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Pubbl. Ven, 23 Ott 2015
Sottoposto a PEER REVIEW

La nullità del contratto di locazione stipulato oralmente. (Cass. SS.UU. n. 18214/2015)

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Salvatore Magra


Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza il rispetto della forma scritta, di cui all’art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998 (secondo cui “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”) è viziato da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, in conformità all´esigenza di contrasto all’evasione fiscale. Viene fatto salvo il caso in cui l´assenza di forma scritta sia stata imposta coattivamente dal locatore, ipotesi in cui si ha una nullità di protezione, la quale potrà esser fatta valere solo dal conduttore.


Il proprietario di un immobile concede il medesimo in locazione ad altro soggetto, il proprio padre, attribuendogli contestualmente la facoltà di sublocazione. Il conduttore, a sua volta, concede in sublocazione l'appartamento. E' chiara la presenza di un collegamento negoziale, di cui il subcontratto rappresenta una ipotesi particolarmente pregnante[1]La conseguenza da considerare in rapporto alla tematica al collegamento  corrisponde alla regola secondo cui l'efficacia e/o la validità di ciascun negozio in esso coinvolto venga a riguardare anche l'ulteriore negozio collegato .Tale principio suole essere definito riassuntivamente con la formula simul stabunt, simul cadent  (cfr. tuttavia Cass. Civ., Sez. III, 21417/2014, la quale ha reputato non sanabile  un contratto nullo, attraverso il meccanismo del collegamento). [2]

Nel 2006 il locatore ottiene una convalida di sfratto per morosità del conduttore. Tale provvedimento viene messo in esecuzione, con conseguente estromissione del subconduttore dal possesso dell'immobile. Quest'ultimo si oppone all'esecuzione, sostenendo che la convalida dello sfratto sia effetto di una collusione di locatore e conduttore nei suoi confronti. Il conduttore agisce a sua volta per la risoluzione del contratto stipulato con il subconduttore, in rapporto a una morosità nel pagamento dei canoni da Gennaio 2006. I giudizi promossi da locatore e sublocatore sono stati riuniti.

In primo grado il Tribunale rileva la mancanza di forma scritta dell'originario contratto di locazione e la presenza di una nullità relativa, la quale può essere azionata dal solo conduttore, essendo la medesima posta a tutela della propria posizione. Da questo, secondo il Giudice di primo grado,  deriva l'inefficacia della procedura esecutiva, posta a pregiudizio del subconduttore, allo stato titolare di un diritto di godimento opponibile al soggetto, che agisce per il rilascio, con contestuale possibilità di domandare il risarcimento dei danni, in rapporto al trasloco che il subconduttore ha dovuto affrontare, a seguito dell'esecuzione.

Ne deriva la condanna di locatore e conduttore-sublocatore a reimmettere il subconduttore nel possesso dell'immobile e la condanna del solo sublocatore al risarcimento del danno. Quest'ultimo agisce, allo scopo di chiedere la risoluzione del contratto di locazione per mancanza della forma scritta, il rigetto delle domande del subconduttore, nonché la risoluzione del rapporto di sublocazione, con contestuale condanna al pagamento dei canoni come corrispettivo per l'occupazione dell'immobile.

La Corte d'Appello ritiene che il contratto principale di locazione sia nullo per mancanza di forma scritta, richiesta a pena di invalidità dall'art. 1, comma 4, legge 431-1998. Viene, pertanto, esclusa la possibilità di configurare un risarcimento del danno in favore del subconduttore, per assenza di un valido titolo di godimento, in rapporto all'invalidità del contratto principale, cui è collegato il subcontratto di locazione.

La Corte d'Appello ritiene che la suddetta normativa sulla locazione vada interpretata nel senso che la forma scritta sia prevista a pena di nullità, nonostante dalla lettera della legge sulla locazione abitativa ciò non sia desumibile in modo univoco, in quanto il Legislatore del 1998 si esprime in termini di “invalidità” e non di “nullità”. La Corte d'Appello perviene a tale convinzione, attraverso un'interpretazione sistematica che tenga conto anche dell'art. 1352, secondo cui, in difetto di univoche indicazioni, la forma deve essere intesa ai fini della validità del contratto, piuttosto che per la prova del medesimo. Un ulteriore argomento normativo è desumibile dall'art. 2739 comma 1°, il quale, quando vengano in considerazione fattispecie sottratte al giuramento, fa riferimento al contratto, per la cui validità sia richiesta la forma scritta.

