Pubbl. Lun, 6 Set 2021
Il lavoro agile e l´emergenza sanitaria da Covid-19: nuove prospettive per la Pubblica Amministrazione
Modifica paginaL´emergenza sanitaria ha portato alla luce una innovativa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fino a pochi mesi fa ancora poco diffusa. Il presente lavoro analizza le evoluzioni che la pandemia ha avuto sul lavoro agile, rendendolo modalità ordinaria, e sull´organizzazione delle amministrazioni pubbliche, ragionando sulle occasioni e i benefici futuri che lo smart working potrà garantire alla P.A., ai suoi lavoratori e alla società.
Sommario: 1. Premessa; 2. Il lavoro agile e il cambiamento imposto dall’emergenza da Covid-19: un’occasione innovativa per l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni; 3. Il ciclo della performance e il lavoro agile; 4. Il lavoro agile come politica di welfare aziendale; 5. Il lavoro agile e il benessere dei lavoratori; 6. Conclusioni.
1. Premessa
Durante l’ultimo anno, la Pubblica Amministrazione ha sviluppato una maggior consapevolezza rispetto al lavoro agile, forma flessibile di svolgimento della prestazione lavorativa limitatamente diffusa in passato, che, con l’emergenza sanitaria, è diventata improvvisamente modalità ordinaria. Un cambio così repentino, imposto dal Legislatore, che non ha certamente permesso alle realtà pubbliche di potersi organizzare consapevolmente. Gli stessi enti pubblici, in vista della fase post-emergenza, si trovano oggi di fronte a un’importante sfida: applicare il lavoro agile come soluzione ordinaria, facendo tesoro degli spunti - positivi e negativi - emersi durante la fase pandemica, impostandolo su un’adeguata attività di programmazione e sui necessari cambiamenti organizzativi, sociali e culturali.
2. Il lavoro agile e il cambiamento imposto dall’emergenza da Covid-19: un’occasione innovativa per l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni
La pandemia ha fortemente condizionato l’organizzazione lavorativa negli enti pubblici, ponendo i riflettori su un’innovativa modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, in questi anni poco diffusa: il lavoro agile[1]. A caratterizzare questa nuova forma, secondo la definizione fatta propria dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sono la flessibilità[2] e l’autonomia di cui dispone il lavoratore “nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”[3].
Nato per favorire una miglior conciliazione vita-lavoro e per diffondere “una cultura dell’organizzazione del lavoro per obiettivi e risultati”[4], questo modello ha visto nell’ultimo anno una larga diffusione dovuta alle esigenze sanitarie. In realtà, il lavoro agile avrebbe però subìto, durante la fase pandemica, un’alterazione, superando l’impostazione ordinaria e sperimentale disciplinata dalle leggi n. 124/2015 e n. 81/2017, divenendo “emergenziale”[5]. Infatti, con il D.L. 23.02.2020, n. 6, ne è stata prevista l’applicabilità automatica ad ogni rapporto lavorativo subordinato, anche in assenza dei previsti accordi [6], e, successivamente, con le direttive della Funzione Pubblica n. 1 del 25.02.2020 e n. 2 del 12.03.2020 - confermate dall’art. 87 del D.L.17.03.2020, n. 18[7] - è stata ribadita la necessità, anche per le pp.aa., del pieno utilizzo del lavoro agile che, fino alla cessazione dello stato di emergenza, è configurato quale “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”[8]. È stato sottolineato in dottrina[9], come sia così stata attuata una forma di lavoro non corrispondente a quella originariamente prevista, poiché “non è ravvisabile alcuna flessibilità spazio-temporale, attesa la quarantena e le limitazioni di accesso”, “il luogo di lavoro ha sempre finito per coincidere con il domicilio del lavoratore”, è stato osservato fedelmente l’orario aziendale, giungendo persino ad una “permanente reperibilità dei lavoratori remotizzati”. La ragione di tale snaturamento risiederebbe nella “funzionalizzazione del lavoro agile al contenimento del contagio e alla tutela della salute”.
