Osservatorio di Diritto Penale dell´Economia - Novembre/Dicembre 2021
Modifica paginaOsservatorio bimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in tema di Diritto penale dell´economia. Periodo novembre-dicembre 2021.
Indice: 1) Illeciti tributari – Concorso dei membri del collegio sindacale; 2) Illeciti fallimentari – La responsabilità della "testa di legno"; 3) Infortuni sul lavoro – Responsabilità di figure datoriali per inadempimento del preposto; Altre pronunce in rassegna.
SENTENZE IN PRIMO PIANO
1) Illeciti tributari – Concorso dei membri del collegio sindacale
Cassazione, Sez. III, 5 ottobre 2021, dep. 9 novembre 2021, n. 40324 – Pres. Liberati – Rel. Corbo – P.M. Epidendio (conf.) – Ric. G.T. – (rif. art. 110 c.p. e 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 27 novembre 2020, e depositata in data 17 dicembre 2020, il Tribunale di Palermo, riqualificando l’istanza di riesame come appello, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha applicato, per quanto di interesse in questa sede, le misure dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di persone giuridiche e imprese o professioni per la durata di un anno nei confronti di G.T.
Secondo il Tribunale, G.T. deve ritenersi gravemente indiziato dei reati di indebita compensazione ex d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater e di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza ex art. 2638 c.c., commi 1 e 2.
In dettaglio, G., nella qualità di presidente del collegio sindacale della Alfa S.p.A., in data 19 giugno 2019, avrebbe espresso parere favorevole all’adozione della delibera di acquisto di ramo di azienda dalla Beta S.r.l., del quale faceva parte un credito IVA inesistente per un valore di 5.826.040,00 Euro, delibera poi approvata, e seguita dall’utilizzazione di tale credito a fini di compensazione IRPEF e IRPEG mediante più versamenti effettuati tra il 20 ed il 25 giugno 2019, per un importo complessivo pari a 1.395.129,31 euro. G., inoltre, nella medesima qualità, e in concorso con il presidente del consiglio di amministrazione e l’amministratore di fatto della Alfa S.p.A., mediante dichiarazioni del 24 giugno e del 3 luglio 2019 anche da lui sottoscritte, avrebbe esposto alla Commissione di Vigilanza sulle società di calcio professionistiche (Co.Vi.So.C.), al fine di ostacolarne l’esercizio delle funzioni di vigilanza, fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e patrimoniale della società, attestando la regolarità dei versamenti fiscali e previdenziali e dei pagamenti a tesserati, lavoratori e collaboratori, nonché il ripianamento della carenza finanziaria e l’adempimento di vari debiti.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe G.T., con atto sottoscritto dall’avvocato, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 292 e 309 c.p.p., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla mera apparenza di motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.
Si deduce che l’affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, estraneo ai precedenti procedimenti penali a carico della Alfa S.p.A., si basa sull’erroneo presupposto della evidenza ictu oculi dell’inesistenza del credito rientrante nel patrimonio del ramo di azienda dalla Beta S.r.l., acquistato dalla Alfa S.p.A.: i rilievi del Co.Vi.So.C., e dell’ispettore nominato dal Tribunale di Palermo ex art. 2409 c.c., valorizzati dai giudici di merito, sono stati effettuati solo dopo che l’Amministrazione finanziaria aveva contestato il credito fiscale. Si osserva, poi, che il contributo concorsuale non può essere affermato sulla base dell’espressione del parere quale presidente del collegio sindacale, in quanto detto parere non è vincolante per l’acquisto di ramo di azienda, e non si spiega perché la contestazione è stata effettuata al solo ricorrente e non anche agli altri due componenti del collegio sindacale, al notaio rogante l’atto ed al professionista che ha redatto ex art. 2465 c.c. la perizia di stima del compendio aziendale oggetto di compravendita. Si segnala, ancora, che il collegio sindacale presieduto dal ricorrente aveva deliberato l’azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori ex art. 2409 c.c., che un eventuale dissenso all’acquisto del ramo di azienda non avrebbe potuto produrre effetti pratici, che non sono emersi elementi concreti di assoggettamento o di dolosa cooperazione del ricorrente con l’ispiratore delle operazioni illecite, T.S., o con la dottoressa De A. ed il dottor An., i quali hanno predisposto i pagamenti “apparenti” per indurre in errore il Co.Vi.So.C. ed il collegio sindacale, decisivi per la configurabilità dei reati di cui all’art. 2638 c.c., commi 1 e 2. Si aggiunge, ancora, che: a) la dimostrazione dello scrupolo del ricorrente prima di assumere le proprie determinazioni, è fornita anche da una lettera del 23 giugno 2019 a sua firma, presente in atti, siccome alla stessa è risultata allegata una relazione sottoscritta dal commercialista Dott. C.M., concernente la “legittima compensazione di credito IVA - operazione cessione di ramo di azienda”; b) l’ordinanza genetica riconosce che la falsa documentazione afferente al credito è stata prima formata da T. e D.A. e solo dopo di ciò sottoposta all’attenzione degli organismi di controllo e quindi del collegio sindacale; c) in nessuna parte dell’ordinanza si attribuisce al ricorrente una partecipazione alle attività di falsificazione dirette ad indurre in errore il Co.Vi.So.C. ed il collegio sindacale, e, quindi, per integrare i reati di cui all’art. 2638 c.c., commi 1 e 2, sicché deve concludersi che lo stesso è stato indotto in errore.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
Si deduce che l’ordinanza impugnata non contiene alcun riferimento al dolo del ricorrente, né alle specifiche esigenze di prevenzione da fronteggiare mediante le misure cautelari applicate. Si aggiunge che, a tal fine, occorre anche considerare che il ricorrente è decaduto da ogni carica societaria per il fallimento della e che i coindagati T. sono stati sottoposti a misure cautelari personali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Infondate sono le censure formulate nel primo motivo, le quali contestano la mera apparenza della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del ricorrente per i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater e art. 2638 c.c., deducendo che l’ordinanza impugnata: a) non ha evidenziato elementi dai quali desumere la consapevolezza del medesimo dell’inesistenza del credito e della falsità delle comunicazioni trasmesse alle autorità di vigilanza; b) ha omesso di valutare elementi significativi a favore dell’opposta soluzione; c) ha valorizzato, in ordine al reato di indebita compensazione, la condotta costituita dall’espressione di un parere favorevole quale presidente del collegio sindacale, senza considerare la pratica ininfluenza dell'atto ad impedire la commissione del reato, nonché la condivisione dello stesso da parte degli altri due componenti del Collegio, del notaio rogante l’acquisto del ramo di azienda e dell’esperto incaricato della stima di tale bene.
3. Per ragioni di ordine logico, va esaminata innanzitutto la questione della configurabilità del reato di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater con riferimento alla condotta di un componente del Collegio sindacale di una società che esprime un parere favorevole all’acquisto di un credito inesistente.
La condotta appena indicata, in effetti, è diversa da quella tipizzata dal d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater.
La stessa, però, può assumere rilievo a norma dell’art. 110 c.p., quale partecipazione a titolo di concorso nel reato di indebita compensazione.
Innanzitutto, non risultano ostacoli normativi o fattuali alla configurabilità del concorso nel reato, in ordine alla fattispecie di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, e, anzi, nella casistica giurisprudenziale, il concorso nel reato di indebita compensazione è stato espressamente ammesso con riguardo a condotte realizzate dal consulente fiscale.
Inoltre, secondo i principi generali, ai fini della configurabilità della partecipazione nel reato ex art. 110 c.p., rilevano anche le condotte di agevolazione o di mero rafforzamento della volontà dell’autore c.d. principale. Invero, come costantemente osservato anche dalle Sezioni Unite, nella formula dell’art. 110 c.p. sono ricevute e riunite tutte le diverse forme ed i diversi gradi della partecipazione criminosa, indipendentemente dall’importanza di quest’ultima nella determinazione dell’evento; in particolare, vi è compresa la partecipazione morale nelle sue varie forme del mandato, dell’incitamento e del rafforzamento della volontà, e della agevolazione in genere (così Sez. Un., n. 13 del 1955, Abdullani Moha; per analoghe affermazioni ed applicazioni, più di recente, Sez. Un., n. 45276 del 30 ottobre 2003, Andreotti e Sez. Un., n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi).
