Pubbl. Lun, 24 Mag 2021
Legato in sostituzione di legittima: anche quando il legato ha ad oggetto l´usufrutto la facoltà di rinuncia si trasmette all´erede del legatario
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Davide Ianni
Il presente contributo propone l´analisi e l´indagine del percorso ermeneutico che ha ispirato l´adozione dell´ordinanza n. 17861 del 27 agosto 2020 da parte della Sez. VI della Suprema Corte di cassazione. In particolare, esposti i fatti sottesi alla causa, si è proceduto ad una ragionata disamina delle ragioni in diritto e degli istituti giuridici in rilievo ovvero il legato in sostituzione di legittima e l´azione di riduzione. Dall´analisi sistematica delle norme del codice civile, si è infine compreso come il sistema successorio, benché sulla soglia dei suoi ottant´anni di storia, resti ancora uno dei cardini più saldi dell´intero impianto codicistico italiano.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Il fatto di causa; 3. Le questioni in diritto; 4. Il quadro normativo generale; 4.1. Il legato in sostituzione di legittima; 4.1.1. Nozione; 4.1.2. Natura giuridica; 4.1.3. Disciplina; 4.2. L’azione di riduzione; 4.2.1. Nozione; 4.2.2. Natura giuridica; 4.2.3. Disciplina; 4.2.4. Figure affini; 5. Gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali; 6. La decisione della Cassazione; 7. Conclusioni.
1. Introduzione
Con ordinanza del 27 agosto 2020 n. 17861, la Sez. VI della Corte di cassazione, al fine di far luce su una delle più vulnerabili fattispecie del sistema successorio italiano, ha espresso il seguente principio di diritto:
“Ove il legato in sostituzione di legittima abbia ad oggetto il diritto di usufrutto ed il legatario muoia prima di averlo accettato, la facoltà di rinunziarvi si trasmette all'erede di costui, divenuto titolare iure hereditatis dell'azione di riduzione, non rilevando, in senso contrario, che l'erede medesimo non possa subentrare nel diritto già acquistato dal proprio dante causa, potendo egli comunque scegliere se renderlo definitivo, assumendo su di sé obblighi ed eventuali diritti nascenti dall'estinzione dell'usufrutto ovvero rinunciarvi, assolvendo all'onere cui è subordinata l'azione di riduzione”.
Si può facilmente intuire come la natura variegata di una simile controversia – ed a fortiori la relativa decisione in oggetto - vada ad impattare contro una moltitudine di questioni e a innestarsi nel complesso quadro normativo, colmo di molteplici problematiche giuridiche attinenti al sistema successorio italiano. Se si volesse utilizzare un linguaggio metaforico-sinestetico, si potrebbe dire che il panorama in cui i giudici si sono trovati ad intervenire, nel caso di specie, possa essere definito come un “crossroad giuridico”, ovvero un grande incrocio stradale, nel quale confluiscono e si intersecano molte strade ed arterie principali di una grande città. In questo caso la città sarebbe il vasto sistema successorio e le strade sarebbero le varie questioni giuridiche sottese al caso (legato in sostituzione di legittima, azione di riduzione, rinunzia al legato, quota di legittima, diritto di usufrutto, ecc.).
2. Il fatto di causa
La fattispecie, sottoposta allo scrutinio del Giudice di legittimità, trova la sua origine in una disposizione testamentaria – contenuta in un testamento pubblico- in cui il de cuius disponeva, in favore del coniuge superstite, un legato in sostituzione di legittima, avente ad oggetto il diritto di usufrutto vitalizio su un terreno compreso nell’eredità. Dopo circa un anno dall’apertura della successione, il coniuge legittimario – e legatario per disposizione testamentaria- redige una raccomandata, nella quale, senza far alcun riferimento esplicito ad una eventuale rinunzia del legato di cui è destinataria, rende edotto l’erede universale del de cuius circa la portata lesiva – a danno della propria quota di legittima - delle disposizioni testamentarie e pertanto anticipa la volontà di agire con un’azione di riduzione.
Trascorsi circa due anni da tale dichiarazione, anche il coniuge superstite decede, lasciando – in forza di testamento olografo - un unico erede universale.
Nella sua qualità di delato, egli dichiara formalmente di voler rinunziare al legato sostitutivo disposto a favore della propria dante causa. Successivamente, viene proposta l’azione di riduzione contro le disposizioni testamentarie dell’originario de cuius.
Il Tribunale di Sassari accoglieva la domanda e pertanto veniva attribuita all'erede della legittimaria, una quota di comproprietà del terreno caduto nella successione. La controparte impugnava la sentenza dapprima in Corte d’Appello – che confermava il primo grado - ed infine in Cassazione, dove la controversia veniva istruita dinanzi alla VI sezione civile.
3. Le questioni in diritto
Il ricorso presentato presso la Corte di cassazione verte su due motivi.
Il primo motivo sosteneva la violazione degli artt. 551, 649, 553 e ss. c.c.. Dapprima, il ricorrente – con riguardo alla dichiarazione resa in vita dal coniuge superstite dell’originario de cuius - adduce l’assenza di una rinunzia univoca al legato in sostituzione di legittima. Si sostiene che, in realtà, la semplice richiesta di agire in riduzione non manifesterebbe in maniera chiara ed incontrastata la volontà di rinunzia, poiché tale dichiarazione non sarebbe affatto incompatibile con l’eventuale volontà di trattenere il legato e, ad abundantiam, pretendere anche la legittima. Si aggiunge, inoltre, che anche la dichiarazione successiva dell’erede della legittimaria sia “irrilevante”. Essa sarebbe infatti riferita ad un «legato avente ad oggetto un diritto (quello di usufrutto) che si era estinto con la morte della legataria. Se da un lato l'acquisto del legato non necessita di accettazione e si verifica ex lege, dall'altro lato la rinuncia presuppone l'attualità del diritto, costituendo un atto di dismissione della proprietà su beni già acquisiti al patrimonio del rinunciante ed ancora presenti»[1].
Il secondo motivo di doglianza concerneva invece la violazione dell’art. 2735 c.c.. «La lettera di rinuncia del 18 marzo 2008, scritta dall'erede della legataria dopo la morte di questa, costituiva confessione stragiudiziale circa l'assenza, nella lettera in vita della legataria del febbraio 2005, dei requisiti per configurare un'efficace rinuncia al legato sostitutivo. La corte d'appello avrebbe dovuto pertanto assumere come provato che la raccomandata del 28 febbraio 2005 non costituiva rinuncia al legato in sostituzione della legittima, avendo il B. confessato di avervi rinunciato solo successivamente con la raccomandata del 18 marzo 2008».[2]
4. Il quadro normativo generale
Prima di analizzare la decisione della Cassazione, è d’uopo soffermarsi sul quadro normativo in cui la fattispecie è immersa, al fine di comprendere con maggior consapevolezza le motivazioni sottese alla decisione.
