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Pubbl. Lun, 4 Apr 2022

La sindacabilità delle decisioni del Consiglio di Stato in Cassazione: si pronuncia la Corte di Giustizia

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Claudia Modaudo



Le Sezioni Unite della cassazione chiedono alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, dell’interpretazione dell’art. 362, comma 1, c.p.c. fornita dalla Corte costituzionale. Essa ritiene non sia possibile censurare con ricorso in cassazione, per “motivi attinenti alla giurisdizione”, le pronunce del Consiglio di Stato contrastanti con il diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte di giustizia. Evitando un insanabile contrasto con la Consulta, la Corte di giustizia dichiara come il diritto unionale non osta ad una disposizione che, secondo la giurisprudenza nazionale, non consente di sindacare la conformità al diritto dell´Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa.


ENG The United Section of the Supreme Court request the Court of Justice to decide on the compatibility with the principle of effectiveness of judicial protection, the interpretation of art. 362, paragraph 1, c.p.c., provided by the Constitutional Court. It considers that it’s not possible to challenge, on “grounds relating to jurisdiction”, decisions of the Council of State wich are contrary to Union law, as interpreted by the Court of Justice. In order to avoid an incurable conflict whit the Constitutional Court, the Court of Justice rules that Union law didn’t preclude a provision which, according to the Italian case law, does not allow to verify the compliance with Union law of a decision of the supreme organ of administrative justice.

Sommario: 1. Il fatto. 2. Il contrasto interpretativo. 3. L’ordinanza di rinvio alla CGUE nel caso Randstad. 4. La pronuncia della CGUE n. 497 del 2021. Conclusioni.

1. Il fatto

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 497 del 21/12/2021 che è oggetto del presente contributo, prende le mosse da una gara di appalto svoltasi nel 2017 con cui l’azienda USL Valle d’Aosta ha indetto una procedura di gara per un appalto pubblico dal valore di circa € 12 000 000 da aggiudicare in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Era prevista una “soglia di sbarramento” per le offerte tecniche, con esclusione degli offerenti che avessero conseguito un punteggio inferiore.

La prima fase è stata superata solamente da due dei partecipanti, mentre la terza classificata, la Randstad, è stata esclusa perché la sua offerta tecnica ha ottenuto un punteggio inferiore a quello necessario.

Nel novembre 2018 la gara è stata aggiudicata e la Randstad ha proposto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta contestando, da un lato, la propria esclusione dalla gara e, dall’altro, la stessa regolarità dell’intera procedura.

Quel che interessa in questa sede, è che la l’USL e l’aggiudicataria hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi con cui la Randstad contestava la regolarità della gara, poiché essa sarebbe priva di legittimazione a proporre tali motivi, essendo stata esclusa da detta gara.

Orbene, il TAR ha ritenuto che la ricorrente avesse legittimamente partecipato alla gara e che, quindi, fosse legittimata a contestare l’esito della gara sotto ogni profilo. Nel merito, tuttavia, ha respinto il ricorso.

La Randstand ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato che, confermando il merito della statuizione, ha in parte riformato la sentenza del TAR. Nell’accogliere l’appello incidentale dell’aggiudicataria, ha affermato che la Randstad “essendo stata esclusa dalla gara per non aver superato la "prova di resistenza" della soglia minima di punteggio dell'offerta tecnica tramite il confronto a coppie, e non essendo riuscita a dimostrare l'illegittimità della gara quanto all'attribuzione del predetto punteggio, rimane (...) priva non solo del titolo a partecipare alla gara, ma anche della legittimazione a contestare gli esiti sotto altri profili, giacché diviene portatrice di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque operatore economico del settore che non ha partecipato alla gara”.

