Pubbl. Ven, 4 Giu 2021
Il panorama giuridico della Germania di inizio ottocento: la polemica sulla codificazione
Modifica paginaL´articolo si propone di presentare la situazione giuridica dei territori tedeschi tra la fine del Settecento e l´inizio dell´Ottocento. L´allora non unificata Germania vive il processo di codificazione civile in modo diverso rispetto ai vicini stati europei, e il motivo principale è la totale differenza nella struttura storico-culturale, piuttosto che giuridica. Si prendono in esame le principali scuole di pensiero che fungeranno da iniziatrici del processo di unificazione giuridica, ormai non più rinviabile.
Sommario: 1. Il cambiamento della Scuola Storica tra fine Settecento e inizio Ottocento; 2. Il passaggio dal Giusnaturalismo logico-deduttivo ad un nuovo modo di pensare storico: la scuola di Göttingen; 3. La nascita della storiografia pragmatica.
1. Il cambiamento della Scuola Storica tra fine Settecento e inizio Ottocento
Il panorama giuridico europeo di fine Settecento si caratterizza per una forte ondata di innovazione e cambiamento.
Quelli che finora erano stati territori impregnati di diritto consuetudinario e forti delle loro tradizioni locali iniziano a configurarsi quali terreni fertili per l’inizio del processo codificatorio, processo che imprimerà negli Stati europei un’impronta destinata a durare per secoli e di cui, ancora oggi, conserviamo forte testimonianza nelle legislazioni nazionali.
Se da una parte vi è la Francia, la quale sembra ormai essere pronta a dotarsi di una codificazione che cambierà per sempre le sorti giuridiche degli Stati europei[1], dall’altra parte il territorio germanico sembra vivere il processo di evoluzione giuridica in maniera più analitica, sistematica, dovendosi attendere il secolo successivo per giungere ad un prodotto codice che sarà figlio di elaborazioni dottrinali di altissimo livello culturale.
È opportuno, ai fini del nostro excursus storico-giuridico, analizzare quali sono stati gli elementi prodromici al processo codificatorio e quali sono state le spinte culturali, e in parte anche politiche, che hanno permesso e agevolato la stesura del Bürgerliches Gesetzbuch[2].
La «gestazione della codificazione germanica»[3] però non può prescindere da una breve analisi dell’assetto giuridico dei territori germanici nei secoli precedenti e delle prime manifestazioni scritte di questo; il diritto germanico nasce infatti come diritto orale e sviluppa negli anni un patrimonio consuetudinario che permetterà il tramandarsi di una serie di norme che attecchiranno in tutto il territorio tedesco e che assumeranno connotazioni differenti in virtù del particolarismo locale.
Le consuetudini infatti, per definizione «fatto ripetuto nel tempo in seno a una comunità piccola o grande, ripetuto perché si avverte in quel fatto una valenza positiva»[4], hanno costituito, nei secoli antecedenti la codificazione, la base giuridica regolante i rapporti intersoggettivi e hanno permesso la genesi di un insieme di norme che non solo fungerà da risoluzione per le controversie tra privati, ma sarà anche un valido strumento dottrinale ai fini della formazione di un diritto pubblico tedesco[5].
Nonostante tale sistema orale si fosse perpetrato pressoché intatto per anni, non erano mancate, nei secoli precedenti all’inizio della polemica sulla codificazione, delle avvisaglie circa la volontà dei territori germanici di formalizzare per iscritto il diritto orale, sebbene il terreno non fosse ancora fertile per la codificazione; si tratta di manifestazioni scritte definibili come raccolte, redatte con la necessità di dare una maggiore certezza a quel diritto che ormai, vittima delle tradizioni locali, iniziava a subire una eccessiva frammentazione, suscitando il bisogno, nei territori più estesi, di cristallizzare le regole tramandate oralmente per anni.
La raccolta più celebre è il c.d. Specchio Sassone (Sachsenspiegel), che costituisce l’esemplificazione di quanto appena esposto e rappresenta il testo normativo più importante del Medioevo tedesco.
Nonostante debbano trascorrere ancora otto secoli per giungere al prodotto codice, nel 1215 il giurista Eike von Repgow, su incarico del principe Hoyer von Falkenstein, discendente di Egeno II, dà inizio alla redazione di tale raccolta, la quale richiederà all’incirca venti anni per essere portata a compimento[6].
L’esame di tale raccolta è imprescindibile, ai fini della nostra analisi storico-giuridica, in quanto rappresenta uno dei primi esempi - nonostante le fonti riportino l’esistenza di una precedente versione latina, andata però perduta - di trascrizione del diritto fino ad allora tramandato oralmente.
Tuttavia, essa non può essere considerata una legge; l’intento dell’autore era quello di raccogliere le consuetudini allora vigenti, così da dare maggiore certezza al diritto esistente.
