Pubbl. Gio, 1 Ott 2015
L´alto costo dei bassi prezzi. Cap. 1: Tiger tiger burning bright
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Saverio Setti
Analisi macroeconomica critica della crisi. Profili storici, prospettive di crescita, aspetti finanziari e commenti europeisti.
Tiger Tiger burning bright [1]
Sembra che l’età dell’oro europea sia davvero finita. Gli anni compresi tra la fine del Secondo conflitto mondiale e il primo shock petrolifero del ’77 posero le basi per una struttura di prosperità europea che appare oggi, quantomeno in alcuni Paesi, in declino. È da evidenziare come, nel periodo 1950-1973, il tasso medio annuo di crescita del reddito per abitante dei 12 Stati europei occidentale fu del 3,9% (con gli USA in crescita del 2,4%). Tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, la crescita fu identica: nella sostanza i redditi dei cittadini occidentali aumentarono del 38,2%[2]. L’andamento dei prezzi al consumo presenta caratteristiche incoerenti: il superfluo costa meno del necessario[3].
Causa primaria di questo disallineamento, sotto cui covano ben più profonde e serie criticità, è l’inscindibile rapporto simbiotico tra globalizzazione e finanza. La globalizzazione, con l'apertura su vasti spazi dei mercati con la caduta dei vecchi confini dei vecchi controlli, ha forgiato la sua nuova finanza.
A parere di chi scrive, due sono le date che hanno cambiato la struttura economica del mondo.
Il 1989, con la caduta del muro di Berlino, segna la crisi sia del liberalismo che comunismo. Emerge infatti una nuova ideologia basata sulla loro fusione. Mentre in Occidente vigeva il liberalismo, che si basava sul principio di libertà applicata al mercato, e nel blocco sovietico vigeva il comunismo, che si fondava su una legge di sviluppo basata sulla società[4], dalla caduta della contrapposizione est-ovest nasce il mercatismo, che ne è la sintesi[5]: al mercato viene applicata una legge di sviluppo necessario e lineare. È il mercato ad essere superiore a qualsiasi altra forma sociale e culturale, degradando l’uomo a mero consumatore. Egli consuma in quanto esiste ed esiste in quanto consuma. Scrive Pignatti:
"Dal punto di vista teorico, il principio della concorrenza perfetta, su cui si fonda il pensiero economico liberista, non è, come pensano i cultori del mercatismo, sinonimo di assenza di regole e di laisser faire, ma piuttosto individua caratteristiche ideali che permettono ai mercati di assicurare un’allocazione efficiente delle risorse tra gli individui. È allora compito del policy making avvicinare la realtà economica a quella, irraggiungibile, di concorrenza perfetta: imponendo regole adeguate agli agenti, controllando e, se del caso, sanzionando i loro comportamenti anticompetitivi attraverso istituzioni appropriate[6]".
Il 1994 vide la firma dell'accordo WTO sul commercio mondiale. In cinque anni con l'ingresso della Cina[7], il mondo si trasformò in un mercato unico, ormai tutte le aree economicamente e politicamente più influenti del mondo erano unite in un organizzazione il cui obiettivo è la riduzione delle barriere tariffarie al commercio internazionale. Questa apertura ebbe rilevanti conseguenze primariamente sul piano economico finanziario, quindi su quello sociale. I capitali, smaterializzatisi in internet, si mossero liberamente in cerca di manodopera a basso costo, di sistemi burocratici più agili e di minore imposizione fiscale, rendendo l’Europa, e l’Occidente, esportatrice di ricchezza ed importatrice di povertà. Scrive Tremonti:
"Le direttrici e le forme del movimento sono diverse, ma l'effetto complessivo è lo stesso: l'Occidente esporta ricchezza e importa povertà. Le ragioni di scambio originariamente proprie del colonialismo sono, in questi termini, sovvertite. Come contropartita della sua proiezione sui mercati esteri, l'Occidente non stacca più il ‛dividendo' coloniale, non fruisce più dell'impressionante flusso di ricchezza fisica che ha reso opulente vaste regioni del Nord. Al contrario, l'Occidente ha cominciato a operare e congiuntamente a subire una specie di gigantesco ‛auto-takeover'. L'immigrazione dei poveri, combinata con l'allungamento della vita (invecchiamento) delle popolazioni occidentali, e la migrazione ‛mondiale' dei capitali attivano, infatti, un processo di ‛concorrenza verso il basso' che erode progressivamente la ricchezza dell'Occidente. In particolare, all'egoismo attivo, tipico del colonialismo, si sta ormai sostituendo una specie di altruismo passivo: colonialismo storico e autocolonizzazione attuale sono contraddistinti dallo stesso darwinismo economico. Opposto, e soprattutto regressivo per l'Occidente, è invece l'effetto[8]".
