Pubbl. Lun, 11 Apr 2022
La Cassazione sui confini fra inadempimento di contratti di pubbliche forniture e frode nelle pubbliche forniture
Modifica paginaNella sentenza n. 45105 del 2021, la VI Sezione prende posizione in ordine al contrasto giurisprudenziale sui confini tra la fattispecie di inadempimento di contratti di pubbliche forniture (art. 355 c.p.) e frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), aderendo all’orientamento per cui «sono estranei all’ambito applicativo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 356 c.p., le condotte di mero inadempimento del contratto, qualora non siano frutto di un perseguito proposito fraudolento».
Sommario: 1. Il caso in esame; 2. Il quadro normativo di riferimento; 3. Il contrasto giurisprudenziale; 4. Conclusioni: l’orientamento accolto dalla Corte.
1. Il caso in esame
Con la sentenza del 6 dicembre 2021,n. 45105, la Sezione VI della Corte di Cassazione si è espressa in merito all’impugnazione dell’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Milano aveva rigettato la richiesta dell’indagato A.C., confermando nei suoi confronti l’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari.
Veniva contestato, in concorso con altri, il reato di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), asseritamente commesso in qualità di amministratore di fatto di una società cooperativa che tra il settembre 2017 e l’aprile 2021 aveva svolto, a seguito dell’aggiudicazione di apposito bando di gara, il servizio di trasporto sanitario programmato e d’urgenza in favore dell’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (ASST) di Pavia.
Secondo l’ipotesi accusatoria, la condotta fraudolenta nell’esecuzione delle pubbliche forniture sarebbe consistita nella mancata istituzione di due sedi locali atte a consentire il ricovero dei mezzi e la loro sanificazione, nel non aver proceduto alle operazioni di sanificazione dopo il trasporto di ogni paziente, sia in precedente che in costanza di pandemia, e in quarantotto episodi di disservizi e ritardi.
La difesa richiedeva annullamento dell’ordinanza, deducendo, tra gli altri, il motivo, ritenuto assorbente, in ordine alla contraddittorietà della motivazione e alla violazione di legge consistita nella mancata sussunzione della condotta contestata nella meno grave fattispecie di inadempimento di contratti pubblici di cui all’art. 355 c.p., con conseguente illegittimità della misura custodiale applicata per il venir meno dei presupposti edittali fissati dall’art. 280 c.p.p.
2. Il quadro normativo di riferimento
Prima di addentrarsi nel percorso decisionale della Suprema Corte, giova premettere una breve ricostruzione delle fattispecie di reato coinvolte, ossia inadempimento di contratti di pubbliche forniture (art. 355 c.p.) e frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.): esse si collocano nel Capo dedicato ai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, previsti nel Titolo II del Libro II del Codice penale.
In particolare, l’art. 356 c.p. commina la reclusione da uno a cinque anni e la multa non inferiore ad € 1.032 a «chiunque commette frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali», richiamati riferendosi a quelli di cui all’art. 355.
Si tratta di ogni tipologia di contratto (in particolare, a titolo esemplificativo, appalto, somministrazione, vendita e locazione)[1] finalizzato a procurare all’amministrazione la disponibilità di cose, opere o servizi necessari al compimento delle proprie finalità istituzionali, in base ad una nozione più ampia rispetto a quella di «appalto pubblico di forniture» contenuta all’art. 3, comma 1 del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016).
Tali contratti devono essere necessari ad uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio.
La seconda nozione è intesa come comprensiva di qualsiasi attività amministrativa direttamente produttiva ad un’utilità materiale per i consociati che non si esplichi in attività di carattere meramente preparatorio od organizzativo[2], mentre con il riferimento allo «stabilimento pubblico», il legislatore intende tutelare il luogo in cui si esercita un pubblico servizio o vengono prodotti i beni che formano l’oggetto del servizio medesimo o siano comunque ad esso strumentali[3].
Dalla descrizione per relationem del tipo criminoso in rapporto al precedente art. 355, si ritiene necessario l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale come implicito elemento di fattispecie[4] che può assumere le forme sia dell’adempimento inesatto che dell’inadempimento totale, a condizione che, in entrambi i casi, sia dato ravvisare una frode.