Il sistema successorio italiano è imperniato sul c.d. «principio dell’intangibilità della legittima». In ottemperanza a tale postulato, il legislatore ha individuato – in base ad una scelta di politica legislativa- determinati soggetti ritenuti particolarmente meritevoli di tutela, sia dal lato patrimoniale sia dal lato morale. Tali soggetti sono individuati in uno specifico articolo del codice civile: l’art. 536 c.c..
La necessità di garantire loro una tutela maggiore, anche e soprattutto nella fase successiva alla morte del de cuius, ha portato l’estensore delle leggi ad imperniare l’intero sistema successorio sul meccanismo della legittima. Senza approfondire la moltitudine di problematiche di cui è afflitto il Libro II del vigente codice civile – non essendo questa la sede idonea per tale ardua analisi- è possibile affermare che l’art. 457, terzo comma c.c. afferma con chiarezza il forte limite impresso all’autonomia testamentaria del de cuius: «Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari». Tale disposizione ha dunque un significato granitico, ineludibile: il testatore, nel disporre della sorte delle proprie sostanze per il tempo in cui egli avrà cessato di vivere, non potrà in alcun modo modificare quel “giudizio di preferenza” che ha effettuato già il Legislatore a monte.
La disponibilità di tale tutela è sottratta all’autonomia testamentaria e, anzi, resta blindata dalla perentorietà del dettato normativo. Un’altra norma da cui si desume la incontrovertibilità di tale principio, è stata individuata da attenta dottrina[3] nell’art. 549 c.c.: «Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l'applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro». Tale norma impone un ulteriore limite al testatore: il Legislatore vuole infatti evitare che il divieto, già espresso nell’art. 457, terzo comma c.c., venga di fatto aggirato e circumnavigato dal testatore, attraverso una modalità “indiretta”. Ciò potrebbe concretizzarsi nell’ipotesi in cui il testatore, pur assicurando in astratto la quota di legittima ai legittimari, di fatto, attraverso l’apposizione di condizioni o pesi, renda tale disposizione vana o eccessivamente gravosa, ledendo ugualmente i diritti dei legittimari.
Il legislatore riconosce tuttavia delle eccezioni a tale principio. Primi fra tutti sono le norme concernenti la divisione (artt. 713 e ss. c.c.), espressamente richiamate dall’art. 549 c.c.. Un’ulteriore eccezione può essere individuata in via indiretta nel dettato normativo dell’art. 540 c.c.: «A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge, salve le disposizioni dell'articolo 542 per il caso di concorso con i figli. Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli».
Il Legislatore prevede espressamente la possibilità di un “peso” sulla legittima, consistente nello specifico nel diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare e del diritto di uso sui beni mobili che la corredano. Tale evenienza è tuttavia considerata come una ipotesi secondaria e subordinata alla incapienza della quota disponibile. Tale limitazione è inoltre giustificata da un’altra scelta di politica legislativa che è stata effettuata a monte: aumentare la tutela del coniuge superstite ritenuto “il legittimario” per eccellenza.
Nonostante la presenza di diverse disposizioni derogatorie, il carattere “eccezionale” di tali norme deve essere ribadito e confermato. Il principio di intangibilità della legittima è infatti pacificamente ritenuto un principio di ordine pubblico, sia sul versante interno che su quello internazionale[4]. Tra le varie eccezioni menzionate, vi rientra a pieno titolo anche l’istituto del legato in sostituzione di legittima previsto all’art. 551 c.c..
A tutela di tale principio il Legislatore – per ribadire ulteriormente il carattere intangibile della legittima - ha introdotto un importante meccanismo di protezione e salvaguardia della quota riservata al legittimario. Quest’ultimo, laddove all’apertura della successione del de cuius ritenga che le disposizioni testamentarie abbiano leso la sua quota di riserva, sarà infatti tutelato dall’esperimento dell’azione di riduzione prevista agli artt. 553 e ss. c.c.. Come sarà esaminato in maniera più approfondita nei paragrafi che seguiranno, la suddetta azione di riduzione in realtà rientra nel più ampio meccanismo di tutela denominato dai redattori del codice con la locuzione “reintegrazione della quota spettante ai legittimari”. Essa si sostanzia in tre azioni, tra di loro connesse e subordinate, in base alle quali il legittimario viene tutelato dapprima attraverso l’ottenimento di una sentenza di mero accertamento costitutivo della lesione subita, fino a poter giungere ad un’azione legale di natura reale ed avente effetto retroattivo, finalizzata ad ottenere materialmente i beni ricompresi nella quota di riserva, anche verso i terzi aventi causa.
A fronte di quanto accennato, nei paragrafi che seguiranno si tratterà dei due principali istituti giuridici coinvolti nella risoluzione della presente controversia e già citati nella precedente disamina: il legato in sostituzione di legittima e l’azione di riduzione.
4.1. Il legato in sostituzione di legittima
Come ribadito nei paragrafi che precedono, il legislatore ha previsto un importante limite all’autonomia testamentaria al fine di tutelare la quota di legittima riservata dei legittimari. Tuttavia, è stato egli stesso ad introdurre delle eccezioni, per cercare di rendere il sistema successorio più elastico e duttile alle esigenze della società e delle famiglie coinvolte nella successione. L’eccezione che assume particolare rilievo in tale sede, è individuato nell’istituto del legato in sostituzione di legittima previsto e disciplinato dall’art. 551 c.c..
4.1.1. Nozione
L’istituto del c.d. legato privativo (o legato in sostituzione di legittima) è il “recente” frutto del codice civile del 1942. Nel sistema previgente, governato dal codice c.d. Pisanelli del 1865, tale figura era totalmente assente e fortemente discussa anche in dottrina. Successivamente, autorevoli autori[5] sostennero la necessità di introdurre un tale istituto nel nostro ordinamento, enfatizzandone soprattutto la sua utilità a livello pratico nell’assetto da dare alle volontà del de cuius.
L’art. 551 c.c. dispone che: «Se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima. Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento. Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l'eccedenza il legato grava sulla disponibile». Attraverso tale strumento giuridico, si vuole dunque garantire un maggior bilanciamento tra le due esigenze contrapposte del sistema successorio: l’autonomia testamentaria del de cuius, da un lato, e la tutela dei diritti riservati ai legittimari, dall’altro.