Accanto ad essa, ruolo fondamentale riveste anche un’altra redazione, lo Specchio Svevo (Schwabenspiegel); composto nell’arco temporale di un anno, dal 1275 al 1276, raccoglie consuetudini bavaresi affiancate a disposizioni imperiali, testi romanistici e canonistici e capitolari franchi[7].
Le due redazioni costituiscono pressoché gli unici esempi di trascrizione del diritto orale consuetudinario dei territori germanici e il richiamo ad esse è necessario in quanto costituiscono i primi germogli di un processo di redazione scritta che culminerà, nel 1900, con la pubblicazione del BGB.
L’assetto consuetudinario del diritto aveva permesso alle norme germaniche di svilupparsi e di attecchire sempre di più grazie a questi esempi di redazioni scritte; esse infatti, sebbene strumenti di immobilizzazione del diritto, hanno il grande merito di aver spianato la strada ad una nuova consapevolezza circa la necessità di una maggiore certezza del diritto, certezza che, sebbene nata tardi rispetto ad altri Stati europei, trarrà grande giovamento dalle redazioni ivi analizzate, imprescindibili ai fini dell’analisi del processo in esame.
Si noterà, infatti, come tali manifestazioni scritte del diritto siano state prodromiche al processo codificatorio e il grado di influenza che hanno esercitato sui giuristi che comporranno la Commissione per la codificazione.
Ma, alla luce di ciò, qual è il punto di svolta nella concezione del diritto da parte dei territori tedeschi? E come si passa dalla stabilità di un diritto consuetudinario ormai piuttosto solido alla necessità di una codificazione?
Indubbiamente, prima di analizzare i fattori strettamente giuridici che hanno determinato tale ventata di cambiamento - assimilando finalmente la realtà tedesca al cambiamento già in moto per la maggior parte degli Stati europei - è necessario guardare alla situazione storico-politica che caratterizza i territori germanici sul finire dell’Ottocento; come precedentemente accennato, la realtà dei territori germanici viene fortemente scossa a livello geopolitico e ciò causerà, di riflesso, una forte ventata di cambiamento anche nel mondo del diritto.
Nella maggioranza delle regioni tedesche dilaga ormai il sistema capitalistico che, maturando lentamente nei primi decenni del XIX secolo, per poi subire una forte accelerazione dalla seconda metà del secolo in poi, determina la formazione di un diverso assetto non solo a livello industriale ma anche dal punto di vista culturale.
Non è un caso che, proprio in questi anni, sarà pubblicata l’opera destinata ad avere un impatto fortissimo in ambito geopolitico: siamo nel 1867 quando il primo libro dell’opera Das Kapital, di Karl Heinrich Marx[8], viene pubblicato e inizia a scuotere gli animi non solo degli esponenti politici, ma anche degli esponenti della dottrina giuridica tedesca; perché tale influsso su questi ultimi?
Lo scrittore tedesco, descrivendo gli effetti feroci del capitalismo, fa riferimento proprio ai territori della Renania: essi, ormai da anni sotto il controllo francese, avevano subito l’applicazione forzata del codice napoleonico, generandosi nella popolazione un forte sentimento di rifiuto nei confronti del dominio francese e del suo diritto.
Nel 1816, quando l’occupazione dei cosiddetti stati fantoccio da parte di Napoleone volge finalmente al termine, il Code Napoléon inizia infatti ad essere rigettato dalla popolazione della Renania, la quale, come sostenuto dall’opera marxiana, esige adesso un assetto differente, in risposta ai cambiamenti politici ed economici che stanno interessando tutti i territori europei.
Il codice napoleonico si configura ormai, nonostante siano trascorsi pochi anni dalla sua pubblicazione, come un codice obsoleto, con uno stampo eccessivamente agrario e rispondente fondamentalmente alle esigenze della sola classe borghese.
Matura così nei popoli della Renania, e a cascata nella grande maggioranza degli altri stati germanici, la necessità di un assetto giuridico che sia al passo con i cambiamenti della società e che sia in grado di rispondere alle esigenze sociali ormai mutate; per esse non è più sufficiente il diritto consuetudinario, bensì è necessaria una nuova impostazione giuridica, un nuovo assetto normativo[9].
A questa situazione di instabilità risponde prontamente la Scuola Storica.
Come accennato in precedenza, essa giocherà un ruolo fondamentale nell’assestamento di questa nuova impostazione giuridica e, mossa anche da una forte influenza politica, determinerà le sorti del futuro prodotto codice, configurandosi come precorritrice della Pandettistica.
Gli esponenti della Scuola Storica iniziano a rendersi conto del tumulto che si sta verificando a livello popolare a partire dalla regione della Renania e avvertono il sentore di una possibile rivoluzione.
