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Pubbl. Mar, 1 Feb 2022

Remo Danovi, Il diritto degli altri. Storia della deontologia: la recensione

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Federica Castelli



L’opera, Remo Danovi, ”Il diritto degli altri. Storia della deontologia”, Milano, Giuffrè F.L. 2022, illustra, per la prima volta, la storia dei doveri imposti agli avvocati e alla funzione difensiva dall’antichità fino alle attuali codificazioni.


L’opera si propone di ricostruire la storia della deontologia, intesa come mezzo e strumento necessario per assicurare il miglioramento dell’intera collettività. La professione forense è, quindi, quasi un pretesto per recuperare il senso della giustizia di fronte ai soprusi di ogni tempo e alla gravità degli eccidi che hanno percorso il mondo attraverso i secoli.

Di qui l’importanza di indagare i fatti storici, con le opere letterarie, filosofiche e giuridiche che hanno ampliato i confini del sapere per tentare di ritrovare un principio attivo, un’idea per proteggere e realizzare i valori etici che impongono il rispetto degli altri e appartengono a tutti.

Il volume ripercorre le origini indagando la nascita della figura del difensore, dai logografi e sinegori dell’antica Grecia, con funzioni di assistenza e consulenza, ai patroni del mondo romano, ai quali viene per la prima volta demandato il compito della difesa in giudizio, a cui seguono i giuristi, oratori, giureconsulti e avvocati, in ragione della crescente conoscibilità del sistema giuridico.

Ma i soggetti non bastano per individuare i principi e precisare ed elevare le funzioni, e occorre, quindi, indagare le regole e i valori, i doveri e i divieti che si formano nell’animo umano, a partire dai filosofi greci, che ne sono i primi interpreti; e poi Seneca e Cicerone, con i loro diffusi trattati sui doveri, e il giuramento di Giustiniano, che impone di rifiutare “le cause improbe e disperate”, e ancora i Comandamenti dettati da Sant’Ivo.

Si richiamano, infine, gli eventi successivi, e così la classicità con i glossatori, il diritto naturale e le utopie, il secolo dei lumi e i tempi più recenti, con i testi degli autori che hanno tracciato le vie della conoscenza e del sapere.

L’analisi svolta dall’Autore approda, quindi, alla nascita del termine “deontologia”, utilizzato per la prima volta da Bentham in un’accezione invero distante da quella che è oggi comunemente intesa, qualificandosi le azioni sulla base delle conseguenze che ne derivano e non alla stregua dei principi che debbono sostenerle e, quindi, indicandosi come deontologiche le condotte dirette a conseguire l’interesse e la felicità; mentre il termine è stato successivamente utilizzato per indicare l’insieme dei doveri e delle responsabilità cui sono sottoposti gli appartenenti a determinate categorie professionali nell’espletamento della loro attività, con particolare riferimento alle professioni storicamente impegnate socialmente (quella medica, anzitutto, e quella forense, poi).

Anche in questo ambito, l’originalità della ricerca porta a evidenziare il primo testo in cui la deontologia è stata indicata, che non è il libro postumo di Bentham del 1834, come fino ad ora si è ritenuto, ma è un’opera del 1817, la Crestomanzia, ove la deontologia è considerata una parte dell’etica.

Individuato il nome, l’attualità conduce a indagare la genesi della codificazione deontologica, dalle norme che prevedevano ipotesi incriminatrici contenute nei vari codici penali preunitari alle prime leggi promulgate sulla scia degli ideali promossi dalla rivoluzione francese; e poi ancora è ricordata la legge 8 giugno 1874 n. 1938, che rimarrà in vigore fino ai primi anni del Novecento e, per la prima volta nella storia delle professioni (quella notarile interverrà un anno dopo), disciplina dettagliatamente la professione forense; fino alle leggi del 1926 e del 1933, quest’ultima rimasta in vigore per oltre ottanta anni.

La genericità dei doveri richiamati dalle normative professionali, cui si sommano gli obblighi derivanti dai principi contenuti nella legge sostanziale e processuale, civile e penale, per lungo tempo integrati dalla morale e dalla consuetudine, presto appalesa la necessità – alimentata dalla grandiosa produzione letteraria, non solo di settore, dell’epoca – di un codice uniforme di regole individuate e precise, oggettivamente formulate e per ciò stesso immediatamente conoscibili.

Tale esigenza trova pieno appagamento con il primo codice deontologico forense, che vede la luce, grazie al contributo determinante dello stesso Autore, nel lontano 1997 (rimarrà in vigore fino al 2014, cioè fino all’emanazione del nuovo codice deontologico forense), e raccoglie le regole disciplinari ritenute tali nell’opinione comune e quotidianamente applicate dagli organi forensi.

Nella parte conclusiva dell’opera, l’Autore si sofferma a indagare il tortuoso percorso che – facendo leva sulla riconosciuta sussistenza di una potestà regolamentare, oltre che sanzionatoria, in capo all’organo esponente della classe forense (ma una riflessione analoga è stata compiuta anche in ambito notarile) – ha consentito di riconoscere alle regole deontologiche, a lungo impropriamente ritenute mera espressione di precetti morali, la natura di norme giuridiche.

Il risultato è stupefacente: il sistema normativo si salda con quello deontologico, rendendo finalmente chiaro che alla risoluzione dei contrasti si perviene non soltanto sul piano formale con il rispetto delle norme codificate dal diritto positivo ma soprattutto grazie all’accresciuto rilievo della deontologia, non più tributaria di etica e morale, ma categoria autonoma che assicura il riconoscimento e il rispetto degli altri e suggerisce i comportamenti positivi da osservare, in tal modo assicurando una prestazione professionalmente corretta allo scopo di realizzare la giustizia con la piena ed efficace tutela dei diritti delle parti assistite, non più soltanto con riguardo a una professione, ma nei confronti dell’intera collettività.

Sono, infatti, gli altri i destinatari diretti o indiretti della prestazione professionale e dei doveri a essa inerenti e sono gli altri che hanno il diritto di pretenderne il rispetto. È secondario, dunque, l’intento sanzionatorio, proiettandosi i principi della deontologia nel territorio della società e recuperando quello che l’Autore chiama il difensore etico per assicurare il progresso della politica e del sapere.

Così, scrive l’Autore nell’epilogo, “la deontologia eredita dall’etica i valori e li restituisce ampliati e definiti alla collettività; e i doveri non restano confinati nella coscienza o autocoscienza di ciascuno ma si impongono all’esterno per la delega conferita dalla legge in termini positivi o naturali, con carattere di universalità. Il fine è quello di riportare l’ordine, e il mezzo è il riconoscimento e il rispetto che riflettono il sé stesso e l’altro”. Una lezione che vale per tutti.


Note e riferimenti bibliografici