Il testatore ben potrà privare[6] il legittimario della quota di riserva, sostituendo la stessa con un’assegnazione a titolo particolare. L’effetto che si ottiene è dunque l’esclusione del legittimario, destinatario del legato privativo, dalla comunione ereditaria, senza che egli venga però privato totalmente della delazione. La funzione sottesa all’istituto in esame ha quindi il duplice scopo di soddisfare sia le esigenze soggettive del testatore nel voler assegnare un determinato bene ad un determinato soggetto, sia esigenze oggettive, volte ad evitare un eccessivo frazionamento dell’asse ereditario tale da comprometterne anche il suo potenziale (si pensi alla gestione di un’azienda caduta in successione).
4.1.2. Natura giuridica
Il legato in sostituzione di legittima è ricompreso nel genus delle disposizioni a titolo particolare, sottoposto a condizione risolutivo-potestativa[7]. Il Legislatore prevede infatti la possibilità, rimessa alla volontà del legittimario, di poter rifiutare il legato, in tal modo privandolo di efficacia[8].
Il legato privativo resta comunque un legato e, come tale, è soggetto alla disciplina contenuta negli artt. 649 e ss. c.c.. Se l’individuazione della natura giuridica del legato in sostituzione di legittima non è stato oggetto di particolari contrasti, è di contro ancora dibattuta la natura giuridica da attribuire alla vocazione del legittimario destinatario del legato privativo.
Vi era infatti una tesi secondo cui, in capo al legatario, si aprisse una contemporanea e contestuale doppia vocazione: sia ex lege sia per testamento. Il legittimario sarebbe dunque chiamato dalla legge in qualità di erede e dal testamento in qualità di legatario. Tale tesi è stata fortemente criticata da gran parte della dottrina [9], la quale reputa invece come unica sia la vocazione. Il legatario sostitutivo è infatti destinatario della sola successione testamentaria al momento dell’apertura della successione. Si potrebbe, al più, avere una chiamata in ordo successivus: il legittimario è chiamato solo come legatario e, laddove egli rinunzi al legato, potrà esperire l’azione di riduzione e, se vittorioso, acquisire la qualità di erede ope legis, a seguito della sentenza accertativo-costitutiva.
4.1.3. Disciplina
Il legato in sostituzione di legittima è disciplinato dall’art. 551 c.c.. Al primo comma, il legislatore riconosce espressamente, quale caratteristica principale del legato privativo, il diritto si scelta: rinunziare al legato chiedendo la legittima oppure “accettarlo”[10].
Il secondo comma della disposizione continua affermando che nel caso in cui il legatario decida di accettare il legato, egli perde il diritto di chiedere un supplemento nonché la possibilità di acquisire la qualità di erede, restando un semplice legatario. In tal caso, si avvera la volontà del testatore di escludere il legatario dalla comunione ereditaria.
Nella diversa ed opposta ipotesi in cui il legatario decida di rinunziare al legato, egli diventerà un legittimario pretermesso e, come tale, potrà essere legittimato ad agire in riduzione al fine di ottenere la qualità di erede e conseguentemente la propria quota di legittima. Va precisato che il legittimario che rinunzia al legato sostitutivo, nelle more della sentenza di accertamento-costitutivo di riduzione, sarà un perfetto estraneo alla successione. Non potrà essere considerato erede, poiché il testatore lo ha escluso da tale istituzione, e non potrà essere considerato legatario, poiché vi ha rinunziato.
La rinunzia è inoltre considerata[11] una manifestazione di volontà negoziale del legittimario ed una vera e propria rinunzia dismissiva, ovvero una “estromissione do un diritto già acquisito”[12]. Laddove il legittimario abbia invece preferito non rinunziare alla disposizione testamentaria, l’acquisto del legato avviene automaticamente ope legis ai sensi dell’art. 649 c.c.. Il legatario potrà tuttavia accettare espressamente il legato, al solo fine di rendere irrevocabile e definitivo il suo acquisto che però si è già verificato. Va tuttavia osservato che, nella fattispecie in esame, l’accettazione assume una rilevanza ulteriore: qualora il legittimario “accetti” il legato in sostituzione di legittima, ad esso resterebbe definitivamente precluso agire in giudizio per chiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria legittima.
Quanto all’oggetto del legato in sostituzione di legittima, si ritiene che ad esso si applichi l’intera disciplina generale prevista dal codice civile per i legati.
Il secondo periodo del secondo comma dell’art. 551 c.c., prevede che: «Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento». È dunque la legge stessa che, al fine di contemperare ulteriormente le varie esigenze contrapposte, riconosce al testatore il potere di prevedere in maniera espressa la possibilità di attribuire al legittimario-legatario la facoltà di chiedere un supplemento, laddove il valore del legato sia inferiore rispetto alla sua quota di legittima.
La presente fattispecie ha, in realtà, sollevato diversi dubbi interpretativi, dal momento che sembra attribuire al legittimario la qualità di erede testamentario attraverso una istituzione di quota di riserva. Secondo una prima tesi[13], si tratterebbe di un legato in conto di legittima. Secondo altra dottrina[14], è necessario distinguere caso per caso in base alla volontà del testatore. Tali autori professano la non-incompatibilità del supplemento con il legato in sostituzione, affermando che in realtà quest’ultimo si concretizzi in un “mero diritto di credito verso gli eredi da far valere come semplice azione obbligatoria”[15].
Uno dei più autorevoli autori in materia successoria[16] ha tuttavia ritenuto preferibile la prima tesi, affermando che in realtà in tal caso il legittimario è un vero e proprio erede testamentario, poiché «la volontà di non privare il legittimario della facoltà di chiedere il supplemento implica necessariamente la volontà di non privarlo della quota di eredità a lui riservata; la volontà del testatore è, in realtà, quella di istituire il legittimario nella quota di legittima[17]». Tale autore prosegue la sua analisi affermando che «il beneficiario è, in altri termini, un erede testamentario, la cui quota è composta dallo stesso testatore (institutio ex re certa) in parte con l’oggetto del legato ed in parte con il supplemento»[18].
Il primo periodo del terzo comma dell’art. 551 c.c. dispone che il legato privativo grava sulla quota indisponibile. L’interpretazione fornita dalla dottrina[19] è stata la seguente: il legittimario tacitato dal legato privativo mantiene tale qualità e pertanto, laddove “accetti” il legato, viene conteggiato per il calcolo delle quote di legittima. Inoltre l’eventuale minor valore del legato rispetto alla quota di legittima avvantaggia gli altri legittimari[20].