Prova di ciò è un discorso tenuto dallo storico tedesco Barthold Georg Niebuhr presso l’Università di Bonn: siamo nel 1829, a ridosso della fine del dominio napoleonico su territori tedeschi, quando lo storico asserisce «Il mondo adesso è migliore di quello di quaranta anni fa, benché la situazione sia più pericolosa.
Allora le forze che giacevano compresse vennero liberate; ed anche l’antico, o l’antichissimo, che pretende di essere immutevole, è stato trasformato da questa grande epoca, o è stato posto in un diverso equilibrio»[10].
Capiamo dunque come gli storici siano ben consci del cambiamento in atto e del fatto che urge una risposta immediata da parte degli esponenti del diritto, onde evitare che la situazione di incertezza sfoci in una rivoluzione popolare.
La Scuola Storica, che fino ad adesso si era limitata a riflessioni circa la natura del diritto e a un’aspra critica alle dottrine del Giusnaturalismo e del Positivismo, deve adottare un’inversione di rotta al fine di fornire ai territori tedeschi una soluzione contingente, soluzione che sarà ovviamente pregna dello spirito romantico e pertanto avversa a qualsiasi forma di allontanamento dallo spirito popolare e dal mondo delle consuetudini.
Se consideriamo lo sviluppo della Scuola Storica, infatti, ci rendiamo conto di come essa sia da considerare sì anticipatrice del prodotto codice, ma anche come non sia assolutamente separabile dallo spirito romantico che caratterizza i suoi primi anni di attività; non è un caso che il romantico Savigny sia considerato uno dei maggiori esponenti della Scuola e che gli epistolari dei suoi anni giovanili e le sue prime pubblicazioni siano testimonianza dei rapporti intessuti con diversi storici tedeschi del tempo, altrettanto impegnati nell’analisi socio-giuridica di quanto si stava verificando nei Länder tedeschi e altrettanto concordi nel considerare la storia - e il diritto - quali realtà non comprimibili dallo spirito illuministico[11].
Quanto avvenuto a livello politico determina un profondo mutamento nel mondo del diritto tedesco e nasce un importante interrogativo circa «la natura del diritto e il suo rapporto con la ragione e con la realtà storica»[12]; tale interrogativo aveva trovato risposte differenti tra gli esponenti della Scuola Storica e aveva dato vita ad un fervente dibattito che ruotava attorno ad una nuova concezione della storia, prima che del diritto.
Il processo di rinnovamento aveva interessato diversi settori culturali, iniziando a verificarsi un distacco dalle teorie illuministiche, che lasciano il posto ad un nuovo modo di pensare prettamente storico, scevro da una ragione pura e astratta, e maggiormente vicino alle ragioni del Romanticismo, ragioni che saranno poi proprie di Savigny, come si analizzerà nei paragrafi successivi.
Ciò che si sta verificando a livello culturale è una vera e propria rivoluzione del pensiero che, non solo si estenderà a tutti gli ambiti del sapere, ma farà sì che il territorio tedesco muti completamente la propria concezione del diritto.
Ciò non comporta però la scomparsa del pensiero illuministico, il quale anzi sarà il retroterra culturale principale dell’impianto codicistico: sono proprio questi infatti gli anni in cui il filosofo tedesco Immanuel Kant, nel semestre estivo del 1784, tiene una serie di lezioni nell’ambito del suo corso sul diritto naturale, di cui si conserva oggi una trascrizione manoscritta[13]; egli, partendo dall’assunto per cui non può esservi diritto che non si fondi sulla filosofia, asserisce che l’uomo va qualificato quale soggetto unitario di diritto naturale.
Da tale definizione capiamo subito come la filosofia kantiana ha influenzato i redattori del codice, figurando questo modello di uomo astratto e unitario in luogo di un soggetto in balìa delle consuetudini e di un diritto perennemente incerto.
Se da una parte abbiamo le certezze dell’illuminismo, che continuano ad avere un forte impatto sul mondo del diritto e le cui teorie si affinano sempre di più nella creazione del concetto di uomo astratto e unitario, al contempo cresce velocemente l’animo romantico, il quale promuove un ritorno al mondo consuetudinario e alla vera essenza del diritto, cioè un diritto intriso di storia e di particolarismo locale.
Questa dicotomia permarrà per l’intero secolo, vedendo contrapporsi due fazioni culturali - i fautori del codice e gli oppositori - che daranno vita alla celeberrima polemica sulla codificazione.
Capiamo dunque come tale cambiamento renderà il terreno ostico al diritto consuetudinario, protagonista indiscusso dell’epoca medioevale e di gran parte dell’epoca moderna.
