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Pubbl. Mer, 9 Mar 2022

Militari e social networks: tra libertà di pensiero e dovere di riservatezza

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Francesca Carpinelli



Il presente lavoro si pone l´obiettivo di analizzare il complesso bilanciamento tra libertà di pensiero e dovere di riservatezza esistente in capo ai Militari. Con l´avvento di Internet e dei Social Network, la rete diventa uno strumento in cui tutti possono manifestare liberamente le proprie idee ed opinioni; tale diritto assume una dimensione ed una disciplina differente quando ci si riferisce a particolari categorie di individui, come nel caso delle Forze Armate e Militari. A causa del significativo numero di adesioni di militari dell´ Arma alle più moderne modalità di comunicazione telematica, i Comandi Generali hanno ritenuto opportuno intervenire dando una organica rielaborazione delle disposizioni emanate sul tema ed indirizzando verso un utilizzo consapevole dei Social.


ENG This paper aims to analyze the complex balance between freedom of thought and the duty of confidentiality existing in the hands of the military. With the advent of the Internet and Social Networks, the network becomes a tool where everyone can freely express their ideas and opinions; this right takes on a different dimension and discipline when it refers to particular categories of individuals, as in the case of the Armed and Military Forces. Due to the significant number of military members of the weapon to the most modern methods of telematic communication, the General Commands have deemed it appropriate to intervene by giving an organic reworking of the provisions issued on the subject and directing towards an informed use of social media.

Sommario: 1. Introduzione; 2. L'etica militare; 3. La libera manifestazione del pensiero militare; 4. Militari e Social Networks; 5. Conclusioni.  

1. Introduzione

La Costituzione Repubblicana del 1948 sancisce all’art. 21 che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, seppur rispettando taluni limiti imposti dal necessario bilanciamento con diritti ed interessi altrui.

La Giurisprudenza si è trovata spesso a dover ribadire che limitazioni sostanziali alla libertà in esame non possono essere poste se non per legge, esse devono trovare fondamento in principi e precetti costituzionali[1].

La previsione costituzionale, infatti, non può integrare una tutela incondizionata ed illimitata ma deve tener conto dell’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti e protetti dalla Costituzione. Tra questi interessi, ed in particolare riferendoci a quelli inviolabili perché connessi con la persona umana, non può non farsi riferimento all’onore (comprensivo del decoro e della reputazione) o alla dignità umana.

Con l’avvento di Internet e dei Social Network, la "rete" diventa uno strumento con cui tutti possono manifestare liberamente le proprie opinioni e comunicare con altri in forma privata o pubblica. In modo alquanto lungimirante, la Costituzione italiana garantisce a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» e, grazie a questa postilla dotata di grande flessibilità, la libertà di espressione sopravvive all’introduzione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa.

Tuttavia, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero in rete assume un’importanza ed una disciplina differente quando ci si riferisce a speciali categorie di individui, come nel caso delle Forze Armate e Militari.

A causa del significativo numero di adesioni di militari dell’Arma alle più moderne modalità di comunicazione telematica, i Comandi Generali hanno ritenuto opportuno intervenire dando una organica rielaborazione delle disposizioni emanate sul tema e portando all’attenzione dei soggetti interessati la condotta che si ritiene essi debbano assumere.

2. L'etica militare 

Il Militare, secondo quanto previsto dall'art. 1 Regolamento di Disciplina Militare[2], è «il cittadino che fa parte delle Forze Armate volontariamente o in adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge sulla leva. Al militare spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini. Egli è soggetto a particolare disciplina, a doveri e responsabilità nonché a limitazioni nell’esercizio di taluni diritti previsti dalla Costituzione definite dalla legge e riportate nel presente regolamento».

Cercando di dare una definizione quanto più precisa dell’etica militare, è possibile innanzitutto specificare che con tale termine vuole intendersi il complesso di valori intorno ai quali si riconosce la comunità militare, essa si caratterizza per «il forte senso di appartenenza al gruppo e la fiera consapevolezza del proprio ruolo»[3]. L’etica militare, proprio per l’importanza che la contraddistingue, non può essere ricollegata alle sole fonti giuridiche ma deve rifarsi necessariamente a fonti extra giuridiche come la tradizione e la fede. 