L’emergenza sanitaria ha dunque imposto un improvviso cambiamento, generando una nuova visione del rapporto di lavoro nel settore pubblico, confermando l’impostazione di quella letteratura che rinviene nelle crisi il più incisivo fattore di mutamento organizzativo[10]. Un’innovazione inevitabile, che dovrà essere governata nel futuro post-pandemico, attraverso un’importante riflessione sui modelli organizzativi degli enti, non riducendosi infatti il problema al solo e già di per sè complesso digital divide[11]. Vari gli spunti di riflessione che negli ultimi tempi stanno emergendo tra i commentatori.
Secondo alcuni[12], la scelta dei modelli dovrà ruotare sui temi della delega e del controllo. Attraverso la prima, il personale verrà posto in un percorso di crescita, che gli consentirà di sviluppare maggiori competenze e responsabilizzazione. Il controllo non dovrà essere inteso come potere gerarchico, ma quale elemento di condivisione di obiettivi, finalità e risultati, fondandosi così sul coordinamento.
Secondo altri[13], sarebbero identificabili tre modelli/approcci di gestione del lavoro agile: a) “activity-based”, riconducibile al modello burocratico, e caratterizzato da un livello embrionale della cultura organizzativa, in cui si ha una forte attenzione alle attività che il singolo dipendente può svolgere in modalità agile; b) “management by objectives (Mbo)”, ispirato al modello New Public Management e connotato da un diffuso orientamento ai risultati, con maggiori autonomia e responsabilizzazione del personale; in questo modello, l’attenzione è posta alla programmazione e all’assegnazione degli obiettivi, al relativo monitoraggio in itinere e alla valutazione finale dei risultati, in un quadro di consolidata cultura di performance management; c) “management by outcomes”, ispirato al modello di Public Governance, si distingue per un elevato e diffuso livello di maturità di una cultura organizzativa orientata non tanto all’obiettivo-risultato, ma all’impatto sotteso al lavoro del singolo e dell’organizzazione; un approccio che valorizza l’autonomia del singolo, con una forte responsabilizzazione del management rispetto all’impatto del proprio lavoro sugli stakeholders (intendendosi non solo gli utenti del servizio, ma anche i dipendenti stessi). Dei tre modelli sarebbe preferibile il terzo, in quanto “permetterebbe all’organizzazione di rispondere in maniera flessibile al dinamismo dell’ambiente esterno, bilanciando la capacità dell’organizzazione di produrre valore per i propri stakeholders e l’autonomia e la responsabilizzazione individuale a tutti i livelli organizzativi”[14].
Un’attenta dottrina[15] ha segnalato che, ai fini di un’efficace applicazione del lavoro agile, andranno anzitutto superate alcune criticità, tra cui: un apparato pubblico connotato da una “modalità di organizzazione del lavoro gerarchico-burocratico e da una cultura da sempre orientata alla valorizzazione della presenza in ufficio dei dipendenti”; la discontinuità dell’indirizzo politico, intento fino a ieri a promuovere sistemi di rilevazione della presenza in servizio (legge 19.06.2019, n. 56, relativa al contrasto all’assenteismo), che non favorisce un messaggio di fiducia verso la flessibilità; il basso grado di digitalizzazione della P.A. e le scarse competenze digitali del personale; l’elevato grado di procedimentalizzazione e standardizzazione delle attività.
Per guidare questo rinnovamento, il legislatore[16] ha introdotto un nuovo strumento attraverso cui programmare il lavoro agile delle pp.aa. e la relativa organizzazione, il POLA (Piano organizzativo del lavoro agile), la cui disciplina è già stata, in questi pochi mesi di vigenza, oggetto di numerose rettifiche[17], con particolare riferimento al contingente minimo dei dipendenti che dovranno essere interessati dal piano, e critiche[18].