Quel diritto orale che si era tramandato per anni ed era stato addirittura trasposto in una serie redazioni scritte non è più idoneo a sorreggere il patrimonio giuridico dei territori tedeschi; ferve, nei ranghi del diritto, la necessità di un cambiamento che non è ormai rimandabile.
Ma questo cambiamento non sarà accolto immediatamente dalla Scuola Storica, generandosi piuttosto una forte reazione di disappunto.
In virtù di ciò, tale richiamo al passato si rende necessario ai fini di sviscerare la linea di pensiero adottata dalla della Scuola Storica sul finire del XVIII secolo e, in generale, il mutamento della cultura giuridica tedesca negli anni in esame.
Nel momento in cui una parte della dottrina tedesca inizia a paventare l’ipotesi di un diritto differente, riferibile ad un modello di uomo generale e astratto, la Scuola Storica produce una reazione di rigetto sia al Giusnaturalismo sia al Positivismo, promuovendo invece una concezione del diritto quale scienza maggiormente aderente alla realtà, allo spirito del popolo.
Il diritto giusnaturalistico, che era stato caratterizzato da un profondo senso di astrattezza, finisce per essere sostituito da un diritto di stampo romantico, che fonda le sue radici nelle tradizioni locali.
L’errore del Giusnaturalismo, infatti, secondo gli esponenti della Scuola, è quello di aver concepito il diritto quale realtà non solo eccessivamente astratta, ma anche di aver affermato principi eterni e immutabili che, essendo tali, non sono confacenti ai continui mutamenti caratteristici della realtà del diritto, che essendo una realtà popolare, non può essere compressa in un modello unico e generale.
Proprio su queste basi, ivi accennate, prenderà il via la polemica sulla codificazione che sarà protagonista del XVIII secolo ed è su tali premesse che il giurista tedesco Anton Friedrich Thibaut proporrà di procedere con la codificazione; ma non dovrà attendersi molto per la risposta del romantico Friedrich Carl von Savigny e per l’opposizione dell’intera Scuola Storica.
2. Il passaggio dal Giusnaturalismo logico-deduttivo ad un nuovo modo di pensare storico: la scuola di Göttingen
Alla luce di quanto analizzato nel paragrafo precedente, possiamo comprendere come e perché si è verificato un profondo distacco dal Giusnaturalismo di stampo logico-deduttivo e come questi ha lasciato il posto ad un nuovo modo di pensare intriso di storia e vicino alle istanze locali.
La Scuola Storica inizia ad avvertire infatti l’esigenza di un cambiamento che non può però prescindere da un ritorno alla storia e al diritto locale.
Quanto l’Illuminismo aveva cercato di rimuovere dal patrimonio giuridico tedesco fornisce invece il punto di partenza, agli esponenti della Scuola Storica, per riportare il diritto dei territori germanici al mondo consuetudinario.
Ciò che agli illuministi, infatti, sembrerebbe solamente una mera regressione ad un diritto obsoleto, al «vecchiume» - come definito dallo storico del diritto Paolo Grossi[14] -, rappresenta invece per gli esponenti storici l’unico modo di salvare la vera natura del diritto.
I territori tedeschi, ancora non identificabili come Germania, presentano una grande frammentazione politica ed iniziano ad esigere, come supra accennato, un nuovo assetto giuridico; la reazione di rigetto al Code Napoléon da parte dei territori della Renania ha indubbiamente spianato la strada ad una ventata di novità e la risposta della Scuola Storica non si è fatta attendere.
La Scuola Storica pone in essere una vera e propria «storicizzazione del pensiero e del sapere»[15]: la rivoluzione romantica procede ormai speditamente e il modo di pensare logico-deduttivo che aveva caratterizzato il pensiero illuminista finisce per essere definitivamente abbandonato; in luogo di un pensiero e di un sapere analitici, basati sul rigorismo matematico, il nuovo sapere è intriso di storia e di ritorno alle origini della cultura tedesca immediatamente successiva al Medioevo sapienziale.
Questo nuovo pensiero storico ha come base un rinnovato ruolo della filosofia: se l’Illuminismo aveva fondato le proprie dottrine sul pensiero dei filosofi-matematici greci, gli esponenti della Scuola storica compiono invece un’altra tipologia di operazione: iniziano a concentrarsi sulla c.d. natura della cosa, cioè si ha un ritorno allo studio del particolare, all’analisi delle manifestazioni del diritto in una prospettiva incentrata sui rapporti intersoggettivi e non su un modello di uomo astratto e generale.
Questa analisi sulla natura del diritto e sui rapporti intersoggettivi favorisce un vero e proprio focus sulle manifestazioni del diritto a livello locale, perché solo partendo da esse si possono ricostruire delle caratteristiche comuni e generali, senza compromettere il particolarismo giuridico, errore in cui invece erano incappati i positivisti.
