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Pubbl. Lun, 16 Mag 2022

Diritto a morire: la Consulta dichiara inammissibile il referendum abrogativo e il Parlamento discute il d.d.l. sul suicidio assistito

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Francesca Ricci



Il dibattito sul “fine vita” in Italia è tornato recentemente all’attenzione con la proposta referendaria, volta ad abrogare il primo comma dell’art. 579 c.p., e con la conseguente sentenza di inammissibilità della Corte costituzionale, n. 50/2022. Il presente contributo mira, quindi, ad interrogarsi sulla possibilità di riconoscere o meno un vero e proprio diritto a morire e una parziale disponibilità del bene vita, ricostruendo l´evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia. L´attenzione, poi, verrà posta tanto sui motivi che hanno portato i giudici delle leggi a dichiarare inammissibile il quesito referendario, tanto sul disegno di legge oggi in discussione in Parlamento, volto a modificare l´art. 580 c.p. alla luce del monito della Consulta.


ENG The debate on the ”end of life” in Italy has recently returned to attention with the referendum proposal, aimed at repealing the first paragraph of art. 579 of the Criminal Code, and with the consequent judgment of inadmissibility of the Constitutional Court, n. 50/2022. The present contribution therefore aims at questioning the possibility of recognizing or not a real right to die and a partial availability of the good of life, reconstructing the legislative and jurisprudential evolution on the subject. Attention, then, will be placed both on the reasons that led the judges of the laws to declare the referendum question inadmissible, as well as on the Bill now under discussion in Parliament, aimed at amending art. 580 c.p. in the light of the advice of the Constitutional Court.

Sommario: 1. Premessa; 2. Esiste un diritto a morire?; 3. La parziale disponibilità del bene vita; 4. La sentenza della Corte costituzionale sulla inammissibilità del referendum abrogativo del primo comma dell’art. 579 c.p.;  5. Il d.d.l. sulla ‘morte volontaria medicalmente assistita’; 6. Conclusioni.

                                                                                                                       

1. Premessa

Gli articoli 579 e 580 c.p., che puniscono l’omicidio del consenziente e l’istigazione e l’aiuto al suicidio, per lunghi anni hanno rappresentato un argine apparentemente invalicabile a qualsiasi forma di autodeterminazione personale nel “fine vita”, tanto nella forma del rifiuto delle cure o dell’interruzione dei trattamenti terapeutici salva-vita (eutanasia passiva), quanto – e a maggior ragione – nella forma del suicidio medicalmente assistito o dell’eutanasia attiva.

Unitamente, in particolare, al divieto di compiere atti di disposizione del proprio corpo previsto dall’art. 5 c.c., tali norme trovavano la propria giustificazione in una interpretazione “forte” del diritto alla vita, ricavabile dal principio personalistico di cui all’art. 2 della Costituzione.

Il valore della persona umana, posta al centro della Costituzione, postulerebbe l’intangibilità della vita come dogma insuperabile, e consentirebbe di declinare il principio non solo nei termini di esercizio di un diritto, cioè non solo come istanza di protezione nella titolarità di ogni individuo, bensì anche come una sorta di dovere, volto a garantire la vita come interesse superindividuale, collettivo o di rango statuale, pertanto assolutamente indisponibile.

L’eutanasia passiva, tuttavia, “si è fatta strada” nel nostro ordinamento in una serie di casi giurisprudenziali e sulla spinta delle aperture della Corte europea dei diritti dell’uomo[1]. Queste pronunce hanno indotto il legislatore, all’esito di un iter parlamentare lungo, articolato e controverso, ad emanare la l. n. 219/2017, introducendo le disposizioni anticipate di trattamento e attribuendo una significativa rilevanza all’autodeterminazione nel “fine vita”, alla luce anche di quanto disposto dall’art. 32 comma 2 della Carta fondamentale.

Il dibattito non si è, però, sopito e, a seguito delle note vicende del caso Cappato/Antoniani, la Corte costituzionale è intervenuta, dapprima, con l’ordinanza n. 207/2018 e, poi, con la sentenza 242/2019, ritagliando all’interno dell’art. 580 c.p. un’ipotesi di esclusione dell’antigiuridicità della condotta di aiuto al suicidio. Secondo la Corte, in particolare, la norma è incostituzionale nella parte in cui «non esclude la punibilità di chi […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili»[2].

Nella sua pronuncia, tuttavia, la Corte non è giunta ad affermare l’esistenza di un vero e proprio diritto a morire, per quanto, secondo alcuni[3], esso non possa non trapelare tra le pieghe della motivazione, costituendo il presupposto sostanziale necessario all’efficacia scriminante – ancorché circoscritta – del suicidio assistito.

Il tema, però, è stato riportato all’attenzione della Corte, con un quesito referendario promosso dall’associazione “Luca Coscioni”, che richiedeva la parziale abrogazione dell’art. 579 c.p., dando pieno valore legittimante al consenso dell’avente diritto, in quanto soggetto capace di autodeterminazione responsabile. L’obiettivo perseguito dal referendum era proprio quello di affermare l’esistenza di un diritto a morire e il suo possibile esercizio, conseguentemente, anche per mano di altri.

La Corte tuttavia, con la sentenza n. 50 del 15 febbraio 2022, ha dichiarato il referendum inammissibile «perché a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».[4]

Parallelamente, a seguito del monito della Consulta al Parlamento di intervenire per modificare l’art. 580 c.p., è in discussione in Parlamento il controverso Disegno di legge sul “fine vita”, sul quale il dibattito politico in corso è molto acceso rispetto ai limiti entro cui recepire e precisare le indicazioni della Corte costituzionale.

2. Esiste un diritto a morire?

Per “diritto a morire” bisogna intendere la facoltà riconosciuta all’individuo di poter liberamente disporre della propria vita, secondo la propria coscienza, ricomprendendo, tra le scelte che può compiere, anche quella di una morte dignitosa, senza sofferenze fisiche o psicologiche, in presenza di determinate condizioni esistenziali[5].

In una prospettiva storica di lunga durata il fenomeno suicidiario è stato differentemente considerato. Nell’antica Roma il suicidio non solo era tollerato, bensì, in élite colte, quale quella degli stoici, era addirittura considerato la più alta espressione della libertà che permetteva agli uomini di avvicinarsi agli dei. Successivamente si assistette, però, a un graduale rovesciamento della prospettiva. Nel V secolo d.C. Agostino, nella sua “La Città di Dio”, formulò le basi dell’etica cristiana relativa al rifiuto del suicidio, e in seguito Tommaso d’Aquino alla fine del XIII secolo arrivò a condannarlo come un atto contrario alla società intera, ancor più grave dell’omicidio, non prevedendo per questo l’espiazione del peccato[6]. L’incriminazione del suicidio ha rappresentato poi una costante dei sistemi repressivi, almeno sino all’avvento del pensiero illuminista; si pensi che in Italia, ancora il Codice Zanardelli del 1839, all’art. 585, reprimeva il suicidio consumato e tentato. È solo in effetti dalla metà del 1800 che gli ordinamenti penali europei hanno cessato di incriminare la condotta suicidiaria.

È necessario, però, domandarsi se l’autodeterminazione dell’individuo possa legittimare, oltre al suicidio in sé, anche forme di partecipazione “solidale” a tale atto.

