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Pubbl. Mar, 7 Giu 2022

Strumenti a tutela dei terzi nel processo civile: quando un terzo ha interesse ad intervenire in un giudizio civile già iniziato tra altri soggetti

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Federica Prato
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Lo sviluppo del presente focus sullo strumento dell´intervento del terzo nel giudizio civile, si pone come obiettivo quello di mettere in evidenza l´essenza dell´istituto esaminato e le problematiche che derivano dalla sua applicazione, attraverso il supporto di tesi di autorevoli studiosi e di orientamenti giurisprudenziali.


ENG The paper analyzes the instrument of the third party´s intervention in the civil process. Its purpose is to highlight the characteristics of the institute, also through the theses of authoritative scholars and the various interventions of jurisprudence.

Sommario: 1. L’intervento adesivo dipendente all’interno del giudizio civile; 2. La posizione dell’interventore all’interno del procedimento; 3. Potenziale pregiudizio e teoria dell’efficacia riflessa del giudicato civile; 4. Individuazione di alcune categorie di soggetti legittimati ad esperire l’intervento volontario; 5. Aspetti pratici dell’intervento nel giudizio civile; 6. Dubbi e problematiche inerenti l’istituto dell’intervento adesivo dipendente; 7. Alcuni orientamenti dottrinali sul tema; 8.Estensione degli effetti del giudicato reso inter alios e questioni dipendenti da quella dedotta in giudizio; 9. L’intervento in appello.

1. L’intervento adesivo dipendente nel processo civile

Il codice di procedura civile, prevede diverse forme di intervento di terzi nel processo; una particolare rilevanza è rivestita dall’intervento adesivo dipendente, disciplinato dall’art. 105 comma 2 c.p.c.[1]

L’istituto non risulta di facile interpretazione – nonostante sia molto diffuso negli ordinamenti giuridici moderni - e da tempo la dottrina discuta sulla sua reale portata. Qualcuno ha addirittura parlato di “insufficienza del dato normativo e (almeno apparente) anomalia del mezzo nel sistema”[2] e di “grave lacunosità del nostro dettato normativo”[3].

Quindi, la genericità – a tratti incompletezza - della disposizione normativa alimenta ulteriori dubbi relativi ai soggetti legittimati ad intervenire e per questo bisogna analizzare anche quelle disposizioni (come gli artt. 111[4] - 267[5] – 268[6] – 272[7] – 344[8] c.p.c.) che possono concorrere alla ricostruzione – o meglio alle varie ricostruzioni poste in essere dalla dottrina nel corso degli anni - dell’istituto. Tale completamento è stato ispirato dal legislatore francese, che prima di quello italiano, aveva già utilizzato ulteriori norme adibite a chiarire alcuni elementi dell’istituto, come tempi e modi di applicazione e dal legislatore tedesco attraverso le norme che indicano le diverse tipologie di intervento e le loro caratteristiche.

Alcuni studi hanno avvalorato la tesi secondo la quale per una corretta ricostruzione dell’istituto – in assenza di una disciplina organica – risulti necessario partire dalla natura degli effetti che derivano dall’accessione del terzo. Inoltre, autori come Carnelutti, hanno sostenuto che 

per cogliere la struttura dell’istituto dell’intervento adesivo, si deve guardare proprio al punto nodale della teoria del processo, ossia all’individuazione di ciò che ne costituisce l’oggetto e di quelli che ne sono gli effetti[9].

Risulta dunque fondamentale l’analisi dell’effetto finale, ma sul punto si segnala l'esistenza di diverse scuole di pensiero. Si ricorda, infatti, che la dottrina prevalente ha sempre sostenuto che una volta intervenuto, il terzo risulta vincolato irrevocabilmente a quanto accertato con la sentenza. Un punto fermo però è stato fornito dal legislatore, posto che il discrimine è da individuarsi tra soggezione e non soggezione al giudicato in base all’avvenuta partecipazione al processo da parte del terzo.    

Questa tipologia di intervento va tenuta distinta dall’intervento principale e litisconsortile, in quanto non si ha alcun allargamento dell’oggetto del processo, dato che il terzo non propone alcuna domanda ulteriore. Nello specifico, il terzo interventore è titolare di un rapporto giuridico collegato a quello oggetto del processo da un nesso di dipendenza, ed intervenendo, va a sostenere le ragioni di una delle parti senza, però, far valere in giudizio alcun diritto proprio. Da ciò deriva che l’interventore non potrà impugnare la sentenza autonomamente se l’adiuvato vi abbia rinunciato, salvo che l’impugnazione sia limitata a questioni specificamente attinenti alla qualificazione dell’intervento o alla condanna al pagamento delle spese imposte a suo carico.

2. La posizione dell’interventore all’interno del procedimento

L’interventore nel giudizio si configura come parte accessoria perché va ad assumere una "posizione di rinforzo" e allo stesso tempo di controllo verso una delle parti, non solo dal punto di vista formale ma anche "sul piano istruttorio (perché il terzo spesso ben ne conosce – a volte meglio del suo titolare – i risvolti fattuali)”[10].

Per quanto riguarda la funzione di controllo, l’interventore ha anche il compito di salvaguardare gli interessi della parte adiuvata e far sì che realizzi scelte e strategie difensive adatte, in modo da aumentare le possibilità di entrambi di ottenere una pronuncia soddisfacente.

Come accennato, fondamentale risulta l’esistenza di un interesse qualificato, ovvero giuridicamente rilevante e non derivante da ragioni meramente fattuali. Infatti, il terzo interviene proprio perché ha interesse a far sì che il processo di concluda in un determinato modo (quindi che vinca una parte piuttosto che l’altra), in quanto, un diverso esito potrebbe in qualche modo pregiudicarlo. Dunque

il terzo accede al processo non per sottrarsi a una (non prevista dalla legge) estensione del giudicato, piuttosto: o per evitare che si ponga in essere quella situazione materiale, ossia si realizzi una fattispecie sostanziale a lui sfavorevole; o per favorire la costituzione di una situazione da cui potrà derivare la soddisfazione di un proprio diritto[11].