3. Il ciclo della performance e il lavoro agile
L’affermazione del lavoro agile porterà con sé l’adeguamento dei sistemi di misurazione e valutazione della performance (S.M.V.P.) degli enti pubblici. Mutamento che rappresenta “lo snodo critico su cui si giocano non solo le sorti dello strumento, ma più in generale quelle dei nuovi modelli organizzativi e di management che attraverso il lavoro fuori dall’ufficio si intendono introdurre nelle amministrazioni pubbliche”[19]. Un’esigenza confermata dalle Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro agile, predisposte dal Dipartimento della Funzione Pubblica, secondo cui “la revisione organizzativa sottesa all’introduzione del lavoro agile impone una riflessione circa l’adeguatezza del S.M.V.P.”.
Durante la fase sperimentale e di avvio di questa nuova forma di lavoro, le amministrazioni hanno avuto un approccio molto limitato, riducendo la misurazione delle prestazioni al rapporto tra il dipendente e il dirigente e non considerando l’incidenza che lo stesso avrebbe avuto sulla dirigenza (chiamata a possedere specifiche competenze digitali, direzionali e di programmazione) e sull’intera organizzazione. La fase emergenziale non ha consentito di apportare i necessari correttivi, essendo mancata la indispensabile programmazione del lavoro agile presso le singole amministrazioni.
In queste ultime settimane, in vista di un auspicato superamento della pandemia, è emersa con maggior vigore e consapevolezza la necessità di un pieno ripensamento complessivo del sistema della performance, considerandolo “in tutte le diverse fasi del lavoro agile, dalla manifestazione d’interesse alla verifica in itinere delle attività svolte da remoto, alla valutazione finale dei risultati”[20]. La specificità e le novità del lavoro agile richiedono infatti, in aggiunta agli elementi tradizionali di valutazione (definizione obiettivi e risultati attesi, indicatori quantitativi e qualitativi, target), profili del tutto particolari, tra cui: forme di feed-back continuo in luogo di formali e cadenzate tappe valutative; processi di programmazione e controllo rapidi e informali; orientamento alla valutazione delle persone funzionale al loro sviluppo. Le linee guida sul P.O.L.A. offrono ulteriori spunti, anzitutto chiarendo come il lavoro agile non costituisca “un obiettivo in sé, ma una politica di change management”[21]. Inoltre viene precisata, relativamente alla performance individuale, l’opportunità di rivedere le declaratorie delle competenze, inserendo quelle maggiormente implicate dal lavoro agile, quali l’autonomia, la comunicazione, l’orientamento al risultato, il problem solving, il lavoro di gruppo e l’auto-organizzazione. In merito alla performance organizzativa, invece, il documento ministeriale sottolinea la necessità di prevedere indicatori di economicità, efficienza ed efficacia, tali da assicurare la misurazione dell’impatto del lavoro agile sulla stessa e sui servizi ai cittadini[22].
L’introduzione strutturale del lavoro agile - e il conseguente rinnovamento del ciclo della performance e dell’assetto organizzativo dell’ente - affinché possa essere proficua, dovrà essere progressiva e graduale. Secondo la Funzione Pubblica, infatti, dovrà svilupparsi in tre step: una fase d’avvio, una fase di sviluppo intermedio e una di sviluppo avanzato. Sarà essenziale tenere ben presenti i possibili rischi che, una volta concretizzatisi, potrebbero vanificare e svuotare il lavoro agile. Tra i più facilmente ipotizzabili[23], la elaborazione di progetti finalizzati alla misurazione delle singole attività quotidiane (individuando quali indicatori, ad es., il numero di pratiche svolte rispetto a quelle assegnate), anziché dei risultati, tradendo la spinta alla responsabilizzazione e all’autonomia.
4. Il lavoro agile come politica di welfare aziendale
Fin dal momento della sua formale introduzione nel nostro ordinamento, il lavoro agile è stato concepito quale misura avente un’importante funzione sociale. L’art. 14 della legge 07.08.2015, n. 124, infatti, ne riconosce la funzionalità rispetto sia alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, sia alla tutela delle cure parentali.