La tradizione gioca un ruolo fondamentale all’interno delle Forze Armate perché brigate, flotte e stormi sono depositari di riti e simboli che necessariamente sopravvivono alle alternanze politiche ed alle riforme giuridiche. La Bandiera, l’Uniforme ed i suoi segni distintivi rimangono espressione di una storia universale e si legano a codici di comportamento che, seppur non scritti, rimangono sentiti e vincolanti.

Recependo tutto questo, infatti, l’art. 7 del Regolamento di Disciplina Militare[4] stabilisce che la Bandiera della Repubblica Italiana, considerata simbolo della Patria stessa, deve rappresentare l'unità militare e l'onore dei Militari «nonché delle sue tradizioni, della sua storia, del ricordo dei suoi caduti. Essa va difesa fino all’estremo sacrificio. Alla bandiera vanno tributati i massimi onori». 

Per quanto attiene all’Uniforme, poi, il medesimo regolamento prevede che l’uso della stessa venga vietato al militare «quando è sospeso dall’impiego, dal servizio, dalle funzioni o dalle attribuzioni del grado nonché nello svolgimento delle attività private e pubbliche consentite»[5].

Pertanto, l’uomo in armi deve possedere alcune qualità ed ispirarsi a taluni principi guida imprescindibili quali la solidarietà, l’umanità, la magnanimità, la pazienza, la cura del bene comune, l’onestà, la lealtà, l’orgoglio di appartenenza, lo spirito di servizio e la fedeltà.

Le Autorità Militari non devono avere un’adesione piatta ed acritica alle norme di Stato, esse devono avere un atteggiamento partecipe che ne dimostri una condivisione dei valori e degli oneri della condizione militare; devono essere consapevoli della responsabilità assunta perché convinte della necessità di adempiere integralmente ai doveri che discendono dalla condizione Militare per la realizzazione dei fini istituzionali.

Al Militare è fatto obbligo di tenere in ogni circostanza un contegno ed una condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze Armate. Egli, pertanto, deve astenersi dal compiere azioni e pronunciare imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità ed al decoro, deve prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbia bisogno di aiuto, deve consegnare prontamente al superiore o all’autorità competenti denaro o cose che gli siano pervenute per errore.

Il Militare deve astenersi dagli eccessi nell’uso di bevande alcoliche ed evitare l’uso di sostanze che ne possano alterare l’equilibrio psichico.

In particolare, il personale dell’Arma dei Carabinieri deve improntare il contegno al rispetto di doveri quali il mantenimento anche nella vita privata di una condotta decorosa e l’osservanza dei doveri del suo Stato anche nel contrarre amicizia; fondamentale è mantenere un atteggiamento volto a salvaguardare nel reparto della serenità e dell’armonia anche nell’interesse del servizio, anche al fine di preservare un buon accordo tra i militari.

Più di ogni altra cosa, inoltre, al Militare è richiesto di tenere sempre il massimo riserbo; questo concetto, tuttavia, non deve essere inteso come mancanza di idee o di volontà bensì come obbedienza, fede, riservatezza e consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo nonché accettazione delle responsabilità che ne discendono.

Il militare, infatti, deve osservare in materia scrupolosa le norme in materia di tutela del segreto, sia mantenendo il massimo riserbo su argomenti e notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello stato, sia evitando di divulgare notizie attinenti al servizio che possano costituire materiale informativo. Allo stesso fine, esso è tenuto a riferire sollecitamente ai superiori ogni informazione di cui sia venuto a conoscenza e che possa interessare la sicurezza dello Stato e delle istituzioni repubblicane.

