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Pubbl. Mar, 11 Mag 2021

Mancata presentazione di istanze cautelari e concorso del fatto colposo del creditore

Nicholas Perfigli
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Parma



L´omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini della mitigazione e finanche dell’esclusione del danno, in quanto evitabile con l’ordinaria diligenza (Consiglio di Stato, sentenza 2 febbraio 2021, n. 962).


L’art. 30 del codice del processo amministrativo si occupa dell’azione di condanna al risarcimento del danno. In particolare, al suo primo comma, prevede che detta azione possa essere proposta congiuntamente ad un’altra, oppure, nei casi di giurisdizione esclusiva, in via autonoma.

L’art. 30 del codice del processo amministrativo si occupa dell’azione di condanna al risarcimento del danno. In particolare, al suo primo comma, prevede che detta azione possa essere proposta congiuntamente ad un’altra, oppure, nei casi di giurisdizione esclusiva, in via autonoma.

Con l’introduzione del comma 3, il legislatore ha poi tentato di risolvere i noti ed accesi contrasti in ordine alla c.d. pregiudizialità amministrativa, regola secondo cui la condanna al risarcimento del danno non sarebbe potuta avvenire senza il previo annullamento dell’atto. 

Il comma 3 in oggetto ha quindi dato al ricorrente la possibilità di chiedere la condanna al risarcimento del danno nel termine di decadenza di centoventi giorni dal giorno in cui il fatto si è verificato o dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva da questo.

Tuttavia, a norma del medesimo comma, il giudice deve valutare tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti al fine di determinare il quantum risarcitorio; addirittura, può escludere il risarcimento qualora rilevi che esso si sarebbe potuto evitare attraverso l'ordinaria diligenza1.

In sostanza, la mancata attivazione degli strumenti di tutela che avrebbero potuto limitare il danno obbliga di fatto il giudice a ridurre o escludere il risarcimento in quanto integra gli estremi di un comportamento contrario all'ordinaria diligenza.

Secondo giurisprudenza del Consiglio di Stato, quindi, il legislatore non avrebbe scelto di abbandonare definitivamente la pregiudiziale, ma avrebbe optato per una soluzione intermedia che valuta l'omessa tempestiva proposizione del ricorso come una condotta idonea a limitare o escludere il risarcimento2.

La pregiudiziale amministrativa non costituisce più condizione necessaria ai fini della richiesta risarcitoria, ma è ancora possibile che la mancata presentazione di istanze cautelari o della stessa azione di annullamento, possa addirittura escludere totalmente il risarcimento del danno.

Con sentenza n. 962 del 02 febbraio 2021 il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi del tema, confermando quanto sopra esposto.

Nel caso di specie, ad una società erano stati affidati, tramite ordinanza sindacale, servizi di igiene urbana. Successivamente, sempre attraverso ordinanza sindacale, il Comune aveva ridotto l’ambito delle prestazioni in capo alla società per delle sue inadempienze. Circa due anni dopo, era poi intervenuto in autotutela per riportare la situazione allo status quo ante, ovvero quello di cui alla prima ordinanza.

Il ricorrente ha agito non solo per l’annullamento, ma altresì - ed è questo l’aspetto che qui interessa maggiormente - per il risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30 c.p.a..

In particolare, la società ha ritenuto che la presenza di un danno derivasse dalla circostanza che aveva dovuto sopportare una serie di costi relativi al fermo dei mezzi, al mancato impiego del personale e soprattutto al mancato utile. Infatti, dalla prima ordinanza fino all'intervento in autotutela, non aveva più potuto eseguire tutti i servizi che gli erano stati precedentemente affidati.

Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza di primo grado3, si è espresso sostenendo che la temporaneità della scelta e la particolarità dei presupposti fossero di fatto da considerarsi incompatibili con un affidamento del privato al mantenimento dello status quo.

A prescindere dagli aspetti relativi all'affidamento meritevole di tutela della società relativo allo svolgimento del servizio nella consistenza iniziale, il Consiglio di Stato ha inteso sottolineare come nel caso di specie il nesso causale, che avrebbe legato la condotta antigiuridica alle conseguenze risarcibili, doveva comunque ritenersi reciso per effetto dell’applicazione del comma 2 dell’art. 1227 codice civile.

La parte ricorrente, infatti, non aveva ritenuto di proporre istanze cautelari a seguito dell’intervenuta seconda ordinanza con la quale il Comune aveva ridotto l’ambito delle prestazioni, ma aveva preferito radicare solo il ricorso e l’istanza risarcitoria al fine di ottenere il risarcimento del danno, senza eseguire il servizio.