L’orientamento prevalente[5] nega che sia richiesto il verificarsi dell’evento di mancanza delle cose o delle opere necessarie, previsto, invece, all’art. 355. Si tratta, tuttavia, di una posizione non unanimemente condivisa che si riverbera in un contrasto giurisprudenziale fra pronunce che ritengono necessario un apprezzabile grado di significatività dell’inadempimento, idoneo ad incidere sullo svolgimento del rapporto negoziale offendendo il bene tutelato[6] ed altre che non ritengono necessario che il venir meno delle cose o delle opere oggetto del contratto metta in pericolo il normale funzionamento dello stabilimento o del servizio nell’espletamento delle finalità istituzionali[7].
L’elemento soggettivo è quello del dolo generico avente ad oggetto la consapevolezza e volontà di effettuare una prestazione diversa da quella dovuta in relazione ad un contratto il cui oggetto sia destinato a soddisfare le necessità di un pubblico servizio o stabilimento[8].
La consumazione è integrata con l’atto che perfeziona il fraudolento inadempimento del contratto: esso coincide, di regola, con la consegna dei beni[9], mentre è controverso se sia o meno necessaria l’accettazione del creditore[10].
Il contenuto del dolo, nonché l’elemento oggettivo risentono della controversa questione, su cui si è orientata anche l’attenzione della sentenza in commento, in ordine all’esatta individuazione del concetto di frode previsto dall’art. 356 e che costituisce l’elemento specializzante di tale fattispecie rispetto a quella di inadempimento di cui all’art. 355.
In dottrina si ravvisa una diversità di vedute fra chi ritiene sufficiente a configurare la frode ogni esecuzione sleale del contratto che si caratterizzi per la corresponsione di una prestazione diversa da quella pattuita[11], e chi ritiene indefettibile l’accertamento di una specifica condotta ingannatoria o, quantomeno, l’attuazione di un espediente malizioso che tenda ad occultare la difformità della prestazione rispetto a quella pattuita e distingua così il reato di cui all’art. 356 da quello previsto nell’articolo precedente[12].
Quanto ai rapporti con altri reati, si deve dar conto dell’orientamento in base al quale il delitto di frode in pubbliche forniture concorre con quello di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 co. 2 n. 1). Tale posizione rigorosa si comprende, da un lato, in ragione dell’ampia nozione di «frode» con cui la giurisprudenza tradizionale ha descritto la condotta de quo e, d’altro canto, è argomentata anche in ragione dell’assenza di un rapporto di continenza strutturale nonché della diversità di beni giuridici tutelati: in un caso, la tutela dell’attività amministrativa da condotte perturbative realizzate dal privato, dall’altro l’integrità patrimoniale dello Stato[13].
Così ricostruiti in termini essenziali i tratti salienti della fattispecie di frode, rimane da definire l’elemento oggettivo del contiguo reato di inadempimento.
La fattispecie ex art. 355 descrive un reato di evento di pericolo a forma vincolata, che si consuma allorché all’inadempimento causalmente consegua la mancanza delle cose o delle opere dovute[14]: la condotta inadempiente si caratterizza, in negativo, per l’assenza del connotato fraudolento previsto nel più grave reato di cui all’art. 356.
3. Il contrasto giurisprudenziale
Poste tali premesse, in punto di ricostruzione degli ambiti applicativi delle fattispecie coinvolte, è opportuno dar conto del contrasto giurisprudenziale sorto intorno alla nozione di «frode» che, come detto, costituisce il predicato modale della condotta punibile ex art. 356 c.p. e vale a distinguerla da quella contigua di mero inadempimento.
Nell’accogliere il ricorso, la sentenza in commento dà conto di tre orientamenti.
In base alla lettura più consolidata e risalente, ad oggi ancora maggioritaria, ai fini della configurabilità del delitto di frode in pubbliche forniture non occorrono né la dazione di un aliud pro alio né la realizzazione di un comportamento subdolo o artificioso[15]: tale posizione viene motivata attraverso l’istituto civilistico della malafede contrattuale (art. 1375 c.c.) per cui sarebbe fraudolento qualsiasi inadempimento oggettivamente dannoso per l’interesse pubblico, a nulla rilevando le condizioni psicologiche dei contraenti, dovendosi il disvalore centrare solo sull’oggetto della prestazione resa in rapporto a quanto oggettivamente convenuto in senso diverso.
In base a tale lettura, dunque, la nozione di «frode» sarebbe sinonimica a quella di «violazione contrattuale» a prescindere da ogni valutazione sull’ulteriore proposito dell’autore di conseguire un indebito profitto nonché di eventuali danni che possano derivare all’ente pubblico committente.
