La disciplina dei rapporti pendenti nel nuovo codice dell´impresa
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Maria Carlotta Rizzuto
Nel nuovo codice della crisi di impresa così come nella legge fallimentare, la disciplina dei rapporti pendenti è rimessa ad una norma a carattere generale ed a disposizioni specifiche per alcune fattispecie contrattuali. La continua applicazione analogica delle varie disposizioni, nonché la previsione di diverse discipline fa, però, sorgere la necessità di risalire alle ragioni giustificative sottese alle singole disposizioni, le quali non sembrano tutte volte alla tutela dell’interesse creditorio. È opportuno volgere l’attenzione verso criteri diversi, quali il richiamo alla funzione causale, al principio di affidamento, volti a realizzare l’interesse ritenuto maggiormente meritevole di tutela o un più equo bilanciamento degli interessi nella composizione del loro conflitto
Sommario: 1. Premessa; 2. Definizione di rapporti pendenti; 3. Il vecchio ed il nuovo impianto normativo; 4. Un sistema apparentemente chiaro; 5. La ragione giustificativa della sospensione; 6. La crisi del sistema tradizionale: scarsa applicazione pratica dell’art. 72 e Ratio legis delle disposizioni speciali; 7. Un sistema ancora da ricostruire; 8. Verso un sistema condiviso.
1. Premessa
Con il D.L. n. 118 del 24 agosto 2021, si introduce, nell'ordinamento italiano, il nuovo istituto della composizione negoziata della crisi, il quale entrerà in vigore a partire dal 15 novembre; da tale data sarà, dunque, possibile porre in essere, per un verso, una procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, su base volontaria ed extragiudiziale e per altro verso, presentare domanda per un concordato semplificato.
Al contempo, però, il medesimo decreto ha, nuovamente, rinviato l’entrata in vigore del Codice della crisi al 16 maggio 2022, disponendo, per quanto concerne la disciplina delle misure d’allerta, un differimento ancora maggiore, al 31 dicembre 2023.
L’indirizzo disegnato dal quadro complessivo della riforma sarebbe, certamente, quello maggiormente auspicabile. Suona imperante la sostituzione della locuzione fallimento con quella di liquidazione giudiziale. Degna di lode appare la scelta di far sopravvivere esclusivamente il concordato in continuità aziendale. Mirabile l’introduzione di un unico procedimento per la crisi e l’insolvenza come tentativo di avvicinamento dell’Italia alla regolamentazione europea.
Ed, invero, i riscontri pratici non sembrerebbero così rassicuranti: per un verso, le ipotesi di fallimento aumentano in via esponenziale e, tra i concordati preventivi omologati, molti hanno carattere liquidatorio; per altro verso, i persistenti rinvii all’entrata in vigore del nuovo Codice e, in alcune ipotesi, l'assenza di rilevanti novità, impongono all'interprete l'utilizzazione dei vecchi strumenti normativi.
Con particolare riferimento alla regolamentazione dei rapporti pendenti, se non fosse per una differente numerazione delle attuali disposizioni nonché per il recepimento di alcuni più evidenti indirizzi giurisprudenziali, si sarebbe indotti a pensare che le innovazioni siano ben poche, se non del tutto inesistenti.
Ad un lettore attento, infatti, non potrebbe, di certo, sfuggire come l’art. 172 del codice della crisi1, ad eccezione di novità di scarso rilievo2, riproponga, pedissequamente, l’art 72 della legge fallimentare3.
Anche le norme, artt. 173-192 CCII4, che offrono una disciplina speciale per alcune tipologie contrattuali, non sembrano tratteggiare -al di fuori di quelle relative al contratto di affitto di azienda5 ed di quelle concernenti i rapporti di lavoro subordinato6- novità di ampio respiro come, al contrario, ci si sarebbe, forse, potuti attendere nell’ambito di un rinnovato quadro disciplinare e, soprattutto, alla luce di una decantata diversa funzione della procedura di liquidazione giudiziale7.
Tutto, dunque, sembrava essere cambiato, eppure ancora nulla è cambiato, di guisa che sembra, ancora una volta, necessario muoversi tra le maglie della vecchia legge fallimentare8.
2. Definizione di rapporti pendenti
La mancanza di rilevanti novità legislative nonché l’ulteriore – e non si sa se ultimo- rinvio all’entrate in vigore del codice della crisi inducono una riflessione sulla disciplina ancora attuale dei rapporti pendenti; riflessione che, però, non potrebbe non essere, al contempo, influenzata dalla riforma in itinere e, soprattutto, dai principi e dai valori sottesi a quest’ultima.
Ed, invero, con l’espressione rapporti pendenti o rapporti giuridici preesistenti 9 si suole fare riferimento a quei rapporti che, perfezionati prima della dichiarazione di fallimento10, sono, ancora, pendenti tra le parti, in quanto le prestazioni sono non eseguite o, comunque, non integralmente11. Si ritiene, quindi, che il presupposto per l’applicazione della disciplina della sezione quarta della legge fallimentare non sia il vincolo di sinallagmaticità esistente tra i due opposti crediti, ma lo stato di inesecuzione del contratto sinallagmatico e, cioè, la mancata attuazione delle corrispettive prestazioni in quest’ultimo contemplate.
È un rapporto, dunque, in piena fase di sviluppo, produttivo di diritti e doveri, il quale non pone in discussione la validità della sua fonte, bensì incide sugli effetti, con prevalenza delle regole fallimentari su quelle comuni: la scadenza anticipata dei crediti12; il blocco degli interessi sui crediti non garantiti13; la riduzione, in termini pecuniari dei crediti di natura diversa, con un’adeguata tutela della controparte in bonis, diretta ad evitare che quelle regole costituiscano sacrifici aggiuntivi a quelli prodotti dalla insolvenza14.
Può essere, pertanto, essere definito pendente il rapporto tra fallito e terzo contraente che presenti tre requisiti: si sia perfezionato prima del fallimento; sia opponibile alla massa; non sia, ancora, compiutamente eseguito da nessuno dei contraenti alla data di fallimento15.
Circa il primo presupposto, al fine di stabilire se, al momento della dichiarazione di fallimento, il contratto possa essere considerato perfezionato, si suole far riferimento alla disciplina civilistica relativa alla formazione del contratto. Si verifica, cioè, se l’incontro delle volontà sia avvenuto prima della dichiarazione di fallimento ossia con termini e modalità tali da far ritenere l’accordo avvenuto in epoca antecedente.
Il secondo requisito richiesto è la opponibilità - ai sensi degli artt. 44 e 45 L. Fall. - del rapporto al fallimento16. Anche al fine di verificare tale presupposto, si utilizzano i canoni civilistici: il contratto deve, cioè, rivestire le forme previste dalla legge civilistica per poter essere opponibile nei confronti di eventuali creditori che intraprendano azioni esecutive sul patrimonio del debitore17.
Infine, quale ultimo requisito, il rapporto deve essere pendente ossia non deve risultare interamente eseguito da nessuna delle parti. Diversamente, residuerebbe solamente un debito o un credito18 con la possibilità, dunque, di insinuarsi al passivo19 – nel caso in cui la prestazione fosse stata adempiuta da parte del contraente in bonis – o di ottenere la prestazione dedotta nel contratto, da parte del terzo contraente – nell’ipotesi di prestazione eseguita dall’imprenditore fallito.
A tal riguardo, la verifica sulla pendenza del rapporto e, dunque, sull’esecuzione o meno delle prestazioni dedotte in contratto, deve avvenire, secondo l’orientamento ormai consolidato20, tenendo conto non, già, delle prestazioni accessorie ma delle obbligazioni principali.
Una conferma, in tale senso, si è avuta con la formulazione dell’art. 172 del Codice della Crisi e dell’insolvenza, il quale chiarisce, per l’appunto, che a non essere integralmente eseguite debbano essere, tuttavia, le prestazioni principali del contratto e non anche le cosiddette prestazioni accessorie.
Al contempo, l’art. 172 pone fine ad un ulteriore dubbio interpretativo generato dall’attuale legge fallimentare, giacché esplicita come, con l’espressione contratti pendenti, si indichi, in entrambe le procedure21, «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti» da entrambe le parti, al momento dell’apertura di una procedura concorsuale. Si eliminano, in tal modo, i dubbi generati dall’impiego, da parte del legislatore del ’42, delle espressioni differenti di rapporti pendenti e di contratti in corso di esecuzione rispettivamente nella procedura fallimentare ed in quella concordataria, divergenza terminologica che aveva, infatti, lasciato ipotizzare l’esistenza di una corrispondente diversa definizione.
Per ultimo, è necessario che il rapporto possa essere oggetto di spossessamento, ai sensi dell’art. 42 L. Fall., ossia attenga al patrimonio fallimentare e non sia destinato, invece, a soddisfare esigenze essenziali di vita del fallito o della sua famiglia22.
Orbene, secondo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, i rapporti esistenti al momento della dichiarazione di fallimento, al fine di essere qualificati come pendenti, devono possedere ciascuno dei presupposti sopra elencati, poiché la mancanza anche soltanto di uno di essi comporta l’impossibilità di essere ricondotti nell’ambito disciplinare della sezione quarta della legge fallimentare. In tal senso ed in via meramente esemplificativa, basti pensare all’ipotesi dei contratti ad effetti reali, allorquando il trasferimento del diritto sia avvenuto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento23, sì da far considerare il rapporto come già consumato da parte di uno dei due contraenti.
In tale direzione, delineati i presupposti indispensabili per la qualificazione di un rapporto come pendente, è bene, sin da subito, constatare come, dalla lettura delle disposizioni della legge fallimentare, affiorino due immediate considerazioni: per un verso, l’esistenza di un gruppo corposo di norme, inserite nella sezione quarta, disciplinanti gli effetti della dichiarazione di fallimento sui rapporti pendenti a fronte di singole disposizioni che regolamentano gli effetti delle altre procedure concorsuali sui contratti in corso di esecuzione24. Per altro verso, la presenza, all’interno della medesima sezione quarta, di un microsistema composto da una norma ritenuta a carattere generale, l’articolo 72, e da altre norme speciali, artt. 72 bis e ss., le quali prevedono, invece, lo scioglimento o la continuazione automatica, a seconda della tipologia di rapporto. Tralasciando il primo profilo, il quale, per vero, meriterebbe un ulteriore approfondimento anche alla luce della riforma, tra l’altro, non ancora del tutto entrata in vigore, ci si soffermerà sul secondo profilo.
3. Il vecchio ed il nuovo impianto normativo
L’impianto normativo originario del codice del 186525 era sostanzialmente differente rispetto a quello dettato dal legislatore nel 1942, poiché frammentario e disorganico26, composto da alcune norme specifiche connesse alla singolare natura dei contratti.
In particolare, essendo regolata solamente la sorte di determinati rapporti, con riguardo al tipo, all’oggetto, alle peculiarità caratterizzanti in concreto il rapporto contrattuale, permaneva il problema dell’individuazione della disciplina da applicare ai contratti tipici non espressamente regolamentati, ai contratti atipici e, laddove non fosse stato possibile utilizzare lo strumento dell’interpretazione analogica, quello dell’individuazione di una norma di chiusura del sistema27.
L’introduzione degli artt. 72 e ss. nella Legge Fallimentare fu considerato, dunque, di poco migliorativa rispetto al precedente codice di commercio, il quale si limitava, agli artt. 802-806, a disciplinare gli effetti della dichiarazione di fallimento su alcuni singoli contratti, senza garantire la presenza di alcuna regola generale28.
Il vuoto normativo29 ha dato avvio ad una copiosa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, al fine di estrapolare un principio generale dalle disposizioni allora esistenti, le quali, a seconda dei casi, prevedevano la sospensione, la prosecuzione o lo scioglimento del contratto.
In sede interpretativa, furono elaborate numerose teorie.
Per alcuni, i contratti, scevri di una disciplina specifica, avrebbero dovuto trovare la propria regolamentazione nelle specifiche disposizioni della legge fallimentare disciplinanti altre tipologie contrattuali. Allorquando non fosse stata possibile una siffatta interpretazione estensiva o analogica, si sarebbe potuto, poi, far ricorso all’art. 72. I fautori di tale teoria, dunque, consideravano l’art. 72 L. Fall. una norma di chiusura, ad applicazione residuale ossia da impiegare nell’ipotesi in cui non fosse stato possibile accostare quei contratti a nessuno dei rapporti puntualmente regolamentati30.
La posizione, però, che, soprattutto, in giurisprudenza31 ed anche in parte della dottrina32, ha finito per prevalere, è stata quella secondo cui dovesse essere applicato il regime della sospensione, con conseguente rimessione all’organo fallimentare- il curatore- della decisione sulle sorti del rapporto. Secondo quest’ultima posizione, infatti, la legittimazione dell’ufficio fallimentare a far proprio il rapporto e, dunque, ad operare la scelta tra la sua prosecuzione o il suo scioglimento, doveva essere rinvenuta nella funzione liquidatoria dell’intera procedura fallimentare33. Tale orientamento riteneva che dovesse essere proprio l’ufficio fallimentare a scegliere se liberarsi del rapporto, là dove lo considerasse incompatibile con la liquidazione del patrimonio fallimentare o viceversa, a decidere di continuarlo, nel caso in cui il rapporto pendente fosse migliorativo del risultato della liquidazione.
La disciplina contenuta nell’art. 72 della Legge Fallimentare, dettata per il contratto corrispettivo per antonomasia, la compravendita, fu eletta, dunque, ancor prima della sua nuova formulazione, quale regola generale34, applicabile anche alle fattispecie non puntualmente regolamentate35.
Con il d.lgs. n. 5/2006 e col successivo decreto correttivo del 200736, il legislatore ha, conseguentemente, trasformato l’art. 72 da norma speciale a norma generale, oltrepassando, persino, i principi sanciti dalla legge delega37, la quale prevedeva, invero, solamente l’inserimento di nuove disposizioni, concernenti il contratto di leasing ed i patrimoni destinati ad uno specifico affare38.
4. Un apparato normativo apparentemente chiaro
Il legislatore riformista, come rilevato dalla dottrina39 ha, dunque, recepito, nel nuovo art. 72, l’invalsa interpretazione giurisprudenziale, sopra menzionata40.
Ad oggi, dunque, sull’esempio tedesco della Konkursordnung, tentando di scrollarsi di dosso la precedente frammentarietà, la legge fallimentare risulta composta per un verso, da una norma a carattere generale e, per altro verso, da altre disposizioni a carattere speciali, le quali, in deroga alla prima, pongono una disciplina diversa per alcune tipologie contrattuali, così come, d’altronde, statuito nel tanto dibattuto inciso «fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione40.»
Tale situazione è rimasta del tutto invariata anche nel nuovo impianto normativo del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il quale prevede, per l’appunto, una norma che dovrebbe porsi quale regola generale, l’art 172, ed altre disposizioni che, invece, dovrebbero essere qualificate come norme speciali rispetto alla prima, art. 173 e ss.
Orbene, lo scenario attuale [e, dunque, anche quello futuro] dei rapporti pendenti presenta una suddivisione di questi ultimi in tre categorie: contratti che si sciolgono automaticamente42; contratti che proseguono automaticamente con la massa dei creditori43; contratti sottoposti alla disciplina dell’art. 72 L. Fall.44, il quale prevede la sospensione automatica45 dei rapporti, lasciando al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, la possibilità di scegliere tra lo scioglimento o la continuazione degli stessi46.
Una quarta ed ultima categoria è, infine, composta da quei rapporti contrattuali che, continuando con il fallito, restano esclusi dall’applicazione dell’art.72 L. Fall.47.