Ancora, il collegio sindacale di una società, e i singoli componenti di esso, secondo quanto si evince dalle disposizioni contenute nel codice civile, sono in condizione di “confortare” le scelte degli organi sociali o, al contrario, di attivarsi efficacemente per impedire le operazioni della persona giuridica, ove le ritengano illegittime. Ed infatti, il collegio sindacale, a norma dell’art. 2403 c.c., ha il dovere di vigilare, tra l’altro, “sul rispetto dei principi di corretta amministrazione”. I sindaci, poi, a norma dell’art. 2407 c.c. “sono responsabili della verità delle loro attestazioni” e “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”; questa responsabilità, per il richiamo effettuato dall’art. 2407 c.c., comma 3, agli artt. 2394,2394-bis e 2395 c.c., opera anche nei confronti dei creditori e dei terzi comunque danneggiati. I sindaci, per di più, sono titolari di specifici poteri e facoltà per influire sulla corretta gestione della società, perché, tra l’altro, possono: a) convocare l’assemblea per segnalare irregolarità di gestione, a norma dell’art. 2406 c.c.; b) far ricorso al tribunale per la riduzione del capitale sociale per perdite, a norma degli artt. 2446 e 2447 c.c.; c) impugnare le delibere sociali ritenute illegittime, a norma degli artt. 2377 e 2388 c.c.; d) chiedere al tribunale la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c.; e) presentare denuncia al tribunale nei confronti degli amministratori a norma dell’art. 2409 c.c.
Sembra quindi ragionevole concludere che il sindaco di una società il quale esprime parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente, o di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente, pone in essere una condotta causalmente rilevante, quanto meno in termini agevolativi, e di rafforzamento del proposito criminoso, rispetto alla realizzazione del reato di indebita compensazione di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater commesso mediante l’utilizzo dell'indicato credito fittizio.
Ovviamente, perché possa sussistere la responsabilità del sindaco a titolo di concorso nel reato appena indicato, occorre anche la sua colpevolezza, e, quindi, è necessario accertare che il medesimo soggetto abbia espresso il parere favorevole nella consapevolezza sia dell’inesistenza del credito fiscale, sia della strumentalità dell’acquisto di tale credito al successivo utilizzo a fini di compensazione, ai sensi del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17.
4. Precisata la rilevanza, quale forma di contributo concorsuale ex art. 110 c.p., dell'espressione del parere favorevole all'acquisto di un compendio aziendale contenente un credito inesistente, nella consapevolezza dell'inesistenza di questo e della strumentalità dell’acquisito all'effettuazione di compensazioni a norma del d.lgs. n. 241 del 1997, art. 17, occorre esaminare le censure concernenti l’affermazione della sussistenza di tale consapevolezza da parte dell’odierno ricorrente.
4.1. Il Tribunale, per evidenziare la consapevolezza dell'odierno ricorrente della inesistenza del credito acquisito dalla Alfa S.p.A., della quale era presidente del collegio sindacale, e ceduto dalla Gamma S.r.l., nel momento in cui ha espresso parere favorevole, in data 19 giugno 2019, nonché della destinazione di tale credito fittizio a compensazioni ex d.lgs. n. 241 del 1997, art. 17, indica una pluralità di elementi.
In particolare, con riferimento all’atto di acquisito del credito, si rappresenta che: a) mancava qualunque documentazione in ordine alla composizione del ramo di azienda della Beta S.r.l., nel quale era compreso il credito IVA fittizio avente il valore nominale di 5.826.040,00 Euro, nonostante l’importanza della transazione, e, anzi, nell’atto di vendita del bene si faceva menzione esclusivamente di attrezzature esistenti e di un “separato elenco”, però non allegato; b) nell’atto di vendita, la Alfa S.p.A. ha dichiarato di essere edotta dell’insussistenza di oneri fiscali nonché di aver effettuato le opportune verifiche ed ha esonerato espressamente la parte cedente dal certificato attestante l’insussistenza di sanzioni e violazioni di carattere fiscale, così rinunciando ad un documento che avrebbe immediatamente evidenziato qual era la reale situazione fiscale della cedente; c) il prezzo di vendita, pari alla somma di 2.900.000,00 Euro, è di molto inferiore al valore anche del solo credito fiscale, è indicato nell’atto come da corrispondere “entro e non oltre la data odierna”, e, ciononostante è quietanzato contestualmente per l’intero senza nessuna precisazione.
Relativamente alla personale condotta ed informazione di T.G., si segnala che: a) il ricorrente, nel partecipare all’assemblea del 7 giugno 2019, come risulta da intercettazioni ambientali, aveva ricevuto notizia di una precedente operazione diretta a far accollare ad altra società, la Delta S.r.l., mediante compensazione di credito di imposta, e dell’impossibilità di eseguirla per avere il professionista firmatario del visto di conformità della dichiarazione IVA, da cui risultava il credito, disconosciuto tale firma e presentato denuncia querela alle forze dell’ordine; b) il medesimo ricorrente, nella successiva assemblea del 19 giugno 2019, ossia quella in cui ha espresso il suo parere favorevole, per come risulta sempre da intercettazioni ambientali, aveva ricevuto formale notizia della nota della Co.Vi.So.C. del giorno precedente, la quale aveva chiesto alla Alfa S.p.A. di riequilibrare la carenza finanziaria di 8.272.286,00 Euro entro il 24 giugno, per consentire l’iscrizione della società al campionato; c) sempre nell’assemblea del 19 giugno 2019, il presidente del Consiglio di amministrazione della Alfa S.p.A., ancora per come risulta da intercettazioni ambientali, aveva espressamente dichiarato che l’acquisto del ramo di azienda della Beta S.r.l. permette “anche di azzerare in massima parte la propria esposizione debitoria fiscale/tributaria nel tempo accumulata”; d) il ricorrente, nel corso della medesima assemblea, alla luce di quanto risulta da intercettazioni ambientali, con riguardo “all’avvenuto ripiano del debito fiscale e previdenziale”, aveva osservato, “come da informazioni e verifiche personalmente prima d’ora effettuate, che le modalità con cui è stato operato risultano pienamente conferenti con la normativa vigente ed esprime il loro proprio assenso, subordinato alla presentazione delle quietanze mediante modello F24 entro la data del 24 giugno 2019”, anche se poi, nell’interrogatorio di garanzia, ha precisato di aver compiuto le verifiche sulla base delle attestazioni degli altri professionisti.
Il Tribunale, quindi, esclude motivatamente che i rilievi della difesa dell’odierno ricorrente siano idonei a mettere in dubbio, sotto il profilo gravemente indiziario, la sussistenza del dolo del medesimo. Evidenzia, in particolare, che: a) il notaio, nel formare l’atto di vendita, non accerta l’esistenza dei beni oggetto del rogito; b) la perizia effettuata ex art. 2465 c.c., non conteneva tra i crediti valutati quello IVA, poi accluso nell’elenco del patrimonio attivo da conferire, ed ha inoltre solo la funzione di attestare che il valore complessivo dei beni ceduti è pari a quello agli stessi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo; c) la relazione dello studio C.M. proviene da soggetto pienamente inserito nel sistema illecito di T., effettivo dominus della Alfa S.p.A. ed ideatore ed ispiratore dell’operazione della fraudolenta compensazione; d) l’esercizio dell’azione di responsabilità contro i precedenti amministratori è stata voluta dalla nuova compagine guidata da T. per segnare una discontinuità di gestione.
L’ordinanza impugnata, ancora, aggiunge che l’odierno ricorrente: a) è stato sindaco in numerose altre società del gruppo facente capo a T., alcune delle quali coinvolte in operazioni di bancarotta per distrazione; b) è risultato disponibile, per quanto emerge da una conversazione intercettata il 24 settembre 2019 ed intercorsa con T., a procurare un prestanome per altra società facente capo a quest’ultimo; c) ha ottenuto il pagamento del compenso, pari a 32.064,00 euro, in violazione del regime di concordato preventivo, e nonostante specifica indicazione contraria dei commissari della procedura; d) ha effettuato le plurime mendaci comunicazioni alla Co.Vi.So.C., al fine di consentire l’iscrizione della società al campionato di calcio, attestando l’effettuazione di pagamenti per ingenti importi, sulla base di semplici disposizioni di bonifico, ma senza accertarne il buon fine (i bonifici erano poi puntualmente rimasti ineseguiti per mancanza di fondi), nonché pagamenti dalla Gamma S.r.l. alla Alfa S.p.A., sebbene il versamento di 3.082.264,53 euro non è stato mai effettuato per mancanza di fondi, e versamenti per circa 340.000,00 euro sono stati effettuati in favore di società facenti capo a T., ma in nessun modo collegate con Alfa S.p.A., e di tali circostanze era possibile venire a conoscenza sulla base della semplice analisi delle scritture contabili di tale società.
4.2. Le conclusioni del Tribunale in ordine alla consapevolezza del ricorrente di facilitare un’operazione funzionalmente diretta ad effettuare una indebita compensazione e di rendere dichiarazioni mendaci alla Co.Vi.So.C. al fine di ostacolarne le funzioni di vigilanza sono correttamente motivate.
Ed infatti, gli indizi indicati dal Tribunale in ordine all’evidente anomalia dell’operazione di acquisito di ramo di aziende contenente il credito e all'esistenza del credito, nonché alla volontà del ricorrente di ignorarli, e all’interesse del medesimo alla realizzazione delle illecite operazioni, sono plurimi, gravi, precisi e concordanti per affermare, quanto meno, ed in termini di gravità indiziaria, la sussistenza del dolo eventuale.