In dottrina[24] è stato segnalato come l’introduzione del lavoro agile possa consentire, oltre ad una maggior produttività e un miglioramento nell’erogazione dei servizi, la soddisfazione delle “esigenze e dei bisogni personali dei dipendenti, considerando lo smart working come una politica di welfare aziendale finalizzata a promuovere il benessere individuale”. Nella P.A., durante la fase pre-Covid, questa proiezione sociale ha trovato applicazione secondo una “logica reattiva”[25], ossia come risposta ad una richiesta del lavoratore. Va tuttavia segnalato il numero limitato di dipendenti che l'abbia accolta, sia a causa della poca attitudine a coglierne i vantaggi, sia per il poco incoraggiamento datoriale in tal senso. La fase emergenziale ha rappresentato un passaggio significativo, in cui tale misura è stata imposta quale strumento preventivo della tutela della salute contribuendo, così, a una sua diffusione pressoché generalizzata e alla contestuale consapevolezza della relativa valenza sociale.
Le Linee guida per la redazione del P.O.L.A. descrivono rilevanti impatti sociali che la flessibilità lavorativa, laddove correttamente applicata, potrà determinare[26]. Tra questi si segnalano: a) migliori condizioni di pari opportunità nella gestione del rapporto tra tempi di vita e di lavoro, soprattutto per le donne su cui ricade il maggior carico di cura; b) aumento del benessere dell’utenza per ridotta necessità di file a sportelli fisici, sostituiti da servizi digitali; c) aumento delle competenze digitali aggregate dell’utenza, con diffusione della cultura digitale e riduzione del digital divide; d) minori necessità di spostamento casa-lavoro; e) ripopolamento delle aree urbane periferiche e delle aree interne. Meritano menzione anche i potenziali impatti ambientali (minor inquinamento dovuto alla riduzione degli spostamenti casa-ufficio), economici (risparmio spese trasporto per lavoratore e di utenze per il datore) e sulla salute (sia fisica, ma anche professionale e organizzativa): infatti, questi possono contribuire – sia in positivo, che negativo – all’incidenza sociale del lavoro agile.
5. Il lavoro agile e il benessere dei lavoratori
Tra i maggiori impatti attesi dal lavoro agile vi è sicuramente il miglioramento del benessere del lavoratore. Anche in questo caso, molto utili sono gli spunti rinvenibili nelle citate Linee guida. Tra i vantaggi che il lavoro agile può determinare sul lavoratore c’è “la percezione positiva dell’equilibrio personale tra vita lavorativa e vita privata”, con conseguente ottimizzazione del tempo dedicato al lavoro. La flessibilità lavorativa può portare anche a “una riduzione dei livelli di stress, favorita dalla possibilità di lavorare in luoghi diversi dall’ufficio e dall’abitazione e di gestire al meglio il tempo libero”. Il benessere del lavoratore potrà accrescerne la salute professionale, attraverso l’implementazione delle competenze organizzative e digitali, ma potrà anche diffondersi all’intera organizzazione e al personale in generale (salute organizzativa), condizione, quest’ultima, da verificare periodicamente con apposite indagini di clima. È stato infatti evidenziato[27] come la teoria dello scambio sociale ben possa interpretare i risvolti di tali benefici. All’interno di relazioni interdipendenti si realizzerebbero, infatti, scambi bidirezionali: in questo modo, il lavoratore soddisfatto dai benefici del lavoro agile sarebbe maggiormente motivato, generando migliori performance, con beneficio anche dell’amministrazione d’appartenenza.
Il lavoro agile potrebbe però anche determinare, quasi paradossalmente, delle conseguenze negative sul lavoratore, compromettendone il benessere. Un’interessante ricostruzione dei fattori di criticità[28] ha evidenziato come in letteratura alcune ricerche abbiano dimostrato che spesso il lavoratore agile prova sensi di colpa, tendendo a sovraccaricarsi per ricambiare la maggior flessibilità ricevuta, rimanendo iper-connesso e creando una preoccupante commistione tra i tempi privati e lavorativi. Ulteriori profili critici riguardano le conseguenze sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori dovute alla mancanza di un raccordo con la normativa sui videoterminali e sull’orario di lavoro, nonché all’invasività del controllo datoriale. Il lavoro agile emergenziale ha messo in luce anche problemi di autonomia organizzativa dei lavoratori, di carenza delle dotazioni tecnologiche e delle relative competenze digitali, non previamente valutati a causa della sua applicazione massiva. È emerso anche un preoccupante isolamento sofferto dai lavoratori che, avendo perso le interazioni tipiche dell’ufficio, non hanno potuto condividere le proprie preoccupazioni con i colleghi.