Occorre riflettere sulla funzione e sulla ragione della normativa del 1998, finalizzata ad assicurare trasparenza nei rapporti fra le parti del contratto di locazione e nei rapporti con il fisco, al fine di fronteggiare il diffuso fenomeno dei contratti simulati, eventualmente anche solo relativamente al canone locativo, con indicazione di un canone diverso da quello effettivo.

La Corte d'Appello ritiene che la normativa in parola  vada interpretata come tale da prevedere un'ipotesi di nullità assoluta e non relativa, in mancanza di uno specifico riscontro normativo, imprescindibile per quanto desumibile dal dettato dell'art. 1421, che sembra far riferimento alla previsione puntuale di legge, al fine di consentire una deroga alle regole, concernenti la nullità assoluta.

Nonostante l'art. 13, comma 5° della legge del 1998, secondo cui “Tale azione (volta a ottenere la riconduzione della locazione alle condizioni di legge; n.d.r.) è altresí consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 4”,  abiliti solo il conduttore ad agire per la riconduzione del rapporto locativo di fatto alle condizioni legali, la Corte d'Appello ritiene che la ratio della disposizione non riguardi la validità del contratto, ma l'irrogazione di una sanzione contro il locatore, che imponga l'instaurazione di un contratto di fatto alla controparte. Bisogna poi tener presente che, nel caso specifico, la domanda di riconduzione non era stata concretamente esperita.

Il subconduttore impugna in Cassazione con ricorso la sentenza della Corte d'Appello, adducendo come motivo la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni della legge 431 del 1998, in quanto la mancanza di una forma scritta del contratto di locazione comporta, secondo il motivo di ricorso, solo una nullità relativa. Si replica dalla controparte-locatore come la nullità sia assoluta. Il conduttore-sublocatore, a sua volta, rileva come i subconduttori siano rimasti morosi nel pagamento del canone di locazione e come, pertanto, debba invocarsi la risoluzione del contratto per inadempimento in base all'art. 1453 cod. civ..

Con ordinanza interlocutoria n. 20480 del 2014 la Terza Sezione della Cassazione rileva come la Corte di merito abbia ritenuto inapplicabile l'istituto della nullità di protezione, ritenendo che la normativa della legge n. 431 del 1998 anteponga alla tutela della posizione del conduttore, come presunto soggetto debole del contratto, la funzione di garantire una posizione di equilibrio ed equidistanza tra le parti contraenti.

Sulle questioni pertinenti l'ordinanza della Cassazione rileva come la giurisprudenza di legittimità non si sia pronunciata sul punto, se non marginalmente, e come non sussista univocità di vedute in rapporto alle questioni in campo, per quanto riguarda la giurisprudenza di merito.

 In particolare, l'ordinanza in parola rileva che la previsione di nullità di cui all'art. 13 della legge del 1998 n. 431 non si applichi alle abitazioni in villa, per le quali  non è prevista alcuna ipotesi di nullità, collegata alla durata del rapporto o alla quantificazione del canone, con conseguente assenza della possibilità di applicare l'azione del conduttore di riconduzione del rapporto a condizioni conformi a una valida locazione (si cita in senso conforme la sentenza della Cassazione n. 19568-2004).