Innanzitutto, la dimostrata inclinazione degli organi di vertice, resa nota al ricorrente dodici giorni prima dell’espressione del suo parere, di ricorrere al sistema dell’acquisto di “scatole” societarie contenenti crediti IVA fasulli, costituiva un evidente “campanello” di allarme. Nonostante detto “campanello” di allarme, e nonostante le plurime, e clamorose, anomalie dell’atto di cessione del ramo di azienda, anche e specificamente nella parte relativa all’ingente credito, di cui si fa menzione il minimo indispensabile, per di più con espressa rinuncia all'acquisizione di documentazione che ne dovrebbe supportare la esistenza, il ricorrente ha prestato la sua espressa adesione a tale acquisto. Inoltre, il medesimo ricorrente, nel momento in cui esprimeva parere favorevole, era perfettamente consapevole che l’acquisto del ramo di azienda era funzionale a ripianare la situazione debitoria della società anche sotto il profilo fiscale, come evidenziate dalle parole pronunciate in assemblea sia dal presidente del consiglio di amministrazione, sia da lui medesimo. Ancora, il medesimo ricorrente ha sottoscritto, nei giorni immediatamente successivi, le mendaci comunicazioni alla Co.Vi.So.C. senza effettuare alcuna, pur elementare, verifica, come quella sul buon fine dei bonifici disposti da Alfa S.p.A. per i pagamenti necessari, sebbene gli importi dei pagamenti attestati fossero davvero ingenti. Infine, non sono circostanze prive di significato: l’inserimento del ricorrente nella galassia societaria del dominus di Alfa S.p.A.; la sua disponibilità a fornire allo stesso prestanomi; la percezione, sempre da parte del ricorrente, di un pagamento di importo significativo, in violazione della disciplina del concordato preventivo e delle disposizioni dei commissari nominati dal giudice competente per le procedure concorsuali.
Inoltre, il Tribunale ha puntualmente e congruamente argomentato anche in relazione agli elementi ed argomenti addotti a discarico dall'indagato e richiamati nel ricorso come trascurati o non correttamente apprezzati.
5. Infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo, le quali criticano l’assenza di indicazioni sul dolo del ricorrente e l'affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari.
Per quanto riguarda il profilo della colpevolezza e del dolo, è sufficiente rimandare a quanto indicato analiticamente in precedenza ai p.p. 4.1 e 4.2.
Relativamente alle esigenze cautelari, il Tribunale desume l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione da: a) sistematicità e quindi non occasionalità delle condotte criminose; b) rapporto fiduciario con T., e piena disponibilità ad assecondarne le strategie criminali; c) utilizzo spregiudicato degli strumenti societari; d) gravità dei fatti conseguenti alla violazione del dovere professionale di sindaco; e) rilevanza del danno cagionato ai creditori. Le esposte ragioni possono ritenersi sufficienti, anche in considerazione delle altre condotte “irregolari” poste in essere dal ricorrente, quali quelle relative al procacciamento di prestanomi e alla percezione di compensi per oltre 32.000,00 euro in violazione della disciplina del concordato preventivo e delle disposizioni dei commissari nominati dal Tribunale.
6. Alla infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il principio di diritto: In tema di reati tributari, risponde a titolo di concorso nel delitto di indebita compensazione il componente del collegio sindacale di una società che esprima parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente, o di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente, nella consapevolezza di tale inesistenza e della strumentalità dell'acquisto al successivo utilizzo del credito a fini di compensazione.
Il caso ed il processo: l’interessato, quale membro del collegio sindacale di una società per azioni attiva nel settore calcistico, era stato attinto da una misura cautelare con l’accusa provvisoria di concorso (oltre che in relazione all’ostacolo ai competenti organi di vigilanza) nel reato di indebita compensazione ex art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, a seguito dell’acquisto di una azienda che avrebbe a sua volta vantato un credito verso l’erario per importi ingenti. Di seguito, dunque, aveva spiegato ricorso per Cassazione, dolendosi, in particolare, del difetto di sussistenza dell’elemento psichico del reato.
La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato. La Corte, innanzitutto, ha rilevato che non vi sarebbero ostacoli, in generale, alla configurabilità dell’extraneus nel reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, soggiungendo che l’art. 110 c.p. consentirebbe di attrarre una vasta serie di condotte, a partire da un’ampia galassia di comportamenti riconducibili al concetto di “partecipazione morale”.
Quanto poi al ruolo dei sindici, la Corte ha richiamato le specifiche norme compendiate nel codice civile che, in sostanza, imporrebbero ai sindaci una serie di obbligazioni a tutela della società e dei creditori, specifiche prerogative e poteri che, se correttamente esercitati, potrebbero contribuire alla tutela di beni giuridici che vengono in gioco in situazioni di mala gestio. Sicchè il parere favorevole espresso dal membro del collegio sindacale rispetto ad un’operazione che egli sa essere fraudolenta, ha proseguito la Corte, si rileverebbe rafforzativo dell’intento criminoso degli amministratori che la compiono.
Quanto poi al dolo, la Corte, come ripotato in sentenza, ha valorizzato una serie di elementi indicatori che – per la Cassazione – avrebbero dimostrato, per lo meno rispetto alla fase cautelare, la sussistenza dell’elemento psichico previsto dalla fattispecie di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, contestata in via provvisoria.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sul tema del concorso dell’extraneus nella fattispecie di indebita compensazione vd. Cass., Sez. III, 14 novembre 2017, n. 1999, che ha stabilito: “integra il delitto di indebita compensazione di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. accollo fiscale ove commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto il d.lgs. n. 241 del 1997, art. 17, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti; inoltre, ai fini della configurabilità dell’aggravante nel caso in cui reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale (art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74 del 2000), è richiesta una particolare modalità della condotta, ovverosia la serialità che, se pur non prevista espressamente nell’articolo, è desumibile dalla locuzione elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione, rappresentativa di una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata”.
Sul concorso di persone nel reato vd. Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2003, n. 45276: “in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso)”.
Sul concorso dei sindaci nei reati commessi dall’amministratore vd. Cass., Sez. V, 17 marzo 2021, n. 20867: “la responsabilità per concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta dei componenti del collegio sindacale non può essere desunta solo dalla posizione di garanzia rivestita e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula la verifica dell'esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, causalmente libera dei sindaci stessi all’attività degli amministratori ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato” (in senso analogo vd. Cass., Sez. V, 18 febbraio 2019, n. 12186).
Sul tema della responsabilità dei sindaci per illeciti penali societari vd. Torre, La responsabilità penale dell'organo di controllo sulla amministrazione e dell'organo di controllo contabile, in Giur. Comm., 2012, pp. 564 ss; Centonze, Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari, in Riv. Soc., 2021, pp. 327 ss. Più di recente vd. Zingales, Bancarotta commessa dall’amministratore e poteri impeditivi del collegio sindacale, in Cass. Pen., 2020, pp. 550 ss e, volendo, De Lia, Colpevolezza nella responsabilità del sindaco per fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione commessi dagli amministratori: l’insostenibile leggerezza dimostrativa dei “segnali d’allarme” rispetto alla responsabilità per dolo eventuale, in Giust. Pen., 2018, II, pp. 538-543.
2) Illeciti fallimentari – La responsabilità della “testa di legno”
Cassazione, Sez. V, 4 novembre 2021, dep. 2 dicembre 2021, n. 44666 – Pres. Palla – Rel. Pistorelli – P.M. Lignola (diff.) – Ric. L.P.S. – (rif. art. 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267)
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna di L.P.S. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, commesso nella sua qualità di amministratore della Alfa S.r.l., fallita nel corso del 2015. In parziale riforma della pronunzia di primo grado, la Corte territoriale ha invece assolto l’imputata per il concorrente reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per non aver commesso il fatto, escludendo conseguentemente l’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata articolando tre motivi.
Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta documentale. In proposito lamenta la ricorrente che, pur avendo riconosciuto che l’imputata a partire dal 2012 ha ricoperto solo formalmente la carica di amministratore della fallita, invero gestita di fatto da altri, la Corte ha comunque ritenuto la sua responsabilità per il reato menzionato proprio in ragione della titolarità della suddetta carica, ancorando la prova del dolo richiesto per la sua sussistenza alla mera materialità del fatto e senza dimostrare la consapevolezza della L.P., ancorché disinteressatasi della gestione della fallita, del modo in cui venivano tenuti i libri contabili. Il ragionamento dei giudici del merito sarebbe poi contraddittorio nella misura in cui, ai fini dell’assoluzione dell’imputata per il reato di bancarotta patrimoniale, ha invece valorizzato proprio il difetto assoluto della prova di un suo coinvolgimento nella gestione societaria o anche solo della conoscenza di come questa venisse condotta dagli amministratori di fatto.
