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Pubbl. Sab, 10 Ott 2015
Sottoposto a PEER REVIEW

L´alto costo dei bassi prezzi. Cap. 3: Securization

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Analisi macroeconomica critica della crisi. Profili storici, prospettive di crescita, aspetti finanziari e commenti europeisti.


Fin qui si sono esposti vari modelli di crisi tutti applicabili alla realtà dell’attuale stato di difficoltà finanziaria. Ma oltre a rifarsi a modelli generali, è conveniente analizzare quelli che sono i dati inediti della attuale situazione finanziaria, al fine di inferirli con gli esposti modelli e giungere ad una miglior comprensione delle ragioni dell’attuale rischio di dissesto.

Strumento relativamente nuovo, poiché sviluppatosi agli inizi degli anni Ottanta, e distintosi quale sviluppo finanziario tra i più interessanti è la cartolarizzazione dei crediti o loan securization.

Si tratta di un’operazione che coinvolge diversi attori, ma che può essere schematizzata come segue. Una banca originator, cede il suo portafoglio di prestiti ad un soggetto esterno, una Società di Progetto[1] (Special Purpose Vehicle) il cui scopo è la gestione dell’operazione di cartolarizzazione. La SPV emette bond garantiti dal valore del capitale e dal cashflow attesi sui prestiti cartolarizzati. Queste obbligazioni, nella maggior parte dei casi vengono accompagnate da garanzie aggiuntive (credit enhancement) fornite da un'altra banca, attraverso:

  1. Una linea di credito sottoscritta dall’originator;

  2. Una linea di credito sottoscritta da un altro soggetto ancora;

  3. Overcollateralization, ovvero fornendo all’SPV un portafoglio crediti di valore maggiore rispetto al pacchetto di bond che quest’ultimo emetterà basandosi sul pacchetto[2].

In aggiunta, solitamente, queste obbligazioni sono marchiate con una classe di rischio, con un merito creditizio che è minore quanto più è alto il livello di subordinazione nella restituzione del debito obbligazionario.

L’operazione di cartolarizzazione consente di produrre un buon numero di flussi di cassa tra gli operatori interessati, come è schematizzato di seguito.

Elemento degno di nota è che una loan securization implica, com’è facile intuire, un gran numero di costi fissi. Pertanto,"sarà tanto più probabile che la banca originator sia interessata a intraprendere l’operazione quanto più grande la dimensione della stessa e/o quanto maggiore l’aspettativa della banca di ricorrere nuovamente in futuro a operazioni della specie[3]".

Questo è il più grave rischio. Tanto maggiore saranno i prestiti, magari subprime, coinvolti, tanto maggiore sarà il rischio di insolvenza endemico, posto che i “titoli tossici” saranno ridistribuiti sul mercato e, magari, godranno di rating affidabili.

S’è infatti detto che il rendimento dei bond emessi dall’SPV è legato al flusso di interessi provenienti dai prestiti cartolarizzati. È però chiaro che non tutti prestiti sono uguali.

Si consideri, ad esempio, che questi prestiti siano dei mutui[4]. Diversa sarà la solvibilità del cliente, dunque si avranno, si ipotizza, tre tranchessenior, medium e risky. Nella prima convergeranno le rate dei mutui prime e nella terza i subprime. Ove tutti i debiti siano sempre onorati, tutti e tre i livelli riceveranno il denaro. Ma se alcuni smettono di pagare il loro mutuo, ovviamente arriverà meno liquidità tanto che saranno soddisfatti solo i livelli senior e medium, lasciando il livello risky privo di rendimento effettivo. Ovviamente, al fine di rendere appetibile il livello più rischioso, sarà necessario proporlo con il più alto livello di rendimento (return), ovvero il 10%[5], il livello medio riceverà il 7%[6], mentre il livello senior riceverà il 4%. Per rendere quest’ultimo ancora più sicuro, riducendo il return al 3%, sarà aggiunta la garanzia di un credit default swaps, prodotto derivato che ne garantisce la solvibilità ed il cui funzionamento è delineato in appendice. A questo punto, la tranche senior, marchiata con rating tripla A potrà essere venduta ad investitori meno inclini al rischio, mentre il livello più redditizio sarà appetibile per gli hedge funds.