Controversa è inoltre la questione se all’istituto del legato in sostituzione di legittima si possa applicare il dettato normativo dell’art. 549 c.c.. La dottrina è divisa a metà: una parte[21]di essa ritiene che l’art. 549 c.c. si applichi anche al legato privativo, a fronte della sua natura sostitutiva della legittima. Secondo tale tesi infatti il testatore, attraverso il meccanismo dell’art. 551 c.c., non fa altro che attribuire la legittima stessa, ma in forma di legato e senza che il legittimario acquisisca la qualità di erede.
Un’altra parte della dottrina[22], al contrario, restringe l’ambito applicativo dell’art. 549 c.c., escludendo la sua applicazione alla fattispecie del legato in sostituzione di legittima. Tale orientamento si basa su un’interpretazione letterale della norma, con la quale il legislatore espressamente afferma che il legato ex art. 551 c.c. è dato in “sostituzione” della legittima e pertanto non è legittima. Inoltre si afferma che, in caso di eccedenza del legato alla quota di riserva del legittimario-legatario, esso grava sulla disponibile e che non vi sarebbero neppure esigenze di tutela del legittimario, in quanto egli ben potrà rinunziare al legato ed agire in riduzione.
Un ulteriore problema concerne infine il rapporto tra il legato privativo e la successione legittima. Ci si chiede se il legittimario, che abbia accettato il legato in sostituzione di legittima, possa partecipare a concorrere per quella quota del patrimonio ereditario di cui il testatore non aveva disposto o non sia accettata da alcun legittimario.
Anche in tal caso due sono le tesi che si avvicendano: una prima tesi[23] (c.d. tesi della “diseredazione implicita”), il legato sostitutivo, se accettato, ha come principale effetto quello di escludere in toto il legittimario dalla comunione ereditaria. Pertanto, secondo tale orientamento, il legittimario-legatario non potrà ottenere nulla.
Secondo altra dottrina[24] (c.d. tesi della “natura non esclusiva del legato sostitutivo”), al contrario, il testatore vuole solo attribuire determinati diritti al legittimario al fine di tacitarlo per la sua quota di legittima, ma non vuole escluderlo totalmente dagli altri beni dell’asse ereditario non assegnati ad altri soggetti. Tale ultima tesi è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza[25]. Secondo questo orientamento, riconoscere la volontà “diseredativa” del testatore nel legato in sostituzione di legittima sarebbe un plus, che non può affatto essere ricompreso in tale disposizione senza una espressa e chiara volontà di perseguire tale finalità. Sarebbe dunque necessaria un’ulteriore ed autonoma clausola testamentaria, attraverso cui eventualmente esprimere tale volontà in maniera esplicita, ferme restando le problematiche circa l’ammissibilità di una clausola di diseredazione nei confronti dei legittimari[26].
4.2 L’azione di riduzione
Il principio di intangibilità della legittima, cardine del sistema successorio italiano, è tutelato da diverse norme dell’ordinamento. Tra queste spicca l’intera sezione II del capo X del titolo I del libro II del codice civile (artt. 553 e ss. c.c.). Come già precisato, nonostante spesso si parli esclusivamente di “azione di riduzione”, il Legislatore ha predisposto una triplice tutela per il legittimario, rappresentata da tre azioni autonome, ma connesse tra loro, che sono: l’azione di riduzione in senso stretto; l’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte; l’azione di restituzione contro i terzi acquirenti.
Con la prima azione l’attore vuole ottenere una sentenza costitutiva di accertamento sull’an ed il quantum della lesione e, conseguentemente, una dichiarazione di inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie o delle donazioni che eccedano la quota disponibile.
Con la seconda e con la terza azione, necessariamente succedanee alla prima, l’attore mira ad ottenere la restituzione materiale dei beni oggetto delle disposizioni dichiarate lesive - e pertanto inefficaci - attraverso una tutela reale, sia verso i beneficiari stessi delle disposizioni, sia verso i terzi aventi causa di questi ultimi (sebbene con importanti differenze). Nella presente analisi si analizzerà esclusivamente la prima delle tre azioni citate, in quanto è l’unica che rileva nella fattispecie in esame.
4.2.1. Nozione
L’azione di riduzione è «il mezzo specifico concesso al legittimario per far dichiarare nei suoi confronti l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno leso i suoi intangibili diritti alla quota di legittima[27]». Tale azione, dal versante del legittimario, può essere considerata come un diritto potestativo[28], dal momento che egli potrà decidere liberamente, fermo restando il possesso dei presupposti di legge, se agire o meno e a tale decisione seguiranno degli effetti che avranno rilevanti ripercussioni sulla sfera giuridica degli altri eredi e aventi causa. La funzione dell’azione di riduzione è rendere inefficaci nei confronti del legittimario-attore le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive della quota di riserva.
4.2.2. Natura giuridica
L’azione di riduzione è un’azione individuale e non qualificata come azione di nullità. Al contrario, è presupposto essenziale per il fruttuoso esperimento dell’azione che le disposizioni impugnate siano perfettamente valide. Nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano affette da vizi di invalidità (nullità o annullabilità), il legittimario dovrà esperire le relative azioni e non l’azione di riduzione. Quest’ultima è inoltre un’azione di accertamento costitutivo poiché il giudice è chiamato ad accertare l’esistenza della lesione e la misura in cui tale lesione abbia agito.
L’azione di riduzione raffigura inoltre un’azione di inefficacia relativa e sopravvenuta: le disposizioni ritenute lesive divengono inefficaci nei confronti del solo legittimario-attore con effetto retroattivo fin dal momento dell’apertura della successione. L’azione di riduzione produce inoltre effetti retroattivi anche “reali”: a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, il legittimario potrà agire per la restituzione, con la conseguenza che gli effetti della sentenza di accertamento si estenderanno anche nei confronti dei terzi. È anche un’azione personale: non è esperibile erga omnes o contro qualunque possessore o proprietario dei beni oggetto delle disposizioni impugnate, bensì è rivolta soltanto contro i destinatari delle disposizioni medesime.
4.2.3. Disciplina
La legittimazione attiva ad esperire l’azione di riduzione è riconosciuta innanzitutto, ai sensi dell’art. 557 c.c., ai legittimari ed ai loro eredi ed aventi causa. Vi è inoltre una tesi[29] che riconosce tale potere anche ai creditori del legittimario in via surrogatoria. La legittimazione passiva di tale azione spetta invece esclusivamente ai destinatari delle disposizioni ritenute lesive ed ai loro eredi.