Analoghi motivi vengono dedotti con il secondo motivo in merito alla mancata derubricazione del fatto in bancarotta semplice documentale, avendo la sentenza con motivazione apodittica escluso che l’omessa vigilanza ascrivibile alla L.P. potesse al più essergli imputata a titolo di colpa, rimanendo per l’appunto solo presunta la sua consapevolezza dell’irregolare tenuta delle scritture contabili.
Con il terzo motivo vengono nuovamente dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche. In proposito, secondo la ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare la valutazione compiuta dal giudice di primo grado, senza tenere conto che la stessa presupponeva l’affermazione della responsabilità anche per il reato di bancarotta patrimoniale, mentre erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto che la difesa non avesse evidenziato elementi positivi di valutazione con i motivi d’appello, nei quali, invece, era stata sottolineato il contributo di minima importanza alla realizzazione del reato eventualmente ascrivibile all’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono fondati ed il loro accoglimento comporta l’assorbimento del terzo.
2. Tanto la sentenza impugnata, che il ricorso si appellano alla giurisprudenza di legittimità al fine di determinare il contenuto del dolo della bancarotta fraudolenta documentale nell’ipotesi in cui il reato sia imputato all’amministratore formale che si rivela in realtà essere un mero prestanome degli effettivi gestori della società fallita.
Non è dunque ultroneo ricostruire brevemente le linee guida elaborate nel tempo da questa Corte sul tema. In tal senso deve ritenersi pacifico che l’assunzione solo formale della carica gestoria non consenta l’automatica esenzione dell’amministratore per i reati previsti dall’art. 216, comma 1, n. 2), art. 217, comma 2 e art. 220 L.F., atteso che questi e non altri è il diretto destinatario ex art. 2392 c.c. dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili. Da qui il corollario per cui, qualora egli deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabilità o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società, egli non è esonerato dal dovere di vigilare sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatto e, conseguentemente, dalla responsabilità penale, eventualmente in forza del disposto di cui all’art. 40 c.p., comma 2, se viene meno a tale dovere.
Se non sussiste alcuna automatica esenzione di responsabilità per l’amministratore solo “formale”, nemmeno può, però, altrettanto automaticamente affermarsi la sua responsabilità dolosa per le condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell’integrazione dell’elemento materiale del reato. Ed è questo il senso dell’orientamento che è venuto consolidandosi nella giurisprudenza di questa Corte per cui è necessaria la dimostrazione, non solo astratta e presunta, ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, attentandosi altrimenti al principio costituzionale della personalità della responsabilità penale. Principio che non è contraddetto da quell’orientamento secondo cui, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Infatti le pronunzie che si riconoscono in tale orientamento anzitutto solo incidentalmente si sono occupate del contenuto del dolo della bancarotta documentale ascritta all’amministratore formale, riguardando le rispettive decisioni contestazioni di bancarotta patrimoniale. In secondo luogo ciò che affermano è che nei confronti dell’amministratore formale, sul piano della prova, sussista una presunzione semplice di conoscenza della situazione contabile, senza con questo voler negare l’irrilevanza della componente rappresentativa del dolo.
Con riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale c.d. “generica” di cui alla seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2), L.F. - che è quella ritenuta nella sentenza impugnata - per la sussistenza del dolo - che è quello generico - non è dunque necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, ma è necessario che l’abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata quantomeno dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della fallita (che, contrariamente a quanto dimostra di credere la Corte territoriale, non è l’evento del reato, ma una connotazione modale della condotta incriminata) e ciononostante decida di non esercitare anche solo i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada.
Sul piano della prova, è ovvio che l’assunzione solo formale della carica costituisce un importante indizio della configurabilità del dolo richiesto per la sussistenza del reato menzionato e che, in alcuni casi, le concrete circostanze in cui è avvenuta, l’indizio può trasformarsi in prova diretta dell’elemento psicologico tipico. Ma per l'appunto è l’analisi delle circostanze concrete del fatto che possono restituire la prova della componente rappresentativa del dolo ed è dunque compito del giudice rifuggire da rigidi automatismi probatori evidenziando le specifiche ragioni per cui sia possibile ritenere, nei termini suindicati, che l’amministratore formale sia consapevolmente concorso nella realizzazione del reato.
3. Tenuto conto delle richiamate coordinate interpretative, deve convenirsi con il ricorrente che la motivazione della sentenza risulti carente ed anche contraddittoria in merito alla prova del dolo ascritto alla L.P.. La sentenza impugnata, pur apparentemente aderendo ai principi giurisprudenziali illustrati (ancorché in maniera ondivaga), ha poi ancorato il riconoscimento del dolo tipico del reato ad evidenze prive di una effettiva forza dimostrativa e scarsamente selettive in riferimento alla qualificazione del fatto come mera bancarotta semplice documentale. La Corte, infatti, ha insistito in tal senso soprattutto sul lungo periodo in cui l’imputata si è disinteressata della gestione della società e sulla grave compromissione della regolarità contabile registrato dal curatore.
Orbene il primo elemento valorizzato risulta anodino nella misura in cui nulla viene detto sulle ragioni per cui l’imputata solo a partire da un determinato momento ha abbandonato la guida della società e sulle modalità con cui ha affidato ad altri la sua gestione (se ad esempio su sua iniziativa ovvero perché furono i futuri amministratori di fatto a proporle tale soluzione, magari promettendole una retribuzione per la conservazione della carica formale). Non solo, la mera abdicazione prolungata dai doveri connessi alla carica formalmente assunta nulla rivela ex se in ordine alla rappresentazione del carattere fraudolento delle intenzioni degli amministratori di fatto e comunque può essere parimenti posta alla base della prova del dolo o della colpa necessari per l’integrazione della meno grave fattispecie di cui all’art. 217, L.F. Lo stato della contabilità accertato dal curatore non è poi la prova che l’imputata ne fosse a conoscenza, anche solo nei generici termini di cui si è detto in precedenza, tanto più che questo è per l’appunto l’oggetto della dimostrazione richiesta al giudicante e non può costituirne in maniera circolare anche la sua prova.
Infine, come detto, la motivazione articolata dalla Corte risulta anche contraddittoria, nella misura in cui, ai fini dell’assoluzione dell’imputata per il reato di bancarotta patrimoniale, ha escluso che sia stata acquisita prova alcuna del fatto che ella avesse avuto anche solo sentore delle intenzioni fraudolente degli amministratori di fatto e delle modalità con le quali gli stessi stessero gestendo la fallita. Ed allora ancora più urgente era l’onere motivazionale che gravava sul giudice dell’appello ai fini della conferma della responsabilità della L.P. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, che in definitiva ha assunto i caratteri della responsabilità di posizione.
4. Alla luce degli evidenziati vizi della sua motivazione la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo esame. Il giudice del rinvio si atterrà ai principi affermati da questa Corte, rimanendo libero di giungere alle medesime conclusioni cui è pervenuta la sentenza annullata, purché non ne riproponga il percorso motivazionale e giustifichi la propria decisione nel rispetto dei suddetti principi, fermo restando che dovrà altresì verificare, qualora intenda escludere quella per il reato contestato, se sussistano le condizioni per l’eventuale affermazione della responsabilità dell'imputata per il meno grave reato di cui all’art. 217, comma 2, L.F., esito praticabile senza che possa invocarsi alcuna lesione del diritto di difesa in quanto comunque prevedibile dall'imputata che sin dall'impugnazione di merito - ed anche con i motivi di ricorso - lo ha invocato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Il principio di diritto: In tema di bancarotta fraudolenta documentale c.d. “generica”, per la sussistenza del dolo dell’amministratore solo formale non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità volti ad impedire o a rendere più difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma è sufficiente che l’abdicazione agli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità dell’alterazione fraudolenta della contabilità e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono.
Il caso ed il processo: in sede di merito, l’imputata era stata riconosciuta responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale commesso, in thesi, rivestendo la qualifica di amministratore di una società di capitali. Avverso la sentenza di condanna, dunque, era insorta l’interessata, rilevando che, nel caso di specie, sarebbe difettato l’elemento psicologico del reato, essendo stata gestita la società materialmente da altri; sicchè, la violazione di legge e il vizio di motivazione, poiché la responsabilità, in estrema sintesi, sarebbe stata attribuita all’amministratore formale soltanto per via della carica rivestita.