Nell'ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite si sottolinea, inoltre, come una precedente ordinanza n. 37 del 2014 della Terza Sezione della Cassazione abbia ravvisato la necessità di rimeditare l'interpretazione cristallizzata nella sentenza n. 16089 del 2003 della stessa Cassazione, cui si è conformata la successiva giurisprudenza, secondo cui l'art. 13 della legge 431 del 1998, nel prevedere al 1° c. la nullità di ogni pattuizione, volta a determinare un canone di locazione di entità superiore a quello desumibile dal contratto scritto e registrato, con conseguente concessione al conduttore dell'azione di ripetizione (2° c. art. 13 cit.) non si riferisce alla simulazione relativa della locazione, rispetto al corrispettivo, né alla simulazione di un comodato dissimulante una locazione, perché, data la validità del contratto di locazione scritto e non registrato, in quanto l'omissione dell'adempimento fiscale non rileva fra le parti, non si può sostenere che si sia voluto sanzionare con la nullità una violazione meno grave come la sottrazione all'imposizione fiscale di una parte del corrispettivo. La nullità ex art. 13 colpisce la pattuizione di un canone più elevato, rispetto a quello originariamente previsto nel contratto scritto e registrato.

La questione sottoposta alle Sezioni Unite è formulata in questi termini:"se, in materia di locazioni abitative, l'art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede che «per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta», prescriva il requisito della forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se l'eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di protezione alla luce della disposizione di cui all'art. 13, comma 5 della stessa legge, a mente del quale "Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versateNei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l'esistenza del contratto di locazione il pretore (l'interpretazione della disciplina va adeguata alla soppressione dell'istituto del Pretore; n.d.r.) determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell'articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell'articolo 5, commi 2 e 3, nel caso dí conduttore che abiti stabilmente l'alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti".

Le Sezioni Unite, attraverso un'analisi delle varie tesi interpretative, mostrano di aderire all'idea, secondo cui, in generale, nel contratto di locazione la forma scritta sia prevista ad validitatem e si tratti di nullità assoluta[3]La correlativa nullità, peraltro, sarà rilevabile solo dal conduttore, esclusivamente nel caso di cui all'art. 13, comma 5° della legge 431-1998, ove il locatore abbia imposto, profittando della sua posizione attraverso un comportamento assimilabile alla violenza morale, la conclusione di una locazione di fatto, attraverso una mera intesa verbale. Viene così rigettata la tesi, secondo cui la forma scritta sia prevista solo per fini probatori.

Secondo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la possibilità di derogare al principio di insanabilità della nullità del contratto di locazione, per violazione del requisito della forma scritta, sussiste, pertanto, solo quando il locatore abbia in modo esplicito imposto, esercitando una violenza morale sul conduttore, proprio la mancata adozione della forma scritta.

La soluzione è condivisibile, ove si rifletta sulla circostanza che, in tale ipotesi,  la deroga alla normativa pertinente è stata imposta dal soggetto che normalmente si trova in una posizione di vantaggio rispetto all'altro contraente.

La Cassazione ripercorre lo sviluppo normativo piuttosto intricato della disciplina inerente alle locazioni per scopo di abitazione[4].  Con la legge n. 392-1978 si attua un meccanismo di integrazione cogente del contenuto del contratto, ossia una predeterminazione legale di alcuni suoi elementi essenziali, con peculiare riferimento al canone di locazione, la cui determinazione è ancorata dalla disciplina citata a parametri oggettivi.

Ciò determina una forte contrazione del mercato pertinente, in rapporto alla scelta dei proprietari di non dare in locazione beni immobili a un prezzo sensibilmente inferiore, rispetto al valore di mercato del bene. Pertanto, un'impostazione dirigistica della normativa porta degli effetti negativi sul mercato immobiliare. Sul piano economico, avviene  un intervento dello Stato nell'economia del mercato delle locazioni di immobili, in contrasto con un'impostazione improntata al laissez faire, che produce effetti non sempre soddisfacenti. I proprietari ritengono non conveniente dare in locazione i propri appartamenti a un canone spesso “irrisorio” (così la Cassazione), e non intendono assumersi il rischio della perdita di disponibilità dell'immobile anche per lungo tempo. L'equo canone spesso è in antitesi con il valore di mercato dell'immobile.

