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Pubbl. Mar, 21 Dic 2021

Danno da perdita parentale: sono inclusi gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero

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Tullio Facciolini



La III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nella ordinanza numero 26301 del 29 settembre 2021, ha stabilito che la morte del feto nel grembo della madre, causata dalla condotta dei sanitari, è un danno da perdita del rapporto parentale: il panico, gli incubi, e il mutamento delle abitudini di vita, che conseguono alla morte del feto, non possono considerarsi disgiunti dalla domanda di risarcimento formulata ex articolo 2059 c.c. e la lesione causata dalla perdita del frutto del concepimento è legata al pregiudizio consistente nelle conseguenze che il lutto abbia lasciato nell’animo dei familiari.


ENG The III Civil Section of the Court of Cassation, in the order number 26301 of 29 September 2021, established that the death of the fetus in the womb, caused by the conduct of the doctors, is damage from loss of the parental relationship: panic, nightmares , and the change in habits of life, which follow the death of the fetus, cannot be considered separate from the request for compensation formulated pursuant to article 2059 of the civil code and the injury caused by the loss of the fruit of conception is linked to the injury consisting in the consequences that the bereavement has left in the soul of the family.

Sommario: 1. Il danno non patrimoniale da morte del feto; 2. L'ordinanza n. 26301/2021: il fatto; 3. Segue: il danno da perdita del rapporto parentale; 4. Conclusioni.

1. Il danno non patrimoniale da morte del feto

La morte del feto appartiene agli eventi che possono essere causati da un errore medico e si iscrivono nell'ambito dei danni da parto per malasanità[1]: in due recenti pronunce (l'ordinanza n. 19190 del 15 settembre 2020 e l'ordinanza n. 22859 del 20 ottobre 2020), la Corte di Cassazione è tornata ad evidenziare le peculiarità e le regole che governano il risarcimento del danno da morte del feto imputabile a responsabilità medica.

Nella prima pronuncia, l’ordinanza n. 19190/2020, la Suprema Corte ha rilevato che, trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita, le tabelle milanesi non sono direttamente utilizzabili, perché elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valgono come criterio orientativo, dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta (nel caso sottoposto all'esame della Corte, il giudice a quo ha parametrato la liquidazione sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perché il figlio era nato morto).

Nella seconda pronuncia, l’ordinanza n. 22859 del 2020, invece, la Corte ha sottolineato che le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto. Qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate. La Suprema Corte ha, inoltre, evidenziato che, nel caso di feto nato morto, sarebbe ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale rispetto alla quale non vi è una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano, mentre la possibilità di parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento si ha nel caso di relazione affettiva concreta (nel caso sottoposto all'esame della Corte, la stessa ha preso quale parametro di riferimento le tabelle del Tribunale di Milano, ma ha determinato l’importo risarcitorio riconosciuto spettante nella misura pari alla metà del minimo in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino).

Precedentemente, in relazione alla morte del feto, la Corte di Cassazione si era aperta al riconoscimento della risarcibilità del danno morale ed esistenziale dei congiunti, conseguente alla perdita del nascituro, ma aveva puntualizzato che “per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento” delle tabelle di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale[2].

Nella ordinanza n. 26301 del 29 settembre 2021, la III Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito, invece, che la morte del feto nel grembo della madre, causata dalla condotta dei sanitari, è un danno da relazione affettiva non potenziale ma concreta[3]: il pregiudizio, provocato dalla imperizia e dalla negligenza dei medici, deriva tanto dalla sofferenza interiore provata sul piano morale soggettivo non appena la perdita del congiunto sia percepita nel vissuto interiore, quanto da quella ulteriore che si rifletta in termini dinamico relazionali sui percorsi di vita quotidiana attiva nel soggetto che l'ha subita[4]; gli ermellini sono giunti, quindi, alla conclusione che il panico, gli incubi, e il mutamento delle abitudini di vita, che conseguono alla morte del feto, non possano considerarsi come un danno disgiunto dalla domanda di risarcimento formulata ex articolo 2059 c.c.[5] e che il danno non patrimoniale causato dalla perdita del frutto del concepimento sia legato al danno consistente nelle conseguenze che il lutto abbia lasciato nell'animo dei familiari[6].