Questo sistema di trasferimento del rischio è all’origine della crisi iniziata nel 2008 negli Stati Uniti. Perché la richiesta di questi prodotti si è rivelata talmente elevata da spingere le banche a concedere mutui subprime, contando sul fatto che in ogni caso esse avrebbero realizzato un profitto. Infatti, per quanto un mutuo non potesse essere onorato, la banca sarebbe entrata in possesso di un immobile, il mercato dei quali era in continua ascesa. 

Prevedibilmente, però, i default sui mutui subprime si susseguirono, il che produsse una sovrabbondanza di offerta sul mercato immobiliare, invertendo la curva di ascesa dei prezzi delle case. Ciò aggravò il problema, perché i mutuatari prime si resero conto che stavano pagando un mutuo per una somma superiore all’attuale valore del loro immobile e decisero che non aveva senso continuare a pagare. Da quanto su esposto e dalla considerazione del fatto che non esisteva più differenza tra banche d’investimento e banche d’affari è ora chiaro quale sia stata la genesi della crisi.

Certo, prima di essere tacciato di luddismo, chi scrive è dell’opinione che la cartolarizzazione presenti indubbi vantaggi, tra i quali l’aumento della redditività del capitale investito. Innanzitutto perché questa operazione consente alla banca di spostare la generazione del profitto dai ricavi da interessi ai ricavi da commissioni, condizione che diminuisce di molto il rischio di realizzo. In secondo luogo, perché questi ricavi divengono più stabili: mentre, infatti, il flusso cassa da interesse, per quanto solvibile, deve sottostare alle inevitabili variabilità dei cicli economici, finanziari e degli andamenti dei tassi, il cashflow da commissione di gestione è fisso ed immediato.

Ma i moventi economici possono essere anche altri: il miglioramento degli indici di bilancio, l’allineamento tra scadenze dell’attivo e del passivo e la riduzione dei costi di founding.

Quello che è accaduto nel 2008 è, nel parere di chi scrive, sintomo di errato utilizzo di un potente ed utile strumento. Uso errato perché al di fuori di qualunque struttura di regolamentazione.

È parere di chi scrive che la lezione di questa sia riassumibile in due parole: più Stato. La crisi in atto è economica, più che finanziaria[8]; dunque la responsabilità è della politica economica e non del mercato. La «mano invisibile» di Smith può correttamente agire solo all’interno di una cornice di regole chiare, stabili ed univoche. Lo sviluppo, da cui non si può prescindere[9], deve però essere sostenibile su tre profili: finanziario, che assicuri stabilità nei conti pubblici, sociale, che assicuri le conquiste del modello europeo di welfare stateambientale, che assicuri continuità di produzione e conservazione delle risorse collettive[10]Più Stato non vuole, però, dire nazionalizzazione: vuol dire regole più certe, più condivise, inderogabili e stabili nel tempo.

Nella sostanza, due devono essere i punti fermi: l’economia di mercato e la democrazia. L’abbandono della prima in favore di utopie e/o di forme generalizzate di pianificazione ha già dimostrato di mancare di pragmatismo. La seconda è condizione necessaria affinché si indirizzi l’economia di mercato verso un modello di crescita sostenibile a lungo termine.

Certo, più Stato non vuol certo dire troppo Stato. Perché se da un lato la competizione individualistica è certamente dannosa per la collettività[11], dall’altro un assistenzialismo degenerante non può che annullare lo sviluppo meritocratico. E, dunque, in medio stat virtus.

