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Pubbl. Ven, 30 Gen 2015

Tutela in sede civile: l´ordinanza cautelare è impugnabile con appello?

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Arianna Gargione


Il procedimento disciplinato dagli articoli 669 bis e successivi del codice di procedura civile, così come modificati dalla riforma 2005, non è finalizzato ad ottenere un provvedimento anticipatorio della tutela, quanto piuttosto un rimedio di carattere conservativo.


Si vuole evitare che una volta ottenuta la pronuncia nel merito ed accertato il diritto, lo stesso sia impossibile da soddisfare. Il giudice deve, perciò, verificare l'esistenza di due presupposti: il periculum in mora, e cioè il danno indiretto che può derivare dalla lentezza fisiologica del processo; oltre che il fumus boni iuris consistente nella dimostrazione che il diritto, che si vuole cautelare, molto probabilmente sussiste.

L'art. 669 terdecies c.p.c. stabilisce che, contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare, è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione o notificazione.

Di recente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20635/2014 depositata il 30 settembre 2014, ha sostenuto l'ammissibilità dell'impugnazione avverso un'ordinanza cautelare nelle forme dell'appello, superando la rigidità stabilita dal legislatore nella norma di legge richiamata.

A ben vedere non viene fatta alcuna eccezione alla regola generale. Piuttosto, applicandosi il principio cardine della prevalenza della sostanza sulla forma, si osserva che il giudice al quale viene fatta istanza cautelare si è pronunciato anche sulla domanda di risarcimento, e perciò, pur avendo la forma di un'ordinanza, il contenuto sostanziale dell'atto è quello di una sentenza.

I giudici ci piazza Cavour affermano che “qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale di cui all'art. 703 c.p.c., comma 3, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza, e come tale è impugnabile con appello.”.

Alla luce di questa decisione, quali sono le possibili strade che un difensore può intraprendere?

Le alternative sono varie: forse la scelta che andrebbe prediletta, dando rigore a quel formalismo voluto dal legislatore e che rassicura in termini di certezza nella tutela del diritto, è proporre comunque reclamo eccependo l'ultra petitum dell'ordinanza con la quale è stato deciso di accogliere o rigettare un'istanza cautelare. Non attiene infatti, a quella sede l'analisi del merito, essendo un giudizio a cognizione sommaria e strumentale rispetto alla fase di cognizione piena.

La riforma del 2005, a differenza di quanto si verificava nel regime anteriore alla citata "novella" - nel quale la "bifasicità" del giudizio possessorio era necessaria, essendo il giudice della fase sommaria tenuto, a conclusione della stessa, a fissare comunque una successiva udienza per la prosecuzione della causa nel merito- regolamenta il regime delle spese in modo da risultare compatibile con la "bifasicità" solo eventuale del giudizio possessorio, proprio in considerazione della possibilità che il giudizio di merito non sia richiesto da alcuna delle parti, ipotesi nella quale le spese dell'esaurita fase sommaria rimarrebbero prive di regolamento (Cass. Sez. Un. 20-11-2013 n. 26037).

Perciò anche attraverso la redazione di un atto di citazione in appello, può essere riconosciuta la tutela del nostro diritto, non operando, però, tutte quelle preclusioni finalizzate ad una corretta istruttoria della causa.

(Arianna Gargione)