Ciò mise in diretta concorrenza i salari occidentali con quelli orientali, convergendo su una situazione di salari orientali e costi occidentali. Il problema fondamentale, nel parere di chi scrive[9], è che il WTO è un’organizzazione essenzialmente economica, dunque non si pone obiettivi politici. Sarebbe però opportuno che si assumessero posizioni forti sul piano dei diritti umani. Perché la mancata garanzia statuale ai lavoratori cinesi delle basilari libertà sindacali, comporta che una delle più influenti economie produttive al mondo possa produrre in condizioni tendenti allo schiavismo. Il bassissimo costo delle esportazioni cinesi non può non realizzare un concorrenza sleale, in sostanza un dumping, sui prodotti di altri Paesi che devono produrre in condizioni di migliori garanzie, ma ovviamente di maggior costo della manodopera e quindi di prodotto finale. L’allineamento delle condizioni di produzione al minor costo sarà, allora, l’unica via di sopravvivenza al dumping. Questo, ovviamente, comporterebbe non solo il restringimento delle libertà sindacali e dei diritti dei lavoratori, ma anche la graduale discesa della classe media verso la povertà[10]
La divisione del mondo tra Asia produttrice di merci a basso costo e America consumatrice a debito, a sua volta spinto la globalizzazione, superando di gran lunga, con i suoi grandi numeri, i numeri più piccoli e concreti dell'economia reale.
S’è quindi manifestata una fortissima doppia mutazione; in senso dimensionale perché le grandi banche internazionali hanno preso forma dominatrice della mega-banca divenendo insieme "universali" ed "irresponsabili”, in senso funzionale perché le mega-banche hanno applicato in forma radicale su scala globale le nuova forme della tecno finanza, in particolare il modello originate to distribute[11].
La struttura sempre più liquida, priva di barriere e smaterializzata grazie alla tecnologia, del mercato finanziario ha consentito una nuova ed inedita redistribuzione del rischio creditizio, la rottura del vecchio equilibrio tra rischio e responsabilità e l’apertura di una netta asimmetria tra origine del rischio e responsabilità per il rischio. In sostanza, mediante cartolarizzazione, le mega-banche si sono via via liberate del proprio originario rischio trasferendolo su prodotto finanziari acquistati poi da terzi attratti dal nome bond o da allettanti rendimenti, ma anche gravemente inconsapevoli della conseguente assunzione del rischio. Ma di questo si discuterà meglio nel quarto paragrafo.
Per anni, insomma, anche dopo la caduta del sistema di controllo delle variazioni valutarie[12], si è vissuti nel sonno dogmatico della perfezione del mercato spronato dalla crescita degli anni ’80 e nell’illusione di poter controllare a livello politico nazionale un mercato che era ormai, di fatto, una forza politica internazionale.
Base ideologica fu la concezione neoliberista che, diffusasi a partire dagli anni ’70 negli ambienti accademici anglosassoni[13], unito al ricordato sganciamento del dollaro dall’oro, innescò una spirale di deregolamentazione che toccò tutti i settori economici.
L’abbandono delle concezioni ordoliberalistiche[14] ha sì portato ad una crescita del PIL mondiale[15], ma anche ad una combinazione tra «nazionalismo monetario e dittatura del mercato»[16] che rende impossibile conciliare bassa inflazione, libertà commerciale e stabilità finanziaria. A ciò si aggiunga il fatto che la caduta delle barriere e la completa informatizzazione portano a concludere che il numero di mercati sta diminuendo e convergendo su macro-aree valutarie o produttive interconnesse[17]. È, quindi, chiaro, che la situazione critica di un’area non può che avere effetti diretti sull’altra e, quindi, sull’intero mercato.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Primo verso di The Tiger di W. Blake, in Song of experience, Londra, 1794.
[2] Dati forniti da Maddison, aggiornati da OCSE e citati in G. Toniolo, Produttività e benessere: Passato e Futuro dell’Europa, LUISS, 28 febbraio 2013, p. 8, disponibile su http://www.dis.uniroma1.it/~fsr/GT13AT.pdf. Cfr. anche A. Rizzuto, L’Europa monetaria: dall’età dell’oro all’età dell’euro, Milano, Armando Editore, 2003, p. 258 e segg.
[3] La spesa media mensile per generi necessari per famiglia italiana nel 2012 è di 201,61 € (fonte istat: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SPEMMFAM), mentre il prezzo minimo medio di un volo low cost da Milano a Londra è di 7 €.