Con l'art. 11 del decreto legge n. 333 dell'11 luglio 1992 si  tenta di rimediare alla fluttuazione in negativo del mercato, attraverso l'introduzione dei cc.dd. ”patti in deroga”, in cui si giustifica la deroga all'ammontare del canone, attraverso la previsione di un sostanziale aumento (raddoppio) della durata minima del contratto di locazione. Pertanto, l'intervento, originariamente unilaterale e in certo senso d'impronta paternalistica dello Stato, attuato con la preesistente impostazione normativa, viene ridimensionato, nell'acquisita consapevolezza che occorra armonizzare un intervento pubblico con l'autonomia privata e con la libera iniziativa dell'agente nel mercato economico di riferimento.

La legge 431-1998 determina un abbandono del canone “equo” e bilancia la liberalizzazione del canone abitativo con una maggiore stabilità, da cui deriva l'obbligo della forma scritta e della registrazione del contratto di locazione, anche per porre trasparenza e arginare il settore del “sommerso”. La Cassazione esplicita in questi termini l'avvenuta inversione di tendenza, rispetto alla legge sull'equo canone: "(…) La prescrizione della forma scritta, difatti, appare volta essenzialmente a tutelare l'interesse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione dell'esigenza di un più penetrante controllo fiscale, esigenza avvertita in modo significativo in un settore dove, come poc'anzi ricordato, a causa della precedente disciplina dirigistica il fenomeno dell'evasione era divenuto inarginabile. E proprio il collegamento funzionale (anche se non strutturale) tra forma scritta e registrazione del contratto apparve e tuttora appare particolarmente significativo in tal senso (…)".

La disciplina in parola riguarda i contratti di locazione di immobili a uso abitativo, al di là dell'ipotesi di beni vincolati e di edifici concernenti la sfera pubblicistica e con finalità turistiche, settore in cui la necessità di tutelare l'autonomia privata appare ridimensionata, se non assente.

Sono possibili, attraverso la normativa che innova rispetto alla preesistente legislazione sull'equo canone, due tipi di contrattazione: la prima si deve conformare a modelli tipo, predefiniti dalle organizzazioni in materia edilizia e da quelle dei conduttori maggiormente rappresentative (appare immediata l'analogia, sia pure in una diversità di contesto, con i contratti collettivi di lavoro). Una seconda tipologia di contrattazione è sostanzialmente libera. In quest'ultimo caso, la durata minima del contratto è di tre anni, rinnovabili per altri due. Nell'ipotesi dei modelli tipo, si prevede una durata del contratto di quattro anni, rinnovabili per ulteriori quattro.

La Cassazione affronta il problema del rilievo giuridico della previsione della forma scritta per i contratti di locazione[5]. E' noto che, secondo la opinione prevalente, nel nostro ordinamento vige la libertà di forma, nel senso che è possibile far scaturire dei contratti anche a partire da un mero comportamento concludente di una parte, che si incontri con il comportamento di altro soggetto, per formare uno scambio di proposta e accettazione conforme alla prima.

In deroga al principio di libertà di forma, l'art. 1350 cod. civ. indica quelle ipotesi, in cui la forma scrritta è prevista a pena di nullità, per soddisfare l'esigenza di rendere possibili dei controlli sul contenuto del contratto, in relazione alla protezione di un interesse pubblico, della necessaria trascrizione del contratto, per fini di pubblicità, della protezione dei diritti del contraente debole, che, per effetto del rigore della forma scritta, può tutelare maggiormente la propria posizione, rilevando eventuali elementi sfavorevoli della contrattazione.

La Cassazione mostra un atteggiamento critico nei confronti dell'idea che la forma, quando prevista ad validtatem, sia solo un elemento necessario nella struttura del contratto, senza possibilità di considerare l'aspetto teleologico della disciplina pertinente. Si manifesta un'adesione all'idea sintetizzata nel c.d. “neoformalismo negoziale”, secondo cui la disposizione dell'art. 1325, n. 4) del codice civile, la quale include la forma fra i requisiti del contratto, quando la medesima è prevista dalla legge a pena di nullità, sia in parte superata. Questo superamento deriva dall'importanza, attribuita dal Legislatore transnazionale alla forma scritta come requisito di validità del contratto, per superare le asimmetrie informative talora esistenti fra i contraenti (cfr. http://www.altalex.com/documents/news/2007/11/08/l-evoluzione-del-diritto-dei-contratti ). Il neoformalismo negoziale prende corpo soprattutto nell'ambito dei contratti dei consumatori, ma, sia pure con un ruolo parzialmente diverso, viene dalla Cassazione esteso anche all'ipotesi della forma scritta prescritta ad validitatem, quanto al contratto di locazione per scopi abitativi. Sia la legge n. 392-1978, sia la normativa codicistica prima della legge n. 431-1998, non prevedono requisiti di forma per il contratto di locazione, a parte l'ipotesi delle locazioni di durata ultranovennale, ai sensi dell'art. 1350, n. 8 cod. civ.