3. Potenziale pregiudizio e teoria dell’efficacia riflessa del giudicato civile

È proprio nel potenziale pregiudizio per l'interventore che si manifesta in pieno il fenomeno dell’efficacia riflessa (definita dal Chizzini come situazione atipica e di più ampia possibilità di applicazione per l’intervento adesivo[12]), nel senso che, l’eventuale soccombenza della parte adiuvata, esporrebbe il terzo agli effetti riflessi del giudicato reso inter alios, sulla base del rapporto giuridico sostanziale tra adiuvante ed adiuvato.

E' infatti questa situazione che giustificherebbe l’esistenza di uno strumento di tutela ad hoc. Sul punto, però, si segnala un disaccordo da parte di quella dottrina non favorevole al riconoscimento dell’efficacia riflessa mentre, al contrario, è presente una pseudo-adesione[13] da parte della giurisprudenza di legittimità[14].

La Suprema Corte, infatti, ha affermato che l’importanza di questo strumento di tutela risulti palese nei casi in cui il terzo, non essendo titolare di un diritto autonomo, non potrebbe richiederne un autonomo accertamento, trovandosi, così, a subire gli effetti di un giudicato proveniente da un processo al quale risultava terzo[15].

Un esempio chiarificatore, può essere quello dell’intervento da parte del sub-conduttore in un processo tra il conduttore e locatore, oppure l’intervento del socio nelle azioni proposte dall'amministratore della società nei confronti di terzi.

Colui il quale risulta legittimato ad esperire l’intervento adesivo dipendente, però, interviene svolgendo un vero e proprio ruolo di controllo sulla parte adiuvata, pur dovendo sottostare ad alcune limitazioni all’esercizio del suo diritto di difesa. Tale strumento processuale non risulta idoneo, infatti, nei casi di titolarità di diritti soggettivi autonomi, perché sarebbe necessario ricorrere all’intervento adesivo autonomo o litisconsortile, essendo il terzo portatore di una posizione giuridica autonoma, da far valere nei confronti di tutte o di alcune parti in causa; una tale situazione, inoltre, genererebbe l’ampliamento del thema decidendum e la possibilità di proporre impugnazione indipendentemente dalla volontà della parte originaria.

A tal proposito, bisogna analizzare a chi spetti realmente la legittimazione ad intervenire nel processo con tale strumento d'intervento. Il terzo una volta intervenuto assumerà a tutti gli effetti lo status di parte – seppur accessoria - e resterà tale fino al termine del processo, salvo difetto di legittimazione che può portare alla sua estromissione.

Assumerà, tra l’altro, una serie di poteri processuali come il poter produrre documenti, formulare istanze per le prove, allegare fatti purché non allarghino il thema decidendum. Potrà poi sollevare eccezioni rilevabili ex officio ma al contempo, dovrà fare i conti anche con una serie di limitazioni, come il non poter disporre del diritto oggetto del processo e non poter prestare giuramento o confessione.

In generale, è sempre stata fornita un’interpretazione molto restrittiva, limitando l’intervento a coloro i quali subirebbero comunque gli effetti del giudicato e quindi sarebbero esposti all’efficacia riflessa dello stesso. Si ritiene però di dover allargare la categoria dei legittimati anche a coloro che non subirebbero automaticamente gli effetti della sentenza, ma che potrebbero, sulla base della stessa, essere coinvolti in futuro in un nuovo processo con oggetto la loro situazione giuridica sostanziale (che deve risultare dipendente da quella oggetto del processo nel quale si poteva intervenire).

4. Individuazione di alcune categorie di soggetti legittimati ad esperire l’intervento volontario

In merito al tema dei soggetti legittimati ad esperire l'intervento adesivo dipendente, con l'ausilio delle elaborazioni  realizzate sul tema da autorevoli studiosi[16], è possibile l'individuazione di quattro categorie di terzi.

Come prima tipologia ricordiamo i terzi titolari di rapporti dipendenti, ai quali risulta opponibile la sentenza resa inter alios. L’ipotesi tipica è quella prevista dall’art. 1595 comma 3 c.c.

In questo caso, infatti, il subconduttore ha un interesse qualificato ad intervenire nella causa di nullità o di risoluzione del contratto di locazione, per adiuvare il suo sublocatore (ovvero il conduttore convenuto in giudizio dal locatore). Lo scopo sarà proprio quello di evitare un giudicato favorevole al locatore che potrebbe, dallo stesso, essere utilizzato in un nuovo giudizio per ottenere la condanna del terzo subconduttore al rilascio dell’immobile. In tale eventualità il terzo subconduttore potrebbe solo chiedere al sublocatore il risarcimento del danno per impossibilità di godimento del bene.

Abbiamo poi la categoria dei terzi titolari di rapporti dipendenti, ai quali la sentenza resa inter alios non è interamente opponibile, ma non risulta essere loro indifferente. In questo caso, l’ipotesi tipica è quella dell’intervento operato dal venditore per garantire dall’evizione il convenuto in un giudizio di rivendica. La ratio è quella di evitare che il processo si concluda con la soccombenza dell’acquirente-convenuto, perché quest’ultimo, ormai evitto, ben potrebbe istaurare un nuovo processo contro il venditore per far valere la garanzia contro l’evizione. Questo processo, seppur successivo, non sarebbe totalmente svincolato dal precedente, facendo infatti gravare sul venditore “il peso del precedente giudicato[17].

L’intervento del venditore nel processo avrà le stesse conseguenze della sua chiamata in causa ex art. 1485 c.c., in quanto diviene parte a tutti gli effetti e può già difendersi contro l’evizione. In tutte le ipotesi di legittimazione rientranti in questa seconda categoria, si presenta una forma di autotutela da parte del terzo che interviene a sostegno dell’adiuvato, per ottenere un dato esito loro favorevole. Infatti, si può affermare che “l’intervento adesivo, pur senza provocare la deduzione nel processo del diritto di chi ne è titolare, ne promuove un indiretta forma di tutela[18].