In termini pratici è necessaria une regolamentazione condivisa nel contesto europeo. Una regolamentazione che non sia invasiva nelle strutture della libera economia di mercato, ma che prenda atto del fatto che non sempre il mercato alloca le risorse in modo efficiente sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale agendo in maniera speculativa.

Questo perché, in sostanza, "una larga parte delle nostre attività positive dipende da un ottimismo spontaneo piuttosto che da un'aspettativa in termini matematici"[12]. Dunque se le convinzioni inerenti i valori di mercato sono il risultato dell’animal spirit, allora lo sono anche i prezzi effettivamente praticati. Inoltre se è vero, come è vero, che si investe per guadagnare[13], allora non si può affermare che il mercato veicoli i capitali alla migliore prospettiva nel lungo periodo. Secondo Keynes[14], infatti dell’investimento va considerato:

"Il livello cui il mercato valuterà, sotto l'influenza della psicologia di massa, fra tre mesi o fra un anno. Né si può dire che questo comportamento sia il prodotto di un animo perverso; e l'esito inevitabile di un mercato degli investimenti […]. Non sarebbe ragionevole pagare 25 per un investimento di cui rendimento atteso si è ritenuto tale da giustificare un valore di 30, nello stesso tempo il mercato valuterà 20 fra tre mesi".

Viene così contraddetto il dogma dell’efficienza del libero mercato, mettendo in evidenza la necessità che i poteri pubblici assumano un ruolo rilevante nell’attività d’investimento.

In questo contesto deve inserirsi un’autorità monetaria forte ed indipendente, ma non arbitraria. Dotata di discrezionalità di natura: gli indirizzi generali della politica monetaria ed il suo fine devono essere oggetto di valutazione democratica, ma «la massima di saggezza suggerisce di separare il potere dell’Esecutivo di spendere denaro da quello di crearlo»[15]. Molti sono convinti della necessità di una Banca centrale forte, indipendente, ma orientata secondo i bisogni della società civile. Stiglitz si lamentava del fatto che «nelle riunioni del board della Fed si discute di due variabili chiave come l’inflazione e la disoccupazione, ma non c’è una sola persona che rappresenta chi lavora»[16].

Dello stesso parere è Ciampi[17] quando sostiene che la banca centrale deve avere indipendenza di natura tecnica, ma non arbitrio. Di identica opinione è Fazio.

Ma citazioni a parte, è chiaro che le banche centrali hanno una visione di più lungo termine e di migliore competenza e ove si riesca ad orientarne la discrezionalità tecnica per mezzo dei metodi democratici chi scrive crede aumentata la probabilità di portare il mercato verso l’efficienza economica e sociale.

Ancora più in concreto, volendo fare qualche considerazione conclusiva sulla causa prima della crisi, quindi sulla cartolarizzazione, chi scrive si sente di consigliare:

  1. La standardizzazione dei criteri di valutazione, consentendo l’accesso alla Centrale Rischi a chi ha la responsabilità di emettere un rating;

  2. La presenza di un soggetto pubblico che, in concorrenza con le banche, operi come emittente sul mercato;

  3. L’uniformità di regolamentazione sia ratione materiae che riguardo agli Stati.

Questo non può, ormai, esser più fatto dallo Stato. Sia per la ricordata crisi del Leviatano, sia perché, almeno nel nostro Paese, il governo è tenuto sulla corda da uno stato di «plebiscito permanente», che non può assicurare la stabilità, con pesanti ripercussioni sui mercati.

Ma aspetto assai rilevante è quindi la cosiddetta crisi dello Stato[18], incapace di opporsi alle forze anche private liberate dalla globalizzazione e quindi costretto ad inserirsi in un inedito sistema di multi level governance. Certamente una delle più prorompenti tra queste forze è il mercato ed i suoi operatori corporate sovereign.