Va, infine, segnalato che la giurisprudenza ha recentemente riconosciuto la funzionalità del lavoro agile rispetto al benessere del lavoratore. Di riferimento la sentenza n. 27913 del 04.12.2020, con cui la Sezione Lavoro della Cassazione ha condannato il datore che, rigettando la richiesta di lavoro agile della dipendente vittima di mobbing da parte dei colleghi, ha violato l’art. 2087 c.c. In forza di tale lettura, il lavoro agile, costituendo un potere datoriale, deve esser concesso in tutti i casi in cui sia utile a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Ad analoghe considerazioni è giunta la giurisdizione di merito[29], configurando il lavoro agile quale misura idonea ex art. 2087 c.c. a tutelare, durante le fasi emergenziali, il lavoratore affetto da gravi e comprovate patologie e con ridotta capacità lavorativa, oppure con congiunti disabili nel proprio nucleo famigliare.
6. Conclusioni
L’emergenza sanitaria ha sicuramente avuto un pregio: imporre alla P.A. maggiore flessibilità attraverso l’introduzione coattiva del lavoro agile che, fino ad allora, non aveva avuto grande diffusione. In questo modo gli enti, la dirigenza e il personale hanno potuto sperimentare concretamente vantaggi e svantaggi di questa nuova forma di lavoro, anche se in parte snaturata da una funzionalizzazione all’esigenza di tutela della salute. Si è trattato di un passaggio essenziale e preparatorio rispetto alla sfida futura che la attende: fare del lavoro agile una modalità ordinaria di svolgimento della prestazione, per una P.A. digitalizzata e dinamica, al passo con le grandi innovazioni. Per fare ciò sarà necessario un notevole sforzo. Bisognerà superare i modelli burocratici e procedimentalizzati che caratterizzano le organizzazioni pubbliche (ancorati all’imprescindibile presenza in ufficio), orientare il lavoro ai veri e concreti risultati e non ai meri adempimenti, stimolando l’autonomia e la responsabilizzazione. Un percorso tutt’altro che semplice, per il quale giocherà un ruolo fondamentale la formazione della dirigenza e del personale, che nell’ultimo decennio è stata irragionevolmente accantonata per esigenze di contenimento della spesa (D.L. n. 78/2010). È solo attraverso questa che tutti gli attori potranno esser consapevoli (e quindi padroneggiarle) delle potenzialità e dei benefici del lavoro agile (per l’organizzazione, il singolo lavoratore, il contesto famigliare e quello sociale, ma anche per l’ambiente), così come delle relative criticità, determinando l’auspicata evoluzione verso una cultura della digitalizzazione, dell’autonomia e della responsabilizzazione. Diversamente, sarà un’altra occasione sprecata per il settore pubblico italiano e la realizzazione del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., con il rischio di una sua ulteriore delegittimazione, inn specie nell’opinione pubblica.
[1] Di riferimento è l’art. 14, comma primo, della legge 07.08.2015, n. 124, in forza del quale “le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottano misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro e per la sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. L'adozione delle misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente comma costituiscono oggetto di valutazione nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all'interno delle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche adeguano altresì i propri sistemi di monitoraggio e controllo interno, individuando specifici indicatori per la verifica dell'impatto sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative”. L’istituto ha trovato una disciplina di maggior dettaglio con la direttiva n. 3, datata 01.06.2017, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la legge 22.05.2017, n. 81.
[2] Alcuna dottrina (G. VALOTTI, M. BARBIERI, G. GIACOMELLI, L. MICACCHI, F. VIDÈ, Il lavoro agile: un’occasione da non perdere, in Rivista italiana di Public Management, n. 2/2020, 301) sottolinea la configurabilità di quattro ambiti di flessibilità nel lavoro agile: la scelta in merito a dove svolgere la prestazione (che nel telelavoro è all’esterno, ma deve esser fissa); quando svolgerla; la flessibilità funzionale del dipendente e nel numero di lavoratori a disposizione.