L’art. 564 c.c. prevede espressamente due condizioni indispensabili per l’esperimento dell’azione di riduzione: l’accettazione con il beneficio d’inventario (salvo eccezioni) e l’imputazione di tutti i diritti e beni che egli abbia ricevuto in forza della successione o per donazione dal de cuius. Quanto al primo presupposto, l’accettazione beneficiata troverebbe la sua giustificazione nella tutela dei legatari e donatari estranei, al fine di comprendere sin da subito la reale consistenza del patrimonio relitto e accertare l’effettiva lesione. In realtà, tale previsione è apparsa da molti come una previsione eccessivamente rigorosa, dal momento che, per perseguire tale fine, sarebbe potuta bastare anche la redazione dell’inventario. Tale condizione di ammissibilità è prevista esclusivamente per il legittimario leso. Il secondo comma dell’art. 564 c.c. prevede poi l’istituto della c.d. imputazione ex sé, volta ad individuare il reale valore della legittima: il legittimario dovrà infatti imputare – tramite una mera operazione contabile - i beni ereditati, i legati e le donazioni ricevute in vita dal de cuius alla quota di legittima.
Quanto all’estinzione del diritto di riduzione, essa avviene per due cause: rinunzia o prescrizione. La dottrina e la giurisprudenza nettamente maggioritarie ritengono che l’azione di riduzione si prescriva nel termine ordinario di dieci anni. Maggiormente controverso resta invece l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine prescrizionale. A fronte dell’annoso contrasto dottrinale, ma soprattutto giurisprudenziale, sono intervenute le stesse Sezioni Unite[30], le quali hanno affermato che nel caso di lesione derivante da donazioni, il termine decorre dal giorno dell’apertura della successione. Diversamente, nel caso di lesione derivante da disposizioni testamentarie, il termine decorre dall’accettazione dell’eredità.
Per quanto concerne invece la rinunzia all’azione di riduzione, l’art. 557, II c.c. prevedere espressamente che essa non può avvenire finché è in vita il donante. La ratio di tale divieto è insita nella natura stessa di una simile rinuncia: il legittimario che rinunci all’azione di riduzione prima della morte del donante sta rinunziando a dei diritti derivanti da una successione futura e pertanto tale fattispecie concretizza un patto successorio rinunciativo, vietato espressamente dall’art. 458 c.c.. La rinuncia potrà essere invece liberamente effettuata dopo la morte del donante, senza che sia una forma solenne.
L’aspetto forse più importante dell’azione di riduzione si annida nei suoi effetti. Si potrebbe infatti affermare che, in realtà, l’azione di riduzione non sia l’azione-scopo bensì sia l’azione-mezzo con cui il legittimario ottiene una pronuncia giudiziale che accerti in via costitutiva la lesione subita, per poi poter procedere con l’azione di restituzione ed ottenere materialmente i beni che avrebbero dovuto essere oggetto della quota di legittima. In questo senso si è affermato che l’azione di riduzione sia munita di un’efficacia retroattiva reale con i limiti previsti dall’art. 561 c.c..
4.2.4. Figure affini
La tutela del legittimario leso, oltre che attraverso i meccanismi previsti dal Legislatore e con l’azione giudiziale di riduzione, può essere ottenuta anche attraverso un atto frutto dell’autonomia contrattuale delle parti. Ci si riferisce a quell’atto, di natura transattiva-divisoria, che viene comunemente definito “accordo di reintegrazione della legittima”[31]. Attraverso tale atto inter vivos, gli eredi testamentari, destinatari delle disposizioni lesive, riconoscono i diritti del legittimario leso o pretermesso.
5. Gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali
Tornando alla vicenda oggetto della recente ordinanza, la Cassazione ritiene inammissibile il primo motivo. In particolare, i Giudici Supremi, analizzando le difese delle parti, affermano come - in realtà - vi sia un orientamento[32], interno alla Cassazione stessa, secondo cui la rinunzia al legato, ad eccezione dell’ipotesi in cui esso abbia ad oggetto beni immobili, può validamente essere effettuata per mezzo di “atti univoci compiuti dal legatario, implicanti necessariamente la volontà di rinunciare al legato”.
Tuttavia, al fine di confutare tale assunto, la Corte cita altri precedenti[33] che virano verso una direzione opposta (ed alla quale essa stessa pare aderire), precisando che la mera dichiarazione di rinunciare alla disposizioni testamentarie non include né suppone un pari rifiuto di voler conseguire la legittima, in quanto si potrebbe - in astratto- chiedere la legittima e trattenere il legato.
A tal fine sia concesso un piccolo appunto: l’art. 551 c.c., invero, prevede una scelta rigorosamente alternativa ed anzi è esattamente in ciò che si caratterizza il legato in sostituzione di legittima. Il legatario dunque si trova dinanzi all’alternativa tra l’accettare il legato (e dunque accettare anche la conseguente impossibilità definitiva di acquisire la qualità di erede e di entrare a far parte della communio hereditatis) oppure rinunziare al legato ed agire in riduzione per ottenere la legittima e conseguentemente vedersi eventualmente riconosciuta la qualità di erede.
A tale obiezione si oppone un ulteriore precedente della stessa Cassazione[34]- citato dalla Corte stessa - secondo il quale anche la proposizione dell’azione di riduzione esclude una rinuncia tacita al legato sostitutivo. Permane - seppur in astratto - infatti quella duplice volontà di ottenere sia legittima che legato (sebbene, come precisato più volte, ipotesi concretamente impercorribile nel caso del 551 c.c.). La Cassazione tuttavia termina il suo ragionamento affermando che, in realtà, una pronuncia in tal senso è assolutamente preclusa ed incensurabile in sede di legittimità.
Ad ogni modo, i Giudici Supremi ribadiscono che, anche a voler ipotizzare che la rinunzia sia stata effettivamente posta validamente in essere, il ricorrente avrebbe ritenuto la medesima tamquam non esset, dal momento che il diritto ad essa sottostante (diritto di usufrutto) si sarebbe estinto con la morte della sua titolare[35]. Gli Ermellini dunque ripercorrono con precisione l’intero percorso logico-giuridico espresso dal ricorrente, da un lato, blindando qualsiasi giudizio nel merito – oramai precluso in tale sede- e, dall’altro, evidenziando le incongruenze del ragionamento stesso, giungendo infine alla conclusione che: «L'assunto del ricorrente non è giuridicamente corretto».