Come terza tipologia di legittimati all'intervento, possono menzionarsi i terzi titolari di rapporti dipendenti, ai quali la sentenza resa inter alios non risulta opponibile, ma che qualora l’esito fosse positivo non subirebbero alcun tipo di vincolo. 

In questa categoria rientrano tutti quei terzi che, nonostante siano titolari di rapporti giuridici dipendenti da quello dedotto in giudizio, in nessun caso dovrebbero subire l’efficacia riflessa, neanche in forma attenuata.

Per fare qualche esempio, ricordiamo la figura del fideiussore che non interviene nel processo tra creditore e debitore. Infatti, qualora il debitore risultasse soccombente, il giudicato non esplicherebbe effetti nei confronti anche del fideiussore, in quanto quest’ultimo, insieme al debitore principale, risulta essere un coobbligato solidale (dovendosi applicare dunque, la disposizione ex art. 1306 c.c.). Invero, quando una sentenza è pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori solidali, non può produrre effetti contro gli altri debitori in solido; salva la possibilità concessa agli stessi di invocare il giudicato reso inter alios a proprio vantaggio.  

Oppure il caso dell’intervento del magistrato in un processo contro lo Stato, promosso dal soggetto che si ritiene danneggiato da una condotta del Giudice. Quest’ultimo può decidere di intervenire o meno, ma qualora scelga di non farlo, nel giudizio di rivalsa si potrà procedere ad un nuovo accertamento dei fatti, cosicché la condanna al risarcimento non produrrà effetti nel successivo giudizio.     

Infine, abbiamo quei terzi non titolari di diritti dipendenti ma dotati di un interesse, non di mero fatto, a che il processo termini con un certo esito. Quest’ultima categoria si caratterizza perché ci si riferisce a soggetti terzi non titolari di rapporti giuridici dipendenti da quello dedotto in giudizio, ma i diritti dei quali risultano titolari sono comunque collegati, in modi diversi, a quello oggetto del processo pendente. E' possibile riportare l'esempio dell’intervento adesivo effettuato dal creditore in un processo a carico del suo debitore, il quale risulti convenuto in giudizio da un altro soggetto, che rivendica la proprietà su beni rientranti nella garanzia patrimoniale dell’interventore[19]

5. Aspetti pratici dell’intervento nel giudizio civile

Dopo aver affrontato la tematica della legittimazione, è altresì necessaria l'indicazione delle modalità e dei termini per poter esperire un intervento nel giudizio civile già iniziato tra altre parti.

L’intervento, indipendentemente dalla tipologia scelta, deve avvenire tramite comparsa di costituzione depositata in cancelleria o presentata direttamente in udienza. Nel caso dell’intervento adesivo dovrà, però, essere indicato l’interesse che legittima l’intervento stesso.

Per quanto riguarda, invece, il termine, basta riferirsi all’art. 268 c.p.c.[20], il quale prevede che “L'intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni. Il terzo non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l'integrazione necessaria del contraddittorio”.

In via generale quindi, l’interventore potrà proporre nuove domande entro il termine di costituzione del convenuto e proporre istanze istruttorie nei limiti ex art. 183 c.p.c.; qualora l’intervento venga effettuato fuori da questi limiti, sarà configurabile come mero intervento adesivo dipendente.

6. Dubbi e problematiche inerenti l’istituto dell’intervento adesivo dipendente

La dottrina ha nel tempo rilevato una serie di perplessità sull’istituto in esame, che continuano a far discutere. Invero, se non si considerasse esistente l’efficacia riflessa, come si spiegherebbe la funzione dell’intervento adesivo dipendente nel nostro sistema processuale? Inoltre, qualora si negasse l'esistenza dell'efficacia riflessa del giudicato, per alcuni, sarebbe difficile spiegare perché il legislatore consentirebbe ad un terzo di intervenire nel processo per sostenere le ragioni di una delle parti.

Tali interrogativi non sono affatto di facile risoluzione, sarà all'uopo necessario effettuare diversi passaggi. In primis, bisogna distinguere i terzi titolari di diritti dipendenti, per i quali non vi è alcuna norma di legge che prevede una forma di efficacia della sentenza, da quei terzi, sempre titolari di rapporti dipendenti, ma per i quali la legge prevede una qualche forma di efficacia della sentenza inter alios nei loro confronti. 

In ordine alla prima categoria di terzi, parte della dottrina - ritenendo esistente l'efficacia riflessa -non ha difficoltà a riconoscere il loro interesse a partecipare al processo e quindi quello di evitare l’emanazione di una sentenza a loro opponibile.

Diversamente, chi nega l’esistenza dell’efficacia riflessa fornisce diverse spiegazioni della presunta ratio dell'istituto in esame.

Alcuni, come Vocino, affermano che il legislatore consente al terzo titolare di un rapporto dipendente di intervenire al solo scopo di evitare un pregiudizio, ancorché non giuridico, ma di mero fatto. Tale pregiudizio consisterebbe nell’emanazione di una sentenza che, per quanto non opponibile al terzo, potrebbe costituire un precedente a cui il secondo giudice, chiamato a decidere sulla posizione del terzo, potrebbe essere psicologicamente vincolato.

Il terzo, quindi, avrebbe interesse a intervenire, in questa prospettiva, solo per evitare che nell’ambito del processo relativo al rapporto pregiudiziale, venga emessa una sentenza che, pur non essendogli opponibile, costituisca comunque un precedente, a cui il secondo giudice potrebbe essere tenuto o pigramente proiettato ad adeguarsi.

Sempre Vocino, sosteneva che

la difficoltà di sistemare l’intervento adesivo non è che un momento d’emersione del più vasto problema teorico dell’inserimento, e delle tutele, dei terzi nel processo e, quindi, della stessa questione dei limiti soggettivi del giudicato[21].

Secondo una diversa prospettiva, presa in considerazione da Consolo, l’interesse che muove il terzo ad intervenire sarebbe quello di evitare l’emanazione di una sentenza sul rapporto pregiudiziale, che possa costituire una premessa in base alla quale esercitare una pretesa nei suoi confronti.

