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Pubbl. Dom, 18 Ott 2015

Effetti della sentenza in materia di stupefacenti - Cass. Pen. 29316/2015.

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Mario Panzarella


Il plenum della Corte di Cassazione ridefinisce la nozione di sostanza stupefacente, coerentemente al percorso indicato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.32/2014. Droghe leggere vs. Droghe pesanti, il punto della situazione alla luce del nuovo sistema tabellare.


"L'approccio al problema delle droghe non deve essere centrato sul prodotto, ma sulle persone e sulle loro relazioni sociali. Duole constatare che la nostra società preferisce emarginare chi diventa vittima delle sue contraddizioni, piuttosto che tentare di rimuoverle" (Henri Margaron, Le stagioni degli dei.)

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 29316/2015 del 9 luglio (ricorrente Costanzo, relatore Blaiotta) intervengono nel campo della normativa in materia di stupefacenti, recentemente riformata a seguito della presa di posizione della Corte costituzionale che con la sentenza n.32/2014 ha messo in cantina l'intero impianto della c.d. Fini-Giovanardi in tema di distinzione (o meglio, mancata distinzione) tra droghe leggere e droghe pesanti.

Pronuncia seguita dall’intervento del Governo che ha cercato di fare chiarezza con il d.l. 20 marzo 2014 n.36, convertito con modificazioni nella l. 16 marzo 2014 n.79.

Preliminarmente alle considerazioni circa la sentenza della Corte di Cassazione, non può non tracciarsi un seppur sintetico quadro di fatto e di diritto atto ad inquadrare i tratti salienti dell’attuale disciplina in tema di stupefacenti.

1. Corte Costituzionale n.32/2014

Tale pronuncia costituisce la base di partenza per procedere ad un corretto inquadramento dell’intero apparato normativo vigente concernente la disciplina dei reati connessi alle sostanze stupefacenti e psicotrope.

Dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.lgs. n. 272/2005, convertito con modificazioni nella legge n. 49/2006, la Corte prende posizione sulla legittimità dell’intervento normativo del Legislatore del tempo, che con la c.d. Fini-Giovanardi equiparava droghe leggere e pesanti prevedendo i medesimi regimi sanzionatori.
Il decisum della Corte viene motivato dall’avvenuta violazione dell’art. 76 Cost. (“L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”), tali norme  vengono infatti inserite con modificazioni nel corso dell’iter di conversione del decreto 272/2005 in legge n. 49/2006, risultando estranee alla finalità e all’oggetto del decreto legge originario (il cui oggetto era limitato alle disposizioni relative al regolare svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006). La Corte ha difatti ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto-legge, difettino manifestamente di connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto-legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell’art.77, secondo comma Cost. Alla illegittimità costituzionale della novella del 2006 conseguirebbe la caducazione del sistema tabellare previsto dalla Fini-Giovanardi che classificava le sostanze stupefacenti e psicotrope in due sole tabelle, di cui una era rivolta specificatamente ai medicinali con effetto drogante, lasciando ad un’unica tabella l’elenco delle sostanze stupefacenti.

La caducazione ha comportato il ritorno alla normativa antecedente la Fini-Giovanardi, quella contenuta nel d.P.R. n. 309/1990, la c.d. Legge Jervolino-Vassalli, che per quanto riguarda i reati aventi ad oggetto droghe leggere è più mite sui profili sanzionatori e prescrizionali (per tali illeciti la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa, in sostituzione della pena da sei a venti anni, e multa, come previsto dalla novella del 2006) rispetto a quello relativo alle droghe pesanti che è invece sorretto da sanzioni più severe (la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).
La Corte costituzionale ha poi rimarcato la reviviscenza ex tunc della Jervolino-Vassalli, mai realmente abrogata dal Legislatore del 2006, passando la palla al giudice ordinario nell’individuazione in concreto del trattamento sanzionatorio più favorevole, in ossequio al principio del favor libertatis e del principio di successione di leggi penali nel tempo contenuto nell’art.2 del c.p.

2. D.l. 20 marzo 2014 n.36, (convertito con modificazioni nella l. 16 marzo 2014 n.79)

L'intervento del Legislatore del 2014 ha avuto come fine quello di restituire una certa coerenza al sistema, non potendo limitarsi ad un recupero unitario della Jervolino-Vassalli a seguito della perentoria pronuncia costituzionale, in quanto occorreva ripristinare l'efficacia dei diversi provvedimenti amministrativi emanati ad integrazione dei precetti penali caducati.

Viene riordinato il sistema tabellare, attualmente composto da 5 tabelle, di cui una riservata esclusivamente ai medicinali, inserendo le sostanze classificate nell'elenco dei principi attivi e dei preparati illeciti per effetto di decreti adottati in pendenza della disciplina caducata.

Rispettivamente: la prima e la terza tabella raggruppano le droghe pesanti, la seconda e la quarta quelle leggere. Si afferma così una nozione legale di stupefacente, che impone un'elencazione tassativa delle sostanze in appositi elenchi che ne vietano la circolazione.

Viene inoltre introdotto l'istituto del c.d. spaccio di lieve entità che prevede un regime sanzionatorio di favore nell'ambito di una valutazione giudiziale concreta circa il fatto: che, per i mezzi, la modalità, o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità,  prevedendo le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a 26.000", riprendendo le considerazioni di una schiera della giurisprudenza che già considerava la lieve entità come una circostanza attenuante (Cass. pen., Sez. Un., 31 maggio 1991, n. 9148; Cass.pen., Sez. Un., 24 giugno 2010, n.35737).