Secondo quanto previsto dall’art. 2 del Regolamento di Disciplina militare, infatti: «La disciplina del militare è l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate ed alle esigenze che ne derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza». Da ciò derivano lo stesso principio di gerarchia, il rapporto di subordinazione ed il dovere dell’obbedienza, ossia l’esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio ed alla disciplina.

Perché i membri di una stessa unità si dimostrino uniti, mantengano elevato ed anzi accrescano il prestigio del corpo cui appartengono è necessario che essi siano guidati dallo spirito di corpo che, come sentimento guida di solidarietà, comporta un particolare impegno nell’illustrare la storia e le tradizioni del corpo ai militari che entrano a farne parte.

Gli obblighi, così come sopra descritti, vengono assunti dal Militare all’atto del giuramento; con esso «il militare di ogni grado si impegna solennemente a operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina e onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali e intellettuali affrontando, se necessario, anche il rischio di sacrificare la vita»[6].

3. La libera manifestazione del pensiero militare 

Come già precedentemente preannunciato, secondo quanto previsto dall’art. 21 della Costituzione, tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Ciascun individuo – cittadino, straniero o apolide – ha il diritto di esprimere le proprie idee e, quindi, di pensare liberamente; ha il diritto di diffondere le proprie idee e persuadere gli altri alla bontà delle proprie ragioni o, ancora, ha il diritto di non manifestare alcuna idea e rimanere in silenzio. Ognuno di noi ha il diritto di dissentire dalle idee altrui, di informare la gente o di essere informato.

Il diritto di poter esprimere liberamente il proprio pensiero diviene diritto di divulgare il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione, tanto che l’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ribadisce che «la libera manifestazione del pensiero e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può parlare, scrivere, stampare liberamente salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge».

La garanzia costituzionale deve intendersi, però, non solo estesa al diritto della libertà di manifestazione del pensiero, ma anche al diritto al pieno uso dei relativi mezzi di divulgazione; è la stessa Corte costituzionale[7] a chiarire che senza dubbio la garanzia costituzionale debba coprire sia il diritto alla libera manifestazione del pensiero, sia il diritto al libero e pieno uso dei relativi mezzi di divulgazione, seppur con alcuni limiti che in seguito si vedranno.

Il pensiero può essere diffuso da ciascuno con un gran numero di destinatari e, grazie all’avvento di Internet e dei Social Media, ognuno diventa editore di sé stesso pubblicando le proprie idee ed il proprio pensiero.

La libertà di espressione, tuttavia, incontra necessariamente alcuni limiti che devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali, essi vengono espressamente previsti o risultano desumibili mediante la rigorosa applicazione delle regole di interpretazione giuridica[8]. È, infatti, lo stesso art. 21 a chiarire che devono intendersi vietate tutte le manifestazioni che siano contrarie al buon costume. Il buon costume impedisce di manifestare il proprio pensiero tramite modalità che offendano il comune senso del pudore e la pubblica decenza.

Con il tempo l’evoluzione giurisprudenziale ha cercato di dare una definizione diversa di buon costume chiarendo che esso «non può essere fatto coincidere con la morale o con la scienza etica perché la legge morale vive nella coscienza e così intesa non può formare oggetto di un regolamento legislativo»[9].

Nonostante i tentativi giurisprudenziali, il "buon costume" continua ad apparire come qualcosa di inafferrabile, astratto ed impossibile da cristallizzare in una definizione precisa: esso può essere riempito di contenuti corretti solamente riferendolo alla contingenza storica, sociale e morale di una data comunità.

La teoria prevalente sembra, quindi, propendere per la definizione penalistica del buon costume, secondo cui esso deve essere inteso come comune senso del pudore e della pubblica decenza in relazione alla sfera morale e sessuale.

Seppur non espressamente citati, è ormai communis opinio che debbano essere considerati quali freni alla libera manifestazione del pensiero anche altri limiti altrettanto significativi, ancor di più se a dover esprimere le proprie idee siano rappresentanti dello Stato.