Il pregiudizio risulta quindi di natura giuridica, ma non è un pregiudizio da accertamento. Invero, il terzo non è pregiudicato dall’accertamento, ma dall’esistenza di una sentenza che potrebbe essere posta alla base di un processo futuro nei suoi confronti.

Per questo motivo Consolo sostiene che il legislatore prevede la possibilità per il terzo di intervenire, per evitare che la sentenza possa costituire una premessa per esercitare una nuova azione nei suoi confronti. Pertanto, il terzo avrebbe interesse a che il processo si concluda in un certo modo, proprio per evitare che, in futuro, qualcuno possa agire in giudizio sulla base dell’accertamento del rapporto pregiudiziale.

7.  Alcuni orientamenti dottrinali sul tema

La dottrina ha da sempre prestato molta attenzione all’istituto dell’intervento adesivo e, soprattutto, alla conseguente importanza che assume la posizione del terzo in virtù del legame che intercorre con la situazione giuridica dedotta in giudizio.

Per molti anni ci si è accontentati di una definizione incompleta di intervento adesivo, in un'ottica di stretto collegamento con il fenomeno dell’efficacia riflessa, si considerava tale intervento come un mezzo di tutela preventiva del terzo titolare di un diritto dipendente da quello dedotto in giudizio.

E' proprio una prerogativa della dottrina italiana, a differenza di quella tedesca[22], quella di aver interpretato l’istituto in stretta correlazione con il concetto di giudicato e di efficacia riflessa del medesimo.

Orbene, vediamo come gli studi condotti in materia abbiano preso in considerazione, soprattutto, due elementi: da un lato l’interesse che spinge in terzo ad intervenire e, dall'altro, le caratteristiche che assume, poi, la posizione del terzo una volta intervenuto nel processo.

Proprio l'interesse legittimante, risulta correlato al tema degli effetti del giudicato verso i terzi, tanto che, da sempre, dottrina e giurisprudenza hanno cercato di restringere il novero dei soggetti legittimati all’intervento. Sul punto, appare opportuno schematizzare le varie riflessioni dottrinali, indicando due ricostruzioni divergenti dell’istituto in esame.

Prima di esaminarle, però, si segnala un punto di convergenza, in quanto alla base dell’interesse legittimante risulta esserci sempre un fenomeno di efficacia riflessa generato dal “collegamento tra rapporti sostanziali i cui limiti soggettivi, non omogenei, coinvolgono appunto terzi non partecipi al primo processo[23].

La prima concezione fa espresso riferimento agli effetti riflessi generati dalla pronuncia inter partes verso il terzo, affermando la possibilità che l’interesse abbia anche natura fattuale. In questo caso, si parla di intervento adesivo a schema aperto, in quanto ci si riferisce ad un’ampia cerchia di terzi: non solo a coloro che subiscono effetti giuridici derivanti dal giudicato inter alios, ma anche a chi risulta assoggettato a mere conseguenze sul piano fattuale. A sostegno di tale interpretazione si ricorda Segni, il quale riteneva che grazie ai nessi intercorrenti tra rapporti giuridici si generasse la riflessione del giudicato e nascesse così l’interesse ad intervenire.

Il medesimo autore, affermava altresì che

gli effetti per il terzo, che vengono assunti dalla legge quale paradigma di legittimazione, non sono di necessità gli effetti dell’accertamento giurisdizionale in quanto tale: e questo perché nel nostro ordinamento quegli effetti non toccano in genere i terzi. (…) acquistano decisiva importanza i soli meri effetti della fattispecie (…) che derivano al terzo dalla sentenza come fatto.[24]

Dunque per tale scuola di pensiero, l'intervento adesivo appare di natura facoltativa, essendo però il terzo libero di proporre un autonomo accertamento relativo alla situazione pregiudiziale. Peculiare è la circostanza in base alla quale non si potrà parlare di soggezione di un terzo al giudicato reso inter alios in quanto, sono le mere conseguenze fattuali del giudicato a generare "turbamenti" nella sfera giuridica del terzo.

Altra ricostruzione, invece, si basa sul concetto di riflessione del giudicato in senso stretto, alludendo ai casi in cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato coinvolge la sfera giuridica di soggetti estranei al processo.

Da qui deriva una tipologia di intervento adesivo definito a schema chiuso; questo perché la connessione tra la legittimazione ad intervenire e l’estensione del giudicato è da ritenersi esclusiva perchè riferita ai soli casi di coinvolgimento dei terzi in un accertamento e, allo stesso tempo, biunivoca in quanto disciplina dei limiti soggettivi del giudicato e degli strumenti di tutela. In tale schema, dove la funzione dell'intervento è di tutela preventiva e necessaria del terzo si genera un allargamento soggettivo del giudicato.

Per comprendere al meglio tale interpretazione, bisogna considerare che l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato, può produrre effetti nei confronti di coloro i quali risultino titolari di situazioni giuridiche in qualche modo connesse a quelle dedotte in giudizio, deducendosi quindi il legame esistente tra detta titolarità e legittimazione all’intervento adesivo.  

Al termine di lunghi e complessi studi comparatistici (soprattutto in Germania), si è giunti ad affermare che nei vari ordinamenti giuridici si fa capo ad uno schema di tipo aperto per giustificare l’intervento adesivo.

In dottrina, invece, diversi sono stati i richiami al fenomeno dell’efficacia riflessa, infatti, l’interpretazione che per lungo tempo ha assunto una posizione dominante è quella basata sull’esistenza dell'efficacia ultra partes del giudicato in presenza di condizioni di dipendenza tra situazioni giuridiche. In questa circostanza lo scopo dell’intervento adesivo sarebbe proprio quello di tutelare i terzi che, in ogni modo, subirebbero degli effetti dal giudicato reso inter alios.

L’intervento adesivo risultava, alla luce di tale orientamento, una tutela necessaria e preventiva. Questa tesi è stata però aspramente criticata da coloro che non riconoscevano l'esistenza di forme di efficacia riflessa. Si ritennero, infatti, poco adatti i presupposti teorici e lo strumento di tutela, attraverso anche un'interpretazione restrittiva dell’art. 344 c.p.c. che non consente, infatti, l’intervento in appello, con la conseguenza che molti terzi, non a conoscenza del giudizio di primo grado, sarebbero lasciati privi di tutela. 