[4] Marx affermò: "Il mio punto di vista [...] concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come un processo di storia naturale". Da questa impostazione venivano le seguenti conclusioni: 1) che il meccanismo di sfruttamento capitalistico (avente il suo cardine nell'appropriazione del 'plusvalore' da parte del capitalista) rappresentava una fase necessaria dello sviluppo sociale; 2) che tutti i paesi nel corso della loro modernizzazione avrebbero seguito fondamentalmente la via inglese; 3) che la rivoluzione socialista internazionale avrebbe potuto avvenire solo una volta che il capitalismo avesse raggiunto la sua maturità; 4) che lo sviluppo del capitalismo giunto alla fase della piena maturità avrebbe prodotto prima la scomparsa dei ceti intermedi e poi lo scontro risolutivo fra una minoranza di grandi capitalisti e la grande massa dei proletari, sulla base di un processo gigantesco di concentrazione delle attività produttive; 5) che siffatta concentrazione avrebbe costituito la base materiale, una volta realizzatosi il processo di espropriazione dei capitalisti, della produzione collettivistica sottoposta alle regole del piano socialista.
[5] cfr. D. Held e M. K. Archibugi, Timing globalization, Cambridge, Polity Press, 2008, pp. 93 – 118.
[6] Treccani, Dizionario di economia e finanza, 2002.
[7] Oziosa sarebbe la tesi secondo la quale la Cina dovrebbe subentrare nella posizione che aveva il Blocco sovietico nei confronti degli Stati Uniti. Per prima cosa perché, a differenza dell’URSS di allora, «la Cina non ha mai avuto e non pensa di avere una forza ideologica attrattiva ed espansiva, [ma] solo una forza economica» (G. Tremonti, La paura e la speranza, Milano, Mondadori, 2009, p. 27). In secondo luogo perché non è ancora chiaro se il suo ritorno ai vertici mondiali avverrà in chiave hobbesiana (per mezzo della legge della forza) o in chiave kantiana (per mezzo della forza della legge), ma è almeno sicuro che fino ad oggi la Cina è stata un allievo abbastanza diligente delle grandi organizzazioni internazionali (cfr. Tommaso Padoa Schioppa, La veduta corta, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 99 – 101).
[8] Alla voce Geofinanza nell’Enciclopedia Treccani; voce disponibile su http://www.treccani.it/enciclopedia/geofinanza_(Enciclopedia_del_Novecento)/.
[9] J. Ziegler, La privatizzazione del mondo. Predoni, predatori e mercenari del mercato globale, Milano, Il saggiatore 2010, p. 157 segg.
[10] Cfr, tra i tanti, l’articolo si M. Ricci, Da classe media a quasi poveri: ecco l’Italia degli sprofondati, ne Repubblica del 12 dicembre 2013.
[11] Modello di intermediazione per il quale il soggetto erogatore di un prestito, dopo aver selezionato i debitori, trasferisce ad altri il prestito ricavandone liquidità. Il trasferimento avviene mediante cartolarizzazione e/o derivati creditizi, consentendo una rapida conversione tra asset illiquido a strumento negoziabile, dunque liquidità (securitization).
[12] Che vide susseguirsi, nell’ordine, il gold standard fino a Bretton Woods, quindi il gold exchange standard fino al 15 agosto del ’71, ed infine l’auttuale dollar standard; un percorso storico che privatizzò i cambi e nazionalizzò le monete.
[13] Soprattutto nella c.d. Scuola di Chicago con L. Von Mises, ma soprattutto con M. Friedman.
[14] Con, forse, una forzatura, chi scrive vede nel Glass-Steagall Act le stesse idee ispiratrici della Scuola di Friburgo. Infatti, la divisione tra banche d’investimento e banche di risparmio, garantiva una relativa sicurezza sui depositi in conto corrente. Lo Stato, riusciva ad armonizzare sia le richieste di giustizia sociale, tendendo ad evitare la speculazione con i danaro dei correntisti, sia la libertà di mercato, perché non interferiva coi suoi esiti naturali, lasciando “libere” le banche d’investimento. L’abolizione di questa legge ha consentito l’unificazione delle due tipologie di banche, rendendo lo Sato neolibersta mero spettatore delle vicende di mercato comportando, nell’opinione di chi scrive, l’abbandono della economia sociale di mercato.
[15] In dieci anni l’aumento fu di circa 11 bilioni di dollari (10,9845 bilioni di dollari nel 1980 e 21,9014 nel 1990). Non si è comunque trattato di un evento eccezionale poiché il trend era in salita già dal secondo dopoguerra e solo nel periodo 2002-2008 è salito di circa 30 bilioni di dollari. Dati forniti da Banca Mondiale, con ultimo aggiornamento 9 novembre 2011, interessante grafico disponibile qui.
[16] T. P. Schioppa, op. cit., p. 102.
[17] S’avranno, ad esempio, i grandi fondi d’investimento area euro, emerging market o, anche, global bond.