In particolare, rientrano, in quest’ultima, da una parte, quei rapporti in cui l’amministrazione fallimentare non ha alcun interesse a subentrare, in quanto la prestazione, oggetto del contratto, non potrebbe essere acquisita al fallimento, come, in via esemplificativa, il contratto con un albergatore per un soggiorno turistico; dall’altra, i contratti nei quali l’amministrazione fallimentare non può proprio subentrare, come i contratti di lavoro, quelli di prestazione d’opera e, in generale, tutti quelli mediante i quali il fallito, in cambio di un corrispettivo, presti la propria attività personale, intesa, non solamente in senso tecnico di rapporti indisponibili, ma, anche, di rapporti patrimoniali, finalizzati al soddisfacimento delle esigenze personali del fallito.
Ed, infatti, risulterebbe, invero, privo di senso riconoscere al fallito il diritto di procurarsi i mezzi necessari per il proprio sostentamento e per quello della propria famiglia ed, al contempo, legittimare il curatore a subentrare proprio in quei contratti che rendano effettivamente realizzabile il diritto garantito, per l’appunto il sostentamento48.
Appare, invero, opportuno, già in questa sede, sottolineare come l’estromissione delle summenzionate ipotesi contrattuali dal campo di applicazione della disciplina sui rapporti giuridici preesistenti, si giustifichi, non tanto per la funzione perseguita dal singolo contratto, ma per il tipo di interesse alla cui attuazione sono finalizzate le prestazioni in esso dedotte49.
Alla luce della sopra esposta categorizzazione, il sistema sembrerebbe apparentemente chiaro: una regola generale e un gruppo di norme speciali, derogatorie di quest’ultima, tutte, però, indirizzate a tutelare la massa dei creditori, in perfetta coerenza con l’atavica concezione della procedura fallimentare come procedura meramente esecutiva; una procedura fallimentare che trova la propria giustificazione nella medesima o, comunque, prossima ratio della procedura esecutiva individuale50 ossia la funzione del rapporto, il vincolo del debitore alla prestazione per il soddisfacimento dell’interesse del creditore51.
Eppure, pur là dove una disposizione si appalesi dal significato evidente, su ogni interprete incombe l’onere di una continua rettifica della propria precomprensione52, la quale non deve consolidarsi in un convincimento prima che sia esaurito il processo della comprensione ed, una volta raggiunto il risultato, la soluzione prescelta non può non essere compatibile con l’ordinamento giuridico positivo e deve sussistere una rispondenza alle giustificate ragionevoli attese sociali53.
Non può essere raggiunta, insomma, alcuna ragionevolezza interpretativa, recidendo i punti di vista finalistici dai quali parta il legislatore, poiché il metodo teleologico non è un metodo tra gli altri, ma un’indispensabile prospettiva di comprensione del diritto54.
Proprio perché la domanda necessaria, per ottenere una risposta circa lo scopo della norma, parte dalla concreta considerazione delle attese e degli interessi sociali che ne hanno determinato l’emanazione e ancora ne richiedono l’applicazione, le incongruenze esistenti con riferimento ai rapporti pendenti nella procedura fallimentare, in termini di disciplina e di interesse tutelato non possono essere il fine ultimo del legislatore.
È per tale ragione che si appalesa come necessaria l’analisi delle singole disposizioni sì da risalire alle ragioni giustificative sottese a queste ultime e poter meglio comprendere gli interessi da esse tutelati; solamente, in tal modo, si potrà verificare se il sistema regola (art. 72) eccezioni (art 72 bis e ss.) possa essere, davvero, ritenuto valido.
5. La ragione giustificativa della sospensione
Il sistema tratteggiato dalla Legge fallimentare assurge quale regola generale l’art. 72 il quale prevede, come effetto automatico della dichiarazione di fallimento, la sospensione del rapporto pendente.
A tale disciplina, nonostante fosse, da sempre, attribuita la funzione di garantire la tutela della massa dei creditori sì da lasciare al curatore la scelta – maggiormente funzionale al soddisfacimento della massa fallimentare- di quali rapporti sciogliere e quali continuare, una parte della dottrina ha tentato di attribuire una differente ragione giustificativa.
Un indirizzo ermeneutico ha, infatti, ritenuto che il regime della sospensione potesse sottendere un intento salvifico dell’interesse del terzo contraente nel senso di non vederlo costretto ad adempiere la propria prestazione, allorquando la controparte, in stato di insolvenza, non potesse adempiere la propria, sì da garantire la controprestazione al massimo come dividendo, derivante dalla ripartizione tra tutti i creditori dell’attivo fallimentare55 .
Secondo tale orientamento, la ragione della sospensione dell’esecuzione del contratto risiederebbe nella medesima giustificazione sottesa agli artt. 1460 e 1461 cod. civ.56 i quali, nei contratti a prestazioni corrispettive, concedono, in caso di inadempimento o di peggioramento delle condizioni economiche della controparte, analoga facoltà a ciascun contraente. La ragione portante e giustificativa della regola della sospensione di cui all’art. 72 L.Fall. si rinverrebbe, dunque, in quel noto principio civilistico, inadìmplenti non est adimplendum, ossia in quella tutela civilistica della funzionalità del sinallagma57.
Il medesimo orientamento accentua, però, le differenze tra gli istituti e, soprattutto, sottolinea il distacco sul piano disciplinare. Ed, infatti, non potrebbe non essere rilevato come la disciplina civilistica, relativa alle eccezioni di inadempimento ed insolvenza, si differenzi notevolmente da quella fallimentare58.
Ciò è facilmente spiegabile là dove si consideri che lo stato di quiescenza, lungi dall’essere provocato dall’iniziativa del contraente in bonis, è, al contrario, un effetto automatico della declaratoria di fallimento59.
Al contempo, tale differenza trova una ulteriore conferma nella mancata riproduzione, nell’art. 72, della facoltà per il contraente in bonis di poter eseguire, comunque, il contratto. Manca, cioè, in tale disposizione, la possibilità di adempiere, comunque, nonostante l’avvenuto fallimento ed una volta eseguita la prestazione, di poter, successivamente, insinuare il proprio credito al passivo, pur nella consapevolezza dell’assoggettamento di quest’ultimo alla falcidia fallimentare60.
In tale direzione, per come formulata ed interpretata, dunque, tale disposizione pone il terzo contraente in una situazione di soggezione di fronte alla scelta unilaterale, irrevocabile e retroattiva del curatore di sciogliere o continuare il rapporto pendente.
Una norma che, dunque, non sembra essere favorevole al terzo contraente, poiché, se per un verso, mediante l’effetto sospensivo si attenuano gli obblighi contrattuali originari o, comunque si consente a quei contraenti che non siano stati pregiudicati dal fallimento di non adempiere agli obblighi preesistenti ed, eventualmente, di sciogliersi dai contratti61, per altro verso, paralizza, però, la possibilità, per il terzo contraente, di proporre quelle eccezioni che sarebbero spettate a quest’ultimo nell’ipotesi in cui avesse trovato applicazione la disciplina contrattuale comune.
Il terzo contrante non può, infatti, risolvere il contratto, anche se i relativi presupposti si siano verificati prima della dichiarazione di fallimento; non può avvalersi di clausole contrattuali che prevedano la risoluzione del contratto in ipotesi di sopravvenuto fallimento di una delle parti. Nell’ipotesi in cui il curatore scelga di risolvere il contratto, può fare valere il suo credito esclusivamente mediante la domanda di ammissione al passivo, con conseguente assoggettamento del suo credito alla falcidia fallimentare.
L’unico potere attribuitogli è quello, con la messa in mora, di sollecitare il curatore nella scelta da effettuare, così da ottenere o lo scioglimento, nell’ipotesi in cui il curatore non scegliesse nel termine fissato dal giudice o la continuazione, con pagamento integrale, nell’ipotesi in cui il curatore decidesse di subentrare.
Per come formulato, dunque, l’unico interesse tutelato dall’art.72 rimarrebbe quello della procedura62 sì da non lasciare spazio a nessun’altra considerazione se non fosse che ogni disposizione non è che una particella di un intero sistema normativo con il quale deve necessariamente confrontarsi, integrarsi e plasmarsi.
6. La crisi del sistema tradizionale: scarsa applicazione pratica dell’art. 72 e Ratio legis delle disposizioni speciali.
La conferma dell’interesse creditorio, quale interesse tutelato dall’art. 72 L. Fall., dovrebbe rassicurare sulla esistenza di un impianto normativo basato da una parte su una regola generale, l’art. 72, per l’appunto, e, dall’altra, su regole speciali, gli art. 72 bis e ss.
Eppure, la trasparenza e coerenza dell’apparato prescrittivo sopra delineato, si scontra per un verso, con gli interessi sottesi alle disposizioni speciali e per altro verso, con la scarsa applicazione sul piano pratico di quella che dovrebbe essere la regola generale, la quale sembra assurgere, al contrario, il rango di regola residuale e di chiusura di un sistema.
Non si può sottacere, infatti, come molti orientamenti dottrinali63 nonché numerose pronunce giurisprudenziali continuino – dinnanzi alle fattispecie contrattuali non espressamente regolamentate dalla legge fallimentare e, dunque, non disciplinate dagli artt. 72 bis e ss.-, ad applicare, mediante l’ausilio dell’interpretazione analogica, la disciplina delle singole disposizioni speciali e non, già, quella di cui all’art. 72 L.Fall.
A tal fine, basta porre l’attenzione alla fattispecie relativa al contratto di locazione. In particolare, la legge fallimentare ha disciplinato, all’art. 80, esclusivamente l’ipotesi del contratto di locazione di beni immobili e non anche di beni mobili, circostanza quest’ultima che avrebbe dovuto condurre, inevitabilmente, all’applicazione della disciplina di cui all’art. 72 L. Fall.
Al contrario, proprio il principio, sotteso all’art. 80, racchiuso nel brocardo empio non tollit locatum ossia l’interesse alla tutela del diritto di godimento tanto dei beni mobili quanto dei beni immobili, ha condotto sul piano giurisprudenziale e dottrinale alla naturale applicazione analogica, in ambedue i casi, della disciplina di cui all’art. 80 e non di quella dell’art.72 L. Fall.64
Ed, ancora, sono ricondotti sotto l’alveo delle singole disposizioni speciali: il contratto di affitto di fondi rustici65; il contratto di deposito; il contratto di comodato66, ai quali si ritiene comunemente applicabile l’art. 80. Alla stessa stregua, il contratto di riporto di borsa; di borsa a premio; di cambio a termine, di vendita a termine di merci o derrate67, sono tutti sottoposti al dettato normativo dell’art. 76; o, ancora, al contratto di engineering; di outsourcing, al contratto di subfornitura industriale68 o quello d’opera si suole estendere la regolamentazione predisposta per il contratto di appalto, di cui all’art. 81.
Non si possono, altresì, non ricordare il contratto di raccomandazione marittima69; il contratto di agenzia70; la cessione dei beni; il contratto di spedizione71; il contratto di apertura di credito72 e tante altre ipotesi contrattuali, le quali rinvengono il proprio regime disciplinare nell’art. 78, predisposto rispettivamente per il contratto di mandato, commissione e conto corrente.
Si potrebbe continuare ad oltranza.
Orbene, tutte le eccezioni, sopra riportate, non sono di per sé idonee a rompere il sistema dal punto di vista prettamente normativo, ma, certamente, contribuiscono a fornire un primo elemento di prova sulla incongruenza della sezione quarta e conducono quantomeno ad affermare che la trasformazione dell’art. 72, da norma particolare a disposizione di portata generale, non si sia del tutto realizzata così come si sarebbe, invece, indotti a pensare. Al contrario, fanno nutrire forti dubbi in ordine alla natura sussidiaria ed, invero, meramente residuale di tale norma rispetto alle altre disposizioni.
Tali dubbi non sembrano essere stati fugati neppure dalla riforma: non solamente, infatti, l’impianto normativo è rimasto invariato, avendo il legislatore trasposto, nell’art 172 CCII, il medesimo contenuto dell’art. 72 L. Fall. nonché, negli art. 173 e ss. CCII, la medesima disciplina degli artt. 72 bis e ss. ma, ha, anche, inserito una nuova disposizione: l’art. 17573.
Quest’ultima, statuendo lo scioglimento automatico di tutti i contratti a carattere personale, sembra ancor più avvalorare, infatti, la tesi sulla residualità dell’art. 172 CCII, destinata, anche nel nuovo codice, a divenire, semmai, una norma di chiusura.
7. Un sistema ancora da ricostruire.
La crisi del sistema concernente i rapporti pendenti della sezione quarta della legge fallimentare, se scorge una sua prima breccia nella scarsa applicazione dell’art. 72, trova il suo più significativo riscontro nelle ragioni giustificative sottese agli articoli 72 bis e seguenti.
La dottrina74, come sopra esposto, suole suddividere gli articoli successivi al 72 in norme che sottopongono i rapporti pendenti allo scioglimento automatico e norme che, invece, prevedono la continuazione automatica.
In realtà, a ben vedere, tali disposizioni potrebbero, forse, trovare una diversa ed, invero, maggiormente utile suddivisione. Le stesse norme, infatti, potrebbero essere raggruppate in quattro macro categorie, a seconda dell’interesse da queste ultime tutelato.
In primo luogo, vi sarebbero le disposizioni che sottopongono il rapporto pendente allo scioglimento, non perché indirizzate ad un miglior soddisfacimento del ceto creditorio, quanto, più semplicemente, perché tale rapporto si fonda sul quel noto principio dell’intuitu personae, il quale non potrebbe consentirne la sua continuazione con persona differente quali, per l’appunto, gli organi della procedura fallimentare.
A tale categoria possono essere ricondotti gli articoli 78 L.Fall., in tema di mandato75; l’art. 81, con riferimento al contratto di appalto76; l’art. 77, ossia il contratto di assicurazione in partecipazione77.
Una conferma in tal senso si ha, come dapprima evidenziato, anche nel codice della crisi, con l’introduzione dell’art. 175, il quale, per l’appunto, statuisce lo scioglimento automatico dei contratti aventi carattere personale, là dove la considerazione della qualità soggettiva della parte nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale, sia stata motivo determinante del consenso; ciò sempre che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori e il consenso dell'altro contraente, manifesti la volontà di subentrarvi, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi.
In secondo luogo, vi potrebbe essere quel gruppo di norme, le quali prevedono lo scioglimento del rapporto, in quanto la continuazione sarebbe, invero, incompatibile con la procedura fallimentare. Rientrerebbero in quest’ultimo, l’art. 78, con riferimento al contratto di conto corrente78; l’art. 72 ter, contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare; l’art. 83 nonché l’art. 76 disciplinanti rispettivamente gli effetti del fallimento sul contratto di edizione e sul contratto di borsa79.
Ancora, nella terza categoria, andrebbero collocate quelle disposizioni che abbiano come obiettivo la realizzazione di un equo bilanciamento tra gli interessi coinvolti nel rapporto pendente. Andrebbero ivi collocati gli artt. 80, 79 e 73, disciplinanti rispettivamente il contratto di locazione80, quello di affitto di azienda81 ed il contratto con riserva di proprietà82.
Infine, vi sarebbero quelle disposizioni volte a tutelare il terzo contraente, inteso nel duplice senso di contraente debole [art. 72 bis L.Fall.]83 per un verso e di singolo creditore [artt. 72 quater, 82, rispettivamente in tema di contratto di leasing e contratto di assicurazione] per altro verso.
Tale ultimo gruppo sarebbe quello che, alla luce dei principi cardine della procedura fallimentare e, soprattutto, di quello della par condicio creditorum, non potrebbe che destare maggiore meraviglia e generare una futura, più approfondita riflessione.
In tal guisa tratteggiate, le disposizioni della sezione quarta della legge fallimentare ci restituiscono, infatti, un sistema del tutto diverso da quello che, in virtù dei principi propri della procedura fallimentare, ci si potrebbe attendere.
