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Pubbl. Mar, 3 Mag 2022

La natura del termine per l´instaurazione della mediazione ope iudicis

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Andrea Siena



Nota a sentenza Corte di Cassazione n. 40035 del 14/12/2021: la natura del termine per l´instaurazione della mediazione delegata dal Giudice.


ENG Note to the judgment of the Court of Cassation no. 40035 of 12/14/2021: the nature of the term for the establishment of the mediation delegated by the Judge.

Sommario: 1. Introduzione e premesse di causa; 2. Contrasti nella giurisprudenzadi merito: termini perentori ed ordinatori; 3. Pronuncia di Legittimità.

1. Introduzione e premesse di causa

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare la natura dei termini relativi alla mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal giudice così come prevista dall’art. 5 comma 2, D. Lgs. n. 28/2010.

In particolare, la vicenda origina da un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instauratosi sulla scorta del disconoscimento della firma apposta alla ricognizione del debito e fondante il giudizio monitorio.

Nominato il consulente tecnico al fine di appurare la paternità delle firme, il Giudice istruttore rinviava l’udienza ordinando, contestualmente, l’esperimento della mediazione iussu iudicis e concedendo il termine di 15 giorni dal deposito della perizia grafologica.

Veniva quindi depositato l’elaborato senza comunicazione alle parti né ad opera del C.T.U. né da parte della cancelleria.

All’udienza successiva, pur depositato il verbale di mancata conciliazione, il Giudice rilevava l’improcedibilità della domanda stante lo spirare del termine perentorio stabilito nell’ordinanza.

Promosso gravame, la Corte distrettuale confermava il provvedimento di primo grado con condanna degli appellanti alle spese di lite.

La pronuncia veniva quindi impugnata in Cassazione e, atteso il carattere nomofilattico del principio di diritto, veniva rimessa alla trattazione in pubblica udienza.

2. Contrasti nella giurisprudenza di merito: termini perentori ed ordinatori

Investita della questione, la Corte ha preliminarmente delineato la normativa di riferimento distinguendo fra la mediazione obbligatoria e quella cd. delegata o ope iudicis.

La mediazione obbligatoria – introdotta dal D.lgs n. 28/2010, nel solco della logica deflattiva e devolutiva inaugurata dalla L. 69/2009 – come è noto, ha ad oggetto le controversie vertenti nelle materie elencate dall’art. 5, comma 1-bis[1].

La mediazione demandata, disciplinata dal secondo comma dell’art. 5[2], ricorre invece nelle ipotesi in cui è lo stesso Giudice ad invitare le parti all’esperimento conciliativo.

Accanto a tali istituti, in ogni caso, si distingue generalmente anche fra la mediazione facoltativa (o volontaria) – demandata alla libera scelta discrezionale delle parti – e la mediazione concordata (o consensuale) – ricorrente nelle ipotesi in cui le parti contrattino la condizione mediatrice in un negozio precedente al sorgere dell’eventuale controversia.

Atteso che sia nella mediazione ope legis che in quella ope iudicis, l’esperimento del tentativo costituisce condizione di procedibilità della domanda, la Suprema Corte pone allora l’attenzione sulle sanzioni derivanti dal mancato rispetto dei termini imposti.

Nella giurisprudenza di merito, infatti, accanto ad un orientamento che propende verso la qualificazione dei termini come ordinatori[3], sopravvive un filone che, invece, parteggia per la perentorietà dei termini[4].

La tesi più rigorosa rinviene le sue ragioni nella necessità di assicurare una ragionevole durata al processo in ossequio ai superiori principi discendenti dall’art. 111 comma 2 Cost., e dall’art. 6 CEDU.

La previsione da parte del D. Lgs 28/2010 di una sanzione grave come l’improcedibilità, si segnala, presuppone implicitamente la natura perentoria del termine pur in mancanza di un’espressa dizione legislativa. In senso conforme, e.g., il Tribunale di Modena[5] che affermando la duplice ratio perseguita dalla norma – e in favore dell’interesse particolare dei singoli a dirimere le controversie in maniera più tempestiva e a vantaggio dell’interesse generale pubblico ad abbattere il contenzioso giudiziario – ne ha evidenziato la funzione eventualmente vanificata dalla mancata irrogazione di una sanzione effettiva quale la pronuncia di improcedibilità.