Più complessa ed elaborata, invece, risulta la ricostruzione basata interamente sul diritto positivo, ed in particolare sul disposto dell’art. 2909 c.c. e sui casi eccezionali di efficacia ultra partes della sentenza. In questo caso, infatti, l’intervento risulta uno strumento di tutela preventivo, ma facoltativo.

Oltre a tali orientamenti, per dovere di completezza, risulta opportuno ricordare - seppur brevemente - le altre scuole di pensiero "intermedie".

La dottrina tedesca, ad esempio, ha elaborato una concezione di intervento utilizzabile in tutte le ipotesi di dipendenza permanente; come dimostrano gli studi di Mendelssohn Bartholdy sul legame tra gli strumenti di tutela del terzo, la dottrina - per ragioni di economia processuale - è sempre stata più favorevole ad ammettere l’intervento adesivo piuttosto che l’opposizione di terzo.

E' doveroso poi citare la tesi sostenuta dal Segni, che ispirato dalla dottrina tedesca, affermava come in realtà l’intervento potrebbe giustificarsi in base ai diversi effetti, non per forza derivanti dall’accertamento posto in essere dal giudicante; ciò nel senso che sarebbe riduttivo ricondurre l’istituto ad una mera tutela contro gli effetti riflessi del giudicato.

Liebman, invece, sosteneva come l’intervento adesivo risultasse uno strumento di tutela preventivo del terzo, dagli effetti che una pronuncia giudiziale futura genererebbe nei suoi confronti. Per quanto affascinante, purtroppo è stato osservato che tale tesi “risente della intrinseca (e già rilevata in dottrina) debolezza dello strumento di analisi utilizzato, l’efficacia naturale della sentenza”.[25]

Passando invece alle elaborazioni della dottrina italiana[26], vediamo come essa appare eterogenea in virtù delle diverse ricostruzioni realizzate del rapporto tra gli effetti del giudicato e gli elementi della legittimazione all’intervento adesivo. Alcuni autori, infatti, in merito all’intervento, aderiscono allo schema aperto, altri, invece, a quello chiuso.

Tra i punti più dibattuti ricordiamo sicuramente quello della legittimazione all’intervento adesivo e di conseguenza quello della posizione endoprocessuale del terzo intervenuto; in merito al secondo elemento si ricorda il famoso brocardo latino "interveniens vice actoris fungitur" ovvero, chi interviene in una causa funge quasi da attore.

Si ritiene che le soluzioni a tali interrogativi siano da ricercare nella ratio stessa dell’istituto, ovvero, nel consentire ad un terzo di partecipare alla formazione di un giudicato in virtù di un pregiudizio che potrebbe subire.

In altre parole, tale istituto ha una funzione ben precisa, oltre alla tutela del terzo, ovvero quella di “acconsentire un migliore adeguamento della vicenda processuale all’ordine delle relazioni tra rapporti sostantivi: il processo di necessità riceve una proiezione solo parziale e semplificata della realtà sostanziale; e, proprio per questo, si riscontra la presenza di istituti, come (…) gli interventi, volontari e coatti, la cui funzione essenziale è quella di permettere (sempre parzialmente, del resto) al processo di rispecchiare la connessione esistente sul piano sostanziale tra diversi rapporti[27].

Per quanto riguarda la legittimazione ad intervenire, in breve, la dottrina prevalente ha affermato che non basta la mera dipendenza tra situazioni sostanziali per far sorgere l’interesse legittimante, ma bensì è richiesta l’esistenza di fenomeni di riflessione del giudicato su rapporti connessi e dipendenti. Questa conclusione, però, ha dovuto poi fare i conti con l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in materia di limiti soggettivi del giudicato e con le diverse letture  restrittive della normativa di riferimento, che negli anni si sono sovrapposte.

Quindi si è giunti ad affermare che l’interesse ad intervenire non per forza deve essere dettato dal realizzarsi di un fenomeno di riflessione del giudicato, riconoscendosi, infatti, la legittimazione anche a quei terzi, titolari di posizioni dipendenti ma non vincolati dall’accertamento processuale.

Lo stesso Chizzini rivolge particolare attenzione al fenomeno della pregiudizialità dipendente, nei casi in cui legittima l’intervento in assenza di alcun fenomeno di riflessione, perché tale fattispecie non comporterebbe alcuna violazione o forzatura interpretativa dell’art. 2909 c.c. 

Infatti si finisce con l'affermare che, ciò che viene richiesto per consentire l’intervento in causa è qualcosa di più della semplice situazione di pregiudizialità-dipendenza sul piano sostanziale, ancorché sia evidente che tale affermazione non è priva di conseguenze, rischiando di rendere evanescente lo stesso concetto di dipendenza, estendendolo in maniera eccessiva[28].

A tal proposito si ricorda la critica avanzata da Verde, il quale propone una sorta di selezione e catalogazione di tutte le ipotesi riconducibili alla pregiudizialità-dipendenza, oltre ad una cernita di quelle che possono effettivamente legittimare l’intervento adesivo.

In tale circostanza, l’intervento del terzo sarebbe adibito a rendere lo stesso partecipe di un accertamento giudiziario che coinvolge “il rapporto pregiudiziale che si pone quale parte costitutiva della fattispecie del proprio rapporto[29], oltre ad evitare un pregiudizio che, a seguito della decisione del giudice, potrebbe colpire la sua sfera giuridica.