Quest’ultima è, certamente, terra fertile per la prevalenza dell’interesse della massa dei creditori sugli altri interessi, ma, al contempo, non ci si può dimenticare come in essa non risieda solamente il rapporto tra debitore e creditore, non vi siano i soli interessi individualistici, bensì coesistano molteplici interessi, come quelli dei lavoratori, dei livelli occupazionali, di tutte le altre attività che, direttamente o attraverso l’indotto, abbiano, in qualche modo, avuto a che fare con quello che è un centro gravitazionale di valori: l’impresa.
In tale direzione, se è vero che, ancor oggi, il diritto concorsuale si innesta in un sistema di mercato e si scontra con i necessari e difficili rapporti tra economia e diritto e, soprattutto, con i tentativi, da parte di entrambi, di far prevalere le proprie logiche e regole84, l’evoluzione del concetto di insolvenza; l’emersione di nuovi valori da tutelare85; il conseguente intravisto mutamento della funzione propria del fallimento, la logica sottesa all’intero impianto del Codice della crisi, non possono non influenzare l’interpretazione della disciplina dei rapporti pendenti.
8. Verso un modello condiviso
Alla luce delle superiori argomentazioni, non può non rilevarsi come il sistema di regola-eccezione, disegnato dagli artt. 72 e seguenti della legge fallimentare, sia destinato a sgretolarsi di fronte ad un impianto normativo che, almeno dal punto di vista teleologico, garantisca una tutela indirizzata, non esclusivamente al soddisfacimento dell’interesse del ceto creditorio -il quale è da considerare, solamente, uno degli interessi tutelati- ma, anche, di altri interessi.
Un sistema in cui, ogni qualvolta, l’interesse della massa entri in conflitto con altri interessi, se non soccombe – poiché si è, pur sempre, nell’ambito di una procedura fallimentare- comunque, si plasma in modo diverso da come ci si potrebbe aspettare; un sistema che, abbandonata l’atavica concezione della procedura fallimentare come procedura meramente esecutiva e la qualifica come una procedura complessa avente al proprio epicentro l’impresa, non più mero operatore economico del mercato ma, centro gravitazionale di interessi.
È una visione diversa, maggiormente rispondente e conforme ai principi e valori sottesi al nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il quale, in ottemperanza a quanto previsto dalla raccomandazione 2014/135/ UE della Commissione - volta ad incoraggiare la formazione di un quadro giuridico che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese sane in difficoltà- tenta di realizzare un modello condiviso della crisi di impresa86.
In tale direzione, discostandosi dalla fonte di ispirazione tedesca, le norme sui rapporti pendenti si prestano ad una lettura diversa da quella orientata alla esclusiva tutela del mercato ed alla sola liquidazione delle utilità che possono derivare da tali contratti.
La valorizzazione dell’interesse produttivo e del lavoro lasciano, al contrario, intravedere un sempre più accentuato avvicinamento dell’Italia per un verso, all’ordinamento francese87, il quale predilige la tutela di interessi di ordine pubblico e per altro verso, ai Paesi angloamericani, i quali attribuiscono la scelta sulle sorti dei rapporti alle stesse parti.
In tale direzione, una lettura più attenta delle disposizioni della sezione quarta della legge fallimentare, guidata dal faro della riforma in essere e dai nuovi principi in quest’ultima racchiusi, non consente di garantire sempre e, comunque, la necessaria prevalenza dell’interesse creditorio; al contrario, lascia protendere per una maggiore valorizzazione del caso concreto, per individuazione degli interessi coinvolti, sì da preservare quello che, alla luce dei valori che permeano il nostro ordinamento, sia da considerare più rilevante e, per questo, maggiormente meritevole di tutela.
Non potrebbe che ritenersi incongruo garantire, sempre e comunque, la prevalenza dell’interesse della massa dei creditori anche nelle ipotesi in cui, a fronte di un vantaggio minimo per questi ultimi, si arrechi uno svantaggio massimo ad altro, e magari più apprezzabile, interesse.
1. L'art. 172 del codice della crisi d’impresa e dell'insolvenza statuisce che «1. Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti al momento in cui è aperta la procedura di liquidazione giudiziale l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del debitore, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. 2. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.3. In caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura.4. In caso di scioglimento del contratto, il contraente ha diritto di far valere nel passivo della liquidazione giudiziale il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno. 5. L'azione di risoluzione del contratto promossa prima dell'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al capo III del presente titolo.6. Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dall'apertura della liquidazione giudiziale. 7. Sono salve le norme speciali in materia di contratti pubblici».
2. Le uniche differenze presenti nella nuova disposizione normativa sono contenute per un verso, nell’ultimo comma, il quale «fa salve le norme speciali in materia di contratti pubblici», e per altro verso nel terzo comma della norma, in base al quale «in caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura»
3. L'art 72 della legge fallimentare, ancora in vigore, prevede che «Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell’art. 72-bis.
In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno. L’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V. Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento. In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente».
4. Anche con riferimento agli artt. 173-192 CCII, le novità introdotte rispetto alle disposizioni ancora vigenti, sono poche e di scarso rilievo. In particolare, al di là della modifica concernente il contratto di affitto di azienda e l’introduzione, nel codice, delle norme volte a regolamentare il rapporto di lavoro subordinato, le altre norme si limitano, invero, a recepire alcuni orientamenti giurisprudenziali, ormai consolidati. Ed, infatti, con riferimento, per esempio, al contratto preliminare, sulla base di quanto statuito dalla Cassazione a sezioni unite, nella sent. 18131/2015, ha statuito con una apposita disposizione, l’art. 173 CCII, che «1. Il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare di vendita immobiliare anche quando il promissario acquirente abbia proposto e trascritto prima dell'apertura della liquidazione giudiziale domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'articolo 2932 del codice civile, ma lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene successivamente accolta. 2. In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, il promissario acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno, e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile, a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data dell'apertura della liquidazione giudiziale. […]» Il suddetto privilegio, subordinatamente all’assolvimento di una particolare forma di pubblicità costitutiva così come previsto dall’ultima parte dell’art. 2745 cod. civ., è sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull’ipoteca, ex art. 2748 cod. civ., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti.
5. In particolare, l'art. 184 CCII statuisce che «1. L'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d'azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L'indennizzo è insinuato al passivo come credito concorsuale. 2. In caso di recesso del curatore e comunque alla scadenza del contratto, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 212, comma 6. 3. In caso di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti dell'affittuario, il curatore può in qualunque tempo, previa autorizzazione del comitato dei creditori, recedere dal contratto, corrispondendo al concedente un equo indennizzo per l'anticipato recesso, che, nel dissenso fra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L'indennizzo è insinuato al passivo come credito concorsuale». In tale direzione, diversamente dall'art. 79 L. Fall., il quale prevede la facoltà di recesso per entrambe le parti, la nuova disposizione garantisce siffatta possibilità solamente al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori. Nell'ipotesi in cui, però, la liquidazione giudiziale riguardi il concedente, la facoltà di recedere deve essere esercitata da quest'ultimo entro il termine di sessanta giorni dall’apertura del concorso, viceversa, nell'ipotesi in cui la liquidazione riguardi l'affittuario, la facoltà di recesso non subisce alcun limite temporale. Ed, ancora, ulteriore differenza concerne la natura non prededucibile dell'indennizzo spettante alla controparte da parte della curatela, in linea con l'obiettivo di alleggerire la procedura dalle forme di prededuzione non indispensabili.
6. Il Codice della crisi, diversamente dalla legge fallimentare, inserisce tre disposizioni, artt. 189- 191, concernenti rispettivamente, i rapporti di lavoro subordinato, il trattamento NaspI e gli effetti del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro. In particolare, in sostanziale continuità con quanto statuito dal codice civile, si statuisce che «L'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento. I rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso [...]».
Per un più puntuale approfondimento si veda D. Campesan, Il licenziamento nella liquidazione giudiziale, Vicenza, 2021
7. Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, riformando, in modo organico, l’intera disciplina delle procedure concorsuali, nasce con due precipui obiettivi, per un verso, permettere di ottenere una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese; per altro verso, tentare di salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che, comunque, vanno incontro alla procedura fallimentare della impresa. Con riferimento ai principi generali interessantissimo il contributo di S. Ambrosini, I "princìpi generali" nel Codice della crisi d'impresa, in www.ilcaso.it.
8. Gli ultimi interventi normativi, compreso, soprattutto, quello in itinere, tentano di fornire una risposta, in termini di maggiore tutela, anche nei confronti dell’integrità aziendale. Questo almeno in linea teorica. L’indirizzo della riforma sarebbe, certamente, quello auspicabile, se non fosse che i riscontri pratici non sono così rassicuranti. Sempre maggiori sono le ipotesi di fallimento e, tra i concordati preventivi omologati, molti sono a carattere liquidatorio. Lungi dall’essere frutto di mere impressioni, queste considerazioni trovano il proprio fondamento nel risultato ottenuto dallo studio effettuato sull’utilizzo del concordato preventivo in Italia il quale, evidenzia come, in realtà, la continuità sia solo una scelta predisposta al livello legislativo ma con scarsa pregnanza pratica [www.molinariandpartners.com]. Da ciò ne consegue che, se l’eliminazione, di fatto, del concordato preventivo liquidatorio, non comporterà un aumento dei concordati in continuità, la spada di Damocle del fallimento, anche se con la denominazione simbolica di liquidazione, potrebbe trovare un utilizzo smisurato. In tale direzione, vi sarà ancora più bisogno di una corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni della sezione quarta, poiché diverranno, tra quelle in tema di rapporti pendenti, le norme maggiormente utilizzate nella prassi.
9. Molte volte si suole fare uso indistintamente degli attributi pendenti e preesistenti. A tal riguardo, si veda P. Celentano, E. Forgillo, (a cura di), Fallimento e concordati. Le soluzioni giudiziali e negoziate delle crisi d’impresa dopo le riforme, Torino, 2008,500 secondo i quali «rapporto pendente sarebbe l’espressione più corretta ed appropriata, rispetto a quella di rapporti giuridici preesistenti, poiché, a rigore, il rapporto potrebbe essere preesistente alla dichiarazione di fallimento, ma non pendente nel senso voluto dal sottosistema degli art. 72-83 bis
10. Con tale espressione non ci si riferisce a rapporti giuridici contrattuali cristallizzati in diritti reali, ormai acquisiti dall’uno o dall’altro contraente. Allo stesso modo, non si fa riferimento a debiti o crediti, derivanti dall’intera o parziale esecuzione dei contratti, da entrambe le parti o da una sola di esse, tali per cui il contratto, che ne costituisce la fonte, rileva soltanto come fatto storico. Con la locuzione rapporti pendenti, al contrario, si intendono i rapporti giuridici intersoggettivi in piena fase di sviluppo, produttivi di diritti e doveri, secondo la causa tipica dei contratti che li hanno generati. Essi, al fine di cristallizzarsi in debiti o crediti, liquidabili come ricavato per il soddisfacimento dei creditori, necessitano di essere regolamentati da regole che ne prevedano l’ulteriore svolgimento o dissolvimento, compatibilmente con lo stato di fallimento di uno dei contraenti, così da realizzare un equo contemperamento dei contrastanti interessi in gioco: del debitore, dei contraenti in bonis e dei creditori concorrenti. In tal senso, C. Fiengo, Commento all’art. 72 L. Fall., in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, artt. 64-123, Milano, 2010,347. Ed, ancora, A. Patti, Nozione di rapporto in corso di esecuzione, in L. Panzani, G. Faucella (a cura di), II fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 2009,307, precisa come «Nella molteplicità di direzione degli effetti del fallimento [...] nel segno di una condizione di generale cristallizzazione, gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti si collocano in una posizione affatto peculiare, tendenzialmente distonica. Ciò è dovuto alla loro particolare caratteristica, di intrinseco dinamismo, suscettibile di un andamento evolutivo produttivo di ulteriori diritti ed obblighi [...]» L’A. prosegue con la definizione dei rapporti giuridici preesistenti, quali « [...] quelli originati da contratti perfezionati nel loro iter formativo, ma non ancora compiutamente eseguiti da entrambe le parti contraenti al momento di apertura della procedura [...] momento rilevante ai fini, da una parte, della preesistenza, in relazione al profilo del sinallagma genetico [...] e, dall’altra, della pendenza, in relazione al profilo del sinallagma funzionale [...]».
11. La pendenza del rapporto presuppone, dunque, la preesistenza del contratto bilaterale e sinallagmatico, concluso e perfezionato, valido ed efficace, ma non interamente eseguito da nessuna parte nel momento in cui la procedura concorsuale è aperta. In tal senso P. Censoni, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009,773; P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008,374; Cass. civ. 19 marzo 2015, n. 5523, in Dir. e Giust., 2015,20.
12. In applicazione del principio generale, sancito dall’art 1186 cod. civ. della decadenza del beneficio del termine, per insolvenza del debitore, anche la legge fallimentare prevede, all’art. 55, che i crediti pecuniari e, ai sensi dell’art. 59, anche non pecuniari si considerano scaduti alla data di dichiarazione del fallimento, sempre, però, ai soli effetti del concorso.
13. Con la dichiarazione di fallimento, infatti, il legislatore fallimentare ha previsto che il corso degli interessi dei crediti pecuniari legali o convenzionali che non siano garantiti da privilegio speciale, pegno o ipoteca (per i quali gli interessi maturano ugualmente ma si collocano in chirografo), sia sospeso fino alla chiusura del fallimento. Quest’ultima ha, però, portata limitata agli effetti del solo concorso e non, anche, al rapporto tra debitore e creditore, poiché quest’ultimo, una volta che sia terminato il fallimento e non sia stata ottenuta l’esdebitazione, da parte del fallito, potrà richiedere il pagamento del credito e degli interessi, compresi quelli maturati nel corso della procedura fallimentare.
14. A. Bonsignori, G. Nardo, M. Lazzara, I contratti nelle procedure concorsuali, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato oggi, Milano, 1992,5 ss.