[3] Il lavoro agile (o anche chiamato smart working) si differenzia dal telelavoro in maniera netta: il lavoratore svolge la sua prestazione sia all’interno che all’esterno dell’azienda, senza avere una postazione fissa, in assenza di vincoli di spazio e di tempo (l’unico è la durata massima dell’orario giornaliero e settimanale).
[4] Come precisato dalla direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3/2017, sopra citata.
[5] In tal senso si esprime L. ESPOSITO, Il telelavoro e lo smart working nelle Pubbliche Amministrazioni. Dalla normativa “pre-Covid” ai recenti provvedimenti connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in Il diritto amministrativo, 20.05.2021, 10.
[6] Secondo quanto disposto dalla legge n. 81/2017, il lavoro agile impone la preventiva stipula di un accordo tra il datore e il lavoratore interessato. In particolare, l’art. 19 dispone che “l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonchè le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. L'accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un'adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato”.
[7] Disposizioni che hanno trovato conferma anche in successivi provvedimenti emergenziali, tra cui il D.L. 19.05.2020, n. 34 (con cui veniva introdotta una soglia quantitativa minima, il 50%, dei lavoratori da collocare in lavoro agile, fatta eccezione per i servizi da rendere imprescindibilmente in presenza, e la redazione di un apposito piano del lavoro agile, il P.O.L.A.), il c.d. Decreto Milleproroghe (convertito con la legge 26.02.2021, n. 21).
[8] Come evidenziato da attenta dottrina (P. GENTILUCCI, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione durante la fase due dell’emergenza coronavirus, in Il diritto amministrativo, 25.05.2020, 5) la differenza fondamentale tra il lavoro agile emergenziale del settore pubblico e quello privato risiede nella obbligatorietà della modalità agile, prevista solo per il primo.
[9] M. TUFO, Il lavoro agile (dell’emergenza) esordisce in giurisprudenza: come bilanciare gli interessi in gioco nell’era della pandemia?, in www.lavorodirittieuropa.it, 02.07.2020) ha evidenziato come “il lavoro agile promosso dal legislatore dell’emergenza, può notarsi come esso non corrisponda né allo smart working né al lavoro agile di cui alla l. n. 81/2017”
[10] M. CROZIER, Il fenomeno burocratico, 1963, secondo cui l’organizzazione burocratica è un sistema organizzativo incapace di correggersi in funzione dei propri errori e le cui disfunzioni sono diventate uno degli elementi essenziali del suo equilibrio. Il cambiamento dell’organizzazione burocratica può avvenire soltanto in modo traumatico, attraverso una crisi esterna di legittimazione che rimetta in discussione gli equilibri interni che si sono strutturati.
[11] Riflessione espressa da ampia dottrina, tra cui G. VALOTTI, M. BARBIERI, G. GIACOMELLI, L. MICACCHI, F. VIDÈ, op. cit.; D. LAISE, G. MARTINO, Lo smart working nel tempo di pandemia, in Amministrazione in cammino, 22.01.2021.
[12] D. LAISE, G. MARTINO, op. cit., p. 2 ss., i quali sottolineano come la modalità agile e digitale sarà facilmente trasferibile sui “processi produttivi a complessità non elevata”, mentre per quelli a elevata complessità (ossia organizzazioni fatte da un’eterogeneità di parte distinte interagenti
[13] G. VALOTTI, M. BARBIERI, G. GIACOMELLI, L. MICACCHI, F. VIDÈ, op. cit., 311.
[14] L’approccio “activity based” sarebbe funzionale solo per il breve periodo, sul medio-lungo la definizione analitica delle attività ingesserebbe il lavoro agile; il “Mbo”, focalizzandosi eccessivamente sugli obiettivi e sui risultati, rischierebbe anch’esso un irrigidimento a causa del contesto dinamico in cui l’organizzazione si trova a operare, a fronte del quale “gli obiettivi invecchiano ancor prima di esser utilizzati”.