Alla luce di queste considerazioni la sentenza n.29316 della Suprema Corte interviene per comporre un contrasto giurisprudenziale che già da tempo si registrava nelle aule di tribunale.

La quaestio giuridica poggia sulla sorte dei provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che in teoria avrebbero dovuto seguire la caducazione della disciplina del 2006. L'ambito è quello della successione di leggi integratici di elementi normativi della fattispecie criminosa. Testualmente la pronunzia ha evocato i conseguenti problemi di diritto intertemporale afferenti alla necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole, in aderenza ai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo. 

La definizione legislativa di stupefacente che configura  una qualificazione proveniente da fonte subprimaria integratrice del disposto penale, ha portato la Cassazione a stabilire che: l'utilizzazione di una sostanza contenente principi stupefacenti, ma non non iserita nella tabella, non costituisce reato prima del suo formale inserimento nel catalogo, riprendendo la Sentenza della Sez.IV, n. 27771 del 14/04/2011. La continuità della rilvanza penale in relazione a quelle sostanze introdotte successivamente al d.l. 272/2005 costituisce l'oggetto della pronuncia della Cassazione.

I due indirizzi, mediati dalla Suprema Corte, sono:

a) Indirizzo sostanzialistico: dove riscontriamo una posizione giurisprudenziale restrittiva, che, relativamente all'ultrattività degli atti amministrativi integratori del precetto penale, ne stabilisce la loro sopravvivenza anche dinnanzi alla caduta delle norme di precetto penale che le sorreggevano. Si poggia l'ultrattività dei decreti ministeriali sulla coerenza con le linee essenziali della legge. 
La tesi fa leva sull'art. 2 del d.l. n.36/2014 che avrebbe introdotto una deroga al principio della retroattività delle modifiche in melius in ossequio al principio generale del favor rei, prevedendo di fatto, l'efficacia ultrattiva degli atti ministeriali intregratori.

b) Indirizzo dell'abolitio criminis: secondo cui l'intervento demolitorio della Corte Costituzionale avrebbe comportato l'automatica caduta anche degli atti ministeriali integrativi del precetto penale valutato incostituzionale. La disciplina applicabile è quella dell'art.2, comma 2 del codice penale, che impone la distinzione a seconda che l'elemento normativo in questione sia o non sia in grado di incidere sulla portata e sul disvalore astratto della fattispecie incriminatrice, condizionandone l'ampiezza con riferimento sia alla descrizione del tipo di reato, sia ai soggetti attivi (FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale parte generale sesta edizione, 2009, Zanichelli editore, Bologna).

In presenza di una norma parzialmente in bianco, come quella che definisce la nozione legale di stupefacente, l'integrazione del precetto penale non può non operare nel rispetto del principio di riserva di legge ex art. 25 Cost. 

La seconda tesi è quella seguita dalla Cassazione che, rigettando la soluzione d'impronta sostanzialistica in quanto contrastante con il principio di legalità, ha stabilito l'avvenuta abolitio criminis del reato di cui all'art. 73 commi 1 e 1bis lett. b) d.P.R. n. 309/1990 in riferimento alla commercializzazione e alla detenzione illecita di medicinali contenenti, nella causa in esame il nandrolone, inserito nel 2010 nella tabella II dei medicinali allegati al TU.

Il principio di diritto consegnatoci dal Plenum è:

"A seguito della dichiarazione d'incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies-ter del decreto legge n.272 del 2005, come modificato dalla legge n.49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n.32 del 2014, deve escludersi la rilevanza penale delle condotte, che poste in essere a partire dall'entrata in vigore di detta legge e fino all'entrata in vigore del decreto.legge n.36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato dalla richiamata legge n.49 del 2006."

Connesso è il profilo di esecuzione penale, in relazione alla legalità della pena in sede esecutiva in ordine alle condotte poste in essere nel periodo di vigenza della Fini-Giovanardi e delle relative tabelle fondate sulla non-distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. 

La Cassazione optando per la tesi dell'abolitio criminis rafforza la precedente pronuncia della sez. I, 22 dicembre 2014 n. 53793, che già aveva stabilito la rideterminazione in sede esecutiva delle pene per reati riguardanti le droghe leggere, stabilendo che: successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione.

In ultimo, si scorge nell'intero testo della sentenza della Suprema Corte, un esplicito invito al Legislatore ad esprimersi con un intervento chiarificatore sull'intero impianto dell'attuale TU degli stupefacenti.

Le parole degli ermellini, risultano a ben vedere più esplicite di ogni possibile commento:
"Tentare di comprendere il senso della nuova normazione è impresa difficile.
Si tenta il limite della vocazione all'interpretazione delle Sezioni Unite. 
L'intricato sovrapporsi di norme, di cui non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall'ideale di chiarezza del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti dell'ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività, prevedibilità, accessibilità, colpevolezza.
In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per cercare di cogliervi un'univoca indicazione di senso".

"Univoca indicazione di senso" che sembra ancora lontana, basti pensare per esempio all'art.14, n. 7) del TU in materia di stupefacenti che determina i criteri per la formazione delle tabelle.

Testualmente si tiene conto per i criteri relativi alla tabella I di:  7) ogni altra pianta o sostanza naturale o sintetica che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale;

L'elevato tasso di generalità del criterio, potrebbe portare paradossalmente alla messa al bando di erbe come la salvia, la valeriana, che da sempre fanno bella vista sui nostri balconi, in quanto sono scientificamente noti gli effetti di abusi di dette sostanze sul sistema nervoso centrale e periferico. 
Poi ci sarebbe una proposta di legge calendarizzata in Parlamento sulla legalizzazione e commercializzazione della marujiana, ma questo è un altro discorso...