15. Il primo requisito concerne il corretto perfezionamento del contratto, con il quale si vuole intendere che il contratto sia stato validamente concluso, perché una sua eventuale nullità e conseguente inefficacia che ne possa cagionare l’ineseguibilità, esula dalla disciplina dei rapporti pendenti. Ed, ancora, si suole intendere anche che il contratto abbia concluso il suo iter di formazione benché, in realtà, la dottrina si sia orientata nel senso di estendere analogicamente la normativa dell’art. 72 anche a contratti ancora in corso di formazione o, comunque, a contratti perfezionati, ma dai quali sorga, per una delle parti, l’obbligazione di concludere un nuovo contratto, come nell’ipotesi del contratto preliminare, dell’opzione, del patto di riscatto. A tal riguardo, G. Riusi, I singoli rapporti pendenti alla data del fallimento, in G. Riusi, A. Jorio, A. Maffei Alberti, G. U. Tedeschi (a cura di), Il Fallimento, in W. Bigiavi (diretta da) cit.,565 ss. Il secondo requisito è che il contratto sia opponibile alla massa dei creditori, ossia siano state compiute tutte le formalità richieste dalla legge, affinché esso sia opponibile: scrittura di data certa anteriore alla sentenza di fallimento nei casi previsti dall’art. 2704 cod. civ.; notificazione o accettazione della cessione di credito, trascrizione per gli atti trascrivibili. [Con riferimento a tale presupposto, si veda, tra tante, Cass. civ., 16 novembre 2007, n. 23784, secondo la quale l'opponibilità di una compravendita immobiliare al fallimento del venditore postula che l'atto di trasferimento, non soltanto abbia la data certa, richiesta dall’art. 2704 cod. civ., ma anche che lo stesso sia stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, giacché l’art. 45 L. Fall. esclude espressamente l'efficacia nei confronti dei creditori delle formalità necessarie, per rendere opponibili gli atti ai terzi compiute, dopo la data della dichiarazione di fallimento].Per ultimo, il contratto deve risultare ineseguito o non completamente eseguito alla data della dichiarazione di fallimento, non devono, cioè, essere state eseguite le obbligazioni fondamentali reciproche sorte dal contratto. In tale direzione, il contratto non potrà considerarsi come ineseguito nell’ipotesi in cui uno dei contraenti abbia interamente eseguito le prestazioni a suo carico e residui pertanto un suo diritto di credito nei confronti dell’altra parte. In tale direzione si vedano: L. Guglielmucci, Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti - Artt. 72-83, in F. Bricola, F. Galgano, G. Santini (a cura di) Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma 1979,157; E. Gabrielli, La disciplina generale dei rapporti pendenti, in F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, III, Gli effetti del fallimento, Torino 2014,121; A. Dimundo, A. Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, Milano 1999,30; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova 1988,376; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano 1997, 460 C. Fiengo, Commento all’art 72 L. Fall., in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, artt. 64-123, cit.,346;A. JORIO, I rapporti giuridici pendenti, in S. Ambrosini, G. Cavalli, A. Jorio, Il fallimento, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2009,470; F. Ferrara, A. Borgioli, Il Fallimento, 1974,372 ss. Con riferimento al presupposto dell’esecuzione, in Giurisprudenza si è ritenuto che, nell’ipotesi di fallimento del contribuente, la transazione fiscale, con la quale l’ente impositore aveva concesso una riduzione della somma dovuta e la sua rateazione, non era soggetta alla disciplina dei rapporti pendenti ex art. 72, trattandosi di contratto interamente eseguito, da parte del creditore, con lo scambio dei consensi anteriore alla dichiarazione di fallimento [T. Messina 2. Febbraio 2009, Fall 2009,1481].
16. A tal riguardo, si veda L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2014,118 secondo il quale, l’opponibilità al fallimento è legata all’anteriorità del titolo rispetto alla dichiarazione di fallimento. La data dell’atto, essendo destinata ad essere opposta ai terzi, cioè alla collettività dei creditori concorsuali, deve risultare in modo certo.
17. Ad esempio, il contratto di compravendita, con riserva della proprietà, anche se perfezionato tra le parti, non sarà, in ogni caso, ritenuto opponibile all’intervenuto fallimento del compratore se non risulti da atto scritto avente data certa anteriore alla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento sul registro delle imprese.
18. Sul punto, si vedano S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996,288; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit.,1180; G. De Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1989,168.
19. Cass. civ. 5 settembre 2000, n. 11627, in Fall., 2001,352 secondo la quale, in tema di effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, l’applicazione del comma 2 dell'art. 72 L. Fall. presuppone che il contratto di vendita non sia stato ancora eseguito o compiutamente eseguito da entrambe le parti. Quando, invece, il venditore ha trasferito la proprietà e ha, perciò, già adempiuto la propria prestazione, manca la stessa possibilità d’ipotizzare un subentro del curatore nel contratto per conseguire una prestazione che è stata già conseguita dal fallito e manca anche la possibilità d’ipotizzare un debito di massa correlato al subentro del curatore nel contratto. Se, pertanto, il contratto di vendita è stato interamente eseguito dal venditore nelle sue prestazioni fondamentali, dal contratto residua soltanto un debito che, in caso di fallimento del compratore, il contraente non fallito deve far valere insinuandosi al passivo fallimentare e soggiacendo alla relativa eventuale falcidia.
20. In ordine alla valutazione sulla pendenza del rapporto contrattuale, si è a lungo dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza, se dovessero essere vagliate, al fine dell’esecuzione, le sole obbligazioni principali od anche quelle accessorie eventuali o collaterali. In tale direzione, è, ormai, orientamento consolidato quello secondo cui, ai fini dell’adempimento di un rapporto contrattuale, vengano tenute in considerazione le sole obbligazioni principali. In tal senso, v. Cass. civ. 14. Febbraio 2001, n. 2104, in Fall., 2001, 1335.; F. Aprile, Rilevanza della mancata esecuzione delle obbligazioni accessorie nella disciplina dei rapporti giuridici pendenti, ivi, 1337.
21. Come noto, l’art. 169 bis, nell’ambito del concordato preventivo, statuisce la continuazione automatica dei contratti in corso di esecuzione, facendo salva, però, la possibilità per il debitore di chiedere «che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato, con decreto motivato, sentito l’altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie informazioni, l’autorizzi a scioglierli oppure a sospenderli per un periodo di sessanta giorni, termine prorogabile per una sola volta». Orbene, le diverse espressioni adoperate dal legislatore nell’art. 72 (rapporti pendenti) e nell’art 169 bis (contratti in corso di esecuzione), avevano fatto sorgere una serie di dubbi interpretativi sull’eventuale differente significato da attribuire a queste ultimi. Il legislatore riformatore ha chiarito che, in tutte le procedure, il significato è il medesimo ossia si tratta di rapporti-contratti che, nonostante si siano perfezionati prima dell’apertura della procedura concorsuale, siano ancora ineseguiti o non integralmente eseguiti.
22. In tale categoria, rientrano, precisamente, i contratti che hanno per oggetto i beni specificamente elencati nell’art. 46, i quali, non essendo compresi nel fallimento ed essendo, dunque, estranei alla garanzia patrimoniale del debitore, non sono considerati destinati al soddisfacimento dei creditori concorrenti, di guisa che sono estranei all’ambito di applicazione delle norme sui rapporti pendenti, ma continuano a soggiacere alle regole di diritto comune. Ed, infatti, questi ultimi proseguono con il fallito, con conseguente sua legittimazione attiva e passiva nei giudizi avviati da lui o contro di lui. In tale direzione, in caso di un suo inadempimento, il terzo contraente potrà richiedere la sospensione del contratto o la risoluzione per inadempimento, ai sensi dell’art. 1461 cod. civ. non potendo, al contrario, soddisfarsi sui beni del patrimonio fallimentare, in quanto credito non concorsuale. In tal senso, v. A. Dimundo, A. Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit.,30
23. In questo caso, però, è da rimembrare come il terzo contraente, pagandone il prezzo, se non ancora corrisposto, conservi il diritto di proprietà acquistato ed abbia il diritto alla consegna della cosa, nonostante il fallimento successivo del venditore. Si giunge, alla evidente conclusione dell’assoggettabilità alla regola del concorso dei soli diritti di credito e, viceversa, della esclusione dei diritti reali. È stato, infatti, osservato come non tutti i contratti, ad effetto traslativo, si sottraggano alla disciplina concorsuale, poiché, nell’ipotesi in cui un contratto traslativo sia sottoposto ad una condizione sospensiva e questa si realizzi in un periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, allora si dovrebbe concludere che la pendenza della condizione precluderebbe quel trasferimento del diritto che è elemento necessario ai fini della deroga agli artt. 72 e ss. In tale direzione, si veda C. Fiengo, Sub art. 72 L. Fall., in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, artt. 64-123, cit.,348, secondo il quale «i diritti reali che sono stati già attribuiti prima del fallimento, non solo hanno acquistato una loro definitività, ma, per effetto della attribuzione già perfezionata, hanno già realizzato l’interesse del contraente del rapporto in corso che, pertanto, non dovrà sottostare alla procedura concorsuale, per soddisfare il suo interesse. La ragione della diversa disciplina risiede nella regola generale dell’art. 1376 cod. civ., cui si informa il nostro sistema giuridico che, come è noto, stabilisce in via generale, che nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso legittimamente manifestato. Ne consegue che, se il procedimento negoziale di trasferimento o di costituzione del diritto si è concluso (e la conclusione del contratto coincide con la manifestazione legittima del consenso che non necessita di atti esecutivi, che, al contrario, sono necessari per il pagamento), il sopravvenire del fallimento del venditore non può scalfire l’attribuzione patrimoniale già compiuta, la quale, avendo già raggiunto tutti i suoi effetti che sono sempre attributivi di diritti, non è suscettibile di essere sottoposta al concorso ed alla falcidia fallimentare». In tal senso, B. Inzitari, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori, in F. Di Marzio (a cura di) Contratti in esecuzione e fallimento, Milano, 2007,16 e ss. In tale direzione si era già espresso A. Brunetti, Diritto fallimentare italiano, Roma, 1932,380.
24. Per quanto concerne le altre procedure, l’art. 169 bis, nell’ambito del concordato preventivo, statuisce la continuazione automatica dei contratti, in corso di esecuzione, facendo salva, però, la possibilità per il debitore di chiedere «che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato, con decreto motivato, sentito l’altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie informazioni, l’autorizzi a scioglierli» oppure a sospenderli per un periodo di sessanta giorni, termine prorogabile per una sola volta.
Con riferimento al concordato con continuità aziendale, l’art. 186 bis, facendo salvo quanto stabilito dall’art.169 bis, statuisce che i contratti non si risolvano per effetto dell’apertura della procedura, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, colpendo con l’inefficacia eventuali patti contrari. «L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore, di cui all'articolo 67, ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda, cui i contratti siano trasferiti». Ed, ancora, l’art. 201 L. Fall., il quale, nel prevedere la regolamentazione degli effetti della procedura liquidazione coatta amministrava, rinvia esplicitamente alla sezione quarta della legge fallimentare. Infine, in tema di esercizio provvisorio, l’art. 104, co. 7, L. Fall., dispone che «i contratti pendenti proseguano, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli».
25. Il codice civile del 1865 disciplinava gli effetti del fallimento soltanto agli artt. 1729 e ss. ossia nel caso di fallimento di uno dei soci della società civile e, all’art. 1757, nell’ipotesi di fallimento di una delle parti contrattuali del mandato. Il codice di commercio del 1882 prevedeva la disciplina per singole ipotesi contrattuali, come lo scioglimento della società nell’ipotesi di fallimento del socio in una Snc o del socio accomandatario; la facoltà di recesso anticipato, concessa al curatore nel fallimento del conduttore di immobili. Ed, ancora gli artt. 804-806, i quali statuivano, rispettivamente, nell’ipotesi di fallimento del compratore, la facoltà per il venditore di ritenere (cd, stoppage in transitu) e recuperarne il possesso delle merci, se non ancora giunte al compratore nei suoi magazzini o in altri luoghi di deposito o custodia nonché di farsele consegnare, pagando il prezzo convenuto. Gli artt. 348 e 356 prevedevano lo scioglimento del conto corrente e del mandato nell’ipotesi di fallimento di una delle parti; l’art. 433, nel caso del fallimento dell’assicurato, conferiva all’assicuratore la facoltà di chiedere cauzione o, in alternativa, lo scioglimento del contratto. L’attenzione sulla sorte dei contratti pendenti, in ipotesi di fallimento, fu massima, poiché era palese la sproporzione che il fallimento generasse sulle due parti del rapporto. Ed, infatti, fu proprio la circostanza che il fallimento privasse uno dei due contraenti della possibilità giuridica di adempiere le proprie obbligazioni e mantenesse, invece, inalterata l’obbligazione del contraente in bonis, senza alcuna garanzia di ricevere la controprestazione, a far prevedere già, in questo codice del 1882 che «il contraente in bonis non può essere costretto a eseguire la propria prestazione se, allo stesso tempo, il proprio credito è sottoposto a falcidia fallimentare». In tal senso, si veda V. Andrioli, voce Fallimento (dir. priv.), in Enc. Dir., XVI, Milano,1967,408 Tale principio rimase, però, in sordina nelle prime riforme del codice (quella del 1897, quella proposta dal progetto Mortara del 1906), per, poi, essere ripreso nei successivi progetti di riforma; basti riflettere agli artt. 80-83 del Progetto Bonelli o agli artt. 775-778 del Progetto D’Amelio, i quali prevedevano la possibilità, per il venditore in bonis, di consegnare la cosa ed insinuare al passivo il proprio credito e la facoltà, in capo al curatore, di scegliere tra lo scioglimento e la prosecuzione. Tale regola fu, poi, di nuovo, accantonata nel progetto Asquini, il quale si occupò degli stessi contratti previsti precedentemente, con la sola aggiunta della somministrazione, addivenendo alle stesse soluzioni dell’arresto, della continuazione e dello scioglimento del contratto. Il regio decreto del 1942 così, seppur innovativo rispetto al Codice di commercio del 1882, optò, per singole norme, volte a disciplinare specifici rapporti pendenti così da lasciare privi di regolamentazione i contratti non puntualmente disciplinati e quelli emergenti nella prassi. Nel marzo del 2002 fu presentato dal Governo un disegno di legge, con l’intento di attuare una parziale Riforma urgente (o mini-riforma) della legge. Tale disegno di legge, tuttavia, nella versione iniziale, non prevedeva modifiche di alcun genere alla disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti. Il legislatore, consapevole della frammentarietà e delle lacune presenti nel sistema previsto dagli artt. 72 e seguenti della Legge fallimentare, ha tentato, però, di intervenire più volte. Ed, infatti, sempre all’inizio del 2002 fu istituita dal Governo la c.d. Commissione Trevisanato, con il precipuo compito di predisporre un testo di legge-delega, per una riforma organica della legge fallimentare, testo che, seppur redatto il 20 giugno 2003, trovava al suo fianco un altro progetto, ad esso alternativo, proposto dalla minoranza della medesima Commissione Trevisanato. Entrambi i progetti, per un verso, inserivano la regola generale della sospensione dei rapporti pendenti, con facoltà di scelta rimessa al curatore sul subentro o lo scioglimento e, per altro verso, consentivano deroghe, in base alle caratteristiche o alla complessità di determinati rapporti.
26. L’impianto normativo della Legge Fallimentare del 1942 fu criticato per la sua frammentarietà. Ex multis: A. Luminoso, Effetti del fallimento sui rapporti pendenti, in Giur. Comm., 1987,988; L. Panzani, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 2009,269; P. Pajardi, I. Formaggia, La sorte dei rapporti giuridici pendenti alla dichiarazione di fallimento di una parte: spunti generali di riflessione sulla difficile armonizzazione tra diritto comune e diritto speciale, in Dir. Fall., 1990,12; G. Scanzano, Rapporti giuridici preesistenti e fallimento, in Dir. Fall., 1989,169; R. Vigo, I contratti pendenti non disciplinati nella “legge fallimentare”, Milano, 1989,82.
27. La disciplina dei contratti pendenti, contenuta nella sezione IV, fu criticata già dalla sua rubricazione denominazione Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, la quale fu considerata molto enfatica, ma scarsamente corrispondente alla reale regolamentazione degli effetti ivi compresa. Ed, infatti, tale sezione, anziché contenere una disciplina organica degli ipotizzati rapporti giuridici, raggruppava norme frammentarie, scarsamente coordinate e notevolmente lacunose, le quali, molto modestamente, si limitavano a regolare distintamente alcuni specifici rapporti, trascurandone, invece, molti altri di pur notevole importanza e neppure tentando un regolamento organico e sistematico della materia. In tal guisa, per porre rimedio alla lacunosità e frammentarietà del quadro normativo, la dottrina e la giurisprudenza dovettero ricorrere, molto frequentemente, all’analogia o ai principi generali dell’ordinamento giuridico sia per la non facile ricerca delle regole applicabili ai contratti non disciplinati positivamente, ricavandole dalle norme positive regolatrici di figure contrattuali contenute nella legge fallimentare, fondate sulla stessa ratio; sia per elaborare il concetto di rapporto giuridico preesistente ad esse sotteso ed una regola generalmente applicabile. Quest’ultima fu rinvenuta nell’art. 72, per come prima formulato, il quale, in precedenza, disciplinava solamente le sorti del contratto di compravendita. Tale disposizione fu ritenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza espressione di un principio generale circa gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, costituiti da prestazioni corrispettive non eseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti. Cosicché, la regola generale divenne quella della sospensione dell’esecuzione del contratto, fino a quando il curatore, debitamente autorizzato, optava per il suo subentro o per il suo scioglimento. Tra molti si veda E. Gabrielli, La disciplina generale dei rapporti pendenti, in F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, III, Gli effetti del fallimento, cit.,121 e ss.
