Pubbl. Mar, 27 Gen 2015
Reato del dipendente fuori dal luogo di lavoro: è legittimo licenziarlo?
Modifica paginaLo scorso 19 gennaio è stata depositata la sentenza n. 776 con la quale la Corte di Cassazione, sez. lavoro, si è pronunciata su di un licenziamento che era stato dichiarato illegittimo nel precedente giudizio in Corte d’ Appello.
Questo il fatto che ha occasionato tale sentenza.
Era il 27 ottobre 2004 quando la S.p.a. Poste Italiane intimava il licenziamento ad un proprio dipendente resosi autore dei reati di usura ed estorsione, fatti la cui esistenza era stata positivamente accertata dal giudice penale. Tale accertamento era per il giudice di primae curae sufficiente per ritenere “improseguibile” il rapporto lavorativo.
Nel 2011, tuttavia, la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della decisione del tribunale, dichiarava la illegittimità del licenziamento.
A seguito di tale decisione, S.p.a. Poste italiane lamentava il discredito che ad essa sarebbe potuto derivare, rimarcando, inoltre, l'incidenza negativa della presenza del lavoratore nei locali aziendali.
Dal canto suo, la Corte d’Appello negava che “ i detti reati potessero interrompere il vincolo fiduciario necessariamente intercorrente fra datore e prestatore di lavoro, avuto riguardo alle circostanze concrete” e riconosceva valore di “attenuanti alla durata ultraventennale del rapporto di lavoro, alla mancanza di precedenti disciplinari ed all'ambito ben delimitato in cui erano stati commessi i reati”.
Ciò pertanto, la società datrice presentava ricorso in Cassazione.
Lamentava in quella sede la violazione degli artt. 1362, 1364, 2106, 2119 cod. civ.; art. 7, L. 20 maggio 1970 n. 300,; artt. 1 e 2, L. 15 luglio 1966 n. 604; artt. 81, 629, 644 cod. pen. e vizi di motivazione, per avere la Corte d'Appello ignorato l'idoneità dei fatti, accertati definitivamente dal giudice penale, a ledere il legame fiduciario necessariamente intercorrente tra datore e prestatore di lavoro, specie considerando "la natura dell'attività svolta da Poste italiane (attività di gestione, deposito ed affidamento del credito, oltre all'attività, ormai preponderante, di intermediazione bancaria e quella di trasporto e consegna di posta, posta pregiata, assegni, carte di credito, ecc.)", e la potenziale destabilizzazione dell'ambiente lavorativo.
La Suprema Corte, ritenendo fondato il motivo, non ha mancato di mostrare come “anche una condotta illecita, estranea all'esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato può avere un rilievo disciplinare poiché il lavoratore è assoggettato non solo all'obbligo di rendere la prestazione bensì anche agli obblighi accessori di comportamento extralavorativo, tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti di un rapporto di durata. Detta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva soltanto se presenta i caratteri della gravità che debbono essere apprezzati, tra l'altro, in relazione alla natura dell'attività svolta dall'impresa datrice di lavoro, attività in cui s'inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato”.
La Corte ha avuto modo di sottolineare come le stesse condotte, se non possono essere ritenute gravi al punto tale da condurre al licenziamento da parte di un’azienda datrice che svolge attività puramente privatistica, “possono al contrario rompere il legame fiduciario ed il connesso requisito di affidabilità che sta alla base di un rapporto di lavoro costituito per l'espletamento di un servizio pubblico, ancorché in regime giuridico privatistico”.
Il servizio postale, d'altra parte, viene reso mediante la costituzione di società che utilizzano capitale prevalentemente o totalmente pubblico. La natura privatistica le obbliga ad operare in regime di concorrenza ma l’impiego di denaro pubblico e la finalità pubblica perseguita subordinano lo svolgimento dell’attività ai principi del buon andamento e della imparzialità di matrice Costituzionale (art.97). Ciò comporta che i lavoratori dipendenti debbano assicurare affidabilità, nei confronti del datore di lavoro e dell'utenza, anche nella condotta extralavorativa.
Diversamente, la medesima Corte nel 2012 - con sentenza n. 21940 - aveva sostenuto la tesi dell' illegittimità del licenziamento operato dalla s.p.a. Poste Italiane ai danni di un proprio dipendente, il quale era stato condannato per il reato di “detenzione per uso personale di infiorescenza di marijuana”, assumendo in tale sede che il fatto in questione fosse “inidoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario”.
(Eva Aurilia)