La Randstad ha impugnato la sentenza del Consiglio di Stato davanti alle Sezioni Unite della Cassazione adducendo la violazione dell'art. 362, comma 1, c.p.c., e art. 110 cod. proc. amm., per avere il Consiglio di Stato negato ad un soggetto escluso dalla gara – con provvedimento la cui legittimità non era stata definitivamente accertata, essendo contestata nel giudizio – la legittimazione e l'interesse a proporre le censure volte al travolgimento della gara stessa, ai fini dell'esclusione dell'aggiudicatario e comunque della ripetizione della gara. Sosteneva la ricorrente che in tal modo si era violato il principio di effettività della tutela giurisdizionale, codificato in materia nell'art. 1, par. 1, comma 3, della Direttiva Cee 21 dicembre 1989, n. 665, con conseguente diniego di accesso alla tutela stessa, censurabile con ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8.

La ricorrente, a sostegno della denuncia di lesione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, invoca la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sull’ordine di trattazione del ricorso incidentale escludente in materia di appalti pubblici. La Corte ha più volte chiarito che in ogni caso deve essere esaminato il merito del ricorso principale del partecipante escluso. Infatti, è idonea a radicare l'interesse e il diritto alla tutela giurisdizionale anche la mera probabilità di conseguire un vantaggio mediante la proposizione del ricorso, consistente in qualsiasi risultato, anche rappresentato dalla riedizione della procedura di gara1.

2. Il contrasto interpretativo

La questione si inserisce nel solco di un contrasto interpretativo sviluppatosi tra le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la Corte costituzionale, sul significato da attribuire ai “motivi attinenti alla giurisdizione” per le quali possono essere impugnate in Cassazione le pronunce del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 362, comma 1, c.p.c.

Il sindacato della Corte di Cassazione è, invero, consentito ove si richieda l'accertamento dell'eventuale sconfinamento del giudice amministrativo dai limiti esterni della giurisdizione, per il riscontro di vizi che riguardano l'essenza della funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio.

Le Sezioni Unite si sono più volte espresse elaborando una nozione di limite esterno della giurisdizione collegato all’evoluzione del concetto stesso di giurisdizione da intendersi oggi in senso “dinamico” (e non più “statico”) (Cass. Civ. sez. un., n.31226/2017; Cass. civ. sez. un. 953/2017). I limiti esterni della giurisdizione si ritengono tradizionalmente violati allorquando la sentenza del Consiglio di Stato oltrepassi l’ambito della giurisdizione in generale (c.d. invasione di giurisdizione) o quando si pronunci su materia attribuita al giudice ordinario o ad altro giudice speciale, oppure neghi la sua giurisdizione nell’erroneo convincimento che appartenga ad altro giudice (c.d. difetto di giurisdizione). Secondo questa ricostruzione, i limiti verrebbero oltrepassati anche tutte le volte in cui il Consiglio di Stato violi disposizioni che danno contenuto al potere giurisdizionale, stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca.

Così, qualora il giudice nazionale segua prassi interpretative in contrasto con il diritto europeo, sindacando sulla base di esse il contenuto dell'azione amministrativa, sussiste un'ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione censurabile per Cassazione. Una simile attività sarebbe infatti classificabile come un'attività di produzione normativa — in sostituzione del legislatore europeo — tale da travalicare i limiti esterni della giurisdizione. In altri termini, il giudice nazionale che faccia applicazione di normative nazionali (sostanziali o processuali) o di interpretazioni elaborate in ambito nazionale che risultino incompatibili con disposizioni del diritto dell'Unione applicabili nella controversia, come interpretate dalla Corte di Giustizia, esercita un potere giurisdizionale di cui è radicalmente privo, ravvisandosi un caso tipico di difetto assoluto di giurisdizione - per avere compiuto un'attività di diretta produzione normativa non consentita nemmeno al legislatore nazionale - censurabile per cassazione con motivo inerente alla giurisdizione, a prescindere dall'essere la sentenza della Corte di Giustizia precedente o successiva alla sentenza amministrativa impugnata nel giudizio di cassazione.

Il giudizio sulla giurisdizione costituirebbe, pertanto, uno strumento per affermare il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi. 

