il disvalore è profondamente diverso da quello dell'accordo relativo all'attività di influenze del privato che si impegna ad indurre il pubblico agente a compiere l'atto sfruttando le proprie relazioni personali, e più omogeneo a quello dei patti autenticamente corruttivi riconducibili al delitto di cui all'art. 318 c.p.

Difatti, la mediazione illecita, pur non avendo ad oggetto attività inerenti all'ufficio del pubblico agente, riguarda comunque la carica pubblica, che viene mercificata e strumentalizzata alla stessa stregua di quanto avviene nelle ipotesi riconducibili all'art. 318 c.p.[47] Da questo punto di vista, il modello di traffico di influenze incentrato sullo "scopo" non pare funzionale all'incriminazione dei fatti di traffico di influenze in cui il ruolo di mediatore è svolto da un pubblico agente che si impegna ad esercitare una pressione sul funzionario competente sfruttando la autorevolezza o la posizione di preminenza derivante dalla qualifica soggettiva pubblicistica di cui è titolare, in quanto il disvalore non si incentra sullo scopo dell'attività di influenza bensì sul mezzo con il quale il mediatore si propone di esercitarla. Conseguentemente, questi patti d'influenza dovrebbero essere puniti, non solo più severamente di quelli stipulati tra privati, ma a prescindere dallo scopo dell'attività di influenza e sulla base dell'impegno remunerato del mediatore pubblico agente a strumentalizzare la propria carica pubblica a vantaggio del committente.

Ecco allora che il traffico di influenze del pubblico agente si sarebbe potuto ricondurre nell'ambito del delitto di cui all'art. 318 c.p., la cui sfera di operatività potrebbe essere estesa anche al mercimonio della carica pubblica. Ciò avrebbe consentito, oltre alla repressione degli accordi volti a ottenere dal pubblico agente competente un qualsiasi atto d'ufficio, l'adeguamento del trattamento sanzionatorio al reale contenuto di disvalore di questi patti d'influenza illecita, l'utilizzabilità di mezzi di ricerca della prova come le intercettazioni, l'applicabilità della nuova causa di non punibilità della collaborazione prevista dall'art. 323 ter c.p. e l'inapplicabilità della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto prevista dall'art. 131 bis c.p.

Con riferimento alla repressione del traffico di influenze del privato, una volta elaborata una organica disciplina extrapenale dell'attività di lobbying in grado di garantire maggiore democraticità delle decisioni degli apparati pubblici in un quadro di trasparenza e integrità, si sarebbe potuta valutare la reale praticabilità dell'abbandono del modello di incriminazione incentrato sullo scopo a vantaggio di quello incentrato sui mezzi, tipizzando in maniera sufficientemente determinata la fattispecie incriminatrice e calibrando in modo adeguato il trattamento sanzionatorio.

Come noto, dal novero dei reati menzionati, prevista dall'art. 346-bis c.p. nella sua formulazione originaria, era stato escluso l'art. 318 c.p.

Di qui, plurime prospettive ricostruttive: ad avviso di taluni, il mancato riferimento all'art. 318 c.p. si sarebbe potuto spiegare in ragione della penale irrilevanza del contegno delle parti di un pactum sceleris preordinato ad una corruzione per l'esercizio della funzione , secondo altri, invece, tra le fattispecie richiamate si sarebbe dato concorso (non già reale, bensì) apparente di norme, da risolvere, tramite il criterio dell'assorbimento, in favore del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione. L'impostazione probabilmente preferibile, invero, non senza criticare le scelte del legislatore, opinava nel senso della configurabilità di un concorso reale di norme e di reati.

In tale complesso quadro interpretativo, è intervenuta la novella ad opera della l. n.  3/2019, che ha espressamente incluso la corruzione funzionale (e le ipotesi di cui all'art. 322-bis c.p.) nel novero delle fattispecie richiamate dalla clausola di sussidiarietà espressa dell'art. 346-bis, I comma, c.p.

In tal modo, “si esclude la configurabilità del concorso (reale) con tali reati nel caso in cui successivamente al traffico di influenze illecite tali delitti si perfezionino” [48]e ne consegue che se la mediazione va a buon fine - se cioè il trafficante si opera effettivamente presso il pubblico funzionario o presso l'incaricato di pubblico servizio e questi accettano la promessa o la dazione di denaro - si realizza un concorso ‘trilaterale’ nel più grave reato di cui all'art. 318 c.p., che assorbe tutto il disvalore del fatto ed esclude la punibilità autonoma ai sensi dell'art. 346-bis c.p.