Viene poi evidenziata l’esistenza di un problema di politica legislativa, legato alle ragioni che spingono un terzo a voler intervenire in un processo inter alios – generandone un appesantimento - nonostante egli non sia soggetto agli effetti del giudicato. Il problema, invero, nascerebbe dalla mancata determinazione precisa dei soggetti legittimati all’intervento e “non può non essere decisiva per la lettura della norma la valutazione dei profili storici dell’istituto e la loro comparazione con il sistema attuale. Se si imposta in questo modo l’analisi, si crede che l’interprete non possa prescindere dal rilievo per il quale l’intervento adesivo è sempre stato ammesso anche in situazioni in cui il terzo non ricorreva allo strumento dell’accessione come mezzo di tutela preventivo contro gli effetti del giudicato, ma che di differente valore e qualità sia l’incidenza che gli effetti che l’emanazione della sentenza produce sul rapporto dipendente, alla quale l’ordinamento attribuisce rilevanza ai fini dell’intervento adesivo[30].

Delineato il quadro dell’evoluzione interpretativa[31] dell’istituto, in merito alle fattispecie che legittimano l’intervento, si può affermare che vi sono tre casi che possono far sorgere l’interesse del terzo ad intervenire.

In primo luogo, quando il contenuto della sentenza resa inter alios può arrecare pregiudizio nella sfera giuridica del terzo in base al fenomeno dell’efficacia riflessa; una seconda casistica, invece, si può identificare nella circostanza nella quale il pregiudizio derivi dagli effetti costitutivi o esecutivi del giudicato e, infine, quando il possibile pregiudizio può derivare dalla presenza del c.d. precedente sfavorevole[32].

Possiamo quindi affermare che parte della dottrina, recentemente, è apparsa propensa ad ammettere l’intervento adesivo in tutte le circostanze caratterizzate dal fenomeno della dipendenza tra situazioni giuridiche, anche se le codificazioni moderne hanno cercato, invece, di limitare il novero di terzi legittimati, per evitare un uso improprio di tale strumento.

8. Estensione degli effetti del giudicato reso inter alios e questioni dipendenti da quella dedotta in giudizio

Al fine di fornire un'analisi completa del particolare tema trattato, risulta doveroso soffermarsi sul fenomeno della correlazione tra il concetto di dipendenza e la possibilità che la sentenza esplichi effetti verso i terzi.

Fondamentale è l’esistenza nel nostro ordinamento di norme – derogatorie del principio generale - che prevedono l’estensione del giudicato. Teli deroghe, però, sono sempre oggetto di interpretazioni restrittive, anche perché l’istituto dell’intervento adesivo è stato ricostruito sulla base di una consolidata prassi giurisprudenziale che ammetteva l'intervento del terzo in presenza di rapporti dipendenti. Infatti, l’intervento adesivo dovrebbe considerarsi uno strumento di natura preventiva, adibito solo ad evitare conseguenze pregiudizievoli a seguito di un fenomeno di estensione del giudicato.

Sembrerebbe inoltre esserci una vera e propria incompatibilità tra la legittimazione all’intervento adesivo e quella all’opposizione di terzo. Ovvero, chi subisce il giudicato non potrebbe proporre opposizione per una questione di coerenza logica con l'intero ordinamento processuale, ma, osservando il secondo comma dell’art. 404 c.p.c. ci si rende conto, invece, che l’opposizione può essere proposta anche da un terzo, soggetto al giudicato in presenza di specifiche condizioni (collusione e dolo).

Il legislatore ha però ritenuto di dover distinguere la situazione dei terzi prima e dopo l’emanazione della sentenza, ed infatti

il costo marginale per un incidentale partecipazione al processo di formazione dell’atto (quindi, per la restaurazione della pienezza del contraddittorio, in riferimento alla efficacia soggettiva finale della decisione) appare minore rispetto a quello conseguente alla necessità di riattivare un nuovo procedimento, che porterà a nuova decisione sostitutiva e alla vanificazione (parziale o totale: a seconda della posizione che si accoglie circa gli effetti della opposizione di terzo revocatoria) dei risultati del precedente processo[33].

Qualche riflessione è d’obbligo in merito al concetto di dipendenza sostanziale, posto in risalto dall’art. 105 c.p.c., come strumento attraverso il quale poter individuare quali sono i soggetti legittimati ad intervenire, al fine di comprenderne i limiti.

Indubbiamente il fenomeno della dipendenza risulta strettamente legato a quello dei limiti del giudicato, posto che l’ampiezza di quest’ultimo determina l’estensione del fenomeno stesso di dipendenza. Risulta infatti legittimato ad intervenire colui il quale subirebbe gli effetti costitutivi o esecutivi della sentenza, essendo così tutelato preventivamente, ancorché possa invocare un tutela anche successivamente, potendo fare uso dell’opposizione di terzo.

Secondo Chizzini, infine, sarebbe invece necessario discostarsi dall’idea di intervento come strumento preventivo di tutela, perché risulta più appropriato ritenere che si tratti di un mezzo attraverso il quale si formi un giudicato anche nei confronti dello stesso terzo. Con tale istituto, quindi, finirebbe per essere superata la concezione di processo come situazione bilaterale tramite, appunto, l’ingresso di un terzo. Invero, l'intervento adesivo, nel pieno rispetto dei principi costituzionali va considerato come un “significativo episodio di manifestazione della volontà, diffusamente perseguita negli ordinamenti moderni, di ottenere un più vasto ambito soggettivo di operatività della sentenza; e questo al fine di accentuare la coordinazione tra realtà sostanziale ed esperienza processuale, eliminando quelle distonie che fisiologicamente conseguono alla limitazione soggettiva del processo prima, e della incidenza della cosa giudicata poi.[34].

Si ricorda, inoltre, che non manca chi ha ritenuto di dover definire l’intervento adesivo “quale strumento che la legge concede al terzo per ottenere in via anticipata l’accertamento del rapporto pregiudiziale che costituisce parte della fattispecie di un suo rapporto dipendente, e questo a causa dell’incidenza (…) degli effetti della sentenza sulla posizione sostanziale del terzo[35].      

9. L’intervento in appello

Tra gli strumenti di tutela a favore di quei terzi che subiscono gli effetti di una decisione alla quale non hanno contribuito, non avendo preso parte al processo, autorevoli giuristi annoverano anche l’intervento in appello, disciplinato dall’art. 344 c.p.c.. Secondo tale disposizione: “Nel giudizio d'appello è ammesso soltanto l'intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell'articolo 404” c.p.c..