La pronuncia del Consiglio di Stato contrastante con l’interpretazione di una norma fornita dalla CGUE si risolve, dunque, in un diniego di tutela giurisdizionale in violazione dell'art. 6 della CEDU, sanzionabile davanti alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 362, comma 1, c.p.c. Si tratterebbe, pertanto, di impedire che si formi un giudicato in sostanziale contrasto con i principi sovranazionali che l’ordinamento italiano è obbligato a rispettare. Ci si troverebbe, cioè, dinanzi ad uno di quei casi estremi in cui il giudice amministrativo adotta una decisione anomala o abnorme, omettendo l'esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o in procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno.

La Corte costituzionale, sollecitata su ricorso delle Sezioni Unite, sposa, invece, un orientamento diametralmente opposto e con la sentenza n. 6 del 18 gennaio 2018 sconfessa ogni interpretazione evolutiva dei “motivi inerenti alla giurisdizione”.

La Consulta statuisce come sia assolutamente estranea al nostro ordinamento la possibilità di cassare una sentenza di un giudice speciale per un errores in procedendo o in iudicando, ancorché tanto grave da porsi in contrasto con altra decisione di una Corte sovranazionale.

Anzitutto, la Corte costituzionale richiama il dato testuale dell’art. 111 della Costituzione. L’interpretazione evolutiva invocata dal giudice rimettente violerebbe il chiaro tenore letterale desumibile dal comma 8, nel confronto con il precedente comma 7. Se, infatti quest’ultima disposizione sancisce che “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”, il comma 8 dispone in modo altrettanto chiaro che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”. Secondo i giudici della Consulta, quindi, l’evidente differenza testuale che sussiste tra le due disposizioni non può essere ridimensionata a tal punto da assimilare il contenuto del comma 8 a quello del comma 7.

Diversamente argomentando verrebbe stravolta l’intenzione emersa in seno all’Assemblea costituente, al cui interno si evidenziò l’intenzione di sottrarre le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti al controllo di legittimità della Corte di Cassazione, limitandone il ricorso soltanto alle questioni attinenti all’eccesso di potere giudiziario. Questa posizione risultava, peraltro, coerente con la nozione di unità funzionale e non meramente organica della giurisdizione “che non esclude, ma anzi implica una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi”.

Al di fuori delle tradizionali ipotesi di invasione e difetto di giurisdizione, non sarebbe dato rinvenire altre fattispecie in cui le Sezioni Unite possono estendere il loro controllo sulle decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti.

Ciononostante, viene evidenziata una possibile criticità nel sistema dei rapporti tra giurisdizioni laddove sopravvenga, ad una sentenza del giudice speciale italiano, una decisione di segno opposto in sede sovranazionale. Al riguardo, la Corte costituzionale ha confermato il proprio orientamento auspicando un intervento del legislatore e, in particolar modo, l’introduzione di un nuovo caso di revocazione all’interno dell’art. 395 c.p.c., piuttosto che un’interpretazione manipolativa dell’art. 111 Cost.

Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono uniformate a questo nuovo orientamento. La negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall'erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto Europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall'art. 111 Cost., comma 8 (così SSUU. 32773/2018; 13243/2019; 8311/2019; 27770/2020; 29653/2020).

La violazione del diritto europeo da parte dei giudici amministrativi ammetterebbe, secondo tale nuova impostazione, la sola via indiretta della risarcibilità del danno per responsabilità dello Stato, nessun rimedio potendosi ipotizzare per evitare il cristallizzarsi della decisione.

3. L’ordinanza di rinvio alla CGUE

L'equilibrio apparentemente raggiunto con la sentenza della Corte costituzionale è stato, tuttavia, alterato dall'ordinanza n. 19598 del 2020 delle Sezioni Unite della Cassazione, che mette nuovamente in discussione le conclusioni della Consulta, poiché verrebbe leso il diritto alla tutela giurisdizionale della ricorrente.

I giudici rilevano come, nel caso sottoposto alla loro attenzione, la prassi interpretativa nazionale renderebbe inammissibile il ricorso della Randstad ed impossibile la verifica circa la legittimità dell’intera procedura di gara.