Anche perché, è da sottolineare, i prodotti “tossici” cui s’è fatto cenno sono stati spesso acquistati da enti pubblici. L’aumentare dei costi in seguito alle crisi di liquidità, l’aumento della disoccupazione e le conseguenti diminuzione delle entrate tributarie ed aumento della spesa pubblica non possono che creare pericolosi squilibri sulla bilancia dei pagamenti, cosa che rende meno sicuri i titoli di Stato. Ciò costringe il Paese ad emettere bond con tassi sempre più alti, anche eccedenti il tasso di crescita, con rischio di insolvenza sovrana.

L’unica via sembra quello dello sviluppo macroregionale. Ma per la creazione di un’Europa efficiente ed efficace[19] non è sufficiente, per quanto necessaria, la difesa del PIL. Serve un demos. Per avere un demos serve un ethos e serve il potere pubblico per affermarlo. Paradossalmente, cresce la domanda di politica e diminuisce l’offerta.

La risoluzione del deficit democratico, la piena accettazione che il nuovo cleavage[20] non è più quello capitale/lavoro, ma quello establishment/anti-establishment e, nell’opinione di chi scrive, una certa convergenza verso modelli di policy nordeuropei, sono il modo per portare a sempre maggior compimento l’idea europea, che è il solo modo per uscire da questa crisi con una memoria lunga del futuro e non solo con la giusta lezione del passato.

 

 


[1] Introdotta in Italia per la prima volta nel ’94, con la Legge Merloni.

[2] Da sottolineare che, nei casi b) e c) le responsabilità patrimoniali dell’originator terminano con la cessione.

[3] G. Ferri, La cartolarizzazione dei crediti. Vantaggi per le banche e accesso ai mercati finanziari per le imprese italiane, Studi e note di Economia 3/98, p. 91.

[4] L’operazione seguente è chiamata Collateralized Debt Obligation.

[5] A. K. Barnett- Hart, The story of the CDO Market Meltdown: an empirical analysis, Harvard College Cambridge, 19 Marzo 2009, p. 29, disponibile su http://www.hks.harvard.edu/m-rcbg/students/dunlop/2009-CDOmeltdown.pdf.

[6] Ivi, p. 30.

[7] Vangelo di Matteo, 22,21.

[8] Cfr T. P. Schioppa, op. cit., p. 153 e J. Stiglitz, op. cit., pp. 311 – 335.

[9] Qualora i Paesi più ricchi smettessero del tutto di comprare metterebbero in crisi la propria economia ed arresterebbero il processo di uscita dalla povertà degli Stati emergenti, che producono una parte notevole dei beni consumati in Occidente. Teorie di decrescita e reazione all’«impostura sviluppista» (Cfr. S. Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Torino, Bollati Boringhieri, 2005) sono, nell’opinione di chi scrive, eccessivamente utopistiche.

[10] Imputando ad ogni Paese i costi sociali delle proprie attività produttive; cfr. J. Stiglitz, op. cit., pp. 197 – 209.

[11] Per il Nobel J. Nash il risultato migliore si ottiene quando il soggetto fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo; cfr. P. Odifreddi, Il club dei matematici solitari del prof. Odifreddi, Milano, Mondadori, 2009, p. 59.

[12] J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.

[13] Prima massima di J. Templeton, si vedano le altre nove su http://www.franklintempleton.it/it_IT/investor/investor-education/maxims.

[14] Op. cit. Famoso, in questo senso, è rimasto l’aforisma «nel lungo periodo siamo tutti morti».

[15] C. A. Ciampi, cit. in Cozzi e Zamagni, op. cit., p. 402.

[16] Intervista rilasciata a G. Padula ne Il Mondo del 27 marzo 1998.

[18] D. Held e M. K. Archibugi, op. cit., a pag. 132 riporta: «Global governance can be exercised by states, religious organization, and business corporation, as well as by intergovernamental and non-governamentalorganizations».

[19] Si veda, a tal proposito, il bel testo di M. Telò, L’Europa potenza civile, Bari, Laterza, 2004.

[20] Cfr. L. Viviani, L’Europa dei partiti, Firenze, University Press, 2009, p. 65.