28. La regolamentazione per tipi, senza la presenza di una regola generale, fu ritenuta una diretta conseguenza dell’influenza del diritto francese, il quale, a differenza di quello tedesco, regolamenta le sorti di singoli specifici contratti.
29. A. De Martini, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, 365, il quale, a proposito degli artt. 72 ss., pone in evidenza una certa inesperienza del legislatore nel regolamentare questa delicata materia; L. Guglielmucci, I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, Padova, 2006, 4; V. Andrioli, voce Fallimento, cit.,410. Secondo quest’ultimo, basterebbe confrontare l’elenco dei contratti, disciplinati dalla legge fallimentare, con quello presente nel codice civile, per comprendere in qual misura sia lacunosa la disciplina della legge fallimentare. Essa non ha considerato rapporti di larghissimo impiego come la locazione di beni mobili, il trasporto, i contratti bancari, la permuta, la cessione dei beni ai creditori, ecc., non facendo alcun cenno alla sempre più vasta massa di contratti atipici.
30. Si veda Cass. civ. 5 febbraio 1980, n. 799, in Giur. Comm., 1980,667, secondo la quale l’art. 72 L. Fall. doveva essere considerato esclusivamente una norma di chiusura, applicabile nell’ipotesi in cui non fosse possibile un qualsiasi accostamento analogico con le fattispecie contrattuali disciplinate dalla legge fallimentare.
31. In tal senso, v. Cass. civ. 5 febbraio 1980, n. 799, in Fall. 1981,65; Cass., Sez. Un., 22 maggio 1996, n. 4715 in Giur. it. 1997,1599; Cass. civ. 9 aprile 2003, n. 5552, in Fall. 2003,1118
32. A tal riguardo, G. De Ferra, Manuale di diritto fallimentare, cit.,185; F. Ferrara, A. Borgioli, Fallimento, cit.,350.
33. In realtà, la ratio delle norme che prevedevano lo scioglimento automatico di taluni contratti, era individuata, alcune volte, nel contrasto tra la normativa contrattuale e le esigenze del procedimento fallimentare; altre volte, nel carattere determinante delle qualità personali del contraente fallito oppure nelle esigenze di tutela del fallito o del terzo contraente in bonis. In tale direzione, il numero dei contratti che si scioglievano ope legis, era piuttosto esiguo, perché la maggior parte di essi era compatibile col fallimento e poteva continuare col curatore del fallimento. Poteva differire solo il meccanismo della loro acquisizione, perché alcuni contratti continuavano con il curatore, che vi subentrava automaticamente nella posizione del contraente fallito; altri, invece, entravano in uno stato di sospensione che perdurava fino a quando il curatore non dichiarava di subentrarvi, in luogo del fallito, assumendo, a carico dell’amministrazione fallimentare, tutti i relativi obblighi oppure di sciogliersi dal rapporto. Le norme che prevedevano, invece, il subentro ex lege del curatore in certi rapporti, rientravano coerentemente nel sistema della sostituzione fallimentare, perché riguardavano i contratti dai quali derivavano, a favore del contraente in bonis, diritti che l’amministrazione fallimentare avrebbe dovuto, comunque, rispettare oppure prestazioni che attribuivano al fallito il diritto ad una controprestazione valutata ex lege utile per i creditori
34. L’applicazione analogica delle disposizioni, presenti nella sezione quarta delle legge fallimentare, anche se utile nella misura in cui consentiva di ricavare, alla meglio, il regime di rapporti giuridici, privi di una specifica disciplina o perché semplicemente trascurati dal legislatore o perché non ancora conosciuti, era tuttavia insoddisfacente, non solo in quanto insicura per la mancanza di un appiglio testuale e gravemente lesiva del principio della certezza del diritto, ma anche per la sua inidoneità a colmare le lacune di un tessuto normativo disorganico.
35. Ex multis, Cass. civ. 25 febbraio 2002, n. 2754, in Fall., 2003,39; Cass., Sez. Un., 22 maggio 1996, n.4715, in Il Fall. 1997, 30. Tra le sentenze di merito: Trib. Torino, 7 marzo 1985, in Fall., 1985,791; Trib. Bologna, 22 gennaio 1991, in Fall, 1991,529. In Dottrina si vedano : G. Cottino, Effetti del fallimento sulla vendita e contratti affini in corso di esecuzione, in Dir. Fall., 1964,361; S. Bonfatti, P. F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2004,144; A. Jorio, Le crisi d’impresa, il Fallimento, Milano, 2000,508; F. Cintioli, Esecuzione specifica di contrarre, fallimento e garanzie del venditore, in Fall., 1997,423; G. C. Bibolino, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in G. Lo Cascio ( a cura di), AA.VV., Diritto Fallimentare, Milano, 1996, 717
36. Il Legislatore, spinto dalle difficoltà incontrate nella pratica e dalle critiche che gli furono mosse dalla dottrina, sulla base di una ulteriore delega prevista dall’art. 1, comma 3, l. 12 luglio 2006, n. 228, è intervenuto con una revisione complessiva della normativa approvata, cosicché, attraverso il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 recante Disposizioni integrative e correttive del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi, 5, 5-bis e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80 (c.d. decreto correttivo), ha aggiunto disposizioni integrative e correttive all’intera sezione, con una portata innovatrice assai rilevante, poiché ha provveduto a novellare gli artt. 72, 72-bis, 72- quater, 73, 74, 79, 80 e 80-bis.
37. La legge delega n. 80, del 14 maggio 2005, impegnava il Governo a modificarne la disciplina, da una parte «ampliando i termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti» e, dall’altra parte, «prevedendo una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare e per i contratti di locazione finanziaria».
In tale direzione, nel 2005 furono elaborati due diversi progetti. Il primo, cd. progetto Vietti, che ricalcava pedissequamente il disegno di legge Caruso e che prevedeva l’ampliamento da otto a sessanta dei giorni, previsti dall'art. 72, comma terzo, per l’esercizio del potere di scelta del curatore, dopo la messa in mora da parte del contraente in bonis; l’articolo 76 bis, concernente gli effetti sui finanziamenti ad uno specifico affare; l’articolo 83 bis, riferito alla locazione finanziaria. Tale progetto prevedeva, altresì, l’introduzione di una norma generale, volta a disciplinare tutti i rapporti pendenti ossia l’articolo 83 ter. Il secondo, c.d. bozza Giuliano, invece, in stretta ottemperanza di quanto stabilito dalla legge delega, si limitava a prevedere una novellazione della sezione IV della legge fallimentare ossia la modifica di otto articoli già presenti e l’introduzione di cinque nuovi. Quest’ultimo, con qualche lieve modifica, fu il testo della riforma approvato attraverso il D.lgs. 9 gennaio 2006, n.5.
38. Nel febbraio del 2004, fu istituita un’ulteriore Commissione con l’incarico di predisporre un progetto di legge sulla disciplina integrale di una nuova legge fallimentare, progetto che si rilevò anch’esso infruttuoso, ma che appare interessante per lo spazio destinato alla materia che qui ci interessa. Ed, infatti, quest’ultimo, non solamente, dedicava un intero capo, artt. 119-130, ai rapporti giuridici pendenti, ma, soprattutto, proprio l’art 119 accoglieva la regola della sospensione del rapporto, con facoltà, da parte del curatore, di scegliere tra l’esecuzione e lo scioglimento; prevedeva, inoltre, la facoltà del contraente in bonis di mettere in mora il curatore, al fine di provocare lo scioglimento del rapporto medesimo ed escludeva il suo diritto ad ottenere il risarcimento del danno, in caso di scioglimento. Ed, ancora, negli artt. 120 e 121 erano elencati i contratti soggetti alla prosecuzione automatica con gli organi della procedura e quelli che, invece, erano sottoposti allo scioglimento automatico; erano previste regole specifiche per alcune fattispecie contrattuali, in parte già disciplinate nella vigente legge fallimentare, come, ad esempio, per la vendita, la vendita a rate e a consegne ripartite, la somministrazione, l’appalto; erano introdotte altre disposizioni specifiche per l’affitto di azienda, il contratto di lavoro subordinato, la clausola arbitrale ed il compromesso; ed, infine, come norma di chiusura del capo, si stabiliva, all’art 130, la preminenza di dette regole sulle disposizioni inserite in leggi speciali, applicabili solo in quanto compatibili con l’art. 119. Come sopra anticipato, il testo presentato nella legge delega del 14 maggio 2005, n. 80, però, fu sostanzialmente diverso.
39. P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 776.
40. Cass. civ., 9 aprile 2003, n. 5552 in Fall., 2004,511; Cass. civ., 25 febbraio 2002, n. 2754, ivi, 2003, 39.
41. Tale formulazione fu da molti criticata, poiché inidonea a ricomprendere tutte le regole speciali derogatorie dell’art. 72 L. Fall.. Basti pensare alle disposizioni in tema di contratti individuali di lavoro, artt. 2119 cod. civ.; di contratti di società, artt. 2288, c. 1, cod. civ; 2308, cod. civ; 2448, ultimo comma, cod. civ, nel testo anteriore alla riforma societaria ed ancora alle disposizioni sulla rendita perpetua e vitalizia, collocate nell’art. 60 della stessa legge fallimentare. Ed, ancora, contratti la cui disciplina si rinviene in altri testi normativi: la cessione dei crediti di impresa art. 7, commi 2 e 3 della l. 21 febbraio 1991, n. 52; il contratto di edizione art. 135 della legge 22 aprile 1941, n. 633; l’appalto pubblico: d.lgs. 163/2006. Cosicché, tale inciso è stato interpretato estensivamente, nel senso di ricomprendere tutte le diverse disposizioni contenute in altre ripartizioni della legge fallimentare o in qualsiasi altro testo normativo.
42. Tra i contratti soggetti allo scioglimento automatico rientrano: art. 72 ter, il contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare, nel caso in cui il fallimento della società impedisca la realizzazione o la continuazione dell’operazione finanziaria; art. 76, il contratto di borsa a termine, se il termine scade successivamente alla dichiarazione di fallimento di una parte; art. 77, Associazione in partecipazione, nel caso di fallimento dell’associante; art. 78, il contratto di conto corrente, contratto di commissione e contratto di mandato nell’ipotesi di fallimento del mandatario; art. 81, il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di voler subentrare nel rapporto: dandone comunicazione all’altra parte nel termine di 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento; offrendo idonee garanzie. In forza delle disposizioni contenute nel codice civile: nella società semplice, art. 2288 il quale prevede «È escluso di diritto il socio che sia dichiarato fallito»; nella società in nome collettivo, art. 2308, secondo il quale «La società si scioglie, oltre che per le cause indicate dall'articolo 2272, per provvedimento dell'autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge, e, salvo che abbia per oggetto un'attività non commerciale, per la dichiarazione di fallimento». Per quanto concerne le società di capitali, dopo la riforma, l’art. 2484 non prevede più il fallimento tra le cause di scioglimento e liquidazione delle società per azioni, a responsabilità limitata ed in accomandita per azioni.
43. Tra i contratti soggetti alla continuazione automatica rientrano: art. 79, contratto di affitto di azienda; art. 80, contratto di locazione; art. 82, contratto di assicurazione, nel caso di fallimento dell’assicurato; art. 83, contratto di edizione, nel caso di fallimento dell’autore. In subordine: art. 73, vendita con riserva di proprietà, nell’ipotesi di fallimento del venditore; art. 72 ter, contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare, nel caso in cui il fallimento della società non impedisca la realizzazione o la continuazione dell’operazione finanziaria.
44. Tra i contratti soggetti alla sospensione rientrano: art. 72, co. 3, Contratto preliminare; art. 72-bis Contratti relativi ad immobili da costruire; art. 73 Vendita con riserva di proprietà, nell’ipotesi di fallimento del compratore; art. 74 Contratti ad esecuzione continuata o periodica; art. 72 quater Contratto di locazione finanziaria, nel caso di fallimento dell’utilizzatore. In subordine: art. 76 Contratto di borsa a termine, se il termine scade prima della dichiarazione di fallimento di una parte; art. 78 Contratto di mandato nell’ipotesi di fallimento del mandante; art. 75 Restituzione di cose non pagate. Tale norma -prevedendo la possibilità per il venditore di recuperare la cosa anche in seguito al suo trasferimento-, si pone in netto contrasto con l’art.72 il quale prevede la sospensione dei rapporti pendenti «Salvo che nei contratti ad effetti reali non sia già avvenuto il trasferimento del diritto».
45. La sospensione è uno strumento predisposto nell’interesse della procedura fallimentare, poiché è volto ad assicurare al curatore un arco di tempo sufficiente ad effettuare una scelta ponderata tra il subentro e lo scioglimento del contratto o anche di non scegliere e di lasciare il rapporto in stato di sospensione. In tale direzione, D. Vattermoli, Rapporti pendenti, in A. Nigro, M. Sandulli ( a cura di) La Riforma della legge fallimentare, Torino, 2006,417; E. Gabrielli, La disciplina generale dei rapporti pendenti, in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, III, Gli effetti del fallimento, cit.,133 e ss.
46. La scelta, operata dal curatore, non deve rivestire una forma particolare potendo essere effettuata attraverso una dichiarazione espressa, scritta oppure orale, ma può essere anche tacita ossia manifestata per fatti concludenti. In tal senso v. Cass. civ., 25 agosto 2004, n.16860, in Giust. civ. Mass. 2004,7-8; Cass. civ., 9 luglio 2008, n. 18834, in Giust. civ. Mass. 2008,1115; Cass. civ., 3 settembre 2010, n. 19035, in Giust. civ. Mass. 2010,1210; Cass. civ. 2 dicembre 2011 n. 25876, in Giust. civ. Mass. 2011,1724, secondo la quale l’esercizio, da parte del curatore, della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell'art. 72 L. Fall. (nel testo, vigente anteriore alle modifiche introdotte dal D.lg. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale né un atto di straordinaria amministrazione e, dunque, non ricorrendo la necessità dell'autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore. Ne consegue che, una volta manifestata da parte del curatore, la volontà di subentrare nel contratto, viene meno la facoltà di scioglimento prevista dall'art. 72 Legge Fallimentare; pertanto il promissario acquirente, cui quella dichiarazione sia stata rivolta, può pretendere l'esecuzione del contratto stesso da parte della curatela, la quale subentra nelle obbligazioni del promittente venditore fallito. Ed, ancora, Cass. civ. 15 gennaio 2013 n. 787, in Fall 2013,1312, secondo la quale, posto che l'esercizio, da parte del curatore, della facoltà di scelta tra lo scioglimento od il subingresso nel contratto preliminare di vendita, ai sensi dell'art. 72 L. Fall. (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal D.lg. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti non essendo necessario un negozio formale né un atto di straordinaria amministrazione, trattandosi di una prerogativa discrezionale del medesimo curatore, la proposizione, ad opera di quest'ultimo, di un atto di appello avverso la pronuncia di primo grado che invece, statuisce il trasferimento coattivo, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., poiché involge il conferimento di un mandato alle liti ad hoc, costituisce idonea manifestazione, anche in assenza di una sua specifica sottoscrizione sull'atto con cui il gravame è concretamente formulato, della sua volontà di sciogliersi dal menzionato contratto.