Per questo motivo le Sezioni Unite hanno chiesto alla Corte di Giustizia, adita in via pregiudiziale, di valutare la compatibilità dei rimedi esperibili nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato con i principi di diritto europeo.

Sono due le questioni pregiudiziali sollevate dalle Sezioni Unite, che in questa sede interessano e che possono essere così riassunte:

  1. la possibilità di interpretare gli artt. 4 e 19 del TUE, gli artt. 2 e 267 TFUE e l'art. 47 della Carta di Nizza come norme idonee a legittimare la prassi avallata dalla Sezioni Unite, volta ad ammettere il ricorso per cassazione per “motivi inerenti alla giurisdizione” contro le sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale contrastanti con l’interpretazione fornita dalla CGUE, in settori disciplinati dal diritto unionale;
  2. la possibilità di interpretare gli artt. 4 e 19 del TUE, gli artt. 2 e 267 TFUE e l'art. 47 della Carta di Nizza come ostativi alla prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale non sono impugnabili in Cassazione per “motivi inerenti alla giurisdizione” le sentenze del Consiglio di Stato, concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, in cui abbia omesso, immotivatamente, di sollevare una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, non ricorrendo le condizioni da essa tassativamente indicate.

Oltre alla già nota nozione evolutiva e “dinamica” del concetto di giurisdizione, l'iter logico-giuridico seguito nell'ordinanza comprende una serie di argomenti ulteriori.

Innanzitutto, l’interpretazione dell'art. 111, ult. comma Cost. fornita dalla Corte costituzionale, non si ritiene condivisibile per due motivi. Da un lato, “avrebbe l'effetto di fare consolidare una grave violazione del diritto dell'Unione in un momento in cui essa è ancora rimediabile”. Dall’altro lato, è dubbio che il suddetto orientamento sia compatibile con il diritto dell’Unione e vincolante per le Sezioni Unite, esponendo peraltro lo Stato italiano a responsabilità: l’unico rimedio praticabile è quello del risarcimento del danno per responsabilità dello Stato.

Proprio sotto il profilo rimediale la Corte costituzionale, nella sentenza n. 6 del 2018, riconosce che "specialmente nell'ipotesi di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti sovranazionali, il problema indubbiamente esiste", ma osserva che "deve trovare la sua soluzione all'interno di ciascuna giurisdizione (quindi, di quella amministrativa per le sentenze dei giudici amministrativi), eventualmente anche con un nuovo caso di revocazione di cui all'art. 395 c.p.c.". Tale rimedio, tuttavia, non è previsto dal legislatore nazionale come strumento ordinario per porre rimedio alle violazioni del diritto dell'Unione che siano addebitate agli organi giurisdizionali2.

Nell’attesa dell’auspicato intervento legislativo, però, il ricorso per Cassazione costituirebbe «l'unico strumento per reagire a violazioni del diritto dell'Unione imputabili a sentenze del Consiglio di Stato».

Per quanto riguarda i profili inerenti all’applicazione del diritto euro-unitario, le Sezioni Unite evidenziano come non potrebbe essere invocato il principio di autonomia procedurale degli Stati membri, in base al quale è rimessa ai singoli Stati l'individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall'Unione. Questo perché i riflessi processuali derivanti dall'attuale prassi interpretativa renderebbero la tutela dei diritti riconosciuti dall'Unione meno favorevole rispetto alle altre situazioni giuridiche garantite dall'ordinamento interno — violando il principio di equivalenza —, e comunque impossibile o eccessivamente difficile — derivandone così un vulnus al principio di effettività della tutela giurisdizionale, sotto il profilo del rispetto del diritto di difesa e della certezza del diritto. Questo argomento, essendo quello sul quale si sofferma la sentenza della Corte di Giustizia, merita un approfondimento.