La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza ed investendo la Corte territoriale dell’approfondimento relativo alla sussistenza di elementi indicatori del dolo di fattispecie, e dell’eventuale riconducibilità della condotta contestata nell’alveo del meno grave reato di cui all’art. 217 comma 2 LF.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: la pronuncia si pone nel solco di un orientamento già espresso, in alcune occasioni, dalla suprema Corte: vd. Cass., Sez. V, 16 ottobre 2019, n. 12455: “al fine di pervenire all’affermazione della penale responsabilità dell’amministratore formale di una società per il reato bancarotta fraudolenta documentale, sub specie di occultamento o sottrazione delle scritture contabili in frode ai creditori, è necessaria la dimostrazione della sussistenza del dolo specifico in capo allo stesso, non essendo sufficiente valorizzare unicamente il suo ruolo di prestanome professionale”. Analogamente Cass., Sez. V, 1 marzo 2019, n. 34112; in senso difforme vd., invece, Cass., Sez. V, 26 settembre 2018, n. 54490: “in tema di bancarotta fraudolenta, con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto testa di legno), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture” (analogamente vd. Cass., Sez. V, 13 marzo 2014, n. 22846). Insomma, si è al cospetto di espressioni di principio tutt’altro che univoche e, molto spesso, la giurisprudenza tende a valorizzare in via esclusiva l’inadempimento delle obbligazioni incombenti sull’amministratore formalmente nominato, utilizzando talora dei criteri per la ricostruzione del dolo eventuale assai distanti da quelli indicati dalle Sezioni Unite.
Sui temi toccati dalla sentenza in commento vd. Gambardella, I reati di bancarotta: inquadramento dogmatico, opzioni interpretative e prospettive di riforma, in Cass. Pen., 2018, pp. 2316 ss; Pulitanò, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2013, pp. 22 ss; Pagliaro, Dolo ed errore: problemi in giurisprudenza, in Cass. Pen., 2000, pp. 2493 ss.
3) Infortuni sul lavoro – Responsabilità di figure datoriali per inadempimento del preposto
Cassazione, Sez. IV, 28 ottobre 2021, dep. 13 dicembre 2021, n. 45575 – Pres. Dovere – Rel. Pezzella – P.M. Odello (diff.) – Ric. M.P. e alt. – (rif. art. 590 c.p.)
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 marzo 2019, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza, appellata dagli imputati P.M., A.A. e G.C., con la quale il GUP del Tribunale di Asti, all’esito di giudizio abbreviato, li aveva condannati, riconosciute a tutti le circostanze attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno e valutate le stesse equivalenti all’aggravante, operata la riduzione per il rito, alla pena di mesi otto e giorni 10 di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione, in quanto li aveva riconosciuti colpevoli del reato di cui all’art. 589 c.p., comma 1, 2 e 4 perché M.P. quale direttore tecnico del cantiere edile; A.A. quale responsabile della sicurezza di Alfa S.r.l.; C.G. quale responsabile del predetto cantiere anche con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché:
- violazione del d.lgs. n. 81 del 2008, art. 225, comma 1, avendo omesso di provvedere, sulla base delle attività e della valutazione dei rischi di cui all’art. 223, all’eliminazione o alla riduzione dei rischi mediante la sostituzione con altri agenti o processi che nelle condizioni d’uso non fossero o fossero meno pericolosi per la salute dei lavoratori ed in particolare facendo utilizzare il prodotto omissis risultante (sulla base della scheda tecnica di sicurezza) altamente infiammabile a fronte della presenza in commercio di altri prodotti non infiammabili o a basso tasso di infiammabilità;
- violazione del d.lgs. n. 81 del 2008, art. 225, comma 1. lett. b) avendo omesso di provvedere ad adottare appropriate misure organizzative e di protezione dei lavoratori alla fonte del rischio, omettendo di abbattere la concentrazione dei vapori mediante ventilazione artificiale;
- violazione del d.lgs. n. 81 del 2008, art. 225, comma 5, avendo omesso di predisporre idonee misure di vigilanza e di controllo affinché in cantiere non fossero presenti fonti di innesco e di accensione;
- violazione del d.lgs. n. 81 del 2008, art. 96, avendo omesso di valutare nel P.O.S. il rischio per “calore e fiamme” in relazione all’uso di prodotti infiammabili nella fase di pavimentazione e di rivestimento, di effettuare nel P.O.S. una descrizione delle specifiche attività e delle singole lavorazioni svolte in cantiere dall’impresa, di elencare le sostanze ed i preparati pericolosi utilizzati in cantiere con le relative schede di sicurezza, di individuare misure preventive e protettive integrative rispetto a quelle del P.S.C. e non provvedendo a che nel cantiere fosse presente un addetto all’antincendio;
- violazione di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, art. 163, comma 1 avendo omesso di predisporre la segnaletica di sicurezza conformemente alle prescrizioni di cui all’Allegato XXIV, non facendo apporre cartelli indicanti il pericolo di incendio e di vapori nocivi nonostante la scheda tecnica del prodotto indicasse la sua alta infiammabilità e tempi di essiccazione del prodotto della durata di dieci-quindici ore;
- violazione di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, art. 46, comma 2, avendo omesso di adottare idonee misure per prevenire gli incendi e tutelare l’incolumità dei lavoratori, non mettendo a disposizione dei lavoratori in prossimità dell'area in cui si espletava l’attività lavorativa degli estintori o altre misure antincendio;
- violazione di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, art. 36, comma 1 lett. b) e comma 2 lett. a) e b), avendo omesso di provvedere affinché i lavoratori ricevessero un’adeguata informazione sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio e l’evacuazione dai luoghi di lavoro, nonché avendo omesso di provvedere affinché i lavoratori ricevessero un’adeguata informazione sui rischi specifici a cui erano esposti in relazione all’attività svolta e sui pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi utilizzati;
- violazione di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, art. 37, avendo omesso di formare i lavoratori sui rischi derivanti dall’attività lavorativa intrapresa a dalle conseguenti misure di prevenzione e protezione, con particolare riferimento all’utilizzo di prodotti infiammabili nella rase di pavimentazione e di rivestimento;
cagionavano la morte del lavoratore C.D. il quale, dopo avere proceduto con l’uso di una cazzuola alla stesura del prodotto omissis sulle rampe delle scale del cantiere accendeva con un accendino una sigaretta a C.G., che in quel momento si trovava occasionalmente all’interno del cantiere e successivamente procedeva a pulire con l’uso di un accendino la cazzuola intrisa di prodotto con la conseguenza che le fiamme unite ai vapori presenti innescavano un incendio che investiva il lavoratore C.D. che riportava gravissime ustioni di II e III grado sul 90% della superficie corporea in conseguenza delle quali decedeva per arresto cardiorespiratorio presso l’Ospedale, nonché cagionavano a C.G. lesioni personali consistite in ustioni di secondo e terzo grado agli arti inferiori da cui derivava una malattia giudicata guaribile in trenta giorni. Con l’aggravante di avere cagionato la morte di C.D. e lesioni personali a C.G.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 c.p.p., comma 1, disp. att.
P.M. e A.A., con unico atto a mezzo del comune difensore di fiducia, denunziano promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
(omissis)
G.C., a mezzo del difensore di fiducia propone quattro motivi di ricorso con i quali denunzia violazione di legge (il primo, il secondo ed il quarto motivo) e vizio di motivazione (il primo, il terzo ed il quarto motivo).
(omissis).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati.
L’ammissibilità degli stessi, tuttavia, trattandosi di fatti del luglio 2009, porta a che il reato di lesioni personali colpose in danno di C.G. sia prescritto, per essere il relativo termine massimo spirato sin dal 2017.
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 590 c.p., perché estinto per prescrizione e va eliminata la relativa pena (giorni 15 di reclusione ridotti per il rito a giorni 10) rideterminando pertanto quella finale in mesi otto di reclusione per ciascuno degli imputati.
I ricorsi vanno, invece, rigettati nel resto.
2. Per quanto rileva in questa sede, appare preliminarmente opportuno ripercorrere i fatti, in estrema sintesi, così come puntualmente ricostruiti dai giudici di merito.
P.M., A.A. e G.C., nelle qualità, rispettivamente, la prima, di direttore tecnico del cantiere edile in cui è avvenuto l'incidente per cui è processo, cantiere della società Alfa S.r.l., il secondo, di responsabile della sicurezza nei cantieri della società, e, il terzo, di responsabile del cantiere in cui è avvenuto l’incidente anche con riferimento alla sicurezza sui luoghi di lavoro, sono stati riconosciuti responsabili di avere colposamente cagionato la morte di D.C., operaio impegnato nella costruzione di edificio condominiale a più piani, di cui due interrati, all’interno di un cantiere edile recintato, a causa delle gravissime ustioni riportate dal lavoratore su circa il 90 per cento del corpo, con decesso avvenuto diciotto giorni dopo.
Nell’occasione ha riportato lesioni non gravi anche G.C., convivente della nipote di un altro operaio, V.P., presente anch’egli quel giorno in cantiere.
Le sentenze di merito danno atto che dall’istruttoria è emerso che G.C. in quel momento era presente nel cantiere, pur non essendo dipendente né fornitore della ditta né tecnico, cioè non avendo titolo per accedervi, poiché intendeva informarsi se vi fosse bisogno di manodopera, in quanto disoccupato.
In particolare, dopo che D.C. aveva terminato di stendere con una cazzuola sulle due rampe delle scale, collegate tra loro da un pianerottolo, che si snodano verso i locali interrati dell'immobile, il prodotto denominato omissis, cioè un materiale protettivo infiammabile che si presenta come una pasta, la cui apposizione serviva, una volta consolidato, a proteggere i gradini dai possibili danni che avrebbero potuto arrecare i lavori ancora in corso, si è verificata improvvisamente una violenta fiammata che ha invaso l’ambiente ed ha procurato lesioni sia a C. che a G.C., presente sul posto.