47. Rientrano, in tale categoria, da una parte, quei rapporti in cui l’amministrazione fallimentare non ha alcun interesse a subentrarvi, in quanto la prestazione, oggetto del contratto, non potrebbe essere acquisita al fallimento, come, ad esempio, il contratto con un albergatore per un soggiorno turistico; dall’altra, vengono esclusi i contratti in cui l’amministrazione fallimentare non può subentrare, come, ad esempio, i contratti di lavoro, quelli di prestazione d’opera e, in generale, tutti quelli attraverso cui il fallito, in cambio di un corrispettivo, presta la propria attività personale, intesa, non solo in senso tecnico di rapporti indisponibili, ma anche rapporti patrimoniali, finalizzati alla soddisfazione di esigenze della persona del fallito. Risulterebbe, infatti, senza senso riconoscere al fallito il diritto di procurarsi i mezzi necessari al suo sostentamento e a quello della sua famiglia e poi legittimare, allo stesso tempo, il curatore a subentrare in quei contratti che rendano effettivamente realizzabile il diritto garantito.
48. L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit. 137-138. In tal guisa, l’A. afferma: « Muovendo dalla premessa che non sono compresi nel fallimento i guadagni del fallito, nei limiti in cui sono necessari al mantenimento suo e della sua famiglia, perché il fallito può ottenere un assegno alimentare, ove versi in stato di bisogno, si deve necessariamente pervenire alla conseguenza che può, liberamente, disporre del denaro, così guadagnato o conseguito, per soddisfare quelle esigenze, in relazione alle quali i guadagni sono stati lasciati nella sua disponibilità o l’assegno alimentare è stato concesso: il fallito può, quindi, efficacemente pagare il prezzo dei beni acquistati per il sostentamento suo e della sua famiglia, il prezzo degli strumenti necessari all’esercizio della professione o dell’arte cui si dedica, il canone di locazione dell’appartamento in cui abita, il corrispettivo della somministrazione dell’energia elettrica, gas ed acqua potabile per l’abitazione, l’onorario del medico e il prezzo delle medicine, ecc. Il fallito, per contro, non può adempiere efficacemente gli altri contratti: non può, quindi, corrispondere i premi del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi, pagare l’albergatore per trascorrere le sue vacanze al mare o montagna o altrove, l’onorario per un intervento di chirurgia estetica, ecc.; ove procedesse a siffatti pagamenti, essi sarebbero inefficaci, ai sensi dell’art. 44 L. Fall.»
49.Tra i contratti che proseguono con il fallito, si è soliti distinguere da una parte, quelli in cui l’amministrazione fallimentare non può subentrare, ad esempio, i contratti diretti al soddisfacimento di bisogni essenziali della vita del fallito e della sua famiglia; dall’altra, quelli in cui l’amministrazione fallimentare non abbia interesse alla prosecuzione del rapporto, ad esempio, quei contratti la cui prestazione non potrebbe essere acquisita o utilmente acquisita al fallimento. La differenza tra queste due tipologie di rapporto si concretizza nella possibilità o meno da parte del fallito di poter adempiere al contratto: nella prima categoria, il fallito potrà efficacemente adempiere; nella seconda, invece, non è prevista tale facoltà. Ciò nonostante essi non si sciolgono ex lege, atteso che potrebbero essere adempiuti da un terzo in luogo del fallito. Vedi L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 137.
50. L’esecuzione individuale rinviene la propria ragione giustificativa nel rapporto obbligatorio inteso dal punto di vista funzionale e non già strutturale. Come noto, la definizione di obbligazione come Obligatio est iuris vinculum quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura, appare per la prima volta nelle istituzioni di Giustiniano ed è comunemente attribuita al giurista Florentino. È, però, ai giusnaturalisti ma, soprattutto, alla scuola storica del diritto e alla pandettistica tedesca [F.C. Von Savigny, Das Obligationenrecht, Berlin 1951-1853 in A.Di Majo, Obbligazioni e contratti, Roma, 1978, 13 e ss..] che va il merito di aver concettualizzato l’obbligazione per come oggi essa è intesa, scevra, cioè, da ogni genere di condizionamento soggettivo ed oggettivo. In tale direzione, si arriva alla nozione di rapporto obbligatorio, inteso come rapporto materiale, staccato dal soggetto obbligato sia in quanto persona sia in quanto soggetto tenuto ad eseguire l’atto prestazione e collegato, invece, ai beni di sua proprietà e, dunque, al suo patrimonio. In tale direzione, con rifermento al rapporto obbligatorio, si possono distinguere diverse teorie. Vi sono quelle patrimoniali che, alla stregua di un diritto reale considerano l’obbligazione come diritto su una o più cose; assoggettamento del patrimonio del debitore all’attuazione coattiva, al dover ricevere, da parte del creditore [Per tutti si veda R. Nicoló, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, pag 77 e ss..]. Secondo tale impostazione, il soggetto creditore si troverebbe in una situazione di aspettativa della prestazione tutelata dal patrimonio del debitore. Al contrario, per le teorie personali, la condotta del debitore e, dunque, la prestazione, sarebbe l’unico oggetto del rapporto obbligatorio. A sua volta, però, oggetto della prestazione è il bene dovuto. In tale direzione, si giunge nuovamente, seppur in modo mediato, al bene dovuto. [Per tutti si veda M. Giorgianni, L’obbligazione: la parte generale delle obbligazioni, Milano, 1968, 234 e ss.]. I fautori delle teorie personali, dunque, considerano il diritto di credito come un vero e proprio diritto soggettivo del creditore ad ottenere (e si realizza in tal modo il suo interesse) la prestazione dal soggetto debitore. È proprio a tal riguardo che si inserisce il dibattito sulla responsabilità patrimoniale, cioè, se quest’ultima, debba essere considerata un elemento strutturale dell’obbligazione oppure un suo elemento esterno. Sotto l’influenza della dottrina tedesca [K. Amira, Nordgermanisches Obligationenrecht, Leipzig, 1882; A. Brinz, Obligatio und Haftung, in Archiv für die civilistiche Praxis, 1886, 371 e ss.; C. Gangi, Debito e responsabilità. Riassunto e valutazione critica della dottrina tedesca, in Studi sassaresi, 1921,178 ss., il quale ricorda che la bipartizione del concetto di obbligazione fu proposta, per la prima volta, proprio dal BRINZ, nell’ambito del diritto romano; poi sostenuta, nell’ambito del diritto greco e nel diritto assiro-babilonese], la quale reputa elementi dell’obbligazione il debito e la responsabilità. Le teorie patrimoniali ritengono che la responsabilità sia certamente da collegare all’obbligazione e motivano un tale assunto, attraverso l’esempio di quelle obbligazioni, in cui vi sia la responsabilità, ma non il debito come, ad esempio, l’ipoteca per debito altrui oppure, mediante quelle forme obbligatorie in cui vi sia il debito, ma non la responsabilità, come nell’ipotesi di un’obbligazione naturale. L’esistenza di obbligazioni, senza debito o senza responsabilità, indurrebbero a far ritenere entrambi come elementi essenziali dell’obbligazione e di uguale importanza. In tal senso si veda V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in P.Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, cit.,490 ss.. In tal guisa, per il creditore la soddisfazione potrebbe avvenire integralmente anche con il risarcimento del danno e, non solamente, con la prestazione originale In tale direzione, E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit.,32 e ss., secondo il quale il diritto di credito del rapporto obbligatorio si configurerebbe alla stregua di un’aspettativa, indirizzata al soddisfacimento dell’interesse creditorio, attraverso l’adempimento della prestazione da parte del debitore. Tale aspettativa sarebbe strutturalmente collegata alla responsabilità e, conseguentemente, all’esecuzione forzata, ossia al mezzo, attraverso il quale, l’interesse è realizzato in ipotesi di inadempimento.
51. Si giunse così alla comune opinione che considera il rapporto obbligatorio costituito dall’interesse creditorio e dalla prestazione del debitore, quale mezzo per la soddisfazione di quest’ultimo. In tale direzione, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007,557, il quale afferma che «ogniqualvolta nasca un’obbligazione si è in presenza di un vincolo giuridico che impone ad un determinato soggetto (debitore) di tenere un dato comportamento(adempiere cioè una prestazione) al fine di soddisfare un interesse proprio di altra persona determinata (il creditore)»; M. Giorgianni, L’obbligazione: la parte generale delle obbligazioni, cit.,58; E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 54 e ss. Ed, ancora, C. M. Bianca, Diritto civile, vol. 4, L’obbligazione, cit.,1 e ss., secondo il quale l’obbligazione è lo specifico dovere giuridico, in forza del quale un soggetto, il debitore è tenuto ad una prestazione patrimoniale, per soddisfare l’interesse di un altro soggetto, il creditore. Tale assunto trova il proprio fondamento nell’art. 1174 c.c., il quale, statuendo che la prestazione del debitore debba corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore, non fa altro che concettualizzare l'obbligazione. È proprio questo vincolo del debitore alla prestazione che addurrebbe una giustificazione allo spostamento di ricchezza dal debitore al creditore. Conseguentemente, nell’ipotesi di mancato adempimento, troverebbe una sua giustificazione la possibilità di ricorrere alla coercibilità predisposta dall’ordinamento, il quale all’inadempimento del debitore e, conseguentemente, all’insoddisfazione dell’interesse creditorio, sottopone il debitore, non più all’atavica usanza di rispondere con il proprio corpo [S. Romano, Sull’arresto personale per debiti, in Riv. Dir. Proc. 1937,175 e ss.; E. Allorio, Arresto per debiti e novità di domanda, in Riv. Dir. Proc. 1937,307], ma alle esecuzioni forzate o coattive del proprio patrimonio. In tal senso, si vedano A. Di Majo, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967; M. A. Cattaneo, Diritto e forza, Padova, 2005; S. Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935; E. Grambiata, Il concorso di creditori nell’espropriazione singolare, Milano, 1938, 11, secondo il quale esecuzione e coazione non possono essere considerati separatamente, poiché non potrebbe esistere esecuzione, senza un potere coattivo che imponga al soggetto obbligato l’esecuzione. È proprio attraverso «il braccio secolare dell’obbligazione» che si garantisce al creditore di realizzare forzosamente il suo credito [A. Di Majo, Responsabilità e patrimonio, Torino, 2005,38].
52. Al fine di evitare di incorrere in quella precomprensione del fenomeno che non ne permetta la vera analisi e conoscenza, è necessario limitarsi a quella precomprensione positiva tanto cara a Gadamer. In tale senso, si veda H.G. Gadamer, Wahrheit und methode. Grundzuge einer philosophischen hermeneutik, 2 ed. Tübingen, 1965, trad. it. G. Vattimo (a cura di), Verità e metodo, Milano, 1972
53. Esser ribadisce che è compito del giudice realizzare lo scopo del diritto, attraverso un riferimento ai criteri prepositivi di un ordinamento giusto, i quali condizionano la pretesa di un ordinamento di essere chiamato diritto. È in tale direzione che sono necessari, come requisiti, la compatibilità con l’ordinamento giuridico positivo, la quale, però, non è sufficiente, poiché deve sussistere anche una rispondenza alle giustificate ragionevoli attese sociali, nel senso che è in nome del popolo che si amministra la giustizia. L’applicazione della legge non può consistere in un mero arbitrio, ma deve configurarsi come una sorta di perfezionamento creativo della stessa, poiché essa è vincolante per tutti ed, almeno idealmente, ogni cittadino dovrebbe essere in grado di prevedere le decisioni del giudice che lo riguardano.
54. Più che ricognitiva, normativa e riproduttiva, è l’applicazione il vero e proprio momento costitutivo dell’interpretazione, poiché in un sistema in cui la volontà sovrana è al di sopra di tutto, non ci può essere, in senso stretto, alcuna ermeneutica giuridica; il compito di comprendere ed interpretare si dà solamente, laddove qualcosa sia statuito in modo da valere obbligatoriamente come legge. In tal senso, si vedano H.G. Gadamer, Wahrheit und methode. Grundzuge einer philosophisc hen hermeneutik, cit.,681; E. Betti, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1990,318 e ss. L’A. ha il grande merito di traslare l´ermeneutica tedesca ai principi giuridici. Egli rivendica la necessità della funzione integrativa (ma non evolutiva) dei concetti della dogmatica odierna nella ricostruzione storica. Benedetto Croce a tal proposito diceva che «grazie alla continuità tra la creatività inconsapevole del passato (le cose) e la sua autocoscienza sistematica nel presente (i nomi), vi sia una differenza solo di grado tra l’interpretazione storiografica e quella del diritto vigente». Si tratta di teorie estremamente innovative per il tempo e, dunque, è questa la ragione per cui probabilmente non furono immediatamente accettate e condivise. Betti pone l´esigenza di un’ermeneutica oggettiva proprio nel momento in cui la cosiddetta ermeneutica ontologica, accomunando ogni metodologia al formalismo positivistico, degradava tale esigenza a ingenuo pregiudizio scientifico. Questo principio è alla base del colossale equivoco che porta a considerare quello tra l’ermeneutica metodica di Betti e l’ermeneutica ontologica d’ispirazione heideggeriana un confronto fra una metodologia e una filosofia anziché, come si dovrebbe, tra due filosofie e ontologie molto diverse, fondate la prima sull’idea che i fenomeni storici siano comprensibili in quanto spirito oggettivato solo in virtù di una almeno relativa presa di distanza, la seconda su una storia dell’essere (linguaggio) cui comunque si apparterrebbe e nella quale il passato sarebbe già sempre mediato col presente. L’ermeneutica bettiana non è, dunque, meno filosofica di quella esistenzialistico-metodica con cui si confronta e alla quale reagisce con indignazione, rinvenendovi, estremizzato però in senso soggettivistico e relativistico, il proprio corretto richiamo all’attualità del comprendere. Betti è l´artefice della cosiddetta ermeneutica differenziale. L’interpretazione dev’essere rigorosamente distinta, anzitutto, dalla successiva comprensione ma, poi, anche, dalla creazione di forme, dallo spiegare causalistico, dalla semiotica. Respingere l’intendere come procedimento epistemologicamente valido e l’intendersene come competenza disponibile e più persuasiva che non epistemologicamente valida. Egli riprende l’antica distinzione tra subtilitas intelligendi, explicandi e adplicandi, tra tre tipi di interpretazione e si pone in automatico contrasto alla nuova ermeneutica, secondo cui ogni interpretazione è applicazione, per di più ad esigenze non sociali ma esistenziali e personali. Conscio del pericolo del relativismo, Betti si appella all’osservanza di quattro canoni fondamentali: l’autonomia ermeneutica dell’oggetto, ottenibile grazie al controllo della peraltro necessaria soggettività dell’interprete; la totalità, cioè la reciproca illuminazione delle parti e della totalità (linguistica, psicologica e dell’epoca, tecnica); l’attualità dell’intendere, che, pur necessaria perché si generi un interesse ermeneutico, non deve sfociare in una prospettiva distorta e anacronistica; l’adeguazione dell’intendere, secondo cui occorre essere (o farsi) congeniali a ciò che s’interpreta, dotandosi della prospettiva giusta e più favorevole. Si tratta di canoni sia epistemologici sia etici, che, per la loro evidente interferenza, non vanno osservati unilateralmente ma solamente nel loro condizionamento reciproco e magari variamente accentuati a seconda degli oggetti e delle necessità storiche. Quella di Betti non è una variante psicologica, ma, un’euristica tecnico-morfologica in funzione storica, la struttura oggettiva delle forme rappresentative (esemplarmente: non la volontà del legislatore ma la ratio iuris), la logica cioè con cui esse risolvono i loro problemi immanenti. La soggettività di Betti è la comunicazione tra lo spirito insito nelle forme rappresentative e quello interpretante. Betti considera oggetto dell’ermeneutica non tanto la quaestio facti, ciò che sempre accade (secondo l'ermeneutica ontologica l'imprescindibilità dei giudizi e il fraintendimento), quanto piuttosto la quaestio iuris, e cioè forme di comprensione epistemologicamente garantite e che non si esauriscono nell’incontrollata riflessione esistenziale sulle proprie strutture conoscitive.