Peraltro, ricondotto l’art. 318 c.p. entro la seriazione di accadimenti presi in considerazione dalla clausola di riserva, si apre la questione dei rapporti tra l'art. 346-bis c.p. e l’istigazione alla corruzione per l'esercizio della funzione; tematica che può essere affrontata seguendo le medesime linee ricostruttive già richiamate per le diverse ipotesi di istigazione alla corruzione.

Meno problematico pare l’esame dei rapporti tra il traffico di influenze illecite ed i reati di concussione ed induzione indebita, non compresi nella clausola di riserva di cui all'art. 346-bis, I comma c.p.

Assolutamente consolidata, infatti, è l'affermazione secondo cui “il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346-bis c.p., è una fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è, quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto, alterato e non partitario, fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato” [49]come accade nei casi di cui all'art. 317 e 319-quater c.p.

Il tema dei rapporti tra millantato credito e traffico di influenze ha da sempre interessato dottrina e giurisprudenza: inizialmente, in ragione dell'assenza di una specifica previsione incriminatrice dell’abuso di relazioni esistenti preordinate al contatto con un pubblico agente; successivamente, per effetto della (attesa, ma contestata) riforma “anticorruzione” del 2012, che, introducendo l’art. 346-bis c.p., ha reso necessario indirizzare lo sforzo esegetico verso l'individuazione di profili distintivi rispetto alla contigua figura di millantato credito; da ultimo, l'entrata in vigore della l. n.  3/2019, che abrogando l'art. 346 c.p., ha imposto l'indagine (oltre che dei profili intertemporali, anche) dei limiti interni ed esterni del nuovo art. 346-bis c.p..

Sullo sfondo, due differenti tendenze, che hanno da sempre accompagnato l’analisi dei rapporti tra le fattispecie richiamate: da un lato, ricostruzioni volte a rendere possibile un avvicinamento tra vicende di abuso di relazioni atteggiantesi in diverse guise; dall'altro, opinioni convinte dell'irriducibilità delle differenze.

Giova ricostruire il dibattito pluridecennale valorizzando una prospettiva diacronica, specificamente distinguendo tre cornici temporali: una prima, anteriore alla riforma del 2012; la seconda, coincidente con la giustapposizione degli artt. 346 e 346-bis c.p., contemporaneamente vigenti; l’ultima, che prende le mosse dalla riforma ad opera della l. n. 3/2019.

Fino alla novella del 2012 il tema dei rapporti tra millantato credito e traffico di influenze illecite, lungi dal porsi quale questione afferente ad un eventuale concorso di norme, si articolava principalmente intorno alla perimetrazione dei confini del tipo criminoso descritto dall'art. 346c.p.

Con specifico riferimento alla fattispecie descritta dal I comma, secondo una prima tesi, il millantato credito sarebbe consistito in una “vendita di fumo”.

Ad avviso di una differente ricostruzione, diffusasi inizialmente in dottrina e, progressivamente, recepita dalla giurisprudenza allora maggioritaria, accanto alla venditio fumi, l'art. 346 c.p. avrebbe potuto assicurare l'incriminazione anche di relazioni esistenti. Infatti - si diceva - il verbo millantare avrebbe dovuto essere inteso quale sinonimo di “vantare”, espressione capace di sottendere realtà eterogenee.

Alcuni tra i fautori di tale opzione, peraltro, muovendo dalla minimizzazione, da più parti criticata  del chiaro riferimento alla deceptio ivi contenuto, giungevano ad intendere l'art. 346, II comma c.p., in ottica unificante, quale ipotesi di millantato credito inesistente o di vantato credito reale, connotata in ogni caso da un inganno circa la destinazione finale del denaro o altra utilità.[50]

In tale frastagliato quadro ermeneutico, è intervenuta la l. n. 190/2012, che ha scelto non già di estendere l'ambito di operatività della tradizionale fattispecie di millantato credito, bensì di giustapporle il nuovo tipo criminoso, di cui all'art. 346-bis c.p., costruito sulla falsa-riga della sotto-fattispecie di “traffico di influenze indebite” che il diritto vivente aveva ritenuto di poter ricondurre entro l'alveo dell'art. 346 c.p., sia pure estensivamente.