[15] S. ANGELETTI, Misurare il lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche: profili, problemi e prospettive, in Rivista italiana di Public Management, n. 2/2020, 66, il quale condivide l’esigenza di un rinnovamento dei modelli organizzativi della P.A. e della cultura manageriale, ritenendo però preliminare il superamento delle esposte criticità del sistema pubblico.
[16] Art. 263, comma 4 bis, del D.L. 19.05.2020, n. 34, convertito con legge 17.07.2020, n. 77, il quale ha modificato l’art. 14, comma 1, della legge 07.08.2015, n. 124.
[17] Da ultimo vedasi la legge 17.06.2021, n. 87, con cui è stato convertito il D.L. n. 52/2021 e modificato l’art. 14 della legge n. 124/2015, prevedendo “che entro il 31 gennaio di ciascun anno, le Amministrazioni Pubbliche redigono il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) che ne individua le modalità attuative prevedendo, per le attività che possono essere svolte in smartworking, che almeno il 15% dei dipendenti possa avvalersene, garantendo che gli stessi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera, definendo le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti. In caso di mancata adozione del POLA, il lavoro agile si applica almeno al 15% dei dipendenti, ove lo richiedano”. Previsione con cui è stata superata la soglia minima del 60% dei lavoratori prima e del 50% poi.
[18] Perplessità espresse in vari commenti da L. OLIVERI: Smart working ancora in cerca d’autore, in www.segretaricomunalivighenzi.it, 29.03.2021; La cultura meramente adempimentale: troppa programmazione equivale a nessuna programmazione, in www.segretaricomunalivighenzi.it, 12.01.2021.
[19] S. ANGELETTI, op. cit., 67,
[20] S. ANGELETTI, op. cit., 75, il quale evidenzia come in sede di valutazione delle manifestazioni debbano essere fatte delle misurazioni in merito al possesso dei presupposti per accedere al lavoro agile; una fase valutativa deve essere svolta anche sul progetto presentato dal dipendente, in termini di adeguatezza alle esigenze organizzative e ai compiti assegnati; misurazione che svolge un ruolo decisivo in sede di verifica, monitoraggio e valutazione dell’esecuzione.
[21] Nella medesima direzione anche A. VISENTINI, S. CAZZAROLLI, Smart working: mai più senza. Guida pratica per vincere la sfida di un nuovo modo di lavorare, 2019, 23, secondo le quali, il lavoro agile non sarebbe un obiettivo, ma uno strumento e un mezzo per il raggiungimento di obiettivi specifici di ciascuna organizzazione.
[22] Tra gli indicatori che le linee guida riportano a titolo esemplificativo ci sono: la riduzione delle assenze, l’aumento della produttività, la riduzione dei tempi di lavorazione delle pratiche ordinarie, il minor consumo di patrimonio e la riduzione dei costi.
[23] S. Angeletti, op. cit., p. 83.
[24] G. VALOTTI, M. BARBIERI, G. GIACOMELLI, L. MICACCHI, F. VIDÈ, op. cit., 308.
[25] Impostazione opposta alla “logica proattiva” in cui è il datore a promuovere la forma di lavoro flessibile, puntando al conseguimento di maggior efficacia, efficienza ed economicità.
[26] Vedasi le indicazioni da pag. 26 e ss. delle Linee guida.
[27] Considerazione svolta da G. VALOTTI, M. BARBIERI, G. GIACOMELLI, L. MICACCHI, F. VIDÈ, op. cit., 303.
[28] P. CINQUE, P. FALZETTI, G. LE ROSE, Smart working ed emergenza sanitaria: una lettura prospettica a partire dall’esperienza dell’Invalsi del Covid-19, in Rivista italiana di Public Management, n. 2/2020, 263.
[29] Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, ordinanza 21.01.2021, n. 5961; Tribunale di Grosseto, Sezione Lavoro, ordinanza 23.04.2020, n. 502; Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, decreto 23.04.2020, n. 2759.