Il Supremo Collegio, infatti, ricostruendo la natura giuridica e la disciplina giuridica applicabile al legato in sostituzione di legittima, confermano l’orientamento pacificamente riconosciuto sia in dottrina che in giurisprudenza: il legato “privativo” rientra nel genus del legato “ordinario” e dunque rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 649 c.c.. Il legato sostitutivo si acquista immediatamente all’apertura della successione, senza necessita di accettazione e salva - in ogni caso - la facoltà di rinuncia. In tal caso dunque il legislatore ha voluto subordinare la vocazione a titolo universale al rifiuto del legato in sostituzione di legittima (Cass. n. 13785/2004; n. 4883/1996; n. 11288/2007).
Inoltre - si legge nella motivazione dell’ordinanza - da un lato, la rinunzia è presupposto per l’esperimento dell’azione di riduzione (Cass. n. 19646/2017) e dall’altro, l’accettazione avrebbe il suo unico scopo di garantire la “definitività” ed “irrevocabilità” all’acquisto a titolo particolare, il quale pertanto non sarà più rinunciabile. Si arriva così al pungolo della questione.
L’assunto a cui giunge la Cassazione, per la sua importante rilevanza e perentorietà, merita di essere riportato integralmente:
«Consegue da quanto sopra che se il legatario muore senza avere accettato, la facoltà di rinunziare, quale potere inerente al rapporto successorio in atto (cfr. Cass. n. 1996/2016) non esauritosi con il definitivo conseguimento del legato, passa all'erede. L'applicazione di tale regola al legato sostitutivo comporta che l'erede del legittimario si trova, sotto questo aspetto, nella stessa condizione del legittimario proprio dante causa».
Da tale ragionamento, segue un’ulteriore precisazione: è irrilevante la circostanza che oggetto del legato fosse il diritto di usufrutto.
Secondo la difesa del ricorrente infatti esso si sarebbe estinto con a morte del suo titolare e dunque non sarebbe potuto sopravvivere alcun altro diritto ad esso dipendente.
Non è così. La Cassazione infatti precisa che in realtà «con riferimento al legato di usufrutto, non si trasmette all'erede il diritto, ma si trasmesse comunque la posizione giuridica connessa al legato acquistato ope legis dal legatario, inclusa la facoltà di rinunciare». I Giudici Supremi pongono dunque il piano della questione su un livello differente: ad essere trasmesso non è tanto il diritto di usufrutto in sé considerato, bensì è il complesso di diritti in cui si concretizza la posizione giuridica del de cuius, nella quale è ricompresa anche la facoltà di rinunciare al legato. L’erede avrà dunque riconosciuta, oltre alla facoltà di rinuncia, anche la conseguente possibilità di agire in riduzione ed ottenere la legittima.
La Corte inoltre precisa che la circostanza per la quale l'erede del legatario non subentri nel diritto di usufrutto, non fornisce prova per negare che egli non possa compiere la scelta, di cui all’ art. 551 c.c., comma 2 ovvero rendere definitivo il diritto già acquistato dal proprio dante causa, assumendo quindi su di sé gli obblighi e gli eventuali diritti nascenti dall'estinzione dell'usufrutto (artt. 1001,1011 c.c.), o rinunciarvi, assolvendo all'onere cui è subordinata l'azione di riduzione[36].
La Suprema Corte aderisce dunque all’orientamento, oramai predominante in dottrina, secondo il quale, se da un lato al legato in sostituzione di legittima si applica la disciplina generale prevista in tema di legati, ai sensi dell’art. 649 e ss. c.c., secondo il quale il legato si acquista automaticamente ope legis, salvo la facoltà di rinunzia, dall’altro lato, bisogna ribadire come, in assenza di una esplicita accettazione del legato – che renderebbe irrevocabile l’acquisto - la premorienza del legittimario consente la trasmissione del diritto di rinunziare al legato ed agire in riduzione dal legittimario originario al suo erede, insieme a tutti gli altri diritti inerenti al rapporto successorio.
L’erede dunque acquisterebbe, iure successionis, non solo il legato individualmente considerato, ma anche l’intera e complessa posizione giuridica ad esso connessa, in cui vi rientra a pieno il diritto di rinuncia. La situazione giuridica del de cuius-legittimario si trasmette così in maniera pedissequa al suo erede. A fronte di ciò, la Cassazione ritiene inoltre irrilevante la circostanza che oggetto del legato privativo fosse il diritto di usufrutto, in quanto ciò che rileva è che, a prescindere dal suo oggetto, nel momento dell’apertura della successione viene trasmessa l’intera posizione del de cuius, in cui è sicuramente ricompresa la facoltà di rinuncia al legato e la successiva azione di riduzione.
6. La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 17861 del 27 agosto 2020, ha statuito il seguente principio di diritto:
«Ove il legato in sostituzione di legittima abbia ad oggetto il diritto di usufrutto ed il legatario muoia prima di averlo accettato, la facoltà di rinunziarvi si trasmette all'erede di costui, divenuto titolare iure hereditatis dell'azione di riduzione, non rilevando, in senso contrario, che l'erede medesimo non possa subentrare nel diritto già acquistato dal proprio dante causa, potendo egli comunque scegliere se renderlo definitivo, assumendo su di sé obblighi ed eventuali diritti nascenti dall'estinzione dell'usufrutto ovvero rinunciarvi, assolvendo all'onere cui è subordinata l'azione di riduzione».
I giudici confermano innanzitutto l’applicabilità, nei confronti del legato in sostituzione di legittima, dell’intera disciplina del legato prevista agli artt. 649 e ss. c.c.. Da tale assunto ne consegue che il legato c.d. privativo venga ricondotto nel genus di una disposizione a titolo particolare sottoposta a condizione risolutiva. La facoltà di rinunciare, laddove esercitata, determina il venire meno della sostituzione e consente pertanto al legittimario di reclamare la quota di legittima attraverso l’esperimento dell’azione di riduzione.
Nonostante il carattere “automatico” dell’acquisto del legato, la facoltà di rinuncia - riconosciuta dall’art. 551, primo comma c.c. – si trasmette iure hereditatis insieme al complesso dei diritti e dei beni che compongono l’asse ereditario. In tale ottica dunque l’eventuale accettazione del legato – superflua per la legge- diventa invece di primaria importanza nella presente fattispecie. Laddove il legittimario originario avesse infatti accettato espressamente il legato, rendendo così l’acquisto a titolo particolare irrevocabile e definitivo, avrebbe, in via indiretta, impedito al suo futuro erede di potervi rinunciare, proprio a fronte della irrinunciabilità del suddetto acquisto.