Se il suicidio “solitario”, infatti, ricade esclusivamente nella sfera di azione del singolo, l’aiuto al suicidio chiede il coinvolgimento di almeno un’altra persona. La solitudine nella quale si consuma l’atto autodistruttivo estremo viene meno: si chiede a qualcuno di rendere possibile o più agevole il congedo dalla vita; si rende cioè qualcuno complice della propria morte, non più impulsiva e improvvisa ma pianificata e progettata[7].

Secondo la tesi tradizionale[8], il suicidio è un’azione socialmente tollerata[9], né approvata né disapprovata dall’ordinamento che, dunque, pur non etichettandola illecita, non consente di qualificarla come esercizio del più generale diritto all’autodeterminazione personale. La vita resterebbe un bene indisponibile e non sarebbe ammessa alcuna forma di partecipazione “solidale” al suo annientamento.

Detto altrimenti: non sarebbe mai lecito l’intervento del terzo nell’assecondare la volontà, benché libera e consapevole, del soggetto di porre fine alla propria vita liberandosi dalle sofferenze che la vita stessa può generare. Si tratta, a ben vedere, di una visione a sfondo “statalista” che, nell’appropriarsi del concetto universale e astratto di uomo, sottrae la vita alla disponibilità del singolo titolare per finalità trascendenti, in nome di valori assoluti e incontrovertibili[10].

Tra gli argomenti tecnici che la dottrina[11] valorizza vi è il dettato dell’art. 5 del codice civile, dal quale viene ricavato il principio dell'indisponibilità della vita umana e del divieto di porre in essere atti di disposizione del proprio corpo che determinino una lesione irreversibile della integrità fisica o che siano contrari a legge, ordine pubblico o buon costume.

Ancora, viene valorizzato il presidio di tutela apprestato dagli artt. 579 e 580 del c.p., specie rispetto ai soggetti che versano in condizioni di fragilità fisica e psichica al momento di prestare il consenso o di richiedere l’aiuto a morire[12].

Tale impostazione teorica declina la vita come bene superiore di rango costituzionale, protetto al massimo grado dall’ordinamento contro ogni pratica di eutanasia, soprattutto di quella “attiva”[13].

Secondo altro indirizzo teorico[14], nell’ambito della cosiddetta bioetica della disponibilità della vita[15], sarebbe per contro legittimo guardare con un certo favore alle pratiche dell’eutanasia, visto l’avanzamento del processo di secolarizzazione in atto nel mondo occidentale. Tale dottrina critica il contenuto paternalistico della norma penale, qualora essa intervenga a restringere oltremisura i confini di libertà di autodeterminazione del singolo individuo.

Così, pur non considerando automaticamente lecito ogni intervento per mano d’altri nello spazio riservato alla libertà morale dell’individuo al momento della decisione estrema sull’essere o il non essere, sarebbe, tuttavia, necessario garantire, quanto meno a chi non è in grado di attuare autonomamente la propria volontà, un aiuto esterno a congedarsi dalla vita senza patire inutili sofferenze aggiuntive[16].

Le ragioni a fondamento di questa teoria devono riscontrarsi tanto nel principio di autonomia della persona, che in quello della irragionevolezza della sofferenza individuale.

Il primo principio si postula sul diritto riconosciuto in capo al soggetto di disporre della propria vita, che rende l’individuo davvero arbitro del proprio destino[17]. In tale contesto autonomia significa, dunque, legittima facoltà di autodeterminarsi anche con riguardo al “fine vita”, in conformità alle proprie inclinazioni, ai propri valori personali e alla propria sensibilità morale.

Con attenzione all’irragionevolezza delle sofferenze morali, va messo centro dell’attenzione il concetto di dignità della persona umana, e la conseguente ingiustizia della sofferenza tanto fisica che psichica in un certo senso imposta all’individuo. A fondamento di ciò si pone l’accento sugli artt. 3, comma 1, 2 e 32 comma 2 della Costituzione. Il primo articolo tutela la dignità individuale in rapporto a quella sociale, il secondo in via generale la libertà di autodeterminazione; il terzo tutela, nell’ambito dei trattamenti sanitari, la libertà di scelta del paziente, evidenziando il principio del consenso (informato) al trattamento terapeutico, con la conseguente possibilità di revocare il consenso stesso a un determinato trattamento anche dopo averlo in un primo tempo prestato.

Portando all’estremo il discorso, si arriva al riconoscimento in capo all’individuo della possibilità di scegliere la morte e di avvalersi di un aiuto a morire, quando gravemente malato e costretto ad un’esistenza per lui non più dignitosa. Si afferma, a questo punto, che il diritto alla vita può talvolta includere il suo contrario, come precipitato logico necessario del diritto stesso alla vita[18].

3. La parziale disponibilità del bene vita

«Di chi è il corpo? Della persona interessata, della sua cerchia familiare, di un Dio che l’ha donato, di una natura che lo vuole inviolabile, di un potere sociale che in mille modi se ne impadronisce, di un medico o di un magistrato che ne stabiliscono il destino?»[19]

A tale interrogativo negli ultimi anni si è risposto, come già accennato, aprendo a una parziale disponibilità del bene vita e quindi a una maggiore signoria della “persona interessata”.

In tal senso è necessario soffermarsi ancora sulla l. n. 219/2017, riguardante le disposizioni anticipate di trattamento e il c.d. testamento biologico. Tale legge consente al maggiorenne, capace, di optare per la propria dipartita, esprimendo (con le modalità previste dall’art. 1) il rifiuto di iniziare o proseguire un trattamento salvavita, indipendentemente dalla patologia, dalle chance di sopravvivenza e dalle ragioni che stanno dietro la scelta estrema esercitata[20].

Si valorizza, così, anche nei momenti di maggior fragilità del paziente, la sua volontà, attraverso il diritto al consenso informato la cui tutela è rafforzata a partire dall’individuazione di una base costituzionale ampia di legittimazione. Infatti, il comma 1 si richiama ai principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che proteggono il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona[21].

 Viene sancito, quindi, il diritto al rifiuto del trattamento terapeutico, previa informazione del sanitario sulle conseguenze derivanti dalla sua interruzione, e viene riconosciuta la libertà di ricorrere esclusivamente a cure palliative o alla c.d. terapia del dolore. L’informazione deve essere data attraverso un linguaggio chiaro e intellegibile, fedele alla situazione clinica del malato.

In questo quadro, le D.A.T. (Disposizioni anticipate di trattamento) non acquisiscono un carattere meramente orientativo ma assurgono al rango di direttive da rispettare. Non si tratta, però, di indicazioni inderogabilmente vincolanti in quanto occorre verificare la corrispondenza tra la situazione ipotizzata e quella effettivamente verificatasi[22].  Dispone infatti il comma 5 dell’art. 4: «[...] il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. [...]»[23].

Si può affermare che questa disciplina si ispiri al principio dell’habeas corpus, in quanto essa ribadisce l’esistenza di uno spazio invalicabile contro possibili abusi e prevaricazioni: “nessuno può toccare il mio corpo senza il mio consenso”.

In questa prospettiva, il rifiuto di cure può essere considerato vera e propria espressione della libertà personale garantita dall’art. 13 Cost.