Tale innovazione ha imposto, da un lato, l'identificazione di profili discretivi tra le fattispecie, contestualmente vigenti, volte ad incriminare l'abuso di relazioni preordinate ad un contatto con un agente pubblico; dall'altro, l'analisi dei complessi profili intertemporali.

Quanto al primo aspetto, ricorrente era l'affermazione secondo cui “il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, di cui all' art. 346-bis c.p. in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l'influenza; il traffico di influenze postula, invece, una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale”.[51]

L’esame dei profili intertemporali, invece, pare maggiormente problematico: dalla ricognizione (anche, per così dire, retrospettiva) degli elementi costitutivi del millantato credito e del tipo criminoso ex art. 346-bis c.p., discendevano precise conseguenze circa la predicabilità o meno di una relazione logico-formale capace di assicurare una continuità normativa tra le due fattispecie astratte.

Sul punto, si erano registrati disorientamenti: una prima impostazione predicava la sussistenza di un fenomeno di c.d. specialità sincronica sopravvenuta, che avrebbe assicurato una continuità tra norma generale e speciale; precisamente, si affermava che “le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, riconducibili, prima della legge n. 190 del 2012, al reato di millantato credito, devono essere sussunte dopo l'entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., nella fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità tra norma generale e quella speciale”.[52]

In senso diametralmente opposto, muovendo dalla valorizzazione della “evidente eterogeneità di contenuto e di struttura tra la figura del millantato credito e quella nuova del traffico di influenze” si giungeva a dire che: “il delitto di traffico di influenze illecite costituisce una nuova incriminazione che, ai sensi dell'art. 2, I comma c.p., non si applica ai fatti anteriori all'entrata in vigore della l. n.  n. 190 del 2012”.[53]

Consapevole che la scelta di regolazione operata nel 2012 aveva posto una serie di problemi interpretativi e di coordinamento non facilmente risolvibili, sui quali la stessa giurisprudenza di legittimità ha fornito risposte disomogenee, il legislatore è intervenuto con l. n. 3/2019, più volte richiamata, prefiggendosi l’assorbimento, tramite la riformulazione dell'art. 346-bis c.p., di tutte le condotte di millantato credito punite dall'abrogato art. 346 c.p. .Tale opzione legislativa impone di affrontare i profili inter-temporali della riformulazione del traffico di influenze illecite.

Secondo una prima opzione ermeneutica, suggerita dalla stessa Relazione illustrativa della riforma, si sarebbe innanzi ad una abrogatio della disposizione ex art. 346 c.p., sine abolitione dell’incriminazione delle vicende concrete ivi inquadrabili secondo la previgente disciplina, ora punite dall'art. 346-bis c.p.

Precisamente, con riferimento alla posizione del “venditore” d’influenza illecita, “pur a fronte della sopravvenuta punibilità del privato che dà o promette utilità per acquistare l'influenza illecita” si darebbe continuità normativa tra l'abrogato art. 346 c.p. e l'attuale art. 346-bis c.p.

In tal senso pare orientarsi anche la giurisprudenza: “sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato dall' art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3 , e quello di traffico di influenze di cui al novellato art. 346-bis cod. pen. , atteso che in quest'ultima fattispecie risultano attualmente ricomprese le condotte di chi, vantando un'influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione”.[54]

Diversamente, invece, sarebbe a dirsi per l’acquirente di una relazione d'influenza soltanto vantata, ma in realtà inesistente, la cui condotta, penalmente irrilevante sotto il vigore dell'art. 346 c.p., ora è fatta oggetto di nuova incriminazione, inapplicabile ai fatti pregressi in ossequio al principio di irretroattività sfavorevole.[55]

Pur condividendo tale ultimo assunto, una differente impostazione rintraccia alcune ipotesi in cui, ad onta delle intenzioni del legislatore, non si darebbe continuità normativa.

La vicenda problematica riguarda il c.d. “traffico di influenze illecite putativo o impossibile”, la cui stessa riconducibilità nell'alveo della nuova incriminazione ex art. 346-bis c.p. è dibattuta.