2. L'ordinanza n. 26301/2021: il fatto

Nella ordinanza n. 26301 del 29 settembre 2021, la questione di diritto concerne la perdita del frutto del concepimento: si discute, specificamente, se il danno da mutamento delle abitudini di vita patiti dalla gestante in conseguenza della morte del feto sia avulso dalla sfera dell’articolo 2059 c.c.

Il fatto è il seguente: una coppia conviene in giudizio la ASL al fine di ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa della morte del feto portato in grembo dalla donna[7].

La coppia asserisce che l'esito infausto della gravidanza sia attribuibile alla omessa diagnosi di ipossia fetale, all'omesso trattamento terapeutico e ai ritardi imputabili agli operatori sanitari che non avevano eseguito il taglio cesareo che, con elevata probabilità, avrebbe evitato la sofferenza del feto e la sua morte.

La domanda è accolta dal Tribunale[8] e la ASL è condannata al risarcimento dei danni non patrimoniali per perdita del frutto del concepimento.

Contro la decisione, la coppia ricorre in appello al fine di ottenere la liquidazione di un importo maggiore.

La Corte d'appello rigetta, tuttavia, le istanze istruttorie ritenute fonte di una mutatio libelli[9] e statuisce che il panico, gli incubi notturni e il mutamento delle abitudini di vita patiti dalla gestante in conseguenza della morte del feto rappresentino un danno assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento per i danni non patrimoniali patiti per la perdita del frutto del concepimento.

La Cassazione disapprova le conclusioni della Corte e da, invece, risalto al pregiudizio, che la Corte d'appello definisce danno da perdita del frutto del concepimento e che è, invece, un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale.

3. Segue: il danno da perdita del rapporto parentale

Da tempo la giurisprudenza ha elaborato la figura del danno da perdita parentale, risarcibile ai familiari di una persona deceduta a causa del fatto illecito altrui, delineandolo come “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”[10] (Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 9196/2018).

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 26301 del 29 settembre 2021, evidenzia non solo la soggettività giuridica del nascituro ma, anche e soprattutto, la sua tutela[11].

La protezione del concepito ha, infatti, fondamento costituzionale, essendo tutelata dall'articolo 31, secondo comma, della Costituzione, che protegge la maternità, e dall'articolo 2 della Costituzione "che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali la situazione giuridica del concepito"[12].

Esso si configura come un danno di natura non patrimoniale che un soggetto subisce, in conseguenza dell’attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di un altro soggetto, legato al primo da un rapporto di natura familiare e/o affettiva[13].

Il pregiudizio che il soggetto subisce si realizza nello stravolgimento di un sistema di vita che trovava il suo presupposto nel rapporto con la persona deceduta e si sostanzia, quindi, nel non potere più godere della presenza di chi è venuto meno e del rapporto che si aveva con lui: esso comprende la lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali “il diritto all’esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto degli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione”[14] (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 907/2018).

Esiste una notevole differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione. Il pregiudizio, nella compromissione del rapporto parentale, ha ad oggetto la vita di relazione, che subisce profonde modificazioni, mentre nella perdita del rapporto parentale ha ad oggetto non solo la sofferenza interiore provata sul piano morale soggettivo, ma, anche e soprattutto, quella ulteriore che si rifletta in termini dinamico relazionali sui percorsi di vita nel soggetto che l'ha subita. Il panico, gli incubi, e il mutamento delle abitudini di vita, che conseguono alla morte del feto, non possono, quindi, considerarsi come un danno disgiunto dalla domanda di risarcimento formulata ex articolo 2059 c.c., come ha erroneamente affermato la Corte d'Appello.