Ed infatti, è un principio costantemente confermato dalla giurisprudenza della CGUE quello secondo cui, in mancanza di norme dell'Unione in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell'ordinamento, in forza del principio di autonomia procedurale. Ciò vale, tuttavia al rispetto di una duplice condizione: “che tali modalità non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di effettività)” (sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal, C-161/15).

Ad avviso delle Sezioni Unite, “non sembra conforme al principio di equivalenza la prassi giurisprudenziale di cui si discute, la quale, nelle controversie aventi ad oggetto l'applicazione del diritto nazionale, ammette il ricorso per cassazione per difetto di potere giurisdizionale avverso le sentenze del Consiglio di Stato, cui si imputi di avere svolto un'attività di produzione normativa invasiva delle attribuzioni del legislatore, mentre, nelle controversie aventi ad oggetto l'applicazione del diritto dell'Unione, dichiara pregiudizialmente inammissibili i ricorsi per cassazione volti a denunciare il difetto di potere giurisdizionale del giudice che, elaborando ed applicando regole processuali di diritto nazionale, eserciti poteri di produzione normativa preclusi allo stesso legislatore nazionale, essendo esclusivamente riservati al legislatore comunitario sotto il controllo della Corte di giustizia” (§ 41.1). La prassi interpretativa della Consulta non sembra compatibile neanche con il principio di effettività della tutela, impedendo nel caso concreto la trattazione del ricorso del partecipante alla gara, destinatario di un provvedimento di esclusione ancora non definitivo.

La dottrina3, nel commentare l’ordinanza, osserva però che le due tutele sono equivalenti. Invero, è necessario considerare come "l'eccesso di potere ai danni del legislatore sia una figura eccezionalmente ammessa quale vizio della sentenza del giudice amministrativo a salvaguardia del principio di separazione dei poteri riconosciuto sulla base del diritto interno ed a salvaguardia delle prerogative del legislatore statale”. Va inoltre aggiunto come l'ipotesi di errata attuazione del diritto europeo da parte del giudice statale configuri un tipico caso di error in iudicando o in procedendo, sottratto alla cognizione della Cassazione al pari di ogni altro vizio interpretativo ascrivibile al Consiglio di Stato, non sussistendo in nessuno dei casi una compressione delle prerogative del legislatore, sia esso europeo o statale.

Con riguardo al principio di effettività della tutela, sottolinea come nell'ordinamento nazionale, in riferimento alle materie affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorrente abbia accesso a due distinti gradi di giudizio di merito, alla tutela nomofilattica del Consiglio di Stato, nonché, in ipotesi di omessa devoluzione di una questione pregiudiziale da parte del giudice speciale, al rimedio risarcitorio per violazione del diritto europeo da parte dello Stato. Si reputa, pertanto, che l'attuale sistema processuale non contenga squilibri o limiti nella tutela processuale delle posizioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto europeo, anche in considerazione del fatto che singoli ed imprese possono beneficiare di un numero sufficientemente ampio di rimedi cautelari, costitutivi e risarcitori riconosciuti dal legislatore.

Infine, le Sezioni Unite, anticipando possibili eccezioni, sottolineano come non assuma valore dirimente la natura costituzionale della disposizione (art. 111 Cost., comma 8) in base alla quale è stata elaborata l’interpretazione censurata, dovendo anche queste disposizioni conformarsi al diritto europeo. La CGUE sul tema ha già chiarito che è "inammissibile che norme di diritto nazionale, quand'anche di rango costituzionale, possano menomare l'unità e l'efficacia del diritto dell'Unione” (v. tra le altre Corte di Giustizia, 8 settembre 2010, C-409/06, Winner Wetten GmbH, p. 61).