Questi ultimi, infatti, nello sforzo di creare un modello di uomo generale, un soggetto cui potessero essere applicate delle categorie del diritto generali, e non delle consuetudini diverse in base al territorio di appartenenza, avevano in realtà ottenuto, secondo gli esponenti della Scuola Storica, un effetto negativo.
Tale cambio di prospettiva si evince appunto dall’impianto filosofico costituente il sostrato dottrinale della Scuola Storica e, ancor prima, dell’intero ambiente dottrinale tedesco.
I filosofi e i giuristi tedeschi non ragionano più in un’ottica meramente analitica, logico-deduttiva, bensì in un’ottica più attenta al particolare; l’abbandono del metodo deduttivo, a favore di quello induttivo, determina un nuovo centro di interesse per gli studiosi: al centro non si ha più un uomo al quale applicare princìpi eterni e immutabili, un uomo generale ed astratto, bensì un uomo calato perfettamente nella realtà in cui vive e che, in quanto tale, necessita di un patrimonio giuridico intriso di storia e particolarismo.
Tale cambiamento di rotta altro non è che l’effetto del Romanticismo; i giuristi non rimangono inerti di fronte ad un mutamento di tale portata, bensì rispondono adeguandosi alle esigenze del tempo.
Essi, dunque, a differenza degli illuministi, sono attenti ai fattori economici, politici e sociali.
Il distacco dal Giusnaturalismo logico-deduttivo in favore di un nuovo modo di pensare prettamente storico si verifica in risposta non solo ai tumulti che si stanno verificando in Germania a livello politico, ma anche e soprattutto, come reazione ad una nuova sensibilità culturale, appunto quella del Romanticismo.
In questi anni, che non a caso coincidono con il periodo di formazione di Savigny, si sviluppa questa nuova sensibilità attenta al particolare e alla storia che di lì a poco inizierà a dilagare nelle principali università tedesche.
La scuola wolffiana[16] inizia a configurarsi come una realtà ormai lontana, non più idonea ai tempi correnti.
Ma questo non stupisce, dal momento che non siamo poi così lontani dall’anno 1787, anno in cui vi era stata la pubblicazione dell’opera kantiana Die Metaphysik der Sitten[17], in cui l’autore sollecita una maggiore attenzione nei confronti del diritto naturale e di una legge universale che affonda le sue radici nello stato di diritto.
L’opera di Kant rappresenta un primo segnale di evoluzione del pensiero giusnaturalista: dal razionalismo matematico-deduttivo, a tratti addirittura dogmatico, la riflessione filosofica e giuridica si sposta sull’analisi delle caratteristiche dell’uomo quale soggetto calato nella società in cui vive; al centro non si ha più l’analisi della mera convivenza tra gli uomini e di come questa possa essere opportunamente regolata secondo princìpi dogmaticamente astratti, bensì ci si concentra su un’indagine critica del comportamento dell’uomo e di come questo sia correlato al diritto naturale.
Il maggior merito del Giusnaturalismo è quello di aver creato delle categorie generali e astratte, di aver spianato la strada ad un nuovo modo di intendere il diritto naturale quale contenitore fondamentale per la sfera dei diritti del soggetto individuale; a tal proposito ricordiamo quanto affermato da Samuel von Pufendorf, giurista e filosofo tedesco, il quale riferendosi a Ugo Grozio - ritenuto il fondatore della Scuola del diritto naturale - afferma «prima di Hugo de Groot non ci fu nessuno che distinguesse rigorosamente i diritti naturali dai positivi, e si sforzasse di disporli in un sistema chiuso e completo»[18].
Nonostante però questo lodevole contributo dottrinale del Giusnaturalismo, i tempi ormai maturati iniziano a richiedere un approccio differente, un’evoluzione, come appunto emerge dai ranghi del Giusnaturalismo.
Altrettanto esplicativo, a tal proposito, è quanto scritto dall’autore Giuliano Marini nel testo già ivi citato: «negli ultimi anni del Settecento, accanto e talora all’interno del tradizionale Giusnaturalismo di tipo matematico-deduttivo, comincia ad affermarsi un tipo diverso di indagine sul diritto: è sempre filosofia, ma filosofia di tipo nuovo, più realistica, attenta al particolare, agli aspetti singolari dei rapporti inter-umani»[19]; siamo dunque dinnanzi ad un’ evoluzione di prospettiva lenta ma effettiva, che non poteva non verificarsi dato il cambiamento a livello geopolitico.
I giuristi di inizio Ottocento sono fortemente sensibili all’influenza kantiana e anche quelli maggiormente vicini a una forma di Illuminismo più razionale, tra cui Paul Johann Anselm Feuerbach e lo stesso Thibaut - come sarà analizzato in seguito - sono comunque vicini alle istanze di storicizzazione, sebbene in una modalità prettamente analitica rispetto a Savigny e ai suoi allievi.