55. Al venditore, si diceva, non potrebbe essere addossato l’onere di dare la cosa compravenduta e di non ricevere, però, l’originario corrispettivo pattuito, ma solo una frazione di esso, secondo le regole del concorso. Egli, infatti, nelle precedenti formulazione dell’art. 72, subiva un trattamento differenziato e di sfavore rispetto a quello accordato dalla legge al curatore, il quale, in ragione della regola del concorso, poteva avvantaggiarsi dell’adempimento della prestazione da parte del contraente in bonis, costringendolo a subire la falcidia collegata alla singola procedura. Si vedano al riguardo G. Bonelli, Del fallimento, cit.,9; S. Satta, Diritto fallimentare, cit.,273.
56. La ratio dell’istituto della sospensione è stata rintracciata nel corrispondente istituto civilistico inadìmplenti non est adimplendum, secondo il quale, se è vero che il curatore non potesse essere obbligato ad eseguire o, comunque, a proseguire l’adempimento dei contratti pendenti, è, altresì, vero che il contraente in bonis non poteva essere costretto a dare esecuzione ad un contratto il cui effetto, sul piano della corrispettività, si sarebbe potuto realizzare soltanto secondo la legge del concorso. In tale direzione si veda G. BONELLI, Del fallimento, cit.
57. L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 122. Diversamente vedi F. Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 2002, 79 ss., anche se con rifermento alla formulazione precedente delle norme sui rapporti pendenti. Secondo Vassalli, in realtà, il contraente in bonis, ancorché essere svantaggiato nei confronti del curatore, risulterebbe favorito rispetto agli altri creditori concorrenti, venendosi a trovare in una posizione di forza.
58. Sul carattere speciale della sospensione rispetto alle eccezioni di cui agli artt. 1460 e 1461 cod. civ. si vedano A. Dimundo, A. Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit.,93; L. Guglielmucci, I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, Padova, 2006,13; E. Gabrielli, La disciplina generale dei rapporti pendenti, in F. Vassalli, F.P.Luiso, E.Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, cit. 138 e ss. secondo il quale la tutela della funzionalità del sinallagma è stata considerata costantemente in grado di giustificare il senso della disciplina. Ed, ancora, B. Meoli-S. Sica, Effetti sui rapporti, in Tratt. di Dir. Fall., 2010,493, secondo il quale se è vero che la sospensione, prevista dall’art. 72 L. Fall. può essere ritenuta l’equivalente, dal punto di vista funzionale della tutela del contraente in bonis che non abbia ancora eseguito la sua prestazione, dei rimedi civilistici dell’eccezione di inadempimento e della sospensione dell’esecuzione per il sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente; è, altresì, vero che si differenzia, però, da questi ultimi, in primis, perché l’effetto sospensivo del rapporto consegue automaticamente alla dichiarazione di fallimento, in secundis perché al contraente in bonis, in seguito alla riformulazione dell’art. 72 L. Fall., non è più consentito adempiere la sua obbligazione ed insinuarsi nello stato passivo per il suo credito, così come gli è precluso di chiedere la risoluzione del contratto, assumendo, in tal guisa, più la funzione di tutela della massa dei creditori che di quella del terzo contraente, anche se non trascurata del tutto, consentendogli di non eseguire la propria prestazione per tutta la sua durata.
59. L’effetto sospensivo, susseguente alla dichiarazione di fallimento, è stato oggetto di varie ricostruzioni dogmatiche che lo hanno ricondotto, ora al regime dell’eccezione d’inadempimento, ora alle conseguenze automatiche del fallimento. Vedi R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, cit., 1060 ss.
Ed, ancora, anche se con riferimento alla precedente formulazione delle disposizioni sui rapporti pendenti. F. Vassalli, Diritto fallimentare, cit.,153 ss., intravede il medesimo fondamento tra le due discipline. Secondo l’A., il regime della sospensione delle disposizioni fallimentari sui rapporti pendenti, anche se secondo meccanismi differenti da quelli di autotutela, sanciti dagli arti. 1460 e 1461 cod. civ., pone il contraente in bonis in una posizione di maggior favore rispetto agli altri creditori concorrenti nel fallimento. «Si può dire che ciò avvenga per ragioni sostanzialmente equitative, le quali, in un certo senso, si possono accostare a quelle che sono state poste a base della disciplina della compensazione. In altri termini, si reputa equo che il contraente in bonis che vede sopraggiungere il fallimento della controparte, quando ancora non ha eseguito la propria prestazione e neppure è stato ancora soddisfatto del suo credito, si trovi in una posizione di maggior forza rispetto agli altri creditori, meritevoli di specifica considerazione. Questa posizione è, appunto, quella che è tenuta in considerazione e tutelata in alcune delle norme sulla sorte dei contratti pendenti»
60. All’apparenza, si sarebbe eliminata, quindi, l’unica ipotesi della legge fallimentare in cui il terzo contraente potesse far valere la propria posizione contrattuale, adempiendo il rapporto ed insinuando il proprio credito coattivamente. A ben vedere, le ipotesi in cui un contraente possa far valere coattivamente le proprie pretese nel fallimento non sono state eliminate ed, anzi, hanno trovato una loro estensione in seguito ai nuovi interventi legislativi; solamente che, invece di essere collocate nella legge fallimentare, si rinvengono in altre leggi speciali. A tal riguardo, basti pensare alla facoltà di esecuzione coattiva del credito in autotutela dei contratti di garanzia finanziaria, per i quali l'art. 4, commi 1, lett. a), e 2, del d.lgs. n. 170 del 2004 (attuativo della direttiva 2002/47/CE), stabilisce che, al verificarsi di un evento determinante l'escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche nel caso di apertura di una procedura di risanamento (concordato preventivo e amministrazione controllata) o di liquidazione (fallimento e liquidazione coatta amministrativa), di procedere alla vendita delle attività finanziarie, oggetto di pegno, nel rispetto delle formalità contrattualmente previste, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita, informando per iscritto gli organi della procedura sulle modalità di escussione adottate e sull'importo ricavato nonché restituendo contestualmente l'eccedenza.
61. F. Di Marzio, Contratti in esecuzione e fallimento, cit., 5.; S. Ambrosini, G. Cavalli, A. Jorio, Il fallimento, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, cit.,469.
62. Le norme della Legge Fallimentare sembrano, anche dopo la riforma, essere indirizzate alla tutela del ceto creditorio, così da non tenere in debita considerazione la conservazione dell’impresa decotta. Ed, infatti, tale interesse è ritenuto, invece, prevalente in altre procedure, quali quella del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazioni o dei piani di risanamento. Se si tiene in debita considerazione la tempistica e, molte volte, il fallimento di tali procedure, non si può non desumere che forse l’interesse alla conservazione dell’impresa dovrebbe essere già valutato e bilanciato con gli altri interessi all’origine anche della procedura fallimentare. Ed, inoltre, ciò appare maggiormente vero se si considera che la riforma in itinere del diritto fallimentare è protesa verso la continuazione dell’impresa e la ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi che entrino in gioco.
63 B. Meoli, S. Sica, Effetti sui rapporti, in Tratt. di Dir. Fall., 2010, 397, secondo i quali le norme successive all’art.72 L. Fall., in quanto norme speciali, possono essere interpretate analogicamente a casi simili sotto il profilo causale, poiché la loro ratio risiede nella funzione giuridica assolta dal contratto specifico che disciplinano. Ed, ancora, O. Cagnasso, I contratti pendenti, in S. Ambrosini (a cura di) Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al “decreto correttivo”, Bologna, 2008,117, per il quale sarebbe, in realtà, necessario capire fino a che punto il nuovo sistema possa effettivamente ritenersi chiuso, dovendosi verificare se, in ogni caso, i contratti, ai quali non siano espressamente applicate le regole eccezionali, siano soggetti al principio generale della sospensione; A. Genovese, Effetti del fallimento sui contratti in corso, in Dir. Fall., 2006,1148 e 1149. Contra si vedano A. Jorio, N. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2014, 447; G. Verdirame, I rapporti giuridici pendenti dopo la riforma della legge fallimentare, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, cit. .1170
64. In tal senso si veda L. Guglielmucci, La tutela del contraente in bonis nei rapporti giuridici preesistenti, cit., 149
65. G. Ragusa Maggiore, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Le Procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997,510. Alcuni ritengono che il contratto continui nell’ipotesi di fallimento del concedente, con conseguente applicazione analogica dell’art. 80 solamente in tale ultima ipotesi e non anche nel caso di fallimento dell’affittuario alcuni escludono prosecuzione [A. Bonsignori, Il fallimento, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. IX, Padova, 1986, 429].
66. Anche se secondo una parte della giurisprudenza, il contratto di comodato non potrebbe essere ricondotto né sotto il regime disciplinare di cui all’art. 72 né sotto quello dell’art. 80, trovando applicazione in via estensiva il disposto ex art. 1809, comma 2., cod.civ., secondo cui anche quando il termine di durata del comodato non sia cessato, è ammesso il recesso del comodante in caso di urgente e impreveduto bisogno. In tal senso, v. Tribunale di Taranto, 23 gennaio 2015, in www.ilcaso.it
67. Con riferimento a quest’ultimo, una corrente di pensiero, rimasta minoritaria, esclude l’applicazione analogica sul presupposto che l’art. 76 sarebbe una riproduzione dell’art. 6 r.d.l. 20 dicembre 1932, n. 1607, il quale prevede la risoluzione dei contratti di cui all’art. 1 dello stesso testo, in cui sono elencati titoli ed azioni, valute e divise, ma non le merci. In tale direzione, si ritiene che il termine cose usato nell'articolo 76, sia da riferirsi alle valute e divise [U. Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1966,1203]. Di diverso avviso è la dottrina maggioritaria secondo la quale, non si può dimenticare anche la l. 30 maggio 1913 n. 272 regolatrice delle Borse Valori da cui si fa discendere un’unicità di disciplina [G. De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1968,374; R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1998,1244; V. Andrioli, Fallimento, cit.412]
68. F. Bortolotti, I contratti di subfornitura, Padova, 1999,15 e ss.; A. Musso, La Subfornitura, F. Bricola, F. Galgano, G. Santini (a cura di) Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, cit.,70
69. L. Panzani, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Utet Giuridica, 2012, vol. 2
70. A. Tullio, Contratto di agenzia e fallimento, in Dir. Fall., 2003,908 e ss. In giurisprudenza v. Trib. Milano, 1 luglio 2010 n. 8686, in Redazione Giuffrè 2012
71. F. Gigliotti,La spedizione, in P. Sirena (a cura di), I contratti di collaborazione, Milano, 2011,374; S. Foghini, La spedizione: profili civilistici ad una fattispecie caleidoscopica, Frosinone, 2018,136; B. Meoli-S. Sica, Effetti sui rapporti, cit.,533 e ss.; G. De Semo, Diritto fallimentare, cit.,359; G. Presti, Commento all’art. 78 L. Fall., in A. Jorio (diretto da) M. Fabiani (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Bologna, 2006,1246; Contra D. Vattermoli, Rapporti pendenti, cit.,474
72. P. Bontempi, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2009, ed. III,327
73. Art. 175 CCII Contratti di carattere personale «1. I contratti di carattere personale si sciolgono per effetto dell'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di uno dei contraenti, salvo che il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori e il consenso dell'altro contraente, manifesti la volontà di subentrarvi, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi. 2. Ai fini di cui al comma 1, i contratti sono di carattere personale quando la considerazione della qualità soggettiva della parte nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è stata motivo determinante del consenso».
74. AA.VV., Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al “decreto correttivo”, S. Ambrosini (a cura di), Bologna, 2008, passim; AA.VV., Trattato di diritto delle procedure concorsuali. La dichiarazione e gli effetti del fallimento, U. Apice (diretto e coordinato da) , Torino, 2010, passim; AA. VV., Manuale di Diritto Commerciale, V. Buonocore, (a cura di) Torino, edizione XIII, 2016, passim; AA. VV., Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Milano 2010, passim; AA.VV., Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU A., MESSINEO F, MENGONI L., continuato da SCHLESINGER P., Milano, 2014, passim; AA. VV., Trattato di diritto commerciale, G. Cottino (diretto da), Padova, 2009, passim; L. Guglielmucci (a cura di), I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, Padova, 2006, passim.