 Da questo punto di vista, la morte conseguente all’interruzione di cure può essere considerata una vera e propria morte naturale, determinata da un decorso causale già in atto che il soggetto non ha voluto nemmeno tentare di interrompere[24].

Una seconda fondamentale tappa verso una concezione di parziale disponibilità della vita si è avuta con l’intervento – già richiamato – della Corte costituzionale nel caso Cappato/Antoniani[25].

La Consulta ha delineato un’area circoscritta di liceità, ponendo l’accento su quattro condizioni che debbono coesistere affinché sia esclusa la punibilità per agevolazione del suicidio ex art. 580 c.p. In particolare occorre che: a) la persona sia affetta da patologia irreversibile, b) la patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, c) la persona sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, d) la persona sia infine, nonostante tutto, capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Al di fuori di questi limiti, d’altra parte, la Corte ha ritenuto l’incriminazione dell’istigazione e dell’aiuto al suicidio «funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema ed irreparabile come quella del suicidio».

Tale pronuncia ha suscitato accese discussioni: alcuni autori hanno sostenuto l’esigenza ormai di superare l’impostazione paternalistica del codice penale[26], altri hanno continuato a sostenere la necessità di ancorare il nostro ordinamento al principio di indisponibilità della vita, inteso in senso assoluto e non passibile di eccezioni. Quest’ultimi fanno leva in particolar modo sull’incertezza dei confini della nozione di irreversibilità della malattia e sulla difficoltà di accertare il consenso consapevole e libero di pazienti in situazioni estreme di malattia e sofferenza[27].

Per la prima volta la Consulta, pur senza affermare un vero e proprio diritto a morire, ha sancito tuttavia – almeno in parte – il diritto a una morte dignitosa[28], valorizzando l’autonomia decisionale del paziente e tutelandone la sua dignità.

Gettando lo sguardo oltre i confini nazionali, per una visione più organica della disciplina sul “fine vita”, occorre peraltro prendere in considerazione la disciplina tedesca di cui ai §§ 216- 217 StGB (Strafgesetzbuch) e l'importante sentenza del Bundesverfassungsgericht del 26 febbraio 2020.[29]

Il Tribunale costituzionale tedesco ha dichiarato, infatti, l’incostituzionalità del § 217 del codice penale, che sanzionava l’agevolazione al suicidio realizzata attraverso modalità commerciali. Il Tribunale ha evidenziato la violazione dei paragrafi 1/1 e 2/1 della Costituzione, che dichiarano rispettivamente intangibile la dignità umana e inviolabile la libertà della persona. Di qui ha sancito il diritto di scegliere in assoluta autonomia di porre termine alla propria vita con una decisione informata e ponderata, e non limitatamente a situazioni di malattia terminale[30].

In particolare, secondo la Corte tedesca il «diritto ad autodeterminarsi nella morte» deve essere ricondotto all’interno del più generale «diritto al libero sviluppo della propria personalità» (art. 2, co. 1, GG), che nel Grundgesetz è appunto ancorato al principio della dignità umana (Menschenwurde, art. 1, co. 1, GG).

Da ciò segue – scrive il BVerfG – che «la decisione autoresponsabile circa la fine della propria vita non necessita di alcun ulteriore fondamento o giustificazione» e, pertanto, «non resta limitata al sussistere di condizioni di malattia grave o insanabili né a determinate fasi della vita o della malattia»[31]. Ancora: «la decisione del singolo, di porre fine alla propria vita sulla base della propria concezione della qualità della vita e del senso della propria esistenza, è nel momento finale un atto frutto di un’autonoma autodeterminazione che lo Stato e la società devono rispettare».

In tal senso, i giudici costituzionali tedeschi hanno optato per una presa di posizione assai più forte rispetto a quella proveniente dagli omologhi italiani, giacché, pur condividendo le comuni preoccupazioni riguardanti le scelte terminali assunte da individui particolarmente fragili, ciò non ha impedito di pervenire ad una radicale bocciatura della norma impugnata, diversamente dalla scelta di creare una circoscritta area di non punibilità come invece tratteggiata dalla Corte italiana[32].

Unico elemento, che forse accomuna le posizioni delle due Corti, è la necessità di verificare che la decisione sia stata prestata in maniera libera e consapevole. In effetti, nella prospettiva radicale del BVerfG l’unico requisito – a differenza dei quattro previsti dalla nostra Corte costituzionale – per rendere lecita l’agevolazione al suicidio è la presenza di una volontà “autentica e definitiva” dell’aspirante suicida.

4. La sentenza della Corte costituzionale sulla inammissibilità del referendum abrogativo del primo comma dell’art. 579 c.p.

Come già ricordato sopra, l’iniziativa referendaria promossa dall’associazione “Luca Coscioni”, avente ad oggetto la parziale abrogazione dell’art. 579 c.p., è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 15 febbraio 2022[33].

Questo «perché a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».[34]

Il quesito referendario si proponeva di affermare la libertà di autodeterminazione del soggetto anche nelle decisioni del “fine vita”, in presenza di una libera manifestazione di volontà da parte di una persona pienamente capace di intendere e volere, secondo una visione antipaternalistica del diritto penale[35]. L’obiettivo dichiarato era quello di consentire l’eutanasia attiva in presenza dei requisiti indicati dalla sentenza della Consulta sul caso Cappato. In altre parole, si voleva aprire alla legittimità dell’eutanasia attiva a favore di una persona affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Il testo dell’art. 579 c.p. che sarebbe tuttavia risultato a seguito dell’eventuale approvazione del quesito referendario sarebbe stato il seguente:

«Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:

1. Contro una persona minore degli anni diciotto;

2. Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3. Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».

Il quesito proposto, qualora fosse stato giudicato ammissibile, e successivamente votato favorevolmente avrebbe comportato per la Consulta una disponibilità della propria vita senza limiti, non legata ad alcuna situazione di malattia più o meno grave, terminale o meno, né di sofferenze più o meno acute, e intollerabili. Non vi sarebbe stata, infatti, nella norma di risulta alcun riferimento ai criteri elaborati nella sentenza n. 242/2019, che sarebbero dovuti essere (nelle intenzioni dei promotori) applicati anche all’art. 579, al fine di circoscrivere le ipotesi di liceità del fatto.[36] È vero che il carattere solo abrogativo dei referendum non poteva consentire l’integrazione della normativa di risulta con una più articolata regolamentazione della fattispecie, ma ciò appunto avvalora l’ipotesi che la norma risultante dall’abrogazione avrebbe permesso di disporre della propria vita in modo estremamente più ampio di quanto previsto per l’aiuto al suicidio dopo l’intervento della Corte costituzionale[37].