La situazione, sebbene molto variegata nel territorio tedesco, presenta un assetto abbastanza chiaro: da una parte vi sono i giuristi post-kantiani, i quali, vicini all’Illuminismo di stampo deduttivo - ma comunque evolutisi verso un Giusnaturalismo di stampo storico - iniziano a paventare la necessità di una sistemazione del diritto senza però accennare a elementi storici, o almeno non con la medesima intensità con cui invece, dall’altra parte, i giuristi storici iniziano a fare sotto la guida di Savigny.
Proprio questa contrapposizione dottrinale darà vita alla celebre polemica tra i due esponenti Savigny e Thibaut e, sebbene questa comporterà un ritardo nella codificazione dei territori tedeschi rispetto agli altri stati europei, farà sì che vi sia in questi anni una vastissima produzione letteraria.
Possiamo racchiudere gli anni in questione nell’espressione “tardo Giusnaturalismo tedesco”, in quanto, alla luce di quanto esposto in questo paragrafo, assistiamo appunto ad un’evoluzione del Giusnaturalismo in senso storico.
Il Giusnaturalismo, dunque, sembra vivere due stagioni differenti e i cambiamenti a livello territoriale, politico, e culturale, contribuiscono in grande misura ad accelerarne l’evoluzione.
Nel 1774 viene fondata la Georg August Universität, la quale fungerà da centro di sviluppo del Giusnaturalismo maturo e nelle cui pareti opereranno i giuristi più importanti del tempo, i quali inizieranno ad essere sensibili alle istanze rivoluzionarie provenienti dalla Renania e contribuiranno ad instaurare un dialogo scientifico che sarà indubbiamente prodromico alla polemica sulla codificazione.
Prova di ciò si ha guardando alla creazione di quello che oggi definiremmo un club letterario.
Nel 1772, quindi soli due anni prima rispetto alla fondazione dell’Università, viene fondato nella città un circolo letterario conosciuto come Göttinger Hain[20] (in italiano, boschetto di Gottinga): il suo fondatore, Friedrich Wilhelm Gotter[21], inizia a riunire attorno a sé i principali letterati del luogo, creando un circolo che opererà in pieno clima preromantico.
Gli appartenenti al circolo furono fortemente vicini allo spirito romantico, interessandosi nello specifico ad un ritorno alle tradizioni e allo spirito del popolo, ponendosi in netto contrasto con lo spirito illuminista.
Il boschetto di Gottinga ci fornisce una grande testimonianza circa il cambiamento in atto nei territori tedeschi: gli scrittori sono ormai stanchi dell’Illuminismo, iniziano a rigettare gli aspetti logici e matematici del pensiero, favorendo piuttosto un ritorno alle tradizioni popolari, appunto in pieno spirito preromantico.
È questo il terreno fertile per lo sviluppo di un nuovo modo di pensare storico: partendo dal Göttinger Hain, inizia a maturare nella città di Gottinga un sentimento popolare crescente, che vedrà la continuazione del boschetto proprio nell’ambiente universitario e che farà confluire in Bassa Sassonia i più importanti giuristi del tempo, dando vita ad un vivo dibattito culturale e, soprattutto, giuridico, il quale aprirà la strada alla famosa polemica Savigny-Thibaut.
In conclusione, attorno all’ambiente universitario di Gottinga, ruotano i principali giuristi del tempo, in un clima impregnato di Romanticismo, e che vedrà la produzione di un vastissimo numero di opere in cui emerge fortemente il cambio di rotta in corso all’interno del Giusnaturalismo.
Concetti quali il diritto naturale, i rapporti intersoggettivi e il diritto consuetudinario muteranno completamente, plasmando una nuova e più matura forma di diritto, la quale condizionerà per sempre l’assetto giuridico europeo[22].
3. La nascita della storiografia pragmatica
La scuola di Gottinga apre la strada ad un nuovo modo di pensare storico, figlio delle istanze preromantiche e fortemente condizionato dall’influenza rivoluzionaria della vicina Francia.
Il Göttinger Hain, le cattedre di diritto naturale e il vivace scambio dottrinale a livello accademico contribuiscono a creare un terreno fertile per la futura discussione sulla codificazione, nonché un elevato numero di opere che fanno sì che il diritto dei territori germanici raggiunga un’altissima levatura scientifica, probabilmente il picco più elevato mai raggiunto.
Le migliori menti dell’epoca confluiranno in Bassa Sassonia, dando vita a circoli letterari e giuridici che modificheranno in maniera permanente le peculiarità del diritto germanico.