Ne è prova quanto previsto dall’art. 33 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 545/1986, in base al quale il Militare che voglia diffondere notizie o esprimere il proprio pensiero in ordine ad argomenti a carattere riservato di interesse militare o attinenti al proprio servizio deve necessariamente munirsi di un'autorizzazione. Quest'ultima è richiesta per via gerarchica a Comandi diversi, a seconda del corpo di appartenenza[10].

Rispetto a quanto precedentemente chiarito in riferimento all’art. 21 della Costituzione, è chiaro che il Militare è sottoposto a censure più stringenti rispetto a quanto previsto per i comuni cittadini.

Gli appartenenti alle Forze Armate, ai sensi dell’art. 1472 del Codice dell'Ordinamento Militare[11], possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta un’autorizzazione. Tale norma rappresenta il punto di equilibrio tra libera manifestazione del pensiero e dovere di riservatezza o riserbo sulle questioni militari.

Secondo quanto previsto dall’art. 722 del D.P.R. 90/2010, il militare può esprimere liberamente il proprio pensiero osservando scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto; egli deve acquisire e mantenere l’abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato. Deve escludere dalle conversazioni private, anche se queste abbiano luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti nonché evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che possono costituire materiale informativo.

Il militare, in ogni caso, ha l'obbligo di riferire sollecitamente ai superiori ogni informazione di cui sia venuto a conoscenza e che possa interessare la sicurezza dello Stato e delle istituzioni repubblicane, o la salvaguardia delle armi, dei mezzi, dei materiali e delle installazioni materiali.

Il dovere di riserbo non viene meno nemmeno quando i Militari siano fuori servizio tanto che essi, secondo quanto previsto dall’art. 1350 del D. lgs 66/2010, «sono comunque tenuti all’osservanza delle disposizioni del codice e del regolamento che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari, in conformità alle vigenti disposizioni».

4. Militari e Social Networks

Le organizzazioni militari hanno fin da subito potuto apprezzare la facilità di produzione, scambio e fruizione di informazioni tipica dei Social Networks, tanto da pensare di sfruttarli per usi interni.

Il loro interesse è soprattutto legato a ciò che riguarda la comunicazione istituzionale e la pubblica informazione nonché la possibilità di intercettare un pubblico giovane che da sempre costituisce il target principale di riferimento per i reclutamenti. Si è assistito spesso, infatti, alla creazione di pagine Facebook all’interno delle quali siano facilmente rinvenibili informazioni e testimonianze dirette di protagonisti della vita militare, utili per integrare le campagne di reclutamento classiche basate su stampa, radio o televisione.

Nonostante gli aspetti positivi che abbiamo fino ad ora sottolineato, però, l’uso dei Social Networks da parte delle organizzazioni militari comporta un potenziale incremento delle interazioni tra utenti del web e rete fisica militare, circostanza non sempre positiva anche considerato l’uso non ufficiale che i Militari fanno dei Social Networks. Quest’ultimo aspetto comporta il pericolo di compromissione involontaria di informazioni riservate o inopportune, come tra l’altro effettivamente accaduto in Israele dove un Militare ha involontariamente svelato sul suo profilo Facebook il luogo esatto in cui si sarebbe svolta una missione segreta.

Per cercare di ovviare ai problemi sottolineati e spingere le Forze Armate o di Polizia ad un uso consapevole dei Social Network, si è cercato di sensibilizzare la platea Militare e far loro comprendere che non è richiesto di “reprimere” i comportamenti degli appartenenti ad un corpo. Ciò che si ritiene debba essere chiaro al Militare che nella sua esperienza in rete è che si rimane “persone in divisa” anche quando ci si trova a scrivere semplicemente sulla tastiera del proprio computer o del proprio smartphone.

Pertanto, il Militare che naviga online deve essere in grado di autogovernarsi e di riflettere sulle possibili ripercussioni che la condivisione di dati personali può comportare per sé e per la propria cerchia di conoscenze.