In particolare, aderendo alla tesi secondo cui questa fattispecie concreta esulerebbe dalla “sfera applicativa del riformato delitto di traffico di influenze illecite, l'abrogazione dell'art. 346 c.p. determinerebbe, per il passato, una vera e propria abolitio criminis con quanto ne segua in punto di operatività dell'art. 673 c.p.p.

Per il futuro, invece, potrebbe darsi sussunzione nel delitto di truffa, che si riespanderebbe fino a coprire nuovamente quelle tipologie di accadimenti che prima erano punite tramite il delitto di millantato credito.[56]

Diversamente, qualora si ritenesse che il traffico di influenze putativo/impossibile sia riconducibile entro il nuovo art. 346-bis c.p., occorrerebbe distinguere: con specifico riferimento alla condotta del mediatore, assorbita nell'alveo dell'art. 346-bis c.p., si darebbe una successione meramente modificativa, con conseguente applicazione dell'art. 2, IV comma c.p., ai fatti inveratisi anteriormente all'entrata in vigore della novella del 2019; invece, in virtù del principio di irretroattività sfavorevole, il committente non potrà rispondere ex art. 346-bis c.p., che introduce una nuova incriminazione.[57]

3.6 La delegazione europea e i riflessi in materia di corruzione

A seguito della conclusione dell’iter parlamentare, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 2019 (Serie generale, n. 245), è stata promulgata la legge 4 ottobre 2019, n. 117, intitolata Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell'Unione Europea. Si tratta della c.d. legge di delegazione europea 2018, uno dei due strumenti - insieme alla legge europea - di adeguamento del sistema interno all'ordinamento dell'Unione Europea, introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'UE.

La legge di delegazione europea, in particolare, ai sensi dell'articolo 30 della legge n. 234 del 2012, contiene le disposizioni di deleghe legislative necessarie ogni anno per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell'Unione Europea nell'ordinamento italiano.

Tale provvedimento quest’anno è particolarmente rilevante per lo studioso di diritto penale, perché si occupa, tra l’altro, di due strumenti normativi dell’Unione di grandissimo rilievo nella creazione del diritto penale europeo e di un'autentica area comune europea di giustizia penale, nonché a modificare il recepimento, già avvenuto in passato, della decisione quadro sul mandato di arresto europeo.

Quanto ai primi due strumenti, in un caso (art. 1 e 3) si tratta di una delega al governo per attuare una direttiva, in particolare la direttiva UE 2017/1371 sulla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione Europea mediante il diritto penale, la c.d. “direttiva PIF”.

Nel secondo caso (art. 4) costituisce sempre una delega al governo, ma per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni di un regolamento dell'Unione, e quindi di un atto già di per sé self-executing, che tuttavia necessita di una normativa nazionale per la specificazione di alcuni aspetti che lo stesso regolamento demanda ad essa, o non copre nel dettaglio. Si tratta del regolamento UE n. 2017/1939 relativo alla attuazione della cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura Europea, nota anche con l'acronimo di “EPPO”.

Sull’importanza di questi due strumenti, e del secondo in particolare, gli studiosi ed appassionati di diritto penale europeo si sono già soffermati in questi ultimi anni numerose volte, e non è questa, quindi, la sede per ritornarvi.

L’importanza della legge 117 del 2019 consiste nel fatto che con essa si muovono quei passi concreti per tradurre anche nel nostro Stato le innovazioni previste da tali strumenti normativi, specie il regolamento sull’EPPO, e fare sì che lo sviluppo del diritto penale europeo continui. In questa sede non ci si soffermerà troppo – se non nei limiti di quanto necessario - ad illustrare il contenuto degli strumenti normativi europei, ma interessa piuttosto analizzare alcuni aspetti presenti nella legge di delegazione per il recepimento o adeguamento del nostro sistema a tali novità.

L’art. 1, comma 1, della legge 117 del 2019 delega il Governo ad adottare gli strumenti indicati nell'all. A secondo i termini, le procedure, i principi e criteri direttivi di cui agli artt. 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. La direttiva 1371/2017 è uno di essi. L'art. 3 prevede, poi, i principi specifici per l'attuazione della direttiva PIF.