4. Conclusioni

L’ordinanza n. 26301/2021 apre un nuovo dibattito in cui, anche in ambito di danno da perdita parentale, la sofferenza interiore diventa il nucleo del risarcimento. La Corte afferma, infatti, la sussistenza di una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita, posto che in questo ultimo caso è la vita di relazione a subire modificazioni peggiorative. Detta distinzione differenzia da un punto di vista qualitativo/quantitativo il risarcimento, conformemente alle più recenti teorie psicologiche sulla elaborazione del lutto che, superando le teorie originarie, sostengono che sia “una idea fallace la cosiddetta elaborazione del lutto, poiché camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi, il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto”[15].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Aa. Vv., La nuova responsabilità sanitaria, in Il Sole 24 Ore, Milano, 2019, p. 21 ss.

[2] Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 12717 del 19 giugno 2015.

[3] Si configura come un danno di natura non patrimoniale che un soggetto subisce, in conseguenza dell’attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di un’altra persona legata alla prima da un rapporto di natura affettiva e/o familiare.

[4] Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 28989 dell’11 novembre 2019.

[5] L'accertamento del danno non patrimoniale esige che sia allegata e provata l'esistenza della lesione dell'interesse giuridicamente protetto e che sia individuata e provata la perdita che ne è derivata. Il danneggiato nel formulare la richiesta risarcitoria deve allegare: 1) la condotta che ha determinato la lesione dell'interesse giuridicamente protetto, 2) la perdita di tutte le utilità e, quindi, anche le rinunce e le sofferenze che sono derivate dalla lesione dell'interesse protetto, per le quali si domanda il risarcimento, 3) l'ammontare del risarcimento o i criteri di liquidazione invocati per la monetizzazione del pregiudizio non patrimoniale. Per un approfondimento sulla prova del danno non patrimoniale, si veda, tra i tanti, M. Rossetti, Il danno non patrimoniale, Cos'è, Come si accerta e Come si liquida, Giuffrè Editore, Milano, 2010, p. 104 ss. Per un approfondimento sui mezzi di prova del danno non patrimoniale si veda, invece, Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 7513 del 27 marzo 2018).

[6] M. Franzoni, Il danno risarcibile, Giuffrè Editore, Milano, 2010, p. 647 ss.

[7] Sono legittimati a richiedere il danno i componenti del consorzio familiare. La richiesta trova fondamento negli articoli 2043 e 2059 c.c. in relazione agli articoli 2, 29 e 30 Cost., nonché - ai sensi dell’articolo 8 CEDU, che dà rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare - all'articolo 117, comma 1, Cost.. Si veda, in tal senso, Cass. Civ., III Sez., 27 marzo 2019, n. 8442.

[8] Le conclusioni di parte sono avvalorate dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta in tale sede. È provata tanto la negligenza e l’imperizia dei sanitari, quanto l’elevata probabilità di sopravvivenza del feto ove il cesareo fosse stato eseguito tempestivamente.

[9] Per un approfondimento sul contenuto essenziale della domanda, sulla variazione della causa petendi e sui limiti di ammissibilità in appello si veda, tra i tanti, A. Tedoldi, L'appello civile, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, p. 258. Si veda, altresì, Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 19186 del 15 settembre 2020.

[10] Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 9196/2018.

[11] Per un approfondimento sul tema si veda, tra i tanti, L. Fiandaca, Il danno non patrimoniale: percorsi giurisprudenziali, Giuffrè Editore, Milano, 2009, p. 344 ss.

[12] Corte Costituzionale, sent. n. 27 del 18 gennaio 1975.

[13] Per un approfondimento sul tema si veda, tra i tanti, A. Forestieri, I principi applicabili in tema di danno da perdita del rapporto parentale, in diritto.it, 16 giugno 2021, disponibile all’indirizzo https://www.diritto.it/i-principi-applicabili-in-tema-di-danno-da-perdita-del-rapporto-parentale/.

[14] Cass. Civ., Sez. III, n. 907/2018.

[15] La Suprema Corte ha quindi concluso che “Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo”.