75. P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit.,482; G. Presti, Il mandato e la commissione, in S. Sanzo (a cura di), Procedure concorsuali e rapporti pendenti, Bologna, 2009,204. Contra L. Guglielmucci, in A.A.V.V. I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, cit.,273, per il quale la ragione deve essere rintracciata nella incompatibilità del mandato con i vincoli imposti dalla procedura in tema di amministrazione e liquidazione del patrimonio del mandatario. Ed, ancora, A. Luminoso, Mandato ed altri contratti di cooperazione gestoria, in F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, cit.,206, secondo il quale lo scioglimento troverebbe la propria ragione giustificativa nella circostanza che la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento degli interessi della massa creditoria precluderebbe al mandatario il compimento dell'attività, oggetto del contratto dopo il fallimento
76. La maggior parte della dottrina ritiene, infatti, che la ragione giustificativa dell’art. 81 debba essere rintracciata proprio nell’intuitu personae. In tal senso, si veda D. Finardi, Esecuzione del contratto di appalto e risarcimento del danno del committente, in Fall.,1999,1105. Contra G. Tarzia, Rapporti che si sciolgono per il fallimento, in L. Panzani (diretto da) Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, cit.,323; secondo cui la regola si spiega verosimilmente alla luce della vocazione liquidatoria del patrimonio dell’imprenditore, per cui risulta funzionale a questo scopo non gravare il curatore di ulteriori oneri di gestione e di rischi. A tal riguardo, occorre sottolineare come, in realtà, sia lo stesso legislatore ad elevare l’intuitu personae a ragione giustificativa della norma in esame, non solamente attraverso l’inserimento nel corpo del medesimo articolo che «il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto», ma anche attraverso il suo esplicito richiamo, nella riforma Rordorf della legge fallimentare in itinere, nella quale si legge testualmente che «Ferma restando la struttura di fondo dell’art. 72 della vigente legge fallimentare, si è ipotizzato di introdurre per i contratti caratterizzati da intuitu personae una norma simile a quella prevista in materia di appalto dall’art. 81, comma 2, di detta legge […]»
77. In tale direzione, il fallimento dell’associante -ossia del possessore della qualifica di imprenditore- farebbe venir meno il centro di imputazione giuridica dell’associazione. Si vedano L. Guglielmucci, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in A. Jorio(diretto da) M. Fabiani (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, cit.,260; P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit.,464; G. C. Bibolini, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in Dir. Fall., 1996, 771; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit.,1262; G. DE SEMO, Diritto fallimentare, cit.,374. Contra G. TARZIA, Rapporti che si sciolgono per il fallimento, in L. Panzani (diretto da) Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, cit.,298 secondo il quale l’intuitu personae non può essere aprioristicamente ritenuto assorbente con riguardo a qualsiasi impresa o affare, dovendosi, al contrario, verificare, caso per caso, la sua effettiva rilevanza. Connessa è l’impostazione secondo cui l’associazione in partecipazione si scioglierebbe, per il tipo di rapporto intercorrente tra associante ed associato ed, in particolare, per la circostanza che il fallimento dell’associante, non potendo più egli stesso gestire l’impresa, renderebbe difficilmente raggiungibile lo scopo del rapporto, ossia non riuscirebbe a garantire all’associato la propria partecipazione agli utili o alle perdite. In tal senso, si vedano F. Ferrara, A. Borgioli, Il fallimento, cit.,388; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit.,1261; F. Vassalli, Diritto fallimentare, cit.,212; G. U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006,430
78. Secondo alcuni, lo scioglimento di tale contratto, più che nel rapporto di intuitu personae troverebbe la propria ragione nella circostanza che la continuazione potrebbe consentire una compensazione oltre i limiti previsti nella legge fallimentare. In tal senso, si vedano L. Guglielmucci, Diritto Fallimentare, cit., 134; G. Tarzia, Rapporti che si sciolgono per il fallimento, in L. Panzani (a cura di), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit.; P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit.,388; P. Rescigno, Trattato di diritto privato. Impresa e lavoro, vol. 2, Torino, 2011,301; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit.,1267. Secondo l’A. il curatore non avrebbe interesse a subentrare in un rapporto che richiede un continuo e frequente sorgere di crediti reciproci. Ed, infatti, se al momento della dichiarazione di fallimento, il conto corrente ha un saldo attivo per il fallito, il subingresso sarebbe svantaggioso per la massa che dovrebbe subire la compensazione di detto saldo con i crediti derivanti dalle successive rimesse del contraente in bonis; viceversa se il saldo è attivo per il contraente in bonis, ossia per la banca, le rimesse effettuate dagli organi della procedura, invece di concretizzarsi in crediti utilizzabili per incrementare la massa fallimentare, andrebbero, in gran parte, a soddisfare, per compensazione, il corrispondente credito della banca e, dunque, anche in quest'ultimo caso, la continuazione del rapporto diverrebbe svantaggiosa. D. Vattermoli, In A. Nigro, M. Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, cit.,474. Secondo l’A. se la caratteristica delle operazioni regolate in conto corrente è che le scritturazioni a credito e a debito sono destinate a compensarsi, in seguito alla dichiarazione di fallimento, la funzione del contratto non può spiegarsi, essendo impossibile la compensazione tra poste pre e post fallimentari. Ed, ancora, si vedano A. Bonsignori, Il fallimento, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1986,419; D. Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1996,334, secondo i quali l’estinzione del contratto avverrebbe come conseguenza dello spossessamento dei beni, il quale genererebbe il venir meno della causa stessa del contratto, conducendo, inevitabilmente, al suo scioglimento. Tale opinione è condivisa da quella giurisprudenza che, stante l'incapacità del fallito, sostituito dal curatore, ai sensi dell’art. 43 L. Fall., ritiene che egli non possa più legittimamente operare sul conto, rendendo inefficaci gli ordini di pagamento rivolti alla banca. In tal senso, Cass.civ., 20 dicembre 2000 n. 16032, in Banca borsa tit. cred., 2003,1 con nota di L. Restaino secondo cui «Intervenuto il fallimento del correntista viene meno il rapporto di provvista e perde effetto l'ordine di pagamento impartito dal medesimo sicché il pagamento in quanto tale, riguardando una situazione giuridica meramente supposta, ma inesistente, non è giuridicamente attribuibile a nessuno e solo il versamento, come mero trasferimento di liquidità, è attribuibile al soggetto che lo esegue». D’altra parte, le posizioni, sopra riportate, trovano diretto fondamento nella legge fallimentare poiché per un verso, ai sensi dell’art. 56 L.Fall, la compensazione è ammessa con esclusivo riferimento ai crediti preesistenti alla dichiarazione di fallimento [F. Pasquariello, Gestione e riorganizzazione dell’impresa nel fallimento, Milano, 2010, 130; S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento per i creditori, in S. Bonfatti, P. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, cit., 125]; per altro verso, ai sensi dell’art. 42 L.Fall., la sentenza dichiarativa del fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, cosicché lo stesso non potrebbe essere titolare di crediti né essere gravato di debiti con reciproche rimesse in conto corrente.
79. La ragione giustificativa di tale disposizione, rimasta sostanzialmente immutata rispetto alla sua formulazione originaria, è tradizionalmente individuata nella necessità di sottrarre il patrimonio dell’imprenditore decotto all’alea tipica delle oscillazioni dei contratti di borsa. Ed, infatti, il carattere squisitamente speculativo di tali operazioni, legato alle variazioni dell’indice o dello strumento finanziario sottostante, alle fluttuazioni del parametro adottato come riferimento, è del tutto estraneo all’intrinseco obiettivo del fallimento di evitare attività rischiose per il patrimonio fallimentare, in intima connessione con l’istanza di certezza e cristallizzazione dei rapporti patrimoniali, al momento dell’apertura della procedura. È, in questa prospettiva, che la legge prescrive la cristallizzazione del risultato economico dell’operazione, al momento della sentenza dichiarativa del fallimento, onde impedire che, in costanza di procedura, l’alea insita - per definizione - in questa tipologia contrattuale incida ulteriormente sulla consistenza della massa attiva e di quella passiva. In tal senso, V. Andrioli, voce Fallimento, cit.,410; G. Cottino, Effetti del fallimento sui contratti di cui agli artt. 73 e 77 legge Fall., in corso di esecuzione, in Dir. Fall, 1965,24 ss.; G. Di Chio, Commento all’art. 76, in L. Guglielmucci, G. Zanarone, G. Di Chio, V. Mangimi, G. U. Tedeschi, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Commentario Scialoja, Branca, cit.,230; A. Bonsignori, Il fallimento, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, cit.,420; A. Giudici, Codice del fallimento, In P. Pajardi, M. Bochiola, A. Paluchowski (a cura di) Codice del Fallimento, cit.,477; F. Ferrara, A. Borgioli, Il fallimento,1974,347, secondo il quale «il fallimento di uno dei contraenti, fa necessariamente abortire il fine speculativo ed il contraente in bonis sarebbe esposto alle variazioni di prezzo a lui sfavorevoli, ma non potrebbe giovarsi di quelle favorevoli».
80. La disposizione in esame, nell’ipotesi di fallimento di ambedue le parti, prevede la prosecuzione del rapporto, ma differenzia per il creditore le modalità di esercizio del diritto di recesso, a seconda se a fallire sia il locatore od il conduttore; in particolare, la discrasia si sostanzia in un diritto di recesso incondizionato, nell'ipotesi di fallimento del conduttore e di uno limitato, nel caso di fallimento del locatore, poiché, nel primo caso, al curatore, è riconosciuta tale possibilità, in qualunque momento, purché corrisponda un equo indennizzo; se a fallire è il locatore, il curatore potrà recedere solamente se il contratto abbia durata superiore a quattro anni. Orbene, la ragione giustificativa sottesa alla continuazione sarebbe da rinvenire nella circostanza che la continuazione del rapporto non osterebbe alla liquidazione del bene e continuerebbe a giovare al fallimento. In tale direzione, S. Satta, Diritto fallimentare, cit.,307 e ss.; R. Provinciali, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit.,508 s.; G. De Semo, Diritto fallimentare, cit.,381; R. Rossi, Affitto di azienda stipulato prima della dichiarazione di fallimento, in Dir. Fall., 2010,508; A. Giudici, Codice del fallimento, cit.893; G. Lo Cascio, L’intervento correttivo ed integrativo del decreto legislativo 5/2006, in Fall, 2007,759; D. Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, cit.,337. Contra F. Di Marzio, Contratto di locazione e fallimento, in F. Di Marzio (a cura di) Contratti in esecuzione e fallimento. La disciplina dei rapporti pendenti nel nuovo diritto concorsuale, Milano, 2007,182, secondo il quale non si potrebbe escludere l’eventuale esistenza di un interesse, da parte del fallimento, a sciogliersi dal contratto, considerato che la sussistenza di un contratto di locazione potrebbe ostacolare la vendita del bene o renderla meno vantaggiosa per il venditore. In tale direzione, la continuazione del rapporto contrattuale sarebbe prevista, non nell'interesse della massa, ma del conduttore, in virtù del principio emptio non tollit locatum.In realtà, a tal riguardo, appare opportuno richiamare l’attenzione sulle parole della relazione illustrativa della riforma [decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169], la quale, per spiegare le ragioni della modificazione di tale articolo, esordisce che la stessa è effettuata «al fine di contemperare le esigenze di terzi di tutela della stabilità dei rapporti giuridici contratti con l’impresa, poi fallita, con l’interesse del fallimento di evitare che l’esistenza di un vincolo locatizio, di lunga durata, possa deprimere eccessivamente il valore del bene al momento della vendita». Per la prima volta, si è espressa, dunque, la volontà di realizzare il contemperamento tra gli interessi contrapposti nel contratto ossia tra l'interesse del fallimento alla cessazione di un rapporto che, per le ragioni sopra esposte, potrebbe risultare gravoso e l’interesse del conduttore a non perdere il godimento della cosa locata, almeno per quattro anni dalla dichiarazione di fallimento e, dunque, in conformità ai principi generali, operanti in tema di locazione, i quali accordano al conduttore un diritto di godimento del bene, insensibile alle vicende circolatorie dello stesso ed opponibile ai terzi (con riferimento agli artt. 1599 e 2923 cod.civ.).
81. La disposizione contempera perfettamente gli interessi delle parti contrattuali garantendo una perfetta simmetria tra le posizioni delle due parti attraverso il riconoscimento ad entrambe del diritto di recesso e, nell’ipotesi del suo esercizio, dell’obbligo di corrispondere un equo indennizzo. In tal senso, v. B. Meoli, S. Sica, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in V. Buonocore, A. Bassi, Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010,549.
82. Per quanto riguarda la disciplina, predisposta per tale tipologia contrattuale, la disposizione in esame differenzia gli effetti del fallimento, a seconda se a fallire sia il venditore od il compratore. Nel primo caso, la dichiarazione di fallimento non determina lo scioglimento del contratto, ragion per cui al curatore non rimane altra possibilità che eseguire il rapporto. Viceversa, nella seconda ipotesi, il legislatore ha rimesso la scelta al curatore, il quale, previa autorizzazione del comitato dei creditori, deciderà se sciogliere o continuare tale contratto, sempre ammesso, però, che il contratto risulti pendente, ossia prima del verificarsi dell’effetto traslativo, a seguito dell’integrale pagamento del prezzo, da parte del compratore. Nell’ipotesi di scioglimento, l’art. 73 prevede, da una parte, il dovere del curatore di restituire il bene oggetto del contratto; dall’altra, la restituzione delle rate di prezzo, già riscosse dal venditore - con esclusione del danno successivo al fallimento-, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, in analogia con quanto disposto dall’art. 1526 cod. civ. Nell’ipotesi in cui il curatore decida di subentrare, è stata prevista la possibilità, da parte del venditore in bonis, di richiedere una cauzione, salvo che il curatore non rinunci al termine o alla rateizzazione [La possibilità, da parte del venditore in bonis, di richiedere la prestazione di una cauzione è stata inserita, al fine di compensare la sostituzione, nel rapporto, del soggetto originario e l’interruzione che tale sostituzione crea al rapporto fiduciario, in precedenza instaurato. In tal senso, v. A. Giudici, Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, cit.,947]. Una volta subentrato, il curatore deve adempiere a tutte le obbligazioni previste dal contratto, ad iniziare dal pagamento delle rate [S. Satta, Diritto fallimentare, cit.,294; D. Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1996,330; G. U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, cit.,351]. Si ritiene che il fondamento di tale disciplina sia quello di realizzare un contemperamento tra l’interesse della curatela, la quale potrebbe nutrire interesse verso la continuazione del rapporto contrattuale e l’interesse del venditore che, nell’accordare il termine, abbia confidato nelle qualità del soggetto beneficiario dello stesso e non in quelle del curatore [In tal senso, U. Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1231].
83. In conformità a questi nuovi dettami, è stato introdotto, attraverso il decreto correttivo, l’art. 72 bis L. Fall., secondo il quale i contratti relativi agli immobili da costruire si sciolgono se, prima che il curatore comunichi la propria scelta tra continuare o sciogliere il contratto, l'acquirente abbia escusso la fideiussione, a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone comunicazione al curatore. Tra l’esigenza di tutela del risparmio e quella di attuazione della liquidazione fallimentare, in questo caso, sembrerebbe prevalere la prima e ciò sarebbe avvalorato da quanto statuito nella riforma della legge fallimentare in itinere, secondo cui tutti gli atti che abbiano, come effetto o finalità, il trasferimento di immobili da costruire, dovranno essere conclusi per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, così da garantire il controllo di legittimità dell’atto, da parte del notaio e porre fine alla prassi della sistematica violazione, da parte dei costruttori, dell'obbligo di fornire, al momento della conclusione del contratto (anche preliminare), la fideiussione, a garanzia dell'acquirente e la polizza assicurativa, previste dal d.lgs. 122/2005. Un’ulteriore conferma della tutela, accordata al terzo contraente, si potrebbe riscontrare nell’istituzione di un Fondo di solidarietà, volto a garantire un indennizzo a quegli acquirenti di immobili da costruire o in corso di costruzione, coinvolti nei fallimenti dei costruttori nel periodo antecedente all’entrata in vigore della nuova normativa.
84. F. Merusi, Diritto contro economia. Resistenze istituzionali all'innovazione economica, Torino, 2006, 1 e ss.; G. Costantino, La gestione della crisi d’impresa tra contratto e processo, in F. Di Marzio E F. Macario (a cura di) Autonomia negoziale e crisi d’impresa, Milano, 2010,207, secondo il quale «[…]in realtà, appare ragionevole dubitare che mercato e giurisdizione implichino esigenze e valori contrapposti e non siano conciliabili. Si tratta, piuttosto, di trovare un punto di equilibrio, perché l’economia non può prescindere dalle regole e queste devono poter essere attuate e fatte rispettare anche contro la volontà dei consociati. Non appare possibile fare a meno delle regole di comportamento, né rinunciare ad esigere la loro osservanza. Già nel 1215, nella Magna Charta Libertatum, fu stabilito che nulli negabimus justitiam».
85. F. Fimmanò, Le prospettive di riforma del diritto delle imprese in crisi tra informazione, mercato e riallocazione dei valori aziendali, in Fall., 2004,459 e ss. Secondo l’A., infatti, negli ultimi anni, la normativa emanata in relazione alla gestione della crisi d'impresa è stata maggiormente indirizzata ad una valutazione sulla reale opportunità, anche in termini di convenienza economica, di protezione dell'azienda piuttosto che di una liquidazione definitiva dell'impresa. In tale direzione, ai fini del superamento della crisi, il legislatore ha introdotto una serie di strumenti volti a valorizzare il ruolo dell’autonomia negoziale.
86. Sul nuovo Codice della Crisi si veda per tutti S. Sanzio, D. Burroni, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Zanichelli, 2019
87. L’ordinamento francese, infatti, prevede già da molto tempo una serie di procedure, le quali, con funzioni preventive, mirano a far emergere prima lo stato di crisi si da garantire la conservazione dell’azienda in crisi. In particolare, si hanno procedure informali (Mandat ad hoc, Reglement amiable, Procedure de sauvegarde), e procedure formali (Rédressement judiciaire e Liquidation judiciaire). Ognuna di queste procedura, ad eccezione della Liquidation judiciaire, tentano di consentire, al di là della liquidazione del passivo, il salvataggio del compendio aziendale, il mantenimento dell’attività e dei livelli occupazionali, sì da dismettere l’interesse del mercato e prediligere gli altri interessi in gioco. Sulle procedure concorsuali in Francia si veda J.P. Sortais,Entreprises en difficulté. Les mécanismes d’alerte et de conciliation, Parigi, L.G.D.J., 2010, 14 ss.