In via generale, si ricorda che l'intervento del terzo in appello che non abbia preso parte al giudizio di primo grado non è ammesso. Tale regola si giustifica in ossequio al principio del doppio grado di giurisdizione, in base al quale non è consentita la partecipazione al giudizio di secondo grado a coloro i quali non hanno preso parte al primo dovendo, in caso contrario, essere ammesse nuove domande da parte del terzo interventore o nei suoi confronti dalle parti originarie.

L’unica eccezione è prevista qualora il terzo risulti legittimato ad esperire l’opposizione di terzo[36] e sempreché egli sia in grado di dimostrare che la sentenza di secondo grado risulti potenzialmente idonea ad arrecargli un pregiudizio. Non è necessario, infatti, un pregiudizio effettivo, ma è sufficiente un pregiudizio potenziale. 

Si può quindi constatare l'esistenza di un collegamento tra l’intervento e l’opposizione di terzo; proprio su tale assunto vi è concordia in dottrina anche se, per alcuni, lo scopo del legislatore semplicemente quello di utilizzare l’art. 404 c.p.c. come filtro per limitare, rispetto al giudizio di primo grado, il potere di intervento in appello.

Si possono poi individuare due cause giustificative di questo istituto: da un lato la circostanza per la quale la sentenza una volta emanata può già arrecare danni al terzo e, dall'altro, che, sia di conferma che di rigetto, anche la sentenza d’appello potrebbe pregiudicare il terzo in caso di mancato intervento.

Per riportare un esempio di legittimazione all’intervento in appello, è il caso di citare la sentenza della Cassazione civile n. 20696 del 2012, con la quale si chiarisce che “a norma dell'art. 344 c.p.c., il terzo proprietario di un immobile in virtù di atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale inter alios, definita con sentenza di trasferimento di una quota indivisa dell'immobile che ricomprenda quello di cui il terzo è proprietario, è legittimato ad intervenire nel giudizio di appello pendente avverso la sentenza di trasferimento, al fine di far dichiarare l'inefficacia della sentenza nei suoi confronti.

Bisogna, però, chiedersi quale tipologia di intervento è consentita in appello. Per rispondere a tale interrogativo, si ritiene opportuno richiamare il prevalente orientamento giurisprudenziale, ancora confermato di recente[37], in base al quale  sarebbe possibile, esclusivamente, far valere un diritto autonomo rispetto a quello dedotto in giudizio. Non sarebbero, infatti, consentiti l'intervento adesivo, l'intervento coatto, sia iussu iudicis che su istanza di parte, in quanto permetterebbero al terzo di proporre nuove domande.

Vediamo quindi che l'intervento in appello è stato introdotto dal legislatore con uno scopo ben preciso, ovvero quello di evitare che, una volta emanata la sentenza di secondo grado, il terzo proceda all’impugnazione ex art. 404 c.p.c. e quindi, anche al fine di garantire il rispetto del principio di economia processuale.

Per completezza, è doveroso citare un’importante sentenza della Cassazione in materia di intervento di terzi e litisconsorzio [38]. Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto di dover cassare la sentenza di merito  pronunciata in assenza del terzo ritenuto non legittimato ad intervenire. Questo in quanto era stata rilevata "la mancanza di sicuri ed univoci elementi che depongano nel senso della identità tra il bene oggetto della domanda dell’attore, e del quale il Tribunale ha disposto il trasferimento ex art. 2932 codice civile, ed il bene acquistato dalla società interveniente”, nonostante egli fosse subentrato nei diritti del promittente/compratore derivanti da un contratto preliminare di vendita stipulato in precedenza.

Nella sentenza si legge che “nei casi di intervento di appello, a norma del citato art. 344 codice di procedura civile, da parte di chi prospetti la pregiudicabilità di un proprio autonomo diritto, incompatibile con la situazione giuridica costituita con la sentenza di primo grado, legittimazione e merito si confondono, in quanto la prima discende dalla effettiva titolarità del diritto incompatibile vantato ed il secondo concerne proprio la incompatibilità tra quel diritto e la situazione giuridica costituita”.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’art. 105 c.p.c. recita come segue: “Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse”

[2] A. Chizzini, L’intervento adesivo, volume I, Padova 1991, cit. p. 14

[3] Id., op. cit., cit. p. 189

[4] Nello specifico, ci si riferisce al secondo comma, dove viene indicato il potere del successore a titolo particolare nel diritto controverso, di intervenire nel relativo processo attribuendogli, tra l’altro, incisivi poteri processuali.

[5] Costituzione del terzo interveniente: “Per intervenire nel processo a norma dell'articolo 105, il terzo deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa formata a norma dell'articolo 167 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura.

Il cancelliere dà notizia dell'intervento alle altre parti, se la costituzione del terzo non è avvenuta in udienza.”

[6] Termine per l'intervento: “L'intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni. Il terzo non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l'integrazione necessaria del contraddittorio.”

[7] Decisione delle questioni relative all'intervento: “Le questioni relative all'intervento sono decise dal collegio insieme col merito, salvo che il giudice istruttore disponga a norma dell'articolo 187 secondo comma.”

[8] All’intervento in appello sarà dedicato il § 8

[9] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 507

[10] C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Torino 2017, cit. pp. 45 - 46

[11] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 818

[12] Id., op. cit., cit. p. 818

[13] V. Cass. civ. Sez. Unite, 12 marzo 2008, n. 6523 “L’efficacia riflessa del giudicato non si estende ai terzi che siano titolari, non già di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo, ma di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico oggetto del giudicato stesso, non potendosi confondere i collegamenti che pur possono presentarsi tra i vari giudizi e tra gli accertamenti oggetto di essi, e il rapporto di pregiudizialità giuridica. E’, infatti, soltanto il collegamento di pregiudizialità - dipendenza in senso giuridico che legittima l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti eventualmente estranei al relativo giudizio; ma detta categoria giuridica è riscontrabile, per opinione unanime anche della dottrina, solo allorché un rapporto giuridico (pregiudiziale o condizionante) rientra nella fattispecie di altro rapporto giuridico (condizionato, dipendente), sicché ogni qual volta non possa riscontrarsi una tale coincidenza (sia pure parziale), ma emergano solo nessi di fatto o logici tra i due rapporti dedotti in giudizio, non vi sono i presupposti perché si determini detta efficacia riflessa”

[14] cfr. tra tutte: Cass. civ., sez. II 04 aprile 2014 n. 8029; Cass. civ., sez. I, 19 settembre2013, n. 21472; Cass. civ., sez. VI 21 maggio 2013 n. 12386; Cass. civ., sez. II, 09 maggio 2013, n. 10989

[15] Così: Cass. civ., sez. VI, 08 ottobre 2013, n. 22908

[16]Così, C. Consolo, op. cit., pp. 47 ss.