Egli, prima di condividere qualsiasi commento, dato, notizia, comunicazione, video o immagine deve chiedersi se la loro diffusione possa arrecare un danno alla tutela delle informazioni militari, dei diritti individuali delle persone e in generale all’immagine dell’Istituzione. Egli deve essere consapevole che le immagini e le informazioni di qualsiasi natura, una volta che siano state condivise in rete, possono rimanerci per anni: per questo motivo, è necessario evitare di pubblicare o allegare immagini e file inerenti al servizio così da assicurare una maggiore tutela all’incolumità personale e degli altri.

Il Militare che decide di condividere in rete le proprie informazioni deve essere consapevole che quelle stesse informazioni possono acquisire rilevanza giuridica nel rapporto con l’Amministrazione Militare perché, una volta in rete, potranno considerarsi di pubblico dominio e pienamente utilizzabili anche ai fini di un procedimento disciplinare.

Occorre a questo punto fare riferimento ad un caso pratico risalente all’anno 2016, quando un militare dell’esercito decise di agire in giudizio innanzi al TAR Friuli-Venezia Giulia per contestare una sanzione disciplinare irrogatagli.

Il Militare, nello specifico, aveva condiviso alcune foto in cui era rappresentata la condizione in cui si trovavano coloro che erano in servizio all’Expo e che erano stati «abbandonati nel fango e trattati come profughi»; la tendopoli dei militari impegnati nell’Expo2015, infatti, fu abbattuta da una forte bufera che ne causò il crollo delle tende e la loro conseguente inondazione. Le foto in brevissimo tempo scatenarono polemiche politiche fortissime, al punto che ne nacquero alcune interrogazioni parlamentari e che il responsabile - Caporal Maggiore Capo scelto di stanza nell’ottavo reggimento alpini alla caserma di Cividale – venne sanzionato con sette giorni di consegna di rigore e decurtazione dello stipendio.

Quelle immagini erano accusate di aver danneggiato l’immagine delle Forze Armate italiane ed il Militare di aver mantenuto «una condotta avventata e superficiale, ponendosi in contrasto con i principi etici che costituiscono i fondamenti dell’integrità militare, quali la disciplina, l’integrità morale e lo spirito di corpo».

A tal proposito, il TAR adito[12] specificava di essere d'accordo con il ricorrente nella parte in cui sottolineava la necessità che l'intero ordinamento militare dovesse conciliarsi con i principi costituzionali e democratici, d'altronde imprescindibili in un paese civile come il nostro. Osservava, tuttavia, che Facebook per propria stessa natura consente l'accesso ad un numero infinito di utenti e la diffusione del materiale condiviso in rete diviene imprevedibile per il soggetto che si trovi a postare contenuti online. In quest'ottica il TAR specificava: «Lo stesso ricorrente, quando nel suo ricorso sostiene che i commenti non sarebbero opera sua ma di altri soggetti che si sarebbero inseriti nel sito, implicitamente ammette che detto sito era accessibile a terzi non identificabili a priori e quindi conviene sulla sua natura non strettamente privata».

Il Tribunale Amministrativo sottolineava quanto il Militare, oltre a quanto previsto a livello costituzionale e dalle leggi ordinarie, devesse sottostare alle disposizioni contenute nel D.lgs. 60/2010 e nel Testo Unico D.P.R. 90/2010; queste disposizioni normative obbligano il militare ad utilizzare i sistemi riservati e a non pubblicare fotografie o divulgare commenti in grado di nuocere al prestigio dell’amministrazione. I Giudici ritenevano la sanzione irrogata al ricorrente proporzionata alla mancanza commessa dal Caporal Maggiore, egli avrebbe potuto far presente il disagio vissuto all'Expo mediante mezzi riservati ed espressamente disciplinati dalla normativa militare. Pertanto, si individuava il discrimen tra condotta lecita ed illecita sul piano disciplinare nella lesività o meno dell’immagine resa pubblica.

Quanto successo nel 2016 è solo un esempio del fatto che le espressioni utilizzate e i contenuti condivisi tramite Social Networks possono avere un peso ed una capacità lesiva da non sottovalutare; un contenuto reso pubblico online può essere lesivo se rivolto specificatamente a superiori gerarchici o ad altri commilitoni tanto da integrare fattispecie rilevanti dal punto di vista penale.