Diventa dunque cruciale accertare se, al momento dell’apertura della successione tale accettazione vi sia stata o meno. Se il legato è stato “accettato”, l’erede non potrà rinunciarvi ai sensi e per gli effetti dell’art. 551 c.c.. Se, al contrario, il legato non fosse stato espressamente “accettato”, l’erede potrà rinunciarvi ed agire in riduzione. Si badi bene che in tal caso la locuzione “accettato” vuol significare – com’è stato ribadito più volte nel corso della presente analisi - esclusivamente quella dichiarazione volta a rendere definitivo e irrevocabile l’acquisto del legato già entrato nella propria sfera giuridica automaticamente ed ope legis. Tale controllo sarà sicuramente più facile in presenza di una “accettazione” espressa, mentre risulterà molto più complessa nel caso di “accettazione” tacita[37].
Quanto al secondo motivo, la Cassazione ritiene che: «è assorbito dal rigetto del primo motivo, in quanto va ad incidere su una ratio non determinante della decisione, e cioè l'interpretazione della dichiarazione resa in vita dalla legataria, che è stata superata dalla formale rinuncia al legato sostitutivo compiuta dall'erede».
7. Conclusione
Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di cassazione ha affrontato un tema molto dibattuto, concernente la sorte del legato in sostituzione di legittima ai sensi dell’art. 551 c.c., avente ad oggetto il diritto di usufrutto, in caso di premorienza senza accettazione del primo legatario.
Come ribadito più volte nel corso della presente analisi, il legato in sostituzione di legittima deroga al principio di intangibilità quantitativa della quota di legittima. Da un lato, il testatore mantiene una maggiore autonomia testamentaria, potendo di fatto privare il legittimario-legatario della qualità di erede ed escludendogli l’ingresso nella comunione ereditaria, dall’altro lato, favorisce l’immediatezza dell’acquisto di quanto oggetto del legato, ferma restando la possibilità per il legittimario-legatario di chiedere il supplemento - se previsto dal testatore - oppure di rinunciare al legato e agire in riduzione per ottenere la legittima.
La ratio sottesa alla decisione in esame può ritenersi la medesima che ispirò il legislatore quando ha redatto l’art. 479 c.c.. Nonostante gli istituti in rilievo siano differenti, ed anzi, ad onor del vero diametralmente opposti – da un lato accettazione d’eredità, dall’altro rinuncia di legato – vi è racchiusa la medesima logica. Ferme restando le abissali difformità dei due istituti, in entrambi i casi si ha una trasmissione di un diritto avente ad oggetto l’accettazione o la rinuncia di un diritto strettamente e “doppiamente” successorio, in quando derivante da un originario de cuius attraverso un secondo de cuius.
In entrambi i casi pertanto il diritto esercitato dal legittimario (accettazione dell’eredità o rinuncia al legato in sostituzione di legittima) si concretizza in un diritto derivato dalla successione dell’originario de cuius per mezzo di un “duplice” passaggio successorio.
Per concludere, la Cassazione, attraverso tale decisione, non ha fatto altro che confermare l’intero impianto codicistico, ribadendo ancora una volta l’attualità del sistema successorio italiano ed enfatizzando il suo aspetto immutabile, perentorio e solenne, ma al tempo stesso cangiante, nonostante i suoi quasi ottant’anni di storia.
[1] Cass. civ. Sez. VI n. 17861 del 27 agosto 2020;
[2] Cass. civ. Sez. VI n. 17861 del 27 agosto 2020;
[3] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 485 e ss.;
[4] L. GENGHINI, C. CARBONE, Manuali notarili a cura di Lodovico Genghini, Le successioni per causa di morte, Tomo primo, vol. 4, Padova, 2012, pag. 623;
[5] F. SANTORO-PASSARELLI, Legato privativo di legittima, in Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, pag. 300 e ss.;
[6] Da qui l’attributo di legato “privativo”.
[7] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 488 e ss.;
[8] Anche la giurisprudenza è concorde sul punto: Cass. civ. n. 37 del 1964 e Cass. civ. n. 16252 del 2013;
[9] Tra gli altri: L. FERRI, Dei legittimari, Artt. 536-564, 1971; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 1961; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 488 e ss.;
[10] Si badi bene che l’espressione è impropria in quanto il legato si acquista automaticamente ex lege ai sensi dell’art. 649 c.c.. L’eventuale accettazione servirà solo a far diventare irrevocabile quell’acquisto che però si è già prodotto;
[11] Cass. civ. n. 1554 del 1968;
[12] Cass. civ. n. 459 del 1990;
[13] A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, 1947; L. BARASSI, Successioni per causa di morte, 1941; F. SANTORO-PASSARELLI, Dei legittimari, in Commentario del codice civile diretto da. M. D'AMELIO e E. FINZI, Libro II, Delle successioni, Firenze, 1941;
[14] L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 1961; C.M. BIANCA, Diritto civile, volume 2, La famiglia. Le successioni, 2015;
[15] Ibidem;
[16] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 510 e ss.;
[17] Ibidem;
[18] Ibidem;
[19] G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. Rescigno, 5, tomo 1, Le successioni, II ed., Torino, 1997, pag. 456; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 1961; C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. 2, La famiglia. Le successioni, 2015, pag. 604;
[20] Tra le altre: Cass. civ. n. 2228 del 1979;
[21] L. FERRI, Successioni in generale, in Commentario del Codice Civile, 1972; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 2000;
[22] M. IEVA, Manuale di tecnica testamentaria, 1996; G. TAMBURRINO, Successione necessaria - dir. priv., in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990; E. CANTELMO, I legittimari, Padova, 1991; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 488 e ss.;
[23] Tra gli altri: F. SANTORO-PASSARELLI, Legato privativo di legittima, in Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, p. 600 e ss.;
[24] L. FERRI, I legittimari, Artt. 536-564, 1971; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 1961;
[25] Cass. civ. n. 2809 del 1990;
[26] Cass. civ. n. 8352 del 2012;
[27] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 523 e ss.;
[28] Tra gli altri: L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 1961, pag. 230;
[29] G. CAPOZZI (in Successioni e donazioni, quarta ed., a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Milano, 2015, pag. 538, nota 1158) cita Trib. Parma, 17 aprile 1974;
[30] Cass., Sez. un. 25 ottobre 2004 n. 20644;
[31] Tra gli altri: L. GENGHINI, C. CARBONE, Manuali notarili a cura di Lodovico Genghini, Le successioni per causa di morte, Tomo primo, vol. 4, Padova, 2012, pag. 519;