Quest’ultima ha, in sostanza, proceduto alla previsione di norme di carattere penale per la protezione degli interessi finanziari dell'Unione, nel nuovo quadro istituzionale e giuridico risultante dal Trattato di Lisbona del 2009. Come è noto a molti, non è il primo strumento giuridico per la tutela degli interessi finanziari attraverso la legge penale, esistendo fin dal 1995 l'apposita Convenzione (attuata in Italia con la legge n. 3000 del 2000).

Essa ha allora, proceduto in primo luogo a quella che con termine non entusiasmante si definisce la “lisbonizzazione” della Convenzione del 1995, nel senso di riprodurre principi analoghi, ma nella nuova veste formale derivante dal nuovo Trattato, con tutte le conseguenze che ne derivano, tra le quali la responsabilità degli Stati davanti alla Corte di Giustizia per il mancato recepimento della stessa.

La direttiva comporta, però, qualcosa di più perché, pur essendo stata modificata nel testo finale rispetto alla proposta della Commissione del 2012, a iniziare dalla base legale individuata non più nell'art. 325 TFUE, ma nell'art. 83 TFUE, ha però dato una sistemazione più organica alle norme di diritto penale in materia, ha previsto una maggiore specificazione delle fattispecie criminose e, segno importante nell'ottica della creazione di un futuro diritto penale sostanziale, ha stabilito soglie comuni per le pene e per la prescrizione dei reati.

Certo, si tratta di soglie piuttosto basse, in sostanza già presenti nella legislazione di ogni Stato, così come la maggior parte delle fattispecie penali, ma in questo caso, resta il significato “politico” che interessa, in quanto il fatto che una normativa europea, dotata ora di un certo grado di cogenza per gli Stati, detti soglie comuni in tema di sanzioni e di prescrizione è certamente un piccolo passo verso una maggiore integrazione legislativa, che in futuro potrebbe – il condizionale è d'obbligo – avere ulteriori sviluppi.

Infine, la direttiva PIF è rilevante anche sotto un altro aspetto: essa definisce in sostanza la competenza della Procura Europea, atteso che la norma del regolamento rinvia alla stessa per individuare i reati per i quali il nuovo ufficio potrà operare. La prima indicazione che la legge 117 fornisce al legislatore delegato è quindi quella di individuare i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, in conformità agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della direttiva. Come detto, sono fattispecie già in gran parte esistenti nel nostro sistema, ma qualche precisazione su questi aspetti è necessaria.[58]

La predetta normativa ha dei riflessi anche in tema di condotte corruttive.

L'art. 3 comma 1 lett. d) della legge 117 del 2019 dovrebbe, invece, porre rimedio, nell'attuazione della direttiva, a quella che appare ancora oggi una lacuna del nostro sistema in tema di corruzione.

L’art. 322-bis c.p., infatti, fino al 2019 estendeva le fattispecie di peculato (art. 314, 316 c.p.), concussione (art. 317 c.p.), induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), corruzione (art. 318, 319 e 320 c.p.) e istigazione alla corruzione “passiva”, quando è il pubblico ufficiale che sollecita la dazione (art. 322, comma 3 e 4, c.p.), oltre ai pubblici ufficiali italiani, ai funzionari ed al personale delle istituzioni europee, ai membri ed al personale della corte penale internazionale; quanto al reato di istigazione alla corruzione, la norma prevedeva l'estensione a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nell'ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, ma solo quando il fatto era commesso nell'ambito di operazioni economiche internazionali, e solo nel caso di istigazione alla corruzione “attiva”, cioè quando il pubblico ufficiale riceve l'induzione, senza averla sollecitata (art. 322, comma 1 e 2, c.p.). Restava, quindi, scoperta, nella nostra legislazione, l'ipotesi di istigazione alla corruzione “passiva” di pubblici funzionari stranieri, cioè l'ipotesi in cui questi ultimi sollecitino la dazione.

Il parziale intervento nel frattempo intervenuto nel nostro sistema con la legge n. 3 del 2019 (giornalisticamente definita “spazzacorrotti”), non aveva risolto il problema. La legge, infatti, ha aggiunto il riferimento, nel reato di induzione alla corruzione “passiva” (art. 322, comma 3 e 4 c.p.) ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di un'organizzazione internazionale o sovranazionale e ai giudici e funzionari delle corti internazionali, ma ha continuato a prevedere l'applicazione ai pubblici funzionari di Stati terzi del solo art. 322, comma 1 e 2 c. p., e quindi della sola induzione alla corruzione “attiva”, pur eliminando il riferimento di tale norma alle operazioni economiche internazionali.