Tra le questioni problematiche evidenziate dalla Consulta vi è poi quella che, in caso di esito positivo del referendum, chiunque (un medico, parente, amico, conoscente) sarebbe stato libero di uccidere e alla sola condizione che fosse accertato il valido consenso della vittima. Va anche osservato che la liceità dell’omicidio si sarebbe estesa anche ai modi dell’uccisione, tutto sarebbe stato ammesso, dal farmaco letale all’arma da fuoco o da taglio, ecc., senza che necessariamente tali modalità dovessero essere specificate nella prestazione del consenso e, quindi, senza che vi fosse la certezza che la vittima avesse realmente consentito a quella modalità. Né può tacersi che tra le ipotesi di liceità sarebbe rientrato anche il caso del consenso prestato per errore spontaneo e non indotto da suggestione. Ancora, la “liberalizzazione” del fatto non sarebbe dipesa neppure dalle motivazioni che possono indurre a chiedere la propria morte, le quali sarebbero potute essere non necessariamente legate «a un corpo prigioniero di uno stato di malattia con particolari caratteristiche, potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto diversa (affettiva, familiare, sociale, economica e via dicendo), sino al mero taedium vitae, ovvero pure a scelte che implichino, comunque sia, l’accettazione della propria morte per mano altrui»[38].

Per tali ragioni la Consulta ha ritenuto che non sarebbe stata rispettata la tutela minima della vita umana, quale bene giuridicamente e costituzionalmente protetto dall’ordinamento.

Se da un lato, l’art. 13 Cost. attribuisce rango primario alla libertà di autodeterminazione, e l’art. 32 Cost., al secondo comma, statuisce il diritto del paziente a rifiutare le cure, per la Consulta, tuttavia, tali libertà incontrano un significativo limite nella tutela del diritto alla vita, specialmente per le persone più deboli e vulnerabili. Tale diritto trova riconoscimento implicito nell’art. 2 Cost., qualificandosi quale “diritto inviolabile dell’uomo” e occupando così una posizione privilegiata all’interno della carta costituzionale.  Nonché all’art. 2 C.E.D.U. (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) il diritto alla vita viene ad essere inteso quale “primo dei diritti inviolabili dell’uomo”, in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri.

Dunque, precisa la Corte «quando viene in rilievo il bene della vita umana, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima».[39]

D’altra parte, non sarebbe stata nemmeno sufficiente l’art. 579 c.p., così come riformulato, a tutelare la vita dei soggetti vulnerabili. Tali situazioni non possono infatti essere ricomprese «nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici)».

In sintesi, l’approvazione della proposta referendaria avrebbe reso «indiscriminatamente lecito l’omicidio [del consenziente], […] a prescindere dai motivi per i quali il consenso è prestato, dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto e dai modi in cui la morte è provocata», comportando così il venir meno di ogni tutela (minima) del bene della vita.

5. Il d.d.l. sulla morte volontaria medicalmente assistita

Con riguardo all’aiuto al suicidio, la Corte costituzionale sin dall’ordinanza n. 207/2018 (caso Cappato) ha preso posizione anche contro un’eccessiva tutela del diritto alla vita, che rischia di capovolgersi nel suo rovescio: un dovere di vivere a costo di qualsiasi sofferenza[40].

Per tale ragione la Consulta, come si sa, sollecitava il Parlamento ad un intervento di riforma dell’art. 580 c.p., alla luce della nuova scriminante “tipizzata” con la sentenza n. 242/2019.

Dopo anni di stasi il disegno di legge ora è stato approvato alla Camera e dovrà essere discusso in Senato.

Il suicidio assistito prevedrebbe la possibilità per il malato di autosomministrarsi la sostanza letale, farmaco fornito da un medico (non punibile in presenza dei presupposti tipizzati accertati). Diversamente l’eutanasia legale, non inclusa nel d.d.l., richiederebbe l’intervento di un medico che somministra attivamente il farmaco. In tal senso si legge nel testo di legge che: «Le disposizioni contenute negli articoli 580 e 593 del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario e amministrativo che abbiano dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita nonché a tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura, qualora essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni della presente legge».[41]

Il Disegno, dunque, legalizzerebbe esclusivamente la c.d. eutanasia passiva, lasciando fuori dalla riforma legislativa quella attiva. La nuova disposizione avrebbe inoltre effetti retroattivi anche per le sentenze di condanna passate in giudicato, ai sensi dell’art. 8 co. 2[42].

Nel corso dei lavori, la commissione ha accolto alcuni emendamenti, come l’introduzione della possibilità di obiezione di coscienza per i sanitari, e la previsione che le sofferenze del paziente siano al contempo «fisiche e psichiche», e non «fisiche o psichiche» come indicato dalla Consulta.

In particolare, con riferimento all’obiezione di coscienza si legge all’art. 6 che «la dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di adozione del regolamento di cui all’articolo 7 al direttore dell’azienda sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente. Tuttavia, anche in tali casi la struttura è sempre tenuta a «ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente legge. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione».

Per poter accedere alla “morte volontaria medicalmente assistita”, dunque, si deve essere in presenza di un soggetto maggiorenne, pienamente capace di intendere e volere e che sia stato «previamente coinvolto in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate». 

Ancora, tale persona deve trovarsi nelle seguenti concomitanti condizioni:

a) essere affetta da una patologia attestata dal medico curante e dal medico specialista che la ha in cura come irreversibile e con prognosi infausta, oppure essere portatrice di una condizione clinica irreversibile, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili;

b) essere tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente.

Sul punto, dunque, si chiede un accertamento rafforzato delle sofferenze avvertite dal paziente, che devono essere contemporaneamente fisiche e psicologiche.

La volontà manifestata dal paziente poi deve essere attuale, informata, consapevole, libera ed esplicita. Deve pervenire per iscritto o qualora le condizioni del paziente non lo consentano può essere espressa e documentata con videoregistrazione o qualunque altro dispositivo idoneo, che consenta di comunicare e manifestare inequivocabilmente la propria volontà, alla presenza di due testimoni.

Ulteriori passaggi che meritano di essere ricordati sono la centralità riconosciuta alla dignità umana[43] e la necessità di un parere motivato da parte del Comitato per la valutazione clinica, che deve pervenire entro trenta giorni dalla richiesta. Il Comitato si deve esprimere sull’esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla legge a supporto della richiesta di morte medicalmente assistita. «Il decesso a seguito di morte volontaria medicalmente assistita è equiparato al decesso per cause naturali a tutti gli effetti di legge»[44].

Nel complesso, accanto a innegabili aspetti positivi della nuova disciplina in itinere, emergono tuttavia anche delle criticità.

Infatti, solo le persone fisicamente autonome, cioè in grado di autosomministrarsi il farmaco da sole, potrebbero “accedere” all’aiuto al suicidio, non chi, pur essendo in grado di comprendere e volere, sia però completamente paralizzato e dunque impossibilitato a suicidarsi.

Ancora, potrebbero essere aiutate solo le persone collegate a macchinari o che necessitano di trattamenti sanitari per respirare, nutrirsi e idratarsi, ma non anche le persone malate gravemente ad esempio di cancro o affette da patologie neurodegenerative che non dipendano tuttavia da tali macchinari, ecc.

Infine, solo le persone che hanno prima intrapreso un percorso di cure palliative potrebbero poi rifiutarlo e richiedere il suicidio assistito.

In ogni caso, nonostante le obiezioni sollevabili al disegno di legge, che certo in parte restringe, discutibilmente, l’area di liceità dell’aiuto a morire rispetto a quanto già delineato dalla stessa Consulta, appare tuttavia urgente portare a conclusione l’intervento normativo in questione. Dopo quasi tre anni di attesa, è comunque opportuno riformare l’art. 580 c.p., recependo in una legge almeno il nucleo significativo della scriminante “tacita” configurata con la sentenza n. 242/2019 dai giudici costituzionali; ciò in vista di una più compiuta attuazione del principio di legalità vigente in materia penale.  