Accanto a tali argomenti, e partendo dall’esegesi dell’art. 152 c.p.c., diverse pronunce di merito, conformemente ad unanime dottrina, hanno invece sottolineato che, nel silenzio della norma, l’eventuale termine debba essere considerato ordinatorio; anche quando la Legge attribuisce al Giudice la facoltà di fissare termini perentori, tale facoltà è tipizzata (e.g.  fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio).

In definitiva, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., i termini stabiliti dal giudice per il compimento di un atto processuale sarebbero sempre ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori.

3. Pronuncia di Legittimità

Tratteggiate le diatribe correnti nei Tribunali di merito, la Corte di Cassazione prosegue il suo ragionamento sulla scorta di pronunce già note in sede nomofilattica: già la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, del 27/03/2019 n. 8473 ha avuto modo di specificare che, ai fini del rispetto della condizione imposta dal D. Lgs 28/2010 così come delineata procedimentalmente dall’art. 8[6],

la stessa può ritenersi assolta “con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità̀ di svolgimento della mediazione, può̀ liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità̀ di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione.”

Le Sezioni Unite civili poi, con la sentenza del 18/09/2020 n. 19596, hanno chiarito che l’onere di presentazione della domanda di mediazione, nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, incombe sul creditore opposto nella sua nota qualità di attore sostanziale del processo.

In questo scenario gli Ermellini, ribadendo l’identità della ratio legislativa, anche a seguito della riforma del 2013, hanno propeso verso l’interpretazione più conforme al dettato cui l’art. 152 c.p.c..

L’art. 5, comma 2 del D.lgs 28/2010 non prevede, infatti “espressamente l’adozione di pronuncia di improcedibilità della domanda a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di 15 giorni.” L’adozione della sanzione della decadenza, prosegue l’insegnamento pretorio, “richiede una manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla disciplina sulla mediazione”.

L’intentio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis, d’altronde, ossia la ricerca della migliore soluzione possibile per le parti, mal si concilierebbe con la tesi della natura perentoria del termine e con le relative decadenze.

In sostanza, il decorso del termine di 15 giorni senza l’avvio della mediazione non rende, di per sé, la domanda improcedibile, in quanto ciò che rileva in base alla ratio della normativa è unicamente l’utile esperimento della procedura di mediazione entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, ove per “utile esperimento” s’intende il primo incontro delle parti innanzi al mediatore, conclusosi senza l’accordo.

Se quindi il soggetto onerato ha attivato il procedimento di mediazione dopo i 15 giorni, ma l’esperimento si è correttamente (e utilmente) svolto entro l’udienza indicata dal giudice successiva alla scadenza del termine massimo per la conclusione del procedimento (ovvero entro 3 mesi), la condizione di procedibilità deve ritenersi debitamente assolta.

Di converso, la domanda giudiziale sarà dichiarata improcedibile qualora, all’udienza di verifica fissata dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, il procedimento non è stato iniziato o non si è concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione dell’istanza.

Per tali premesse, il rischio per il soggetto onerato che non rispetta il termine dei 15 giorni sussiste solo ove l’udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 28 del 2010[7], senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte che ha ritardato la presentazione della istanza.


Note e riferimenti bibliografici

[1]Art. 5, comma 1-bis, D.lgs 28/2010: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 187-ter del Codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. A decorrere dall'anno 2018, il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sugli effetti prodotti e sui risultati conseguiti dall'applicazione delle disposizioni del presente comma. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.”

[2] Art. 5, comma 2, D.lgs 28/2010: “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.”

[3] Tribunale di Firenze, sez. I, sentenza del 13/01/2020 n. 65; Tribunale di Taranto, sez. II, sentenza del 27/02/2017 n. 570; Tribunale di Vasto, sentenza del 27/09/2017; Tribunale di Firenze, ordinanza dell’8/06/2015.

[4] Corte d’Appello di Bari, sez. I, sentenza del 6/10/2021 n. 1716; Tribunale di Ferrara, sentenza del 30/12/2021 n. 795; Tribunale di Napoli, sez. IX, sentenza del 28/05/2021 n. 1987; Tribunale di Torino, sez. I, sentenza del 30/04/2021 n. 2117; Tribunale di Lecce, sentenza del 3/03/2017 n. 928; Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 4 giugno 2015; Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 10 giugno 2015.

[5] Tribunale di Modena, sentenza 10 ottobre 2014.

[6] Art. 8, comma 1, D.lgs 28/2010: “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

[7] Art. 6, D.lgs 28/2010: “Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi.  Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell'articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.”