Con il secondo quesito interpretativo posto dalle Sezioni Unite, esse dubitano della prassi interpretativa che esclude la possibilità di censurare ex art. 111, comma 8 Cost. e 110 c.p.a. le sentenze del Consiglio di Stato che abbiano omesso di avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale. “Dubbia è – per dirlo con le parole della Corte – la compatibilità con il diritto dell'Unione dell'orientamento interpretativo che in radice esclude la possibilità per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite da un mezzo di impugnazione ordinaria, qual è il ricorso per cassazione, di esaminarlo nel merito quando sia denunciata la immotivata violazione dell'obbligo di rinvio da parte del Consiglio di Stato e di effettuare direttamente il rinvio pregiudiziale, al fine di accertare l'esatta interpretazione del diritto dell'Unione e, di conseguenza, la compatibilità della sentenza impugnata con il diritto dell'Unione”.

L’orientamento che vieta alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di utilizzare lo strumento del rinvio pregiudiziale favorisce il consolidamento di un orientamento contrastante con le norme euro-unitarie, tenuto conto che l'erronea soluzione data da un giudice di ultima istanza a questioni di diritto dell'Unione Europea rischia di essere accolta in numerose altre pronunce giudiziarie e comporta la lesione definitiva dei diritti del singolo.

Anche su questo secondo quesito la dottrina4 non ha mancato di sollevare criticità.
Tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri, quali giudici “naturali” di ogni controversia devoluta alle loro cure, svolgono importanti funzioni di interpretazione ed applicazione dello stesso diritto europeo: si assume, infatti, "che la stessa Unione Europea sia una comunità giuridica in cui si integrano tutti i sistemi processuali degli Stati. Lo stesso intervento della Corte di Giustizia è residuale e va comunque ricondotto alle ipotesi in cui siano i giudici nazionali a sollecitare l'intervento del giudice europeo, a fronte della documentata impossibilità di risolvere autonomamente la questione sulla base di un'interpretazione delle norme interne conformi al diritto dell'Unione Europea".

Nell'ordinamento italiano, in materia di questione pregiudiziale, viene attribuito al giudice amministrativo un margine di autonomia valutativa, sia ai fini della rilevanza della questione che ai fini dell'effettiva opportunità di devolvere alla Corte di Giustizia l'interpretazione del diritto interno, ai sensi dell'art. 79 c.p.a.

Da tale qualificazione discende, pertanto, che qualsiasi errore nella individuazione delle questioni meritevoli di rinvio alla Corte di Giustizia va assimilato al comune error in procedendo, incensurabile per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost.

4. La sentenza della CGUE n. 497 del 2021

La Corte di Giustizia dell’UE, pur ribadendo il principio di primazia del diritto unionale anche sulle disposizioni aventi natura costituzionale, ritiene che l’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale italiana non debba essere censurata sotto il profilo della tutela giurisdizionale effettiva.

In particolare, la sentenza scrutina la legittimità del diritto interno alla luce dell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma, e dell’art. 4, paragrafo 3, TUE e dell’art. 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665, letto alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.

Sul tema la Corte ricorda come, fatte salve le ipotesi in cui esistano norme dell’Unione in materia, il principio dell’autonomia procedurale consente a ciascuno Stato membro di stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto unionale, il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. L’autonomia degli Stati, come già detto, deve essere rispettosa dei principi di effettività della tutela (sancito nell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE) e di equivalenza.

Nel caso sottoposto al suo giudizio ritiene, però, non vi sia alcuna violazione dei summenzionati principi.

Nessuna violazione del principio di equivalenza, poiché l’art. 111, comma 8, Cost. limita la competenza della Corte di Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato “indipendentemente dal fatto che tali ricorsi siano basati su disposizioni di diritto nazionale o su disposizioni di diritto dell’Unione” (§60). Nessuna violazione neanche del principio di effettività, dato che non è possibile affermare che nell’ordinamento italiano non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta “di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione” (§62).

È, invero, perfettamente ammissibile che uno Stato membro conferisca al supremo organo della giustizia amministrativa – e solo a questo – la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia.