Centro dell’indagine da parte degli studiosi è un nuovo modo di intendere il diritto: se gli Illuministi - e soprattutto la scuola wolffiana - lo avevano considerato quale realtà prettamente logica, un contenitore di istanze generali e astratte, scevre da qualsiasi tipologia di particolarismo o di influenza locale[23], a Gottinga nasce quello che potremmo definire un diritto nuovo; si tratta di un diritto non più chiuso, imperniato sulle istanze illuministiche e logico-deduttive: gli studiosi compiono un importante passo verso la considerazione di più fattori influenti sulle forme assunte dal diritto; essi sono attenti ai fattori politici, antropologici e, soprattutto, sociali.
Il diritto inizia a colorarsi di tutte quelle caratteristiche delle quali era stato privato nel secolo precedente dagli illuministi, ed è proprio questa sua nuova configurazione che verrà vista, dagli esponenti della Scuola Storica, non come una regressione al mondo consuetudinario, bensì come un ritorno al vero diritto, dove “vero” è da intendersi nell’accezione meno letterale del termine, cioè un diritto intriso di istanze popolari, unica realtà dalla quale è effettivamente derivabile un ordine di norme.
Questo nuovo assetto dottrinale è dovuto, in gran parte, ad un importante rafforzamento della cultura accademica e, soprattutto, ad un’espansione di essa; la scienza inizia a configurarsi come uno strumento di potere mediante il quale promuovere una rivoluzione del sapere, ma se nel Settecento essa era appannaggio esclusivo degli accademici, inizia ora ad uscire dai ranghi universitari e raggiunge anche studiosi che scrivono al di fuori degli ambienti dottrinali convenzionali: la Bildungsbürgertum[24] - traducibile in italiano con l’espressione “formazione della classe borghese” - fa sì che scrittori liberi, non appartenenti ad alcuna cattedra universitaria, quali Johann Jakob Moser, Wilhelm Ludwig Wekhrlin, Moses Mendelssohn e Heinrich von Kleist contribuiscano al dibattito dottrinale con la redazione di opere e articoli sui principali giornali dell’epoca, facendo crescere l’attenzione attorno al problema della codificazione e, più in generale, del diritto dei territori germanici[25].
Questi scrittori, voci fondamentali dei primi anni dell’Ottocento, cambieranno il modo di intendere la cultura: figli di una borghesia sempre più emergente e distante dall’élite universitaria, iniziano a considerare le categorie del diritto in maniera meno logico-analitica rispetto a quanto avveniva negli scritti dei predecessori illuministi, rispecchiando del resto l’ambiente formativo di provenienza.
Al centro della formazione di questi giuristi non si ha più una mera analisi logica e astratta delle categorie del diritto, bensì torna ad avere un ruolo centrale quel diritto imperniato sulle istanze locali e sul particolarismo che tanto era stato criticato dagli illuministi solo pochi anni addietro.
La storiografia cambia dunque totalmente volto e, prendendo spunto dalla storiografia inglese, inizia a prestare attenzione ad una serie di fattori che erano stati prontamente eliminati dagli illuministi, in quanto elementi perniciosi per lo studio della società e del diritto nella loro purezza più astratta.
La filosofia kantiana, la storiografia inglese e lo spirito rivoluzionario proveniente dalla Francia sono i tre elementi che possiamo ritenere alla base dello sviluppo di un nuovo modo di pensare che è appunto storico, di una storiografia pragmatica che affonda le sue radici nel diritto popolare.
Sarà proprio in questo nuovo clima dottrinale che si formerà il giovane Savigny, che in questa atmosfera preromantica inizierà a scrivere le sue prime opere, dando via, di qui a poco, alla famosa polemica sulla codificazione.
[1] P. GROSSI, L’Europa del diritto, Editori Laterza, Roma, 2007, 140-145.
[2] Da ora abbrev. BGB.
[3] F. CAPONNETTO, Introduzione allo studio delle esperienze giuridiche. Parte prima: sistemi giuridici comparati, Roma, 2016, 112.
[4] P. GROSSI, L’Europa del diritto, 23.
[5] In ordine alle principali caratteristiche del diritto pubblico tedesco e della sua formazione, si veda l’opera di M. STOLLEIS, Storia del diritto pubblico in Germania vol.1, Giuffrè, Milano, 2008.
[6] J.P. KUTZ, Das Dorf und die bäuerliche Lebenswelt im Schwabenspiegel. Ein Rechtsbuch als soziohistorische. Quelle, in Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins (ZGO), Karlsruhe, reperibile in Landesarchiv Baden-Württemberg Abt. Generallandesarchiv, Bd 156, Kohlhammer Verlag, Karlsruhe, 2008, pp. 85-107.
[7] Cfr. F. CAPONNETTO, Introduzione allo studio delle esperienze giuridiche. Parte prima: sistemi giuridici comparati, 112.