6. Conclusioni

L’eventuale esito positivo dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge potrebbe, dunque, rappresentare una risposta importante alle sollecitazioni della Consulta e all’esigenza di configurare una scriminante in materia finalmente conforme ai dettami costituzionali e allo stesso tempo “partorita” direttamente dal legislatore.

Inoltre, si potrebbe ritenere che, qualora il disegno di legge venisse approvato, e dunque, venisse espressamente introdotta la causa di giustificazione procedimentale ivi prevista, in forza dell’ammissibilità dell’analogia in bonam partem per le scriminanti (ribadita di recente dalle stesse Sezioni unite della Corte di cassazione[45]), l’esimente potrebbe operare non soltanto per l’art. 580 ma anche per l’art. 579 c.p.

Le condizioni in presenza delle quali non sarebbe punibile l’aiuto al suicidio sembrano infatti estendibili, per analogia, all’omicidio del consenziente, potendosi ritagliare anche qui una sfera di liceità del medesimo tenore. Invero, sul piano dell’offesa, nel contesto della malattia, non sembra sussistere una distanza incolmabile, in termini di valore o disvalore, tra aiuto al suicidio e omicidio del consenziente, perché prevalgono decisamente le somiglianze tra le due situazioni: analogo è il quadro esistenziale di riferimento, medesima la scelta e il travaglio individuali e medesimo l’esito irreversibile del fatto. All’interno di questo identico drammatico contesto, il diverso ruolo giocato dall’autore del fatto, che sia ruolo di ausiliatore o di “fattore causale primario” dell’evento morte, non sembra davvero più rappresentare, alla luce della coscienza morale e giuridica, una diversità valoriale preponderante rispetto, appunto, alle forti somiglianze degli altri elementi essenziali del contesto. D’altra parte gli stessi limiti, che la legge prevedesse in senso restrittivo e formale nella causa di giustificazione, potrebbero essere superati, in via analogica, dal giudice in un quadro di equo trattamento di situazioni simili, senza per ciò stesso dover vedere in operazioni del genere, di umana giustizia, un “sovvertimento” dell’ordine costituito. 


Note e riferimenti bibliografici

[1]  Cass. civ., Sez. I, n. 21748/2007 sul caso Englaro; Corte EDU, sent. 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito, § 39-42.; Corte EDU, sent. 20 gennaio 2011, Haas c. Svizzera, § 54, dalla quale si desumerebbe, secondo un’interpretazione dell’art. 2 CEDU, il dovere di protezione di soggetti vulnerabili, dovendo impedire ad una persona di togliersi la vita quando questa decisione non è presa in modo libero e con piena cognizione delle conseguenze. Al contrario, l’obbligo sembrerebbe venire meno di fronte a un’autentica volontà di morire. Per maggiori approfondimenti F. LAZZERI, Il pendio verso l’ammissibilità del referendum sull’eutanasia: alcune riflessioni sulla soglia minima di tutela penale della vita e una proposta per ritenere adeguata la disciplina di risulta, in Riv. Gruppo di Pisa, 2022, n.° 4 Fascicolo speciale monografico, 65 ss.

[2] Cort. cost., sent. n. 242/2019.

[3] Ex plurimis, L. POLI, La sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale alla luce della giurisprudenza di Strasburgo, in Osservatorio costituzionale, 2020, 1, 5 ss.; G. GENTILE, Il caso Cappato e il diritto a morire (senza soffrire), in Arch. pen. 2018, 3, 11 e ss.

[4] Cort. cost., sent. n. 50/2022.

[5] Per considerazioni sulla possibilità di qualificare il diritto a morire come diritto umano si veda G. RAZZANO, Il diritto di morire come diritto umano? Brevi riflessioni sul potere di individuazione del best interest, sull’aiuto alla dignità di chi ha deciso di uccidersi e sulle discriminazioni nell’ottenere la morte, in Arch. pen., 2018, 3, 1-5.

[6] T. D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, questione 64, co.5: «Il suicidio è assolutamente illecito per tre motivi. Primo, perché per natura ogni essere ama se stesso; e ciò implica la tendenza innata a conservare se stessi e a resistere per quanto è possibile a quanto potrebbe distruggerci. Perciò l'uccisione di se stessi è contro l'inclinazione naturale, e contro la carità con la quale uno deve amare se stesso. E quindi il suicidio è sempre peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità. Secondo, perché la parte è essenzialmente qualche cosa del tutto. Ora, ciascun uomo è parte della società; e quindi è essenzialmente della collettività. Perciò uccidendosi fa un torto alla società, come insegna il Filosofo. Terzo, la vita è un dono divino, che rimane in potere di colui il quale "fa vivere e fa morire". Perciò chi priva se stesso della vita pecca contro Dio: come chi uccide uno schiavo pecca contro il suo padrone; e come commette peccato chi si arroga il diritto di giudicare cose che non lo riguardano. Infatti a Dio soltanto appartiene il giudizio di vita e di morte, secondo le parole della Scrittura: “Sono io a far morire e far vivere”».

[7] In questi termini C. TRIPODINA, Non possedere più le chiavi della propria prigione. Aiuto al suicidio e Costituzione tra libertà, diritti e doveri, in www.biodiritto.org., 2019.

[8] In tal senso cfr. S. CANESTRARI, I tormenti del corpo e le ferite dell’anima. La richiesta di assistenza a morire e l’aiuto al suicidio, in Dir. pen. cont., 2019, n. 8, 10-13; S. CANESTRARI, Principi di biodiritto penale, Bologna, 2015, 66 e ss. In questa direzione cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la persona, vol. I, Padova, 2013, 124, che definisce il suicidio un «fatto giuridicamente tollerato», analogamente all’esercizio della prostituzione; v. anche M. ROMANO, Aiuto al suicidio, rifiuto o rinuncia a trattamenti sanitari, eutanasia (sulle recenti pronunce della corte costituzionale), in Sist. pen., 2020, 3 ss.

[9] In contrasto con questa affermazione e in una logica di prevenzione dei suicidi v. M. POMPILI, La prevenzione del suicidio, Bologna, 2013, in particolare 105 ss. Secondo l’autore è necessario approcciarsi al tema sempre in un’ottica di prevenzione, riconoscendo che i potenziali suicidi «sono in equilibrio precario tra il loro desiderio di vivere e quello di morire». Inoltre, è bene ricordare che il suicidio è classificato dall’OMS come la dodicesima causa di morte nel mondo. Per tali ragioni secondo questa parte della dottrina si dovrebbe valorizzare un intervento delle istituzioni orientato a scoraggiare il suicidio, non qualificandolo come atto di libertà, e valorizzando l’accesso alla gratuità delle cure. Si veda sul punto S. SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, 722. Ancora non si potrebbe affermare che il suicidio possa essere un diritto garantito dall’art. 2 Cost. Solitamente le scelte del suicidio vengono compiute in momenti di gradi difficoltà e sofferenza e dovrebbe essere compito delle istituzioni pubbliche volte rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della «persona umana» (art. 3, comma 2, Cost.), attraverso ad esempio l’accesso alle cure gratuite. Tali argomentazioni vengono rafforzate anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza della Corte EDU, in materia di tutela del diritto alla vita e del diritto al rispetto della vita privata e familiare (artt. 2 e 8 CEDU, sentenze Pretty c. Regno Unito, Haas c. Svizzera, Koch c. Germania).