L'art. 1, comma 4° della legge n. 431-1998 prevede, in consonanza con la tendenza neo-formalista sopra segnalata, la forma scritta, per ovviare alla consistente quantità di contratti di locazione in nero conclusa, dopo la imposizione dell'”equo canone”.  Si stabilisce l'esigenza della forma scritta, anche per stabilizzare il canone e per contrastare l'evasione fiscale. Si crea un nesso giuridico fra imposizione della forma scritta e registrazione del contratto. La forma scritta è prevista a pena di nullità (in tal senso si pone un collegamento fra la normativa adesso citata, l'art. 1418 cod. civ., e  l'art. 1350 n. 13, che contempla l'estensione della forma scritta, a pena di invalidità, a tutti gli altri atti specificamente indicati da leggi diverse).

La posizione della Cassazione è condivisibile, in rapporto ai sopra richiamati argomenti, con la conseguenza che appare da respingere l'opinione di coloro che reputano che la forma scritta sia prevista nella normativa citata solo per fini probatori.

La Cassazione, si ribadisce, individua nella forma scritta del contratto di locazione uno strumento, per ovviare al fenomeno del “mercato sommerso” di siffatti contratti e, pertanto, attribuisce alla forma scritta in parola un ruolo ulteriore, rispetto a quello meramente probatorio.

La Cassazione esamina l'ipotesi dell'art. 13, comma 5° della legge n. 431-1998, ossia l'ipotesi, in cui il locatore abbia imposto al conduttore la forma verbale, con una idonea forma di coazione. In tal caso, sarà configurabile una nullità relativa del contratto, la quale potrà essere resa operativa solo dal conduttore, secondo una normativa assimilabile al paradigma della nullità di protezione, con la conseguenza che il solo conduttore potrà agire per far valere la nullità del contratto per vizio di forma, sia pure in un contesto in cui non sempre sarà agevolmente dimostrabile l'avvenuta coercizione da parte del locatore. Ove si rilevi l'assenza di una siffatta coercizione, e l'utilizzo di una forma verbale sia stato concordato dalle parti in una condizione di parità, riprende vigore la normativa generale, con la configurazione di una nullità assoluta del contratto, come tale rilevabile d'ufficio, e il locatore potrà agire per il rilascio dell'immobile, detenuto sine titulo dal conduttore. Presso parte della giurisprudenza esiste anche l'opinione, secondo cui occorra estendere anche in questa ipotesi, ossia quella di assenza di coercizione da parte del locatore, in rapporto all'assenza di forma scritta, la nullità di protezione, ma condivisibilmente le Sezioni Unite rigettano questa impostazione, in considerazione dell'esigenza di non dilatare al di là del dovuto l'ambito di operatività di una norma che deroga ai princìpi generali in materia di nullità.

La pronuncia delle Sezioni Unite in commento mostra, pertanto, di aderire all'interpretazione restrittiva della disciplina concernente l'ipotesi, in quanto la previsione di questa nullità relativa riequilibra l'abuso del locatore, autore di un comportamento prevaricatore. Ove manchi tale abuso la nullità sarà assoluta, come tale rilevabile anche d'ufficio ex art. 1421 cod. civ.. In particolare la Cassazione afferma che “(...) Non può, pertanto, darsi seguito alla tesi, pur sostenuta da parte della giurisprudenza di merito e da alcuni autori in dottrina, secondo cui il collegamento tra l'art. 13, comma 5 e l'art. 1, comma 4, della legge n.431 del 1998 integrerebbe tout court gli estremi della nullità di protezione o relativa anche nel caso l'uso della forma verbale sia stato deciso volontariamente da entrambe le parti contraenti(...)“.

