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Pubbl. Lun, 26 Ott 2015

Unione civile tra persone dello stesso sesso BQWZ3TFI8ZEWFB2

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Francesco Rizzello


Il 14 ottobre è giunto in aula al Senato il disegno legge di regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze tra persone dello stesso sesso. Il presente articolo si appresta ad analizzare le disposizioni contenute al primo capo del disegno legge in questione, riguardanti le unioni civili tra persone dello stesso sesso.


Nel preambolo introduttivo al testo in esame, il disegno di legge viene valorizzato quale evoluzione del Testo Unificato adottato il 17 marzo 2015 dalla Commissione Giustizia del Senato, che già conteneva una disciplina dei fenomeni in questione, ora maggiormente elaborata e riscritta in diversi punti.
Il disegno di legge costituisce per molti versi il punto di approdo di un lungo sviluppo, che rinviene i propri maggiori impulsi nelle sollecitazioni fornite in primis dalla stessa società civile, oltre ad essere vastamente richiesta dalla giurisprudenza costituzionale ed europea.

Veniamo ora alla strutturazione del disegno legge, il quale si divide in due capi.
Il primo reca le disposizioni in materia di unioni civili, mentre il secondo dispone in materia di convivenza sia tra persone dello stesso sesso, sia tra coppie eteresessuali, ed è orientato a recepire quanto già consolidatosi in materia di diritti e doveri delle coppie di fatto in seno alla giurisprudenza.
Questo articolo verte esclusivamente sul primo capo.

Veniamo ora all'esame delle singole disposizioni.
Il primo articolo, recante le "finalità", del Capo primo, intitolato "Delle unioni civili" prevede che le disposizioni dello medesimo capo "istituiscono l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale".
Valgono due considerazioni in merito: in primis, la introduzione ex novo nel nostro ordinamento dell'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso; la seconda, interconnessa alla prima, riguarda la qualificazione del fenomeno "quale specifica formazione sociale" ai sensi dell'art. 2 della Costituzione ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità...").

Il secondo articolo delinea le modalità di costituzione e le cause impeditive dell'unione.
Prevede il comma primo: "due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni".
La prima differenza che si riscontra rispetto alle previsioni del codice civile è costituita dalla tassatività della celebrazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso davanti all'ufficiale dello stato civile; non pare, a chi scrive, che ciò possa destare stupore, essendo le conflittualità inerenti alla dicotomia laicità-religione ben noti e sebben strettamente connesse, estranee alla presente trattazione.
Ai fini civilistici rileva, invece, la mancata previsione di una deroga alla necessità del compimento della maggiore età per la validità del matrimonio, presente invece all'art. 84 c.c., secondo comma, il quale ammette la possibilità di contrarre matrimonio anche in capo alla persona fisica che abbia compiuto sedici anni, su istanza dell'interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il PM, i genitori o il tutore.
Risulta invece necessaria la presenza di due testimoni, come anche previsto all'art. 107 c.c., il che induce a ritenere esso applicabile anche alle unioni in questione.

Le cause impeditive, previste dal comma terzo, riguardano:

a) "la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso". La norma riproduce ed al contempo amplia il dettato dell'art. 86 c.c. sulla libertà di stato ("Non può contrarre matrimonio chi è vincolato ad un matrimonio precedente"). Ed infatti, l'art. 9, comma primo dispone che "all'articolo 86 del codice civile, dopo le parole "da un matrimonio" sono inserite le parole "o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso"".

b) "l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; in tal caso la celebrazione non può aver luogo finchè la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato". La norma riproduce pressochè alla lettera l'art. 85 c.c., "Interdizione per infermità di mente".

c) "la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote o la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87". L'art. 87 c.c. regola le ipotesi (vietate) di matrimonio ove sussistano legami di "parentela, affinità, adozione e affiliazione". L'estensione operata dal disegno legge riguarda ovviamente la lacuna presente nell'elenco dell'art. 87 in tema di unioni tra persone dello stesso sesso, al tempo certamente non previste dal legislatore.

d) "la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la procedura per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento". Il dettato riprodotto si riferisce all'art. 88 c.c. in tema di delitto, il primo comma del quale risulta sostanzialmente identico alla prima parte della lettera d). Il secondo comma dell'articolo citato però non contiene alcuna previsione riguardo a sentenze di alcun grado o misure cautelari. Si è dunque in presenza di un ampliamento della portata dei fatti rilevanti di stampo penalistico.