[8] L’opera Das Kapital, considerata il testo cardine del marxismo, fu pubblicata nel 1867; i due libri successivi furono pubblicati a seguito della morte dell’autore. Si veda il testo di C. CAFIERO, Il Capitale di Carlo Marx. Brevemente compendiato. Libro 1. Sviluppo della produzione capitalista, Bignami, Milano, 1879.
[9] In ordine alla reazione di rigetto del Code Napoléon da parte del popolo della Renania e il relativo avvento del Capitalismo si veda il testo di F. WHEEN, Karl Marx, HarperCollins Publishers Ltd, New York, 1999.
[10] B.G. NIEBUHR, Geschichte des Zeitalters der Revolution, Vol. 1: Vorlesungen an der Universität Bonn im Sommer 1829, Forgotten Books, Londra, 2018, 41-42.
[11]Sugli scritti giovanili di Savigny e i suoi rapporti con gli storici a lui contemporanei si rimanda alle opere dello storico tedesco Friedrich Meinecke (Salzwedel, 20 ottobre 1862 - Dahlem, 6 febbraio 1954), le cui opere analizzano l’influenza politica nei confronti degli storici del tempo attraverso lo studio di epistolari, del materiale dei corsi universitari del tempo e delle principali pubblicazioni. Si veda il testo di F. MEINECKE, Le origini dello Storicismo, Sansoni Editore, Firenze, 1954.
[12] G. MARINI, A.F.J. Thibaut - F.C. Savigny, la polemica sulla codificazione, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 1982, 9.
[13] La trascrizione manoscritta è oggi reperibile nel testo di G.S. BORDONI - N. HINSKE, Lezioni sul diritto naturale (Naturrecht Feyerabend), Bompiani, Milano, 2016.
[14] P. GROSSI, L’Europa del diritto, pp. 145-148. Con tale espressione l’autore richiama il complesso di norme prodotte in epoca moderna, in particolare il Codice civile austriaco Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch (1801), promulgato sotto il dominio di Francesco I d’Austria.
[15] G. MARINI, A.F.J. Thibaut - F.C. Savigny, la polemica sulla codificazione, 9.
[16] G. MARINI, A.F.J. Thibaut - F.C. Savigny, la polemica sulla codificazione, 16-33. Christian Wolff (Breslavia, 24 gennaio 1679 - Halle an der Saale, 9 aprile 1754), giurista e filosofo tedesco, è considerato il maggiore esponente dell’Illuminismo razionale tedesco. Le sue opere rispondono all’influenza di Leibniz, di cui fu allievo a Lipsia e a lui si attribuisce il metodo matematico-deduttivo. Con la scuola wolffiana si identificano tutti i filosofi che hanno aderito al suo razionalismo matematico e alla sua etica rigoristica. Ebbe importanti incarichi politici: nel 1740 Federico II lo fece chiamare a Halle, dove rimase fino alla morte, divenendo cancelliere dell’università e consigliere segreto di Prussia.
[17] I. KANT, Die Metaphysik der Sitten, Friedrich Ricolodius, Königsberg, 1797.
[18] G. FASSÒ, U. Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace, Morano, Napoli, 1979, 12.
[19] G. MARINI, A.F.J. Thibaut - F.C. Savigny, la polemica sulla codificazione, 10.
[20] B. DIDIER, Lineamenti di letteratura europea, Volume 2: Lo spazio e il tempo, Armando Editore, Roma, 2006, pp. 264-304. Tale denominazione si ispira ad un’ode di Friedrich Gottlieb Klopstock, poeta tedesco preclassico vissuto tra il 1724 e il 1803; l’ode prende il titolo Der Hügel und der Hain (Il colle e il bosco sacro).
[21] T. BAUMAN, North German Opera in the Age of Goethe, Cambridge University Press, Cambridge, 1985, pp. 91-132. Friedrich Wilhelm Alfred Gotter (Gotha, 3 settembre 1746 - Gotha, 18 marzo 1797) è stato un poeta e drammaturgo tedesco. Fu di fondamentale rilievo nel clima preromantico della città di Göttingen, presso la cui università completò i suoi studi. Fu molto vicino allo spirito rivoluzionario francese e alle istanze preromantiche.
[22] Sulla rilevanza della scuola di Gottinga, si rimanda al testo di L. MARINI, I maestri della Germania. Göttingen 1770-1820, Einaudi, Torino, 1977.
[23] Vedi nota 17 del presente capitolo.
[24] M. STOLLEIS, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Zweiter Band, Staatsrechtslehre und Verwaltungswissenschaft 1800-1914, Verlag C.H. Beck, München, 1992, 11.
[25] Per un approfondimento di tale concetto, si rimanda al testo di K. VONDUNG, Das wilhelminische Bildungsbürgertum, VR Kleine Vandenhoeck-Reihe, Göttingen, 1976.