La disciplina adesso esaminata viene estesa all'ipotesi in cui il locatore abbia imposto una locazione di fatto. In questo caso, solo il conduttore potrà richiedere che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi alla pertinente normativa, pervenendo così a una sanatoria del rapporto di fatto (art. 13 comma 5° legge citata). In tale eventualità, il canone sarà determinato in base agli accordi collettivi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori e il conduttore avrà diritto alla restituzione dell'eccedenza della somma pagata. La pressione, che induca il conduttore ad accettare l'adozione della forma orale, assume rilievo quando possa considerarsi assimilabile a una violenza morale.  Va rilevato che nel caso concreto da cui è scaturita la sentenza delle Sezioni Unite in parola, tale condotta prevaricatrice è stata considerata non ravvisabile.

La previsione della forma scritta nel contratto di locazione, secondo la Cassazione (ma l'assunto può suscitare qualche perplessità) non è ricollegabile (anche) all'adempimento di particolari obblighi informativi, inerenti al contenuto del contratto locativo stipulato, in quanto la struttura della locazione viene, nella pratica contrattuale, compresa dal conduttore.

In ogni caso, si perviene a escludere l'applicazione analogica delle disposizioni, che prevedono una nullità relativa, in quanto tali disposizioni derogano al principio generale del carattere assoluto della nullità. Ne discende che, di regola e con salvezza dell'ipotesi sopra esposta, il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza il rispetto della forma scritta, di cui all’art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998 (secondo cui “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”)  è viziato da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, in conformità all'esigenza di contrasto all’evasione fiscale. Viene fatto salvo  il caso in cui l'assenza di forma scritta sia stata imposta coattivamente dal locatore, ipotesi in cui si ha una nullità di protezione, la quale potrà esser fatta valere solo dal conduttore.

 

 

 


[1] GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p.775 e successive edizioni , LENER, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, p.34

[2] SACCO-DE NOVA , Il contratto, in Trattato di dir. priv., dir. da Rescigno, Vol.X, Torino, 1995, p.465 e ss.  La sentenza della cassazione n. 21417 del 2014 afferma che In tema di collegamento tra contratti, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, il collegamento negoziale - cui le parti, nell'esplicazione della loro autonomia possono dar vita con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto - non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, anche quando il collegamento determini un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, ciascuno di essi si caratterizza in funzione di una propria causa e conserva una distinta individualità giuridica (ex multis, Cass. 10 luglio 2008, n. 18884). La conseguenza che se ne trae è che, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi 'simul stabunt, simul cadent' (Cass. 22 marzo 2013, n. 7255). Ciò comporta che se un contratto è nullo, la nullità si riflette sulla permanenza del vincolo negoziale relativamente agli altri contratti. Ma, non è vero l'inverso. Se un contratto è nullo il collegamento negoziale con altri contrati non nulli non comporta la validità dell'intero complesso dei contratti collegati.

Infatti, il riflesso della nullità di un contratto sulla permanenza del vincolo negoziale relativamente agli altri contratti collegati, ma con individualità autonoma, costituendo l'effetto dell'essenza del collegamento negoziale dato dalla naturale interdipendenza dei contratti collegati, non può essere impedito dalla circostanza che per ragioni estranee al fenomeno contrattuale alcuni di questi contratti siano non nulli. Come nella specie, nella quale il contratto di affitto del ramo di azienda risulta non nullo, per effetto del giudicato formatosi sulla statuizione emessa in sede di arbitrato irrituale, e il contratto di vendita dei beni aziendali risulta non nullo, perché mai contestato in sede giudiziale.