Ne è un esempio quanto previsto dal Codice penale militare in tempo di pace[13] che cristallizza all’art. 227 il reato di diffamazione commessa da militare; tale norma prevede: «Il militare che, (…) comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. Se l’offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate».

La Giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che la condotta diffamatoria perpetrata in rete debba essere ricondotta all’ipotesi aggravata di cui al comma secondo della norma appena citata, dovendosi ricondurre i social networks nel novero degli “altri mezzi di pubblicità” cui la disposizione si riferisce, data la loro idoneità a raggiungere un numero indefinito di destinatari.

Quanto appena detto viene confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 9385/2019. Nel caso di specie, il Tribunale Militare di Napoli aveva condannato un appuntato scelto dei Carabinieri a due mesi di reclusione militare per diffamazione aggravata, egli aveva offeso la reputazione di due suoi superiori (Comandante della Compagnia e Comandante del NORM) pubblicando sul suo profilo Facebook frasi che indicavano i predetti come “due bambini” e come “psicopatici in divisa”. Le frasi utilizzate erano giudizi negativi gratuitamente offensivi ed espressi con un linguaggio non rispettoso della continenza, il post condiviso accusava espressamente i superiori gerarchici di essere deludenti, molesti e psicopatici.

L'Appuntato scelto aveva deciso di impugnare la decisione presa in primo grado dal Tribunale di Napoli e proporre appello; la Corte d'Appello, però, non ha potuto far altro che confermare quanto già deciso e specificare che non sarebbe stato possibile accogliere la prospettazione di un diritto di critica né la particolare tenuità del fatto, anche visto il carattere tanto lesivo e la pubblicità data all’azione. Lo stesso è stato poi confermato dalla Corte di Cassazione che, interrogata sulla questione, ha specificato che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone»[14]La sentenza della Cassazione, inoltre, ha chiarito di non poter assolutamente accogliere la richiesta dell'imputato in ordine all'applicazione dell’esimente del diritto di critica; essa sarebbe stata applicabile nel caso in cui l’offesa non si fosse tradotta in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo. 

Alla luce di tanto, è oggi possibile sottolineare che se la diffusione dei Social Networks è una delle maggiori novità degli ultimi anni, deve tuttavia tenersi conto del fatto che essa incide in modo determinante in ogni aspetto della vita di relazione dell’individuo ed ancor di più del Militare.

Per sensibilizzare ed accrescere la consapevolezza della pericolosità di tali mezzi di comunicazione i Corpi Armati e di Polizia hanno diffuso tra i loro appartenenti alcune Circolari che potessero in qualche modo indirizzare ad un uso consapevole e razionale di tali strumenti di comunicazione.

Con Circolare del 24 ottobre 2019, ad esempio, il Ministero dell’Interno ha condiviso delle linee da seguire riguardanti l’utilizzo dei social network e di applicazioni di messaggistica da parte degli operatori della Polizia di Stato. In essa si sottolinea come la diffusione della suddetta circolare fosse giustificata dal comportamento di alcuni poliziotti che, violando i principi cardine dell'Ordinamento Militare, avevano pubblicato sui suddetti mezzi di comunicazione affermazioni sul proprio lavoro o foto in uniforme, spesso anche con armi di ordinanza o con indicazioni riguardo alla sede di servizio.

L’utilizzo dei Social, invece, dovrebbe essere caratterizzato dal rispetto di alcuni limiti formali e deontologici che connotano una categoria di dipendenti pubblici posta al servizio della Nazione, delle Istituzioni democratiche e dei cittadini.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato sono tenuti ad un riserbo indirizzato a garantire l’imparzialità, la dignità e l’esemplare svolgimento delle funzioni che l’ordinamento demanda loro. D’altronde, questa particolare modalità potrebbe essere degnamente riconducibile alla stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, pur riconoscendo ad ogni persona la propria libertà di espressione, prevede all'art. 11 che «l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati».