La presenza di una delle cause impeditive elencate comporta la nullità del matrimonio (art. 2, comma 4).

Il comma 6 del secondo articolo prevede che "mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire
di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o postporre al cognome comune
il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile"
.
L'art. 143-bis, "cognome della moglie", dispone che la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.
Quindi, mentre la norma del disegno in discussione pone a disposizione delle parti l'esercizio di una facoltà ("le parti possono", "la parte può"), la norma sul cognome della moglie opera di diritto.
In mancanza dell'esercizio di tale facoltà, sembra che per le parti di una unione civile tra persone dello stesso sesso debba operare il meccanismo secondo cui ciascuna parte conserva il proprio cognome. Non è invece ipotizzabile l'applicazione
della norma civilistica, in quanto imporre ad una delle parti il ruolo di moglie e all'altra quello di marito contrasta fortemente con la stessa logica del disegno in questione, oltre che porre dei seri dubbi di ordine politico-sociale, anche in considerazione del movimento egualitario che promuove una propria dignità delle coppie omosessuali, in altre parole, la non ricaduta di esse all'interno di inquadrature sociali che negano il loro diritto a manifestarsi in quanto tali.
L'affermazione pare corretta anche al cospetto della norma contenuta al comma quarto dell'art. 3, il quale dispone che "le disposizioni contenenti le parole "coniuge","coniugi" o termini equivalenti", ovunque ricorrano, "si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso". Questo innanzitutto perchè "moglie" e coniuge non sembrano essere equivalenti, in quanto la disposizione sull'apposizione del cognome riguarda esclusivamente la moglie in quanto individuo di sesso femminile e non in quanto parte del matrimonio; e poi perchè non vuole comunque essere posta in essere una omogeneizzazione assoluta, seppur sostanziale, tra i due fenomeni.

L'articolo tre del disegno legge affronta la disciplina dei doveri e degli obblighi derivanti dall'unione tra persone dello stesso sesso.
"...le parti acquistano gli stessi diritti e gli stessi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni."
Il secondo comma dell'art. 143 c.c. parla inoltre di un dovere alla "collaborazione nell'interesse della famiglia".
Non sembra che la norma abbia voluto far venir meno tale dovere in quanto superfluo o ricompreso nelle altre disposizioni; è invece altamente ipotizzabile che i riferimenti alla "famiglia" siano stati omessi volontariamente al fine di non creare controversie riconducibili all'art. 29 Cost. e alla nozione di famiglia codicistica, la quale presuppone un coniuge ed una coniuge. Il disegno di legge in esame si pone inoltre in modo innovativo rispetto a tale assetto, oltre a non necessitare di un richiamo a tali espressioni per raggiungere lo scopo che si prefigge.

Il comma quarto dispone che alle unioni civili tra persone dello stesso sesso si applica il regime patrimoniale della famiglia previsto al Capo VI del codice civile, eccezion fatta per alcune disposizioni contenute nella sezione prima.
Ad esse si applicano inoltre le norme in tema di alimenti.

L'art. 8 in tema di unioni civili reca una delega al Governo per meglio disciplinare la materia attraverso la emanazione di uno o più decreti legislativi.

L'intenzione giuridica del disegno di legge analizzato è quindi quella di fornire un quadro di regolamentazione del fenomeno delle unioni civili tra persone dello stesso sesso all'interno dell'ordinamento italiano, in ossequio alle richieste provenienti a gran voce dai soggetti interessati come anche dalle istituzioni nazionali e comunitarie e dalla giurisprudenza sia nazionale che europea. All'attuazione si procede tramite una disciplina che in gran parte riprende le disposizioni civilistiche, o facendole proprie per intero, o, più spesso, adattandole alla propria peculiare pretesa.
Gli istituti basilari sono tutti fissati nel testo che l'autore si è proposto di esaminare, tuttavia si avrà una disciplina esaustiva solo dopo la realizzazione delle deleghe conferite al Governo, beninteso qualora il presente disegno dovesse vedersi attuato in legge.