Un orientamento intermedio, pur rifacendosi alla stessa ampia nozione di malafede contrattuale, introduce una valutazione in termini di significatività dell’inadempimento rispetto a quanto pattuito: si dovrebbe trattare di una difformità che, in termini quantitativi, si rivela idonea ad incidere sullo svolgimento del rapporto fra privato e p.a.[16]
Altro indirizzo, in adesione all’orientamento maggioritario espresso dalla dottrina[17], afferma la necessità di una condotta sussumibile dentro la nozione di malafede contrattuale, consistente nella realizzazione di condotte connotate da espedienti maliziosi o ingannevoli, idonei a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti[18].
Solo tale requisito consentirebbe, infatti, di distinguere la condotta di inadempimento da quella di frode: il reato di cui all’art. 356 c.p., dunque, ricorrerebbe solo allorché l’opera venga compiuta non solo in violazione delle clausole contenute nel contratto, ma anche con il proposito di rappresentare una situazione di apparente conformità della prestazione con gli obblighi contrattuali assunti, creando una situazione di apparenza ingannatoria contraria al principio di buona fede che governa l’esecuzione del contratto[19].
4. Conclusioni: l’orientamento accolto nella sentenza in esame
Il Collegio giudicante aderisce al terzo, ancora minoritario, orientamento sopra espresso, ritenendo che siano estranei all’ambito applicativo della fattispecie ex art. 356 condotte di mero inadempimento che non si caratterizzano per il perseguimento di un comportamento fraudolento.
A tale adesione, segue la precisazione che tale comportamento malizioso od ingannevole non deve necessariamente estrinsecarsi in artifizi o raggiri né determinare un danno verso la p.a.: si conferma, perciò, ancorché implicitamente, la posizione consolidata che ritiene possibile il concorso fra il delitto di frode in pubbliche forniture e la truffa aggravata exart. 640, comma 2 n. 1, c.p.
La frode, così ricostruita, viene indicata come elemento che caratterizza il delitto de quo già sul piano della tipicità ancor prima che su quello dell’elemento soggettivo, dovendo ravvisarsi nel caso concreto almeno una qualche forma di dissimulazione, finalizzata a far passare inosservata la difformità della prestazione rispetto a quanto pattuito e che sia oggettivamente proporzionata al controllo che normalmente ci si attende da una diligente controparte contrattuale.
[1] Cfr. R. PASELLA, in G. MARINUCCI, E. DOLCINI (fondato da), E. DOLCINI, G.L. GATTA (diretto da), Codice penale commentato, vol. II, Milano, 2021, pp. 1425ss.
[2] Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, Bologna, 2021, p. 339
[3] Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, ibidem.
[4] Cass. Sez. VI, 17 novembre 1998 (dep. 28 gennaio 1999), n. 1174, in Cass. pen., 2000, 1237
[5] Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, Milano, 2016, p. 453. Nello stesso senso anche la giurisprudenza. Per tutte, Cass. Sez. VI, 17 novembre 1998, cit.
[6] Cass. Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 42900, in CED Cass. Pen. 248806.
[7] Cass. Sez. VI, 21 aprile 2010, n. 22024, in CED Cass. Pen. 247622.
[8] Cass. Sez. VI, 25 ottobre 2016, n. 6905, in CED Cass. Pen. 269370.
[9] Cass. Sez. VI 21 aprile 2010, cit.
[10] Cfr. A. CADOPPI, S.CANESTRARI, Manna, Papa, Trattato di diritto penale, Parte speciale, vol. 2, UTET, Torino, 2008, p. 875
[11] Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982, p. 723.
[12] Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, Milano, 2016, p. 452.
[13] Cass. Sez. VI, 15 maggio 2014, n. 38346, in CED Cass. Pen. 260269.
[14] Cass. Sez. VI, 27 febbraio 2013, n. 23819, in CED Cass. Pen. 256126.
[15] Cass. Sez. VI, 25 ottobre 2016, n. 6905, in CED Cass. Pen. 269370.
[16] Cass. Sez. VI, 8 aprile 2016, n. 28301, in CED Cass. Pen. 267828.
[17] Cfr. S. SEMINARA, sub art. 356, in FORTI, SEMINARA, ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice penale, VI edizione, Milano, 2017, 1158.
[18] Cass. 14 settembre 2020, n. 29374, in CED Cass. Pen. 279679.
[19] Cass., Sez. VI, 6 novembre 1985, n. 2291, in CED Cass. Pen. 172189; Cass., Sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 5317, in CED Cass. Pen. 249448; Cass., Sez. VI, 12 aprile 2006, n. 26231, in CED Cass. Pen. 235171.