Gli strumenti Social per loro stessa natura non garantiscono la riservatezza della comunicazione e la possibilità di limitare con sicurezza i destinatari del messaggio, rimuovere dalla rete ciò che viene condiviso diviene estremamente difficile perché, anche qualora la cancellazione fosse tempestiva, i contenuti potrebbero essere stati acquisiti tramite screenshot o salvataggi di pagine web.

Per questi motivi, il Ministero dell'Interno ha invitato gli appartenenti alla Polizia di Stato a mantenere una certa prudenza in un luogo privo di confini come l’universo online non solo non rivelando a terzi informazioni, dati o notizie relative ad attività di servizio, ma anche non diffondendo informazioni attinenti alla propria persona ed al proprio entourage innanzitutto familiare.

Infine, il Capo della Polizia ha concluso precisando che la pubblicazione di proprie foto in divisa o di altri elementi chiaramente distintivi (ad esempio l’arma di servizio) è quanto mai inopportuna, anche in assenza di rilevanza penale; la condivisione di siffatti contenuti o di informazioni personali  potrebbe prestarsi a usi distorti o impropri ad opera di altri soggetti, con eventuali conseguenti rischi anche per la sicurezza personale degli operatori o dei colleghi nonché del loro nucleo familiare[15].

Per le medesime esigenze, anche il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha diffuso in data 12 novembre 2019 una Circolare riguardante l’uso consapevole dei Social e delle applicazioni di messaggistica. Il Capo di Stato Maggiore ha specificato che, anche qualora venissero utilizzati dei profili chiusi o delle chat private, il rischio di diffusione involontaria ed indiscriminata di quanto reso disponibile avrebbe in ogni caso dimensioni notevoli.

Ogni dato in rete rischia di essere sottratto al controllo di chi lo ha originato e qualsiasi azione compiuta sui social e su app di messaggistica non è mai virtuale. Ciò che viene pubblicato online equivale ad un atteggiamento assunto in un luogo pubblico straordinariamente affollato.

Chiunque si trovi in servizio, durante lo svolgimento di qualsiasi attività e soprattutto in ambiente esterno, deve mantenere la massima concentrazione e la sua soglia di vigile attenzione non può essere compromessa; il Carabiniere deve cogliere tempestivamente tutto ciò che accade nelle sue vicinanze, valutarne rapidamente le implicazioni e, se del caso, intervenire con la reattività necessaria e con le procedure operative più appropriate.

Pertanto, deve essere vietato il prolungato o compulsivo utilizzo di dispositivi di connettività mobile per le comunicazioni private, in qualsiasi modo intrattenute, trattandosi di comportamento che pregiudica l’efficacia dell’attività nonché la sicurezza di personale e cittadini.

La Circolare specifica, inoltre, che i militari dell’Arma - indipendentemente da funzione e grado - non devono utilizzare i social come mezzo privilegiato per rappresentare alla scala gerarchica questioni di servizio ovvero di carattere privato perché un siffatto comportamento violerebbe le disposizioni che disciplinano tale specifica facoltà. Lo status di militare, anche con riferimento alle relazioni con i superiori di grado, così come i parigrado o i subordinati, comporta l’osservanza di precise regole e procedure.

Nello specifico, potrebbe dirsi che al Carabiniere è vietata la trattazione, a qualsiasi titolo, di questioni di servizio, informazioni d’ufficio o a carattere riservato. Egli non può partecipare attivamente a pagine tematiche online che si qualifichino per orientamento ideologico, per posizioni discriminatorie riferibili alla sfera sessuale, ovvero a convinzioni religiose e a motivazioni etniche o razziali. È assolutamente vietata la divulgazione di notizie o immagini, di dati personali, indirizzi, preferenze o abitudini riferibili a soggetti terzi, quando essa non sia giustificata da inderogabili esigenze di servizio. È fatto divieto di diffondere contenuti relativi ad attività di servizio, allo stato di approntamento ed efficienza delle unità, alla sicurezza del personale, delle armi, dei mezzi e ad aree riservate delle infrastrutture adibite a caserme. Anche la semplice pubblicazione di un articolo su blog o riviste online, quando riguardi temi concernenti il servizio o ad esso assimilabili, è soggetta al preventivo rilascio di una specifica autorizzazione[16].