[17] C. Consolo, op. cit. cit. p. 50

[18] C. Consolo, op. cit., cit. p. 52

[19] Art. 2740 comma 1 c.c.: “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”

[20] Il testo della disposizione ha subito una modifica con la l. 26 novembre 1990, n. 363, infatti il testo previgente indicava come momento preclusivo dell'intervento la fase della rimessione della causa al collegio.

[21] A. Chizzini, op. cit. cit. nota n. 21, p. 17

[22] Si ricorda una tripartizione operata da Wach del fondamento dell’interesse in tre categorie di effetti della sentenza sui terzi: Rechtskrafwirkung, Vollstreckungswirkung e Tatbestandswirkung, tutto ciò purché il terzo abbia subito un pregiudizio concreto in seguito al giudicato. Di particolare rilievo risulta essere l’ultima ipotesi, che indica i casi in cui parte della sentenza genera una situazione sfavorevole al terzo. Wach non è d’accordo nell’affermare il carattere preventivo dell’istituto ritenendo che se fosse tale, la sua applicazione sarebbe limitata ai pochi ed eccezionali casi previsti dal legislatore di estensione del giudicato. Inoltre, sempre l’autore tedesco, ritiene esistente l’interesse ad intervenire anche quando tale interesse non si ricollega al giudicato, lasciando così presumere anche l’esistenza degli effetti di fatto di una sentenza.

[23] A. Chizzini, op. cit. cit. p. 48

[24] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 90

[25] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 60

[26] Perché apparentemente la ricostruzione della legittimazione all’intervento adesivo si basava esclusivamente sul facile equivoco dell’efficacia riflessa.

[27] A. Chizzini, op. cit. cit. p. 223

[28] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 181

[29] A. Chizzini, op. cit. cit. p. 178

[30] Id., op. cit., cit. p. 179, nota n. 282

[31] Si ricorda, però, che l’interprete ha dovuto, con il tempo e l’evoluzione, fare i conti anche con una serie di principi che lentamente hanno assunto un valore primario e che molto spesso si sono trovati in contrasto con alcune interpretazioni favorevoli al fenomeno di estensione del giudicato ultra partes. Quindi le tre ipotesi di legittimazione che saranno elencate, dovranno comunque fare i conti con i principi fondamentali del diritto processuale.

[32] A tal proposito si ricorda E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Giuffrè, Milano, 1935, pp. 325 ss.

[33] A. Chizzini, op. cit. cit. p. 812

[34] A. Chizzini, op. cit., cit. p. 969

[35] Id., op. cit., cit. p. 1017

[36] “La legittimazione all’intervento in appello è configurata alla stregua della legittimazione alla proposizione della opposizione di terzo, sena distinzione alcuna tra il I e II comma dell’art. 404 c.p.c. Se, come sembra corretto, si accetta che il terzo cui si estende il giudicato è legittimato eventualmente solo alla forma revocatoria dell’opposizione, la questione diviene di valutazione del significato che si attribuisce al rinvio compiuto nell’art. 344 all’art. 404 c.p.c. Non sarebbe nemmeno del tutto intollerabile una soluzione combinatoria di chiaro sapore compromissorio: ossia ritiene che il terzo che subisce il giudicato può liberamente intervenire nel corso del processo di primo grado, mentre scatta nel grado di appello una rigida ed escludente preclusione da cui è possibile sottrarsi solo dimostrando il dolo o la collusione. (…) la norma contenuta nell’art. 344 c.p.c. è assolutamente innovativa rispetto al sistema previgente e sembra – almeno a una prima lettura – aver gettato senza preoccupazioni soverchie (ma anche senza giustificati motivi) quanto una lunga applicazione ammetteva: non si può non notare la palese irrazionalità di una soluzione (a cui forse il legislatore è pervenuto mancando di piena coscienza delle implicazioni) che deriva da un alto, dall’avere ammesso giustamente l’intervento principale, ovvero quella tipologia di accessione della cui ammissibilità in appello tanto si discuteva sotto il codice previgente e dell’avere così in parte ridimensionato il principio del doppio grado di giurisdizione; dall’altro – e sempre senza una spiegazione logica – dall’avere escluso (nell’interpretazione dominante) ogni possibilità pratica di attuazione dell’intervento adesivo in appello, in quanto se ne sono direttamente impediti i terzi dipendenti che non sarebbero legittimati all’opposizione di terzo. Di fatto poi, ne potrebbero risultare estromessi anche quei terzi che dalla soggezione alla cosa giudicata ricavano la legittimazione all’opposizione di terzo revocatoria (Segni A., Intervento in causa, cit., p. 963): sembra altamente improbabile che il dolo o la collusione delle parti possa essere così pervicace da profilarsi appositamente un giudizio appello in cui l’intento fraudolento delle parti possa concretizzarsi. Di norma le parti in collusione o dolose non arrivano alla fase impugnatoria.” (A. Chizzini, op. cit., cit. p. 810)

[37] La giurisprudenza prevalente, è giunta ad affermate che, anche il litisconsorte necessario che ha partecipato al processo di primo grado ma non citato in appello può intervenirvi, perché il giudice in ogni caso avrebbe dovuto disporre l'integrazione del contraddittorio o l'intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso.

[38] Sent. Cass. civ. Sez. II, 25 giugno 2012, n. 10590