Continuava, quindi, a mancare l'ipotesi di induzione alla corruzione “passiva” in capo a questi ultimi soggetti (pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio nell'ambito di Stati esteri ed organizzazioni pubbliche internazionali).

Ora, con la delega della legge 117 del 2019 si intende modificare l'articolo 322-bis del codice penale estendendo la punizione dei fatti di corruzione passiva, come definita dall'articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva (UE) 2017/1371, anche ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all'Unione europea, quando tali fatti siano posti in essere in modo che ledano o possano ledere gli interessi finanziari dell'Unione. Tale carenza dovrebbe, quindi, essere colmata ma, anche in questo caso, solo in parte perché la delega riguarda fatti corruttivi che attentano agli interessi finanziari dell'Unione, e quindi non fatti corruttivi in generale.[59]

4. Conclusioni

L’interno del dibattito penalistico odierno, il tema dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ha evidenziato un accentuato rilievo teorico e pratico, per molteplici aspetti: le difficoltà esegetiche delle relative norme, l’imputabilità delle condotte a soggetti incardinati in settori vitali dello Stato, la frequenza statistica dei reati, la ragguardevole produzione normativa in materia.

A cavallo tra il vecchio secolo ed il nuovo,  la devastante e generalizzata emersione del fenomeno “Tangentopoli” e di “Mafia capitale” dopo  ha evidenziato, nei diversi organi statuali (politici, amministrativi, giudiziari, militari), un costante e diffusissimo fenomeno di illegalità sistemica che, finalizzato al profitto e orientato ad una strumentale perversione dello Stato sociale, ha finito per contrabbandare i diritti fondamentali dei singoli in forme tipiche di privilegio, proprio per tale ragione si è giunti alla nuova disciplina della concussione prevista dall’art, 317 c.p. che ha fatto si che le lancette del tempo tornassero indietro al codice Zanardelli fino alla riforma del 2015 con la quale si è introdotto un ulteriore passo in avanti incidente sul  tema della commisurazione della pena e della direttrice politico-criminale: “il tentativo di intraprendere un percorso non monoliticamente repressivo, ma più costruttivo sul piano della tutela degli interessi delle amministrazioni pubbliche”.[60]

Su tale punto la riforma ha infatti previsto il recupero coattivo del lucro illecito ottenuto dai funzionari pubblici, il neonato art. 323-quater c.p.

E’ evidente che la legge Severino del 2012 aveva tralasciato qualsiasi incentivo normativo alla rottura del patto tra corrotto e corruttore.


Note e riferimenti bibliografici

[1] BENUSSI, Titolo del volume, in Trattato di diritto penale parte speciale, a cura di Marinucci, Dolcini seconda edizione, Cedam, p. 489

[2]Ibidem

[3]Vedi R, Garofoli in diritto penale contemporaneo “concussione e indebita induzione: il criterio discretivo e i profili successori”

[4]anche la condotta meramente materiale o di tipo privatistico; v. Cass. Pen. Sez. VI n. 38698/2006

[5]Relazione n. III/11/21012 cit.

[6]CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 13 novembre 2015, n.45468 - MASSIMA

[7]F. Viganò, Sui supposti guasti della riforma della concussione, in Dir. pen. cont., 2013, 2, 143 s. Si vedano inoltre le opere generali: Mattarella - Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013; M. Romano, I delitti contro la Pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, III ed., Milano, 2013.

[8]V. Valentini, Dentro lo scrigno del legislatore penale, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2013, 2, 118 s.

[9]G. Forti (a cura di), Il prezzo della tangente, Milano, 2003

[10]C. Davigo - G. Mannozzi, La corruzione in Italia, Bari, 2007

[11]G. Mannozzi Percezione della corruzione e dinamiche politico-criminali di contenimento e repressione del fenomeno corruttivo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 445 ss.

[12]T. Padovani, La messa "a libro paga" del pubblico ufficiale ricade nel nuovo reato di corruzione impropria, in Guida al dir., n. 48, 2012, p. IX s.

[13]Cass. pen., sez. VI, 8 ottobre 2002.