[10] Cit. R. BARTOLI, Brevi riflessioni sul fine vita a partire dai concetti di uomo, individuo e persona, in DisCrimen, 2019, 3. Ad evidenziare l’anima collettivistica e solidaristica delle disposizioni costituzionali vedi anche A. RUGGERI, Dignità versus vita?, in Rivista AIC, 1, 2011, 5 ss., il quale ritiene incompatibili con la Costituzione impostazioni soggettivistiche della dignità, considerando altresì disgregante un’autodeterminazione intesa in modo assoluto e soggettivo (ID., Appunti per una voce di Enciclopedia sulla dignità dell’uomo, in dirittifondamentali.it). Così anche M. CARTABIA, Alcuni interrogativi su libertà e autodeterminazione nei casi di fine vita, in Il diritto e la vita: un dialogo italo-spagnolo su aborto ed eutanasia, a cura di D’Aloia, Napoli, 2011, 24. Anche per A. SPADARO, I “due” volti del costituzionalismo di fronte al principio di auto-determinazione, in Politica del Diritto, 3, 2014, 7. Cfr., inoltre, L. EUSEBI, Autodeterminazione: profili etici e biogiuridici, in Scritti in onore di Franco Coppi, II, Torino, 2011, 961.

[11] Cfr. F. Giunta, Diritto di Morire e Diritto penale, I termini di una relazione problematica, Relazione svolta al Convegno Internazionale di Studi sul tema: “Una norma giuridica per la bioetica (Siena, 9-11 giugno 1994), 88; F. Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova, 1993, 314. In senso critico, G. CRICENTI, «Indisponibilità» del bene vita e disposizione di sé, Nuova Giur. Civ., 2009, 1, 20017.

[12] Cfr. F.  MANTOVANi, Aspetti giuridici dell’eutanasia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 448 ss.; F. STELLA, Il problema giuridico dell’eutanasia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 1, 107 ss.; L. STORTONI, Riflessioni in tema di eutanasia, in La Leg. Pen., 2000, 481; G. RAZZANO, Il diritto di morire come diritto umano? Brevi riflessioni sul potere di individuazione del best interest, sull’aiuto alla dignità di chi ha deciso di uccidersi e sulle discriminazioni nell’ottenere la morte, op. cit., per il quale la ratio delle norme penali poste a garanzia e a protezione della vita, alla luce della Costituzione ma anche, non è infatti quella del dovere di tenersi in vita in base ad una ideologia impositiva, autoritaria e illiberale, quanto, piuttosto, quella del rispetto e della protezione della vita umana in ogni sua fase, a maggior ragione quando le condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.) sono deboli e vulnerabili.

[13] Anche in una prospettiva europea con riguardo all’art. 2 della Convenzione europea l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa emanava la Risoluzione n. 1859 del 2012, la quale affermava: «Euthanasia, in the sense of the intentional killing by act or omission of a dependent human being for his or her alleged benefit, must always be prohibited». Inoltre, con riguardo al diritto alla vita, nella pronuncia Pretty c. Regno Unito del 2002 i giudici di Strasburgo affermavano: «Article 2 cannot, without a distortion of language, be interpreted as conferring the diametrically opposite right, namely a right to die; nor can it create a right to self-determination in the sense of conferring on an individual the entitlement to choose death rather than life», affermando così che il diritto alla vita non conosce il suo corrispettivo diritto a morire. Ancora, non hanno mai ricondotto neanche all’art. 8 CEDU un diritto di morire da pretendere nei confronti dello Stato di appartenenza, e non hanno mai condannato uno Stato per non aver facilitato il suicidio assistito.

[14] Vedi A. NAPPI, A chi appartiene la propria vita? diritto penale e autodeterminazione nel morire: dalla giurisprudenza della Consulta alla epocale svolta del Bundesverfassungsgericht, Il suicidio assistito: prospettive di fondo e giurisprudenza costituzionale, in www.lalegislazionepenale.eu, 2020, 3-4;  S. RODOTÀ, Il nuovo Habeas Corpus: la persona costituzionalizzata e la sua autodeterminazione, in Rodotà, Zatti (diretto da), Trattato di biodiritto, vol. I, Ambiti e fonti del biodiritto, Milano, 2010, 169 ss; S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Roma- Bari, 2012, 158;  V. ZAGREBELSKY, Aiuto al suicidio. Autonomia, libertà e dignità nel giudizio della Corte europea dei diritti umani, della Corte costituzionale italiana e di quella tedesca, in La Leg. pen., 2020, 3, 1-12.

[15] Cfr. G. SCARPELLI, Bioetica Laica, Milano, 1998, 10-11; cfr. anche A. VALLINI, Il fine vita come spazio libero dal diritto penale, in Riv. Biodir., 2020, 1, 208-214.

[16]Cfr. F. SIENA, Libera autodeterminazione su fine vita e punibilità del suicidio assistito. Alla ricerca di un delicato equilibrio, in Studi in onore di Lucio Monaco, a cura di Bondi, Fiandaca e altri, 2020, 1283- 1293.

[17] Sul punto si può far riferimento alle parole contenute nel “Manifesto sull’eutanasia” del 1973: «affermiamo che è immorale accettare o imporre la sofferenza. Crediamo nel valore della dignità di ogni individuo; ciò implica che lo si lasci libero di decidere della propria sorte […]. È crudele e barbaro esigere che una persona venga mantenuta in vita contro il suo volere e che le si rifiuti l’auspicata liberazione quando la sua vita ha perduto qualsiasi dignità, bellezza, significato, prospettiva di avvenire. La sofferenza inutile è un male che dovrebbe essere eliminato dalle società civilizzate […]. Deploriamo la morale insensibile e le restrizioni legali che ostacolano l’esame di quel caso etico che è l’eutanasia».

[18] Si fa presente che il Belgio tra le condizioni di «sofferenza fisica o psichica costante e insopportabile», in presenza delle quali si può ricorrere all’eutanasia, vi ha annoverato, oltre quelle legate a motivi di salute, anche altre esistenziali, come la vita dei condannati all’ergastolo.

[19]Cit. S. RODOTÀ, La vita e le regole, tra diritto e non diritto, Milano, 2006, 73. Sul tema si veda G. FORNERO, Indisponibilità e disponibilità della vita. Una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria, Milano, 2020.

[20] Vedi F. LAZZERI, Il pendio verso l’ammissibilità del referendum sull’eutanasia: alcune riflessioni sulla soglia minima di tutela penale della vita e una proposta per ritenere adeguata la disciplina di risulta, cit. Alcuni autori hanno con favore la novella normativa v. M. DI MASI, riflessioni a margine della legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Riv. di diritti comparati, 2018, 3, 114-115.