Né a conclusioni diverse può giungersi, dice la Corte, alla luce dell'articolo 4, paragrafo 3, TUE, che obbliga gli Stati membri ad adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Infatti, per quanto riguarda il sistema dei rimedi necessari per assicurare un controllo giurisdizionale effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione, la norma non può essere interpretato come un obbligo per gli Stati membri ad istituire nuovi rimedi giurisdizionali, obbligo che non è imposto loro dall'articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

Nel settore particolare dell'aggiudicazione di appalti pubblici, neppure l'art. 1 della direttiva 89/665, letto alla luce dell'articolo 47, primo comma, della Carta, osta alla conclusione cui è giunta la Corte.

Dalla disposizione risulta che la decisione presa dall'amministrazione in una procedura di aggiudicazione di un appalto disciplinata dalla direttiva 2014/24 o dalla direttiva 2014/23 deve poter essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile al fine di contestare la conformità di tale decisione al diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o alle norme nazionali che recepiscono tale diritto. Detto articolo 1 precisa, inoltre, al paragrafo 3, che tali ricorsi devono essere accessibili a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.

Nell’ordinamento italiano i singoli hanno accesso, nel settore interessato, a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, ai sensi dell’art. 47, comma 2, CDFUE, che è il giudice amministrativo ed il Consiglio di Stato quale supremo organo della giustizia amministrativa. Di conseguenza, “una norma di diritto nazionale che impedisce che le valutazioni di merito effettuate dal supremo organo della giustizia amministrativa possano ancora essere esaminate dall'organo giurisdizionale supremo – la Corte di Cassazione – non può essere considerata una limitazione, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, del diritto di ricorrere a un giudice imparziale sancito all'articolo 47 della stessa”.

Nel caso di specie, conclude la CGUE, il Consiglio di Stato ha effettivamente errato nel pronunciarsi circa l’irricevibilità dei motivi diretti a contestare la decisione di aggiudicazione, sulla base del rilievo che la Randstad era stata esclusa dalla procedura. Ai sensi dell'articolo 2bis, paragrafo 2, della direttiva 89/665 “solo l’esclusione definitiva può avere l’effetto di privare un offerente della sua legittimazione ad agire contro la decisione di aggiudicazione” (§75). Di conseguenza, la sentenza del Consiglio di Stato non è neppure conforme all'articolo 47, primo comma, della CDFUE. Il rimedio per evitare che tale violazione continui ad essere perpetrata, sancisce la Corte, è “l'obbligo, per ogni giudice amministrativo dello Stato membro interessato, compreso lo stesso supremo giudice amministrativo, di disapplicare tale giurisprudenza non conforme al diritto dell'Unione e, in caso di inosservanza di un tale obbligo, nella possibilità per la Commissione europea di proporre un ricorso per inadempimento contro tale Stato membro” (§79).

Ciò chiarito, rimane aperta la questione di quale sia il rimedio offerto al privato che viene leso nel suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, in conseguenza di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

Come era già stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 6/2018, in attesa di un auspicato intervento del legislatore nazionale, i privati coinvolti possono far valere la responsabilità dello Stato membro, purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito (§ 80).

Per completezza espositiva si rileva come la seconda e la terza questione, non avendo alcuna attinenza con l’oggetto della controversia del procedimento principale, sono dichiarate irricevibili (§ 85).

5. Conclusioni

Chiarita la conformità della prassi interpretativa costituzionale con il diritto dell’Unione, non resta più alcun margine per l’interpretazione evolutiva proposta dalle Sezioni Unite.

Pertanto, con la sentenza n. 1454 del 18.01.2022 le Sezioni Unite hanno statuito che “non contrasta con tale diritto una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, precluda la possibilità di contestare, nell'ambito di un ricorso dinanzi all'organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro, la conformità al diritto dell'Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa”.

La tesi avallata dalle Sezioni Unite si proponeva di offrire un rimedio pieno ed effettivo al soggetto che viene leso nella propria posizione giuridica soggettiva a causa di un’interpretazione anticomunitaria delle disposizioni. Il suggestivo orientamento sembra, però, dimenticare un dato imprescindibile: la giurisdizione amministrativa è speciale e per tale motivo è dotata di autonomia rispetto alle Corte di Cassazione.