Se si ammettesse che il collegamento negoziale tra un contratto nullo (nella specie promessa di vendita) e gli altri contratti collegati non nulli (nella specie affitto di ramo di azienda e vendita dei beni aziendali) comportasse la validità dell'intero complesso dei contratti collegati, il collegamento tra contratti finirebbe con l'operare come mezzo per eludere la nullità del singolo contratto. E, nel caso di specie, legittimerebbe il risultato economico, cui le parti ragionevolmente miravano, di consentire l'esercizio di fatto per un anno dell'azienda da parte di persona diversa, cui i beni strumentali era stati ceduti, con l'autorizzazione amministrativa ancora intestata al cedente, ricevendo il corrispettivo per tale esercizio, con l'impegno del cedente ad adoperarsi e a non opporsi al trasferimento delle autorizzazioni amministrative nel momento in cui il cessionario avrebbe pagato l'avviamento; così ponendo in essere un contratto il cui unico oggetto era l'avviamento, essendo già stati ceduti i beni aziendali e non rientrando tra i beni aziendali l'autorizzazione amministrativa all'esercizio di un'attività di impresa. Ne consegue che il collegamento tra i contratti considerati non può essere utilizzato per ritenere - come finisce con il fare il giudice di merito - che insieme all'avviamento furono trasferiti i beni e le attrezzature e quindi, per l'interazione degli effetti tra i contratti collegati, il contratto avesse per oggetto la promessa di vendita del ramo di azienda. Cfr, Fonte

[3]    Sulla nullità assoluta e sulla nullità relativa nella legislazione speciale cfr. CALICE , la nullità relativa nella legislazione speciale  

[4]    Cfr. DI MARZIO-FALABELLA, la locazione, in Sistemi giuridici a cura di CENDON, Utet, 2011, passim e in specie il cap 1° per una ricognizione della normativa sul contratto di locazione.

[5]    Cfr Trib. Roma Sez VI civ. Sent 1/10 2014, riguardante una locazione verbale, secondo cui “Ciò premesso, questo Giudice osserva in diritto che la vicenda storica in esame non può certamente essere risolta in base alla regolamentazione legislativa delle locazioni abitative, per carenza di titolo iniziale, ovvero il contratto scritto. Dunque, da un lato il c.d. locatore non può avvalersi delle relative norme sostanziali e processuali di tutela; dall’altro il c.d. conduttore non può avvalersi della nuova rideterminazione del rapporto in termini di durata e della riduzione del canone prevista dall’art. 3 – cedolare secca – perché la norma presuppone che un contratto scritto vi sia (essendo appunto previsto a pena di nullità) anche se poi esso non sia stato registrato allo scopo di frode il fisco. Al riguardo va subito rilevato che la “autodenuncia” da parte del c.d. locatore con la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate ed ancor prima la denuncia di contratto verbale fatto dal c.d. conduttore ha posto il Fisco nella conoscenza del rapporto economicamente rilevante in questione per cui non occorre fare ulteriore segnalazione al Fisco o alla Procura della Repubblica per eventuali reati tributari. Il rapporto instauratosi tra le parti è dunque rimasto sul piano meramente fattuale e pertanto esso va correttamente inquadrato e deciso in quanto tale: una situazione “di fatto” iniziata e protrattasi nel tempo al di fuori del paradigma della “locazione abitativa”. Detto inizio e sviluppo, al di là delle allegazioni circa la responsabilità della mancata stipula per iscritto all’una o all’altra parte, costituisce il fatto oggettivo essenziale del contatto sociale – rilevante anche giuridicamente - intercorso tra le parti; detto rapporto non è decidibile dal Giudice “come se” si fosse in presenza di un contratto di locazione; la controversia insorta va però all’evidenza risolta rinvenendo nell’ordinamento giuridico le norme sostanziali e processuali pertinenti. In tale prospettiva di indagine appare manifesto a questo Giudice che la vicenda, in quanto estrinsecatasi nel tempo sul piano di un rapporto di mero fatto senza far ricorso ad istituti giuridici, non può che trovare la sua soluzione più opportuna facendo riferimento agli istituti tipici regolanti i rapporti di fatto: vengono dunque in rilievo le norme sul possesso - art. 1150 ss. cod. civ. -, quelle sull’indebito oggettivo – art. 2033 cod. civ. -, sull’arricchimento senza causa – art. 2041 cod. civ. - e sulle obbligazioni naturali – art. 2034 cod. civ”. Cfr Fonte