La fiammata è stata causata, secondo la ricostruzione concordemente svolta nel doppio grado di merito, dall’avere D.C., al quale G.C. aveva chiesto di poter accendere una sigaretta, in quanto il suo accendino non funzionava, acceso, appunto, la sigaretta mediante un accendino che C. recava con sé e nell’avere poi lo stesso C., immediatamente dopo, con lo stesso accendino che aveva già in mano dato fuoco alle tracce di materiale omissis che erano rimaste sulla punta della cazzuola, che teneva nell’altra mano, al fine di pulire la stessa.
La cazzuola in fiamme era caduta dalle mani del lavoratore (oppure lo stesso lavoratore l’aveva lasciata cadere a terra o comunque erano caduti a terra frammenti di materiale incendiato), di talché avevano preso fuoco i vapori infiammabili che esalavano dal materiale di cui era ricoperto il pavimento, materiale contenente eptano in percentuale del 30-40% con un odore simile alla benzina, vapori 3-4 volte più pesanti dell’aria e, dunque, fisiologicamente tendenti a stratificarsi verso il basso; ciò peraltro in una giornata descritta dai testimoni come caldissima e priva di vento, in un ambiente parzialmente conchiuso dalle pareti laterali, con conseguente causazione dell’esplosione, descritta dai testi oculari come una “palla di fuoco”, che ha riempito la rampa delle scale ed ha investito i due.
I giudici di merito hanno escluso, anche mediante prove tecniche ed esperimenti effettuati dall’accusa per due volte nelle indagini preliminari (dalla polizia giudiziaria con l’ausilio dei Vigili del Fuoco e dal Pubblico Ministero con la collaborazione di consulente), con la partecipazione della difesa e del relativo consulente, che la caduta di un mozzicone di sigaretta ovvero l’accensione di una sigaretta mediante una fiammella collocata all’altezza della bocca potesse causare l’esplosione e l’incendio in questione, essendo, invece, indispensabile che una fiamma consistente entri in contatto con lo strato di vapori ristagnante, a causa del peso specifico, al suolo: per tale motivo non è stata accolta la ricostruzione degli accadimenti propugnata dalle difese degli imputati, secondo cui l’innesco sarebbe derivato dall’accensione della sigaretta da parte del soggetto agente e non già della cazzuola.
3. Dal punto di vista della qualificazione giuridica dei fatti, le sentenze di merito hanno ritenuto essere emerso dall’istruttoria che la pulizia della cazzuola con un metodo così pericoloso (incendio delle tracce di sostanza rimasta sulla punta), essendo stato appena steso un materiale infiammabile, fosse una rischiosa prassi individuale consolidata di C. e che i soggetti in posizione di garanzia non avessero prevenuto né impedito tale prassi né, più in generale, adeguatamente rilevato e contenuto le possibili fonti di rischio da incendio-fiamme-scoppio (impiego di materiale infiammabile, ambiente angusto, ridotta ventilazione, stratificazione di vapori infiammabili).
Perciò, hanno ritenuto i giudici di merito che: 1. il geometra G.C. - responsabile del cantiere in cui è avvenuto l’incidente per cui è processo (nominato il 22 maggio 2008 assistente di cantiere) ossia “capocantiere”, anche con riferimento alla sicurezza sui luoghi di lavoro, avendo ricevuto specifica delega in materia antinfortunistica; 2. L’ingegnere P.M. - direttore tecnico (dal 9 luglio 2008) del cantiere edile in cui è avvenuto l’incidente per cui è processo, con specifica delega in materia antinfortunistica; 3. il geometra A.A. - responsabile della sicurezza nei cantieri della società, in quanto investito con procura notarile del 20 maggio 1997 della “responsabilità assistenziale-tecnica dei cantieri con riferimento anche alla sicurezza dei luoghi di lavoro” abbiano colposamente concausato gli eventi morte di D.C. e lesioni a G.C.
Il capocantiere geom. G.C. (risultato temporaneamente assente dal cantiere al momento dell’infortunio, in quanto recatosi a prelevare del marmo), che conosceva o avrebbe dovuto conoscere la volatilità del prodotto e la infiammabilità dei vapori da esso sprigionati, avrebbe dovuto conseguentemente controllare, prima durante la lavorazione, tutte le persone presenti o sopraggiunte nella zona di svolgimento della lavorazione stessa. Ed i superiori ing. P.M. e geom. A.A., conoscendo o comunque dovendo conoscere la pericolosità del processo lavorativo, avrebbero dovuto impartire specifiche disposizioni nel senso anzidetto, disposizioni da attuarsi tramite il geom. C. o altro incaricato, verificando anche la puntuale applicazione delle stesse.
Si è ritenuto, in definitiva, essere state violate da parte degli imputati le previsioni di cui agli artt. 225, comma 5 (omessa predisposizione di idonee misure di vigilanza e di controllo affinché in cantiere non fossero presenti fonti di innesco o di accensione), 96 (omessa valutazione del rischio da calore e fiamme, con particolare riferimento all’impiego di prodotti infiammabili nella fase di pavimentazione e rivestimento) e 36-37 del d.lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81 (omessa formazione ed informazione dei lavoratori, in specie C., sul predetto rischio da calore e fiamme e sulle caratteristiche tecniche e sui peculiari fattori di rischio del prodotto; disattesi invece gli ulteriori profili di contestazione descritti dal P.M. nell’editto.
Si è anche esclusa, secondo la doppia conforme valutazione dei giudici di merito, l’abnormità, l’esorbitanza e l’imprevedibilità della condotta della vittima, essendosi sottolineato che la pulizia della cazzuola è una fase dell’attività lavorativa, che essa ricade, alla pari delle altre, nella sfera dei doveri di vigilanza e di protezione del datore di lavoro, che presenta, nel peculiare contesto dato, un rischio non preso preventivamente in considerazione e che tale attività rientra nelle mansioni e nel segmento di lavoro attribuitogli; essendo irrilevante, secondo i consueti principi, quanto all’an della responsabilità datoriale, l’eventuale concorso di colpa del lavoratore.
(omissis)
7. Infondati sono anche i motivi di ricorso relativi al tema delle prevedibilità dell’evento in capo alla parte datoriale, e … alla abnormità e/o esorbitanza o meno della condotta della vittima, … la circostanza della abitudine di C. di pulire la cazzuola dando fuoco al prodotto residuo… Il teste P. riferisce che già in precedenti occasioni C. aveva fatto ricorso a tale improprio metodo, e, in virtù degli specifici doveri di controllo che gravavano sugli odierni ricorrenti, non è necessario provare che gli odierni imputati abbiano visto C. fare ciò. Se sul cantiere, anche da parte di un solo operaio, era invalsa tale pericolosa prassi, era proprio compito degli odierni ricorrenti, nell’ambito delle specifiche posizioni di garanzia rivestite, contrastarla.
(omissis)
Né vale ad esentare da responsabilità il datore di lavoro e il responsabile della sicurezza la presenza di un preposto. In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro, infatti, deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
Priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto – e pertanto, immune dai denunciati vizi di legittimità – appare la motivazione della sentenza impugnata laddove si rileva che, effettivamente, le deleghe ricevute dagli imputati si presentano come cumulative, contemplando tutte la gestione degli adempimenti in materia di sicurezza, sebbene a diversi livelli, sicché, in ossequio al consolidato principio richiamato nel provvedimento impugnato, in virtù del quale, quando i titolari della posizione di garanzia siano più di uno, posti sullo stesso piano o su piani diversi, ciascuno di essi è “per intero” destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, ciascuno di essi deve rispondere dell’evento verificatosi per l’omissione delle cautele doverose, causalmente ad esso correlate.
Corretto appare anche il rilievo che il prodotto era usualmente e frequentemente impiegato nelle lavorazioni dei cantieri… è evidente che la pericolosità del preparato doveva essere nota ai garanti della sicurezza odierni imputati, cui incombeva l’obbligo di prendere e avere contezza delle caratteristiche dei materiali utilizzati dai lavoratori al preciso scopo di salvaguardarne l’incolumità.
La presenza in cantiere di una fonte di pericolo quale quella in esame, certamente imponeva ai titolari della posizione di garanzia di renderne edotti tutti i lavoratori, informandoli adeguatamente sui rischi dell’utilizzo di fiamme libere in presenza di vapori altamente infiammabili, e di approntare accorgimenti efficaci ad impedire l’introduzione, nella zona di applicazione del preparato, di fiamme o sorgenti di fiamma di qualsiasi natura, controllando, quindi, il puntuale rispetto delle prescrizioni che avrebbero dovuto essere impartite per rendere effettivo il divieto ed evitare aggiramenti da parte dei dipendenti.