5. Conclusioni

Quasi senza accorgersene la nuova generazione sta vivendo un vero e proprio stravolgimento, non ricorda più le difficoltà di comunicazione che si potevano avere un tempo e forse non le ha mai vissute. Condividere la propria vita, il proprio lavoro e la propria sfera più privata con milioni di persone diviene chiara espressione di una normalità che tale non è. Seppur consapevoli dell’importanza della tecnologia appare opportuno tenere ben saldi i valori che si sono scelti come fondamentali per la propria esistenza, rispettare il proprio ruolo e comprendere che anche una semplice condivisione può comportare rischi inimmaginabili.

I Social divengono libero spazio per episodi di cyberbullismo, malcostume ed invadenza. Siamo abituati a sentir parlare dei rischi di internet correlandoci ai minori, alla loro incapacità di comprenderne i rischi nascosti, ma noi adulti siamo davvero convinti di conoscerne ogni aspetto? Nel momento in cui il Militare, adulto e consapevole delle proprie scelte di vita, decide di condividere online le proprie foto in divisa sa davvero a cosa va incontro e quanti principi dell’ordinamento militare sta violando?


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte Costituzionale sentenza n. 9/1965.

[2] Decreto del Presidente della Repubblica, 18 luglio 1986, n. 545. 

[3] GEN. TORTORA R., Etica e tipicità dell’ordinamento militare, in Informazioni della difesa, n. 3/2008.

[4] Articolo 7 del D.P.R. n. 545/1986 Regolamento di Disciplina Militare.

[5] Articolo 17 del D.P.R. n. 545/1986 Regolamento di Disciplina Militare.

[6] Articolo 712 del D.P.R. 90/2010 – TUOM.

[8] Corte costituzionale, sentenza n. 9/1965.

[9] Corte costituzionale, sentenza n. 9/1965.

[10] Art. 33 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 545/1986 «La pubblica manifestazione del pensiero dei militari è disciplinata dalla legge di principio sulla disciplina militare. Quando si tratta di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio la prescritta autorizzazione deve essere richiesta per via gerarchica ed è rilasciata: a) per l’Esercito, dai comandi di regione militare e dai comandi di corpo d’armata ad eccezione dell’Arma dei Carabinieri per la quale è competente il Comando Generale; b) per la Marina, dal comando in capo della squadra navale, dai comandi in capo di dipartimento, dai comandi militari marittimi autonomi; c) per l’aereonautica, dai comandi di regione aerea; d) per il Corpo della Guardia di Finanza, dal comando generale. Per i militari non dipendenti dai comandi sopra indicati l’autorizzazione deve essere rilasciata dall’autorità più elevata in grado dalla quale i militari stessi dipendono. La richiesta di autorizzazione, da inoltrare con congruo anticipo, deve contenere l’indicazione dell’argomento da trattare e dei limiti nei quali la trattazione sarà contenuta. La risposta dell’autorità competente deve pervenire al richiedente in tempo utile».

[11] Regio Decreto n. 303 del 20 febbraio 1941. 

[12] Tribunale Amministrativo Regionale, Friuli Venezia Giulia, I Sezione, 12 dicembre 2016, n. 562.

[13] Codice dell'Ordinamento Militare (COM) - D.lgs 15 marzo 2010, n. 66.

[14] Corte di Cassazione, I Sezione Penale, 4 marzo 2019, n. 9385.

[15] Circolare Ministero dell’Interno n. 555/RS/01/96/6301 – Roma, protocollo del 25/10/2019.

[16] Circolare n. 27/28-1-2016 di prot. Del 12 novembre 2019 – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri. 

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