[32] Cass. civ. n. 7098/2011; n. 13785/2004; Cass. civ. n. 1040/1954; Cass. civ. n. 37/1964; Cass. civ. n. 261/1965; Cass. civ. n. 4883/1996;
[33] Tra gli altri: Cass. civ. n. 15124/2010;
[34] Tra gli altri: Cass. civ. n. 26955/2008;
[35] Si cita il passaggio integrale della ordinanza: «In relazione alla lettera del 2005, intesa dalla corte di merito quale rinuncia al legato sostitutivo, il ragionamento del ricorrente riecheggia il principio secondo cui la rinunzia al legato, fatto salvo il requisito della forma scritta quando il legato ha per oggetto beni immobili (Cass. n. 7098/2011; n. 13785/2004), "può risultare da atti univoci compiuti dal legatario, implicanti necessariamente la volontà di rinunciare al legato" (Cass. n. 1040/1954; n. 37/1964; n. 261/1965; n. 4883/1996). La giurisprudenza della Suprema Corte chiarisce che atto univoco non è la "sola dichiarazione di rifiutare le disposizioni testamentarie, in quanto lesive dei diritti dei legittimari, non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una mera riserva di chiedere soltanto l'integrazione della legittima, ferma restando l'attribuzione del legato" (Cass. n. 15124/2010). Non è atto univoco della volontà di rinunciare al legato sostitutivo neanche la proposizione dell'azione di riduzione, "essendo ipotizzabile un duplice intento di legittima" di conseguire il legato e di conseguire la legittima" (Cass. n. 26955/2008). La corte di merito dimostra di avere tenuto conto di questi principi, ritenendo tuttavia che gli stessi non giovassero alla tesi dell'erede testamentaria, in quanto "la rinuncia al legato, per come espressa, non poteva ingenerare fraintendimenti, né poteva integrare un duplice intento di conservare il legato e chiedere la legittima" (così testualmente la sentenza impugnata a pag. 6). Tale giudizio, in linea di principio, esprime un apprezzamento in fatto che, in quanto tale, è incensurabile in questa sede di legittimità. Si deve aggiungere che la corte di merito ha proseguito nell'analisi rilevando che, seppure si volesse ritenere diversamente, e cioè che "la comunicazione dell'aprile 2005 non potesse considerarsi valida rinuncia al legato, è appena il caso di rilevare che tale diritto è trasmissibile agli eredi". La corte di merito allude al fatto che l'erede della legittimaria, in tale specifica qualità, con successiva lettera del 19 marzo 2008, "aveva rivendicato il diritto alla quota di riserva espressamente rinunciando al legato in sostituzione di legittima disposto nel testamento del M." (pag. 3 della sentenza impugnata). Si comprende quindi che la rilevanza della censura in esame, sul significato della lettera del 2005, dà per assodato che la ulteriore e formale rinuncia al legato sostitutivo, fatta dopo la morte della legittimaria dall'erede testamentario di lei, sia tamquam non esset. Secondo il ricorrente, infatti, una volta estintosi con la morte della legataria il diritto di usufrutto, a tale diritto, acquistato automaticamente dalla B. ai sensi dell'art. 649 c.c., non era più possibile rinunciare, "con conseguente inammissibilità e/o improcedibilità dell'azione di riduzione per difetto dei presupposti di legge" (pag. 13 del ricorso)».
[36] Si cita il passaggio integrale della ordinanza: «Il legato sostitutivo rimane soggetto alla norma generale dell'art. 649 c.c., per cui il legato si acquista immediatamente all'apertura della successione, senza bisogno di accettazione, salva tuttavia la facoltà di rinunciarvi. L'incompatibilità, secondo l'intento del legislatore, della vocazione a titolo particolare con il diritto alla quota riservata viene sanzionata subordinando la vocazione a titolo universale al rifiuto del legato (Cass. n. 13785/2004; n. 4883/1996; n. 11288/2007). La domanda di riduzione sarà così respinta se il legittimario, prima della spedizione della causa a sentenza, non dichiari di rinunciare al legato (Cass. n. 19646/2017) o, se si tratti di legato di immobili, non fornisca la prova di averlo rinunziato con la forma dovuta (Cass., Sez. un., n. 7098/2011). In dottrina è comune l'osservazione che il fatto che l'acquisto del legato avvenga automaticamente non vuol dire che l'accettazione sia inutile o irrilevante. Con l'accettazione, infatti, il legatario fa definitivamente proprio il beneficio del legato e ciò si traduce nella definitività giuridica dell'acquisto, che non è più rinunziabile. Consegue da quanto sopra che se il legatario muore senza avere accettato, la facoltà di rinunziare, quale potere inerente al rapporto successorio in atto (cfr. Cass. n. 1996/2016) non esauritosi con il definitivo conseguimento del legato, passa all'erede. L'applicazione di tale regola al legato sostitutivo comporta che l'erede del legittimario si trova, sotto questo aspetto, nella stessa condizione del legittimario proprio dante causa. Se il dante causa era ancora nella condizione di poter rinunciare al legato, e assolvere all'onere richiesto per poter domandare la riduzione delle disposizioni testamentarie, nella medesima condizione si troverà il suo erede, divenuto titolare iure hereditatis dell'azione di riduzione (art. 557 c.c.). Tanto chiarito non c'è alcuna ragione che possa giustificare la diversa conclusione, costituente l'imprescindibile presupposto dell'intero ragionamento del ricorrente, che tali principi non sarebbero applicabili nel caso in cui il legato sostitutivo abbia ad oggetto l'usufrutto, essendosi il diritto estinto con la morte del legatario. Infatti, con riferimento al legato di usufrutto, non si trasmette all'erede il diritto, ma si trasmesse comunque la posizione giuridica connessa al legato acquistato ope legis dal legatario, inclusa la facoltà di rinunciare. Pertanto, il rilievo che l'erede del legatario non subentra nel diritto di usufrutto non fornisce argomento per negare che egli non possa compiere la scelta, cui allude l'art. 551 c.c., comma 2, fra rendere definitivo il diritto già acquistato dal proprio dante causa, assumendo quindi su di sé gli obblighi e gli eventuali diritti nascenti dall'estinzione dell'usufrutto (artt. 1001,1011 c.c.), o rinunciarvi, assolvendo all'onere cui è subordinata l'azione di riduzione. E' chiaro che l'eventuale rinuncia sarebbe frustranea se la facoltà di rinunciare si fosse già consumata in vita del legatario, in presenza di una accettazione o comunque di atti incompatibili con la volontà di rinuncia».
[37] Cass. civ. 22 luglio 2004, n. 13785; Cass. civ. 10 settembre 2013, n. 20711; Cass. civ. 16 maggio 2007, n. 11288; Cass. civ. 27 maggio 1996, n. 4883;