P.M. e A.A., conoscendo (o dovendo comunque conoscere) i rischi correlati all’impiego di tale prodotto, avrebbero dovuto, infatti, elaborare ed impartire analitiche prescrizioni sulle cautele da adottare per evitare qualsiasi contatto con fonti di innesco, dando precise disposizioni, da attuarsi tramite C., che, quale responsabile di cantiere, avrebbe dovuto sensibilizzare i lavoratori sui pericoli e controllare il puntuale rispetto da parte loro delle istruzioni ricevute. Infondati sono anche tutti i motivi di ricorso proposti nell'interesse del capocantiere, geometra G.C. (omissis).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 590 c.p., perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena rideterminando quella finale in mesi otto di reclusione per ciascuno degli imputati. Rigetta i ricorsi nel resto.
Il principio di diritto: In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
Il caso ed il processo: in sede di merito, i tre imputati, quali, rispettivamente, direttore tecnico dell’impresa datrice, responsabile della sicurezza dell’impresa e, infine, responsabile dello specifico cantiere (“capo-cantiere”), erano stati condannati per la morte occorsa ad un lavoratore e per le lesioni subite da un terzo, estraneo al cantiere medesimo, che si trovava in loco.
Dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado era emerso, in particolare, che un operaio, addetto alle lavorazioni edili all’interno di un condominio, nelle quali era stato utilizzato un prodotto altamente infiammabile, per accendere una sigaretta aveva utilizzato un accendino che aveva innescato un incendio, dal quale erano derivati gli eventi lesivi oggetto di processo.
L’accusa aveva allora contestato una serie di inadempimenti della normativa antinfortunistica, sintetizzabili nella mancata riduzione dei rischi mediante l’impiego di un prodotto meno pericoloso, nella mancata, adeguata informazione e formazione del lavoratore, nella violazione del dovere di vigilanza sull’operato del dipendente.
Avverso la pronuncia in appello, gli interessati, dunque, avevano spiegato ricorso per cassazione, affidato a plurimi motivi di doglianza, attraverso i quali si era censurata la ricostruzione del fatto operata dai giudici a quibus, nonché, in estrema sintesi, era stato dedotto che gli eventi non avrebbero potuto essere ascritti agli imputati, in quanto frutto di una iniziativa abnorme da parte del lavoratore e imprevedibile per i garanti.
La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha dichiarato non inammissibili i motivi di ricorso, con la conseguenza che, in relazione alla contestazione delle lesioni ai danni del terzo presente in cantiere, è stata dichiarata la prescrizione del reato; per il resto, giudicati i motivi infondati, la pena inflitta in sede di merito è stata rideterminata.
La Corte ha dapprima rilevato che la ricostruzione del fatto operata in fase di merito risultasse immune da vizi e, pertanto, che essa si fosse ormai cristallizzata; per il resto, la Cassazione ha rilevato che la pericolosità del prodotto impiegato per le lavorazioni, trattandosi di sostanza altamente infiammabile, avrebbe dovuto indurre gli imputati a impedire che l’operaio, attraverso quella che si era accertata essere una prassi consolidata, disponesse ed utilizzasse un accendino sul luogo di lavoro, e comunque ad adottare contro-misure atte a ridurre il rischio di eventi del tipo di quelli contestati.
Sicchè, accertate peraltro violazioni in ordine alla formazione e informazione del dipendente, è stata decisamente esclusa la riconducibilità della condotta dell’operaio al concetto di “abnormità” invocato dalle parti ricorrenti mentre, per il resto, la Corte ha rammentato che, in base alla normativa di settore, tanto il direttore tecnico quanto i responsabili della sicurezza sui cantieri assumono una posizione di garanzia rispetto alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Quanto poi al “capo-cantiere”, che è una figura sovrapponibile – ha soggiunto la Corte – al “preposto”, la Cassazione (con la massima già riportata) ha rilevato che la nomina di tale figura non eliminerebbe l’obbligo di altre figure garanti sul lato datoriale di vigilare sulla correttezza dell’operato del preposto medesimo, con la conseguenza che, una volta accertata una vera e propria prassi scorretta, e quindi la realizzazione di un comportamento pericoloso abituale da parte dei dipendenti, i garanti diversi dal preposto non potrebbero essere ritenuti esentati da responsabilità, versando gli stessi in culpa in vigilando.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sul capo-cantiere vd. Cass., Sez. IV, 24 novembre 2015, n. 4340: “in tema di sicurezza sul lavoro, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem”. Sul tema della “confluenza” di diverse posizioni di garanzia rispetto alla tutela del medesimo bene giuridico, rappresentato dalla sicurezza sui luoghi di lavoro e dalla salute dei dipendenti, vd. Cass., Sez. IV, 5 dicembre 2014, n. 52455: “in tema di reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto” (fattispecie relativa al decesso di un lavoratore, colpito da un albero appena tagliato da altro operaio e per la cui morte erano stati incolpati il presidente del consiglio di amministrazione, il capo cantiere e il responsabile del cantiere, rei di aver omesso di predisporre le adeguate misure di prevenzione idonee a ridurre al minimo i rischi per la sicurezza dei lavoratori; di vigilare sull’esecuzione dei lavori; di informare ed istruire i lavoratori sui rischi connessi). Si rammenta, inoltre, che il sistema, già attraverso l’art. 2087 c.c., impone al datore l’adozione di best practice, e cioè delle migliori tecniche e modalità di lavoro disponibili, mentre il d.lgs. n. 81/2008, all’art. 15 lettera c), stabilisce l’obbligo di eliminazione o, ove non possibile, di minimizzazione del rischio.
Su questi temi, sia tollerato il rinvio a De Lia, La responsabilità per gli infortuni sul lavoro, in Manna-De Lia, Dieci nodi gordiani di diritto penale dell’economia, Milano, 2021 pp. 39 ss; vd. inoltre Blaiotta, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Torino, 2020. Vd. inoltre Di Salvo, Principio di inesigibilità e responsabilità a titolo di colpa, in Cass. Pen., 2020, pp. 4776 ss.
ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA
Cassazione, Sez. IV, 26 ottobre 2021, dep. 8 novembre 2021, n. 40002 – Pres. Ferranti – Rel. Pavich – P.M. Tassone (omissis) – Ric. G.N. – (rif. art. 590 c.p.)
In tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, possa essere considerato “abnorme” e, quindi, interruttivo del nesso di condizionamento, occorre che si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo”, in tal caso, non perché “eccezionale”, ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.
L’obbligo di ridurre al minimo il rischio di infortuni sul lavoro (articolo 71 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti, non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l’obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza.
Cassazione, Sez. III, 23 settembre 2021, dep. 9 novembre 2021, n. 40317 – Pres. Petruzzellis – Rel. Andronio – P.M. Cuomo (conf.) – Ric. N.A. – (rif. art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
In tema di reati tributari, l’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella parte in cui sanziona l’occultamento totale o parziale delle scritture contabili, ha natura permanente, perdurando l’obbligo di esibizione dei documenti finché dura il controllo da parte degli organi verificatori; con la conseguenza che il momento consumativo del reato deve individuarsi nella conclusione e non nell’inizio di detto accertamento.
Cassazione, Sez. IV, 29 settembre 2021, dep. 10 novembre 2021, n. 40554 – Pres. Ferranti – Rel. Ranaldi – P.M. Fodaroni (conf.) – Ric. S.D.G. – (rif. art. 603-bis c.p.)
In tema di reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in caso di sequestro dell’azienda funzionale alla confisca obbligatoria di cui all’art. 603-bis.2 c.p., non è applicabile il controllo giudiziario, essendo previsto dall’art. 3 della l. 29 ottobre 2016, n. 199 come misura alternativa al solo sequestro impeditivo di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p.
Cassazione, Sez. III, 5 ottobre 2021, dep. 10 novembre 2021, n. 40560 – Pres. Liberati – Rel. Corbo – P.M. Filippi (conf.) – Ric. D.P. – (rif. art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
Per la configurabilità del reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è sufficiente che nella fattura, poi utilizzata nella dichiarazione, sia indicato un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura, pur se quest’ultima sia reale. Ciò in quanto l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi, anche solo soggettivamente, implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto e l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre.
Cassazione, Sez. IV, 27 ottobre 2021, dep. 12 novembre 2021, n. 41147 – Pres. Piccialli – Rel. Cenci – P.M. Mignolo (diff.) – Ric. F.L. – (rif. art. 590 c.p.)
In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza.
Cassazione, Sez. III, 10 settembre 2021, dep. 16 novembre 2021, n. 41582 – Pres. Andreazza – Rel. Corbo – P.M. Angelillis (diff.) – Ric. Alfa S.r.l. – (rif. artt. 15 c.p., 2 e 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
I reati in materia fiscale di cui agli articoli 2 e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’articolo 640, comma 2, numero 1, c.p., in quanto qualsiasi condotta fraudolenta, diretta alla evasione fiscale, esaurisce il proprio disvalore all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni: solo in tale ultima ipotesi è possibile il concorso fra il delitto di frode fiscale e quello di truffa, perché l’ulteriore evento di danno che il soggetto agente si rappresenta non inerisce al rapporto fiscale, essendo l’attività frodatoria diretta non solo a fini di evasione fiscale, ma anche a finalità ulteriori.