[21]Cfr., specialmente, S. MANGIAMELI, Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?, in Teoria dir. e St., 2009, 2, 258 ss., il quale ritiene che in base alla Costituzione «non di “autodeterminazione” dell’individuo si dovrebbe parlare, ai fini di una valutazione sulla meritevolezza della tutela costituzionale, ma delle singole scelte e decisioni che questo assume o compie». In senso analogo, L. ANTONINI, Autodeterminazione nel sistema dei diritti costituzionali, in D’AGOSTINO, Autodeterminazione. Un diritto di spessore costituzionale?, Milano, 2012, 11 ss.; G. RAZZANO, Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva costituzionale, Torino, 2014, 27 ss. 

[22]Vedi D. PULITANÒ, Riflessioni su Stefano Canestrari, Principi di biodiritto penale, in Dir. pen. cont., 2015, 5.

[23]Sul punto v. S. CANESTRARI, Una buona legge buona (ddl recante «norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento»), in Riv. italiana di medicina legale, 2017, 3, 976-980.

[24] Cit. R. BARTOLI, Brevi riflessioni sul fine vita a partire dai concetti di uomo, individuo e persona, in DisCrimen, 2019, 6.

[25]Corte cost., sent. n. 242/2019. In commento alla pronuncia v. S. CANESTRARi, Una sentenza “inevitabilmente infelice”: la “riforma” dell’art. 580 c.p. da parte della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen. 2019, 4, 2159 ss; C. CUPELLI, Il parlamento decide di non decidere e la Corte costituzionale risponde a sé stessa. La sentenza n. 242 del 2019 e il caso Cappato, in Sist. pen., 2019, 12, 33-55; M. DONINI, Libera nos a malo. I diritti di disporre della propria vita per la neutralizzazione del male. Note a margine delle “procedure legittimanti l’aiuto a morire imposte da Corte cost. n. 242/2019, in Sist. pen., 2020, 1 ss., ora in G. D’ALESSANDRO e O. DI GIOVINE, La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul capo Cappato-Antoniani, Torino, 2020; M. ROMANO, Aiuto al suicidio, rifiuto o rinuncia a trattamenti sanitari, eutanasia (sulle recenti pronunce della Corte costituzionale), in Sist. pen., 2020, 5 ss.; ID., Istigazione o aiuto al suicidio, omicidio del consenziente, eutanasia dopo le pronunce della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 4, 1793 ss.

[26]Ex plurimis, cfr. G. FIANDACA, Il diritto di morire tra paternalismo e liberalismo penale, in Foro italiano, V, 2009, 227 ss.

[27] Ex plurimis, F. MANTOVANI, Caso Eluana Englaro e inquietudini giuridiche, in Iustitia, 2009, 1, 7 ss.; M. ROMANO, Principio di laicità dello Stato, religioni, norme penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 506 ss. Si rinvia inoltre a L. CORNACCHIA, Placing care. Spunti in tema di paternalismo penale, in Criminalia, 2011, 239 ss.; L. EUSEBI, Autodeterminazione: profili etici e biogiuridici, in Studi in onore di Franco Coppi, a cura di Brunelli, Torino, 2011, 957 ss. Ancora Cfr. A. NAPPI, A chi appartiene la propria vita? diritto penale e autodeterminazione nel morire: dalla giurisprudenza della Consulta alla epocale svolta del Bundesverfassungsgericht, Il suicidio assistito: prospettive di fondo e giurisprudenza costituzionale, in www.lalegislazionepenale.eu, 2020, 3- 4. In particolare viene criticata l’equiparazione posta a base della decisione della Consulta tra il suicidio assistito e l’interruzione delle cure v. R. BARTOLI, L’ordinanza della consulta sull’aiuto al suicidio, Quali scenari futuri, in Dir. pen. cont., 2019, 4-5; S. CANESTRARI, Una sentenza “inevitabilmente infelice”: la “riforma” dell’art. 580 c.p. da parte della Corte costituzionale, op. cit.

[28] Sul punto v. anche G. FONTANA, Dignità umana e autodeterminazione terapeutica nelle scelte di fine-vita. Brevi considerazioni a margine dell’ordinanza n. 207 del 2018, in ll caso Cappato Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018, Napoli, 2019, 157 ss; C. CUPELLI, Il caso Cappato e i nuovi confini di liceità dell’agevolazione al suicidio. Dalla “doppia pronuncia” della Corte costituzionale alla sentenza di assoluzione della Corte di assise di Milano, in Cass. pen., 2020, 4, 1428-1450.

[29] Bundesverfassungsgericht, 2BvR 2347/15 del 26 febbraio 2020.

[30] Per una prima analisi delle motivazioni della sentenza, cfr. le osservazioni di M. B. MAGRO, Il suicidio assistito tra inviolabili diritti di libertà e obblighi di protezione positiva nella decisione del Tribunale costituzionale tedesco sul § 217 StGB, in Dir. pen. XXI secolo, 2020, 20 ss.; F. LAZZERI, La Corte costituzionale tedesca dichiara illegittimo il divieto penale di aiuto al suicidio prestato in forma commerciale, in Sist. Pen., 2020; N. RECCHIA, Il suicidio medicalmente assistito tra Corte costituzionale e Bundesverfassungsgericht. Spunti di riflessione in merito al controllo di costituzionalità sulle scelte di incriminazione, in Sist. pen., 2020, pubbl. in Dir. pen. cont. - Rivista trimestrale, 2020, 2, 64 ss.

[31]Cit. S. CANESTRARI e M. L. CAPRONI, Suicidio e aiuto al suicidio: diritto e psicoanalisi in dialogo, in DisCrimen, 2021, 6.

Sul punto cfr. le considerazioni di L. EUSEBI, Moriremo di autodeterminazione? Brevi note su BVG 26 febbraio 2020, in Cort. supr. sal., 2020, 59 ss.; A. MANNA, Esiste un diritto a morire? Riflessioni tra Corte costituzionale italiana e Corte costituzionale tedesca, in DisCrimen, 2020, 12 ss.; A. NAPPI, A chi appartiene la propria vita? Diritto penale e autodeterminazione nel morire: dalla giurisprudenza della Consulta alla epocale svolta del Bundesverfassungsgericht, in La Legis. pen., 2020, 14 ss.; L. RISICATO, La Consulta e il suicidio assistito: l’autodeterminazione “timida” fuga lo spettro delle chine scivolose, in La Legis. pen., 2020, 10 ss. 

[32] Cit. A. TRIGRINO, Il Bundesverfassungsgericht in tema di aiuto al suicidio prestato in forma commerciale. Verso un approccio realmente liberale al fine vita?, in Arch. Pen., 3, 2020, 2 ss.