[14]Cass. 5 febbraio 1996, Arigliano; Cass. 17 ottobre 1994, Armanini; Cass.1 dicembre 1995, Filisetti; Cass., 5 febbraio 1996, Fadda

[15]M. A. Bartolucci, Concussione, induzione indebita e corruzione propria: un'actio finium regundorum tra tipicità e politica criminale, in Dir. pen. cont., 2014

[16]Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 8695

[17]Ibidem, p. 6

[18]Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 2013, n. 3093, Aurati

[19]M. A. Bartolucci, Concussione, induzione indebita e corruzione propria, cit., 5.

[20]Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 3251, Roscia

[21]Cass. pen., sez. VI 3 dicembre 2012, Roscia, cit., 12

[22]Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2013, cit., 11.

[23]Ibidem

[24]Ibidem, 13

[25]Cass. pen., sez. un., 24 ottobre 2013, cit. Per una prima lettura della sentenza, v. G. L. Gatta, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e 'induzione indebita': minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, in www.penalecontemporaneo.it, 17 marzo 2014.

[26]Ibidem, 41

[27]Cass. pen., SS.UU., 14 marzo 2014, n. 12228, in questa Rivista, 2014, 546

[28]cfr. M. A. Bartolucci, "I conti della serva". Funzione nomofilattica al banco di prova della giurisprudenza post-Maldera in tema di concussione vs. induzione indebita, in Società, 2016, 8-9, 1029.

[29]G. L. Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013, 99; V. Mongillo, L'incerta frontiera, cit., 166.

[30]Cass. pen., SS.UU., 14 marzo 2014, cit., par. 16

[31]G.L. Gatta, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e 'induzione indebita': minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, in Dir. pen. cont., 17 marzo 2014

[32]Par. 24.2

[33]M. A. Bartolucci, Concussione, induzione indebita e corruzione passiva, cit., 83

[34]D. Pulitanò, Alcune risposte alle critiche verso la proposta, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1994, 948

[35]V. Mongillo, Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n.69 del 2015, in diritto penale contemporaneo, p. 2

[36] cfr. Cass., s.u., 14 marzo 2014, n. 12228.

[37]V. Mongillo, Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n.69 del 2015, in diritto penale contemporaneo, p. 4

[38]Cit. Mongillo op. cit.

[39]Alvino-Pretti, Le indagini preliminari. Tra fonti disciplinari e prassi applicative, Torino, 2017, 204 ss.

[40]Pio, Intercettazioni a mezzo captatore informatico: applicazioni pratiche e spunti di riflessione alla luce della recente decisione delle Sezioni Unite, La parola alla difesa, 2016, 9, 161 ss

[41] Cass. S.U., 23-2-2000, n. 6

[42]Cfr. Relazione al disegno di legge presentato dal Ministro della Giustizia (Bonafede), 16.

[43]Il comma 1° dell'art. 346-bis c.p. prima della riforma recitava: "Chiunque fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio...".

[44]Si allude al fatto che, nella precedente formulazione, il periodo "...in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio...", essendo preceduto da una virgola, veniva collegato ad ambedue le sottofattispecie di traffico di influenze illecite oneroso e gratuito.

[45]Nel nostro sistema manca una disciplina generale del lobbismo. Una disciplina generale dell'attività di lobbying era stata progettata con il D.d.l. a.s. n. 1866 del 2007 presentato durante la XV legislatura. Sulle proposte di legge in materia di lobbying, v. G. Segueo, Lobbying e lobbismi. Le regole del gioco in una democrazia reale, Milano, 2012, 145 ss.

[46]C. Rizzo, La "spazzafaccendieri", cit., 26 ss.

[47]R. Bartoli, Il nuovo assetto della tutela a contrasto del fenomeno corruttivo, in questa Rivista, 2013, 355.

[48] F. CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 749

[49] Cass. pen., Sez. VI, 12 marzo 2013, n. 11808

[50] M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 2015, 147

[51] Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2017, n. 53332

[52] Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 51688

[53] Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 2016, n. 23355

[54] Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2019, n. 17980

[55] Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 17-18

[56] A. Gambardella, Il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 2019, 1, 73

[57] F.Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 754

[58] Parisi, Chiari e scuri nella direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, in Giurisprudenza Penale Web, 2017

[59] La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale, 2019, 9

[60] Cit. Ibidem p. 8