Cassazione, Sez. III, 10 settembre 2021, dep. 16 novembre 2021, n. 41599 – Pres. Andreazza – Rel. Corbo – P.M. Angelillis (conf.) – Ric. T.G. – (rif. art. 648 c.p.)
Commette il reato di ricettazione chi fa da mediatore tra il ristoratore e il pescatore per l’acquisto dei datteri di mare, presi da quest’ultimo commettendo i reati di inquinamento, disastro ambientale e danneggiamento. Questi frutti di mare sono, infatti, oggetto di divieto assoluto di pesca, e non solo a livello nazionale, ma anche unionale e internazionale; ragion per cui se pescati, venduti, somministrati o mangiati sono sempre di provenienza illecita determinando la sanzionabilità delle condotte tenute, a partire dal pescatore fino al consumatore.
Cassazione, Sez. IV, 8 luglio 2021, dep. 18 novembre 2021, n. 42062 – Pres. Dovere – Rel. Esposito – P.M. Romano (diff.) – Ric. M.D. – (rif. art. 589 c.p.)
In materia di ripartizione delle responsabilità tra Sindaco e funzionari in caso di infortuni sul lavoro del dipendente, per datore di lavoro, nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (fra cui rientrano le Amministrazioni comunali), si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto a un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In tale evenienza, il soggetto designato assume ope legis la corrispondente posizione datoriale, assumendo tutte le relative funzioni, ivi comprese quelle non delegabili, il che rende non assimilabile detto atto di designazione alla delega di funzioni disciplinata dall’articolo 16 del d.lgs. n. 81 del 2008. Peraltro, l’attribuzione della qualità di datore di lavoro a un dirigente o a un funzionario da parte dell’organo di vertice, deve essere espressa, e accompagnata dal conferimento dei poteri decisionali e di spesa, con la conseguenza che, in mancanza di tale indicazione espressa e del conferimento dei necessari poteri, la qualità di datore di lavoro permane in capo all’organo di direzione politica della singola amministrazione.
Cassazione, Sez. IV, 21 ottobre 2021, dep. 18 novembre 2021, n. 42110 – Pres. Ciampi – Rel. Picardi – P.M. omissis – Ric. D.G. e alt. – (rif. 590 c.p.)
In tema di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, la condotta abnorme del lavoratore, idonea ad esonerare da responsabilità il produttore, può verificarsi solo in caso di uso improprio e del tutto anomalo della macchina, e non in quello di uso collegato alla sua funzione, neppure se ad opera di un terzo estraneo all’organizzazione aziendale.
Cassazione, Sez. IV, 28 ottobre 2021, dep. 18 novembre 2021, n. 42121 – Pres. Dovere – Rel. Pezzella – P.M. Odello (parz. diff.) – Ric. G.A. e alt. – (rif. art. 590 c.p.)
In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori – che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri/doveri di intervento immediato – riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale (il coordinatore è, infatti, il gestore dei rischi interferenziali), e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato e immediatamente percettibile, le singole lavorazioni, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.
Cassazione, Sez. V, 06 ottobre 2021, dep. 18 novembre 2021, n. 42213 – Pres. Sabeone – Rel. Pistorelli – P.M. Di Leo (diff.) – Ric. T.R. – (rif. art. 219, comma 1 n. 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267)
In tema di reati fallimentari, l’applicazione della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall’art. 219, comma secondo, n. 1), L.F., non esclude l’autonomia ontologica delle singole fattispecie di bancarotta unificate, sicché, ai fini del computo del termine di prescrizione, la contestazione dell’aggravante ad effetto speciale del danno di rilevante gravità per una sola di esse non rileva per le altre.
Cassazione, Sez. V, 19 ottobre 2021, dep. 18 novembre 2021, n. 42218 – Pres. Sabeone – Rel. Morosini – P.M. Epidendio (diff.) – Ric. F.G. e alt. – (rif. artt. 216-223 r.d. 16 marzo 1942, n. 267)
Integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d’azienda a prezzo vile e senza accollo dei debiti da parte della cessionaria, anche se partecipata quasi per l’intero dalla cedente, in quanto l’operazione non realizza un automatico incremento del valore della partecipazione societaria in termini corrispondenti a quello del complesso aziendale ceduto, trattandosi di asset eterogenei, il cui valore dipende dalla situazione debitoria e dall’andamento della società partecipata.
Cassazione, Sez. III, 29 settembre 2021, dep. 25 novembre 2021, n. 43331 – Pres. Lapalorcia – Rel. Corbo – P.M. Mastroberardino (conf.) – Ric. A.A. – (rif. art. 18 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
La competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardante le imposte relative alle persone giuridiche si determina, ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 74/2000, con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, ove questa risulti avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente.
Cassazione, Sez. IV, 5 ottobre 2021, dep. 25 novembre 2021, n. 43350 – Pres. Dovere – Rel. Serrao – P.M. Cardia (conf.) – Ric. X – (rif. 589 c.p.)
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l’adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell’analisi dei rischi o nell’identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione.
Cassazione, Sez. II, 10 novembre 2021, dep. 30 novembre 2021, n. 44337 – Pres. Gallo – Rel. Coscioni – P.M. Seccia (conf.) – Ric. S.M. – (rif. art. 166 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58)
Ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e ss. T.U.F., la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166, comma 1, lett. c), T.U.F.; pertanto, allo stato, può ritenersi il bitcoin un prodotto finanziario qualora acquistato con finalità d’investimento: la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria, che garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento.
Cassazione, Sez. III, 29 settembre 2021, dep. 1 dicembre 2021, n. 44367 – Pres. Lapalorcia – Rel. Di Nicola – P.M. Baldi (diff.) – Ric. G.M. – (rif. art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
Ai fini della confisca per equivalente ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, la delega ad operare rilasciata dal titolare di un conto corrente a persona indagata, imputata o condannata per reato fiscale, ove non caratterizzata da limitazioni, è sufficiente a dimostrare la disponibilità da parte di quest’ultima delle somme depositate.
Cassazione, Sez. III, 29 settembre 2021, dep. 1 dicembre 2021, n. 44368 – Pres. Lapalorcia – Rel. Di Nicola – P.M. Mastroberardino (conf.) – Ric. L.A. – (rif. art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)
In tema di sequestro preventivo, la nozione di disponibilità di un bene, da parte di un soggetto che con il bene stesso versi in una specifica relazione, va intesa come una situazione di mero fatto per la quale, pur al di fuori di una giuridica titolarità di diritti sulla cosa, il soggetto realizzi pur sempre un’autonoma utilizzazione della stessa.
Cassazione, Sez. II, 10 novembre 2021, dep. 9 dicembre 2021, n. 45397 – Pres. Gallo – Rel. Sgadari – P.M. Seccia (conf.) – Ric. P.A. e alt. (rif. art. 353-bis c.p.)
Il reato di autoriciclaggio si configura anche quando la titolarità del profitto cambia per effettuazione di un’operazione tracciabile.
Cassazione, Sez. III, 3 novembre 2021, dep. 3 dicembre 2021, n. 45966 – Pres. Liberati – Rel. Noviello – P.M. Di Nardo (conf.) – Ric. G.L. – (rif. art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74)
In tema di delitto di omesso versamento dell’IVA, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, bensì deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell’articolo 8 c.p.p.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, considerato che l’obbligazione tributaria può essere adempiuta anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato, previsto dall’articolo 18, comma 1, del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’articolo 9 c.p.p.
Cassazione, Sez. IV, 13 ottobre 2021, dep. 20 dicembre 2021, n. 46393 – Pres. Di Salvo – Rel. Bellini – P.M. Perelli (conf.) – Ric. X – (rif. art. 590 c.p.)
La colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti titolari della posizione di garanzia, tenuti cioè a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento dannoso (morte o lesioni) per il lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa, unicamente, nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme: ciò che si verifica solo allorquando il comportamento anomalo del lavoratore sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore stesso.
Cassazione, Sez. V, 14 ottobre 2021, dep. 22 dicembre 2021, n. 46796 – Pres. Vessichelli – Rel. Pezzullo – P.M. Epidendio (diff.) – Ric. R.F. – (rif. art. 220 r.d. 16 marzo 1942, n. 267)
La mancata ottemperanza all’ordine del tribunale di depositare i bilanci e le altre scritture contabili entro il termine di tre giorni dalla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento presuppone l’avvenuta rituale comunicazione di questa al fallito, costituendo tale comunicazione il presupposto del reato di cui all’art. 220 L.F., con l’esclusione di ogni equipollente.