[33] Con attenzione al referendum abrogativo, secondo quanto previsto dall’art. 75 co. 2 Cost. «non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali». Oltre al dato letterale della norma, altri requisiti che la Corte in generale richiede per l’ammissibilità dei referendum, desumibili dalla sua giurisprudenza, possono compendiarsi in: omogeneità, univocità, semplicità, completezza, coerenza. Ulteriormente, il quesito non deve risultare manipolativo. Sono da considerarsi c.d. manipolativi, i quesiti in cui non viene chiesto di eliminare un’intera norma di legge ma solo una parte (o parti) di essa. In tali casi il quesito non presenta agli elettori una alternativa secca tra conservazione ed eliminazione della norma, poiché mediante il ritaglio viene a crearsi una norma nuova e diversa, sicché il referendum da puramente abrogativo quale dovrebbe essere, può talvolta divenire propositivo. Ancora, a proposito dei quesiti manipolativi, sin dalla fine degli anni ’90 la Corte ha distinto tra quelli denominati “estensivi”, o “espansivi”, volti a creare una norma nuova, ma non “totalmente diversa ed estranea al contesto normativo”, ritenuti ammissibili, e quelli invece autenticamente manipolativi, inammissibili in quanto volti a introdurre una disciplina diversa ed estranea al contesto normativo stesso. Infine, il referendum non deve avere ad oggetto una legge a contenuto costituzionalmente vincolato. Sul punto per un maggior approfondimento v. M. ROMANO, Eutanasia legale e referendum: le ragioni dell’inammissibilità, in Sist. pen., 2022, 2 ss. Sul dibattito intervenuto circa l’ammissibilità del referendum v. anche D. PULITANÒ, Problemi del fine vita, diritto penale, laicità politica. A proposito di un referendum abrogativo, in Sist. pen., 2021, 1 ss.; R. BARTOLI, Le problematiche del fine vita tra orientamenti della Corte costituzionale e proposta di referendum abrogativo, in Sist. pen., 2021, 5 ss.; M. DONINI, Il senso “ammissibile” del quesito referendario sull'aiuto a morire, ivi, 2021, 1 ss.; F. LAZZERI, Il pendio verso l’ammissibilità del referendum sull’eutanasia: alcune riflessioni sulla soglia minima di tutela penale della vita e una proposta per ritenere adeguata la disciplina di risulta, ivi, 2022; T. PADOVANI, Riflessioni penalistiche circa l’ammissibilità del referendum sull’art. 579 c.p., in La via referendaria al fine vita. Ammissibilità e normativa di risulta del quesito sull’art. 579 c.p., a cura di Brunelli, Pugiotto, Veronesi, pubblicato in Forum di Quaderni costituzionali Rassegna, 2022, 1, 22 ss.; G. GENTILE, Il referendum sull’art. 579 c.p. e la tutela costituzionale della vita, ivi, p. 123 ss.; O. DI GIOVINE, Brevi note sul referendum in tema di c.d. eutanasia legale, in Sist. pen., 2022, 1 ss.; ROMBOLI, Riflessioni costituzionalistiche circa l’ammissibilità del referendum sull’art. 579 c.p., in La via referendaria al fine vita. Ammissibilità e normativa di risulta del quesito sull’art. 579 c.p., op. cit., 16. Si definiscono legge a contenuto costituzionalmente vincolato quelle che contengono l’unica e indefettibile disciplina di un principio costituzionale. Per tale ragione secondo l’autore appare doveroso chiedersi se il quesito referendario sia stato formulato in maniera tale da chiedersi se la richiesta di abrogazione dell’art. 579 c.p. sia formulata in maniera tale da garantire il rispetto del contenuto minimo del diritto alla vita.

[34] Corte cost., comunicato stampa del 15 febb. 2022.

[35] Per un maggior approfondimento sul tema si veda J. FEINBERG, The moral limits of criminal law, Oxford, 1984-1988, in particolare il volume intitolato Harm to self. Nella dottrina italiana, ex multis, M. ROMANO, Danno a se stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 984 ss.; A. SPENA, Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibattito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1234 ss.; S. CANESTRARI e F. FAENZA, Paternalismo penale e libertà individuale: incerti equilibri e nuove prospettive nella tutela della persona, in Laicità, valori e diritto penale. The moral limits of criminal law. In ricordo di Joel Feinberg, a cura di A. CADOPPI, Milano, 2010, 167 e ss.  In senso contrario, secondo altri sarebbe necessario tenere fermo il precetto di “non aiutare altri a morire”, tra questi S. CANESTRARI, I fondamenti del biodiritto penale e la legge 22 dicembre 2017, n. 219, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, vol. 1, 75.

[36] È bene evidenziare, però, che parte della dottrina si era espressa favorevolmente alla formulazione del quesito, non ritenendolo manipolativo. Secondo alcuni la permanenza della rilevanza penale dell’omicidio del consenziente nelle ipotesi del minore, di persona incapace o di consenso invalido, sarebbe tale da preservare il contenuto essenziale della tutela del diritto alla vita. Ex pluris cfr. T. PADOVANI, Note circa il referendum sull’art. 579 c.p. e la portata sistematica della sua approvazione, in Riv. Giur. Pen., 2021, fasc. 7-8, 2, il quale afferma che il novellato art. 579 c.p. diverrebbe: «da norma-baluardo dell’indisponibilità del diritto alla vita a norma-riconoscimento della sua disponibilità». Ancora comporterebbe «l’affermazione – finalmente raggiunta sul piano normativo – che il diritto alla vita è un diritto disponibile; così come necessariamente dev’essere se sotto l’etichetta proclamata di «diritto» non si vuole celare il suo contrario (e cioè l’obbligo di vivere)». Non si sarebbe però in presenza di una serie di omicidi variamente ed incontrollabilmente consentiti, e quindi non punibili, ma una volta commesso l’omicidio, per escludere la punibilità non basterebbe certo limitarsi ad addurre il consenso della persona uccisa, in quanto occorrerebbe dimostrarlo in modo persuasivo; M. DONINI, Referendum sull’eutanasia, ecco perché la Consulta non lo può bocciare, www.ilriformista.it, 2021; ID., Il senso "ammissibile" del quesito referendario sull'aiuto a morire, cit.;

[37] Così G. BALBI, L’omicidio del consenziente. Alcune riflessioni sul quesito referendario, in Sist. pen., 2022, 4.

[38] Cort. cost., sent. n. 50/2022.

[39] Cort. cost., sent. n. 50/2022.

[40] Cit. D. PULITANÒ, Problemi del fine vita, Diritto penale, laicità politica. A proposito di un referendum abrogativo, in Sist. pen., 2021, 6. 

[41] Art. 8 co. 1 DDL “suicidio medicalmente assistito”.

[42] “Non è punibile chiunque sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima della data di entrata in vigore della presente legge, qualora al momento del fatto ricorressero i presupposti e le condizioni di cui all’articolo 3 della medesima legge e la volontà libera, informata e consapevole della persona richiedente fosse stata inequivocabilmente accertata”.

[43] Art. 5 comma 1 DDL sul “suicidio medicalmente assistito”: «1. La morte volontaria medicalmente assistita deve avvenire nel rispetto della dignità della persona malata e in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi». Per Rodotà la dignità dovrebbe essere intesa come una sintesi tra libertà ed uguaglianza, rafforzate nel loro essere fondamento di democrazia. Si veda sul punto S. RODOTÀ, La rivoluzione della dignità, Napoli, 2013, 15; In generale G. RESTA, La dignità, in Zatti, Rodotà, Trattato di biodiritto, Vol. I: Ambito e fonti del biodiritto, Milano, 2010, 259 e ss.

[44] Art. 5 comma 11 DDL sul “suicidio medicalmente assistito”.

[45] Cass., Sez. un., sent. n. 10381/2021.