Ciò implica che tale giurisdizione è autosufficiente rispetto alla cognizione delle materie devolute a Tar e Consiglio di Stato e deve farsi garante del rispetto dei principi, delle disposizioni e delle interpretazioni del diritto euro-unitario. Ogni contrasto o dubbio può e deve essere risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che in quanto organo di vertice svolge quel ruolo di garante dell’unità del sistema che in altra sede è svolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Configurare la possibilità di sindacare quanto statuito dal Consiglio di Stato in sede di ricorso per Cassazione, appare come un’invasione all’autonomia della giustizia amministrativa che è, invece, garantita dalla stessa Costituzione. Il giudice amministrativo, preposto alla soluzione di controversie involgenti peculiari situazioni soggettive, ha la competenza e la capacità tecnica per svolgere quella funzione interpretativa ed applicativa del diritto dell’UE.

E di conseguenza, ogniqualvolta il Consiglio di Stato erri nell’applicazione del diritto europeo lo Stato deve essere chiamato a rispondere del risarcimento del danno per la violazione degli obblighi scaturenti dai Trattati da parte di un giudice di ultima istanza.

Dalla lettura dell’ordinanza di rinvio sembra che la Corte di Cassazione volesse attribuirsi il ruolo di unico garante del diritto unionale nei confronti di ogni giurisdizione, anche speciale, travalicando i limiti delineati dal sistema costituzionale e le statuizioni della Consulta e, per fare ciò, ha sollecitato l’intervento della Corte di Giustizia.

Nonostante l’esito, la portata dirompente dell’ordinanza è evidente: essa sottopone al vaglio della Corte di Giustizia una questione di diritto avente ad oggetto l'assetto costituzionale della funzione giurisdizionale, circostanza che non pare avere precedenti. Ma vi è di più. Qualora la CGUE avesse avallato l’interpretazione delle Sezioni Unite, la Corte costituzionale avrebbe potuto attivare i c.d. controlimiti, ingenerandosi un insanabile contrasto con l’ordinamento sovranazionale.


Note e riferimenti bibliografici

1 Sul punto si richiamano le sentenze 5 settembre 2019, C-333/18, Lombardi; 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica; 4 luglio 2013, C-100/12, Fastweb, le quali - tutte pronunciate su rinvii pregiudiziali disposti da giudici amministrativi italiani - ripetutamente hanno escluso la possibilità che l'eccezione (e il ricorso incidentale) dell'aggiudicatario di una gara di appalto, al fine di ottenere l'esclusione dalla gara, o la conferma dell'esclusione, di un altro partecipante alla gara, siano esaminati prioritariamente con effetti paralizzanti del ricorso principale, privando conseguentemente il concorrente escluso dell'interesse al ricorso (principale) e della legittimazione a contestare l'esito della gara per qualsiasi ragione, qualunque sia il numero dei concorrenti, anche al fine di ottenere il travolgimento e la ripetizione della gara stessa.

2 La stessa Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni normative pertinenti nella parte in cui non prevedono tra i casi di revocazione quello in cui essa si renda necessaria per consentire il riesame del merito della sentenza impugnata per la necessità di uniformarsi alle statuizioni vincolanti rese, in quel caso, dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte Cost. 27 aprile 2018, n. 93); in altra decisione, ha dichiarato inammissibile una analoga questione sollevata dai giudici amministrativi (Corte Cost. 2 febbraio 2018, n. 19). Tale rimedio, comunque, non sarebbe agevolmente praticabile per i limiti strutturali dell'istituto della revocazione (sub paragrafo 15, in relazione all'art. 395 c.p.c.) e, specialmente, quando le sentenze delle Corte sovranazionali siano precedenti alla sentenza impugnata.

3 G. Cusenza, Il sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato al vaglio della Corte di giustizia: dubbi e criticità, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.1, 2021, pag. 135.

4 G. Cusenza, Il sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato al vaglio della Corte di giustizia: dubbi e criticità, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.1, 2021, pag. 135.