I giudici di Palazzo Spada, nella sentenza de qua hanno affermato che, se il ricorrente avesse agito chiedendo al tribunale regionale amministrativo la sospensione della seconda ordinanza attraverso una misura cautelare, certamente si sarebbe potuto evitare in tutto o in parte il danno. La sentenza richiama quindi il criterio dell'id quod plerumque accidit anche al fine di elidere il nesso causale.

Quanto fin qui asserito trova riscontro nella giurisprudenza maggioritaria, laddove si sostiene, ad esempio, che l’azione risarcitoria debba essere respinta tutte le volte in cui il mancato impulso processuale della parte abbia integrato la violazione di doveri di diligenza, spiegando così un effetto eziologico esclusivo nella produzione dell’evento4.

Il Consiglio di Stato ha richiamato inoltre la famosissima sentenza dell’Adunanza Plenaria, 23 marzo 2011 n. 3, laddove il Supremo Consesso si è espresso sostenendo che la regola di cui all'art. 30, comma 3 del codice del processo amministrativo, sia in realtà regola ricognitiva di principi che già possono essere ricavati più in generale attraverso un'interpretazione evolutiva dell'art. 1227 codice civile5.

Nel caso di specie, infatti, nonostante la norma di cui all’art. 30 c.p.a. sia stata introdotta successivamente alla proposizione del primo ricorso, il Consiglio di Stato ha ritenuto possibile applicarla ugualmente, proprio per l’assunto che essa non fa altro che riconoscere l’esistenza di principi già ricavabili dalle norme del codice civile6.

Inoltre, anche se ciò riguarda più da vicino il diverso problema del risarcimento del danno da ritardo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il privato disponga di capacità idonee ad incidere sia sulla tempistica procedimentale sia sull’esito del procedimento. Di conseguenza, lo stesso è tenuto ad attivarsi con adeguata tempestività per non vedersi ridotto o escluso il risarcimento del danno7. Infatti la valutazione dei presupposti di carattere soggettivo, sui quali si fonda la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. (dolo e colpa della P.A.), non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo8.

In conclusione, nel processo amministrativo, il risarcimento del danno risulta ancora fortemente condizionato dalla presentazione di istanze cautelari o dall’azione di annullamento, quantomeno per una corretta quantificazione del danno. In questo senso, il comportamento del ricorrente gioca un ruolo chiave non solo per evitare la riduzione del quantum, ma a volte, come nel caso di specie, per non incorrere in una pronuncia di rigetto in toto della domanda. 

L'utilizzo di tutti gli strumenti di tutela previsti dalle disposizioni del c.p.a. appare quindi di estrema importanza: il loro corretto esercizio permette di rilevare l'ordinaria diligenza in capo al ricorrente. In questo modo si può escludere un concorso di colpa nella produzione del danno e quindi ottenere un integrale ristoro del pregiudizio subito.

In alternativa, tramite una valutazione prognostica, il giudice potrebbe ritenere che la presentazione di un’istanza cautelare avrebbe evitato il danno: in questo caso, è evidente che, se l’istanza cautelare fosse stata presentata, il ricorrente non avrebbe mai proposto successiva domanda risarcitoria perché avrebbe immediatamente ottenuto il bene della vita che gli spettava.


Note e riferimenti bibliografici

1. Art. 30 c.p.a., comma 3: «nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento che si sarebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti».

2. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2015, n.2906 dove afferma che: «in materia di pregiudiziale amministrativa, dagli artt. 30 ss. cod. proc. amm., emerge che il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi della pregiudizialità amministrativa, né peraltro, al contrario, quella della totale autonomia dei due rimedi, impugnatorio e risarcitorio, bensì ha optato per una soluzione intermedia, che valuta l'omessa tempestiva proposizione del ricorso per l'annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell'istanza risarcitoria, ma solo come condotta che, nell'ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il giudice ad escludere il risarcimento, o a ridurne l'importo, ove accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l'annullamento dell'atto lesivo avrebbe evitato o limitato i danni da quest'ultimo derivanti».

3. T.A.R. Sardegna, Sez. I., 3 dicembre 2013, n. 793.

4. T.A.R. Palermo, Sez. III., 13 dicembre 2019, n. 2286.

5. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 23 marzo 2011, n. 3, afferma anche che: «la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile; la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del Codice del processo amministrativo, è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 c.c.».

6. Ex multis Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 241 del 2018 e n. 5237 del 2017; Sez. V, n. 1649 del 2016. 

7. Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 febbraio 2020.

8. Ex multis Consiglio di Stato Sez. IV 2 febbraio 2019, n.20; Sez. V, 18 giugno 2018, n.3730.