Per la Consulta la stepchild adoption è inadeguata a realizzare l´interesse dei figli nati da coppie dello stesso sesso
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Cristina Milano
Con la recente sentenza n. 32/2021, la Corte costituzionale ha evidenziato l’insufficienza dell’istituto della stepchild adoption di erigersi a congruo strumento di protezione dell’interesse del minore nato a seguito di PMA praticata da coppie omosessuali, denunciando l’impellenza di un intervento legislativo volto a colmare il vuoto normativo riscontrabile in materia. Partendo da siffatta pronuncia, il presente elaborato mira ad analizzare l’istituto in esame alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale italiana, che in via interpretativa ha ricondotto l’adozione del configlio di partner dello stesso sesso nell’ipotesi di” adozione in casi particolari” ex art. 44, 1 co., lett. d) della L. 184/1983.
Sommario: 1. Premessa; 2. L'istituto della stepchild adoption; 2.1 Stepchild adoption e unioni omosessuali; 3. L'evoluzione giurisprudenziale in materia; 3.1 3.1 Sentenza n. 299/2014 del Tribunale per i minorenni di Roma; 3.2 La decisione della Corte di cassazione, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962; 3.3 Sentenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, sentenza 25 giugno 2020 e l'applicabilità dell'art. 74 c.c.; 4. Corte costituzionale, sentenza 9 marzo 2021, n. 32; 5. Riflessioni conclusive.
1. Premessa
Con la recente sentenza n. 32/2021 la Corte costituzionale ha posto l'accento sull'insufficienza e l'incapacità dell'istituto della stepchild adoption (talvolta indicato anche come "adozione del configlio") di erigersi a congruo strumento di protezione dell'interesse del minore, denunciando l'impellenza di un intervento legislativo al fine di colmare il vuoto normativo riscontrato nell'ambito della tutela dei minori nati a seguito di procreazione medicalmente assistita (d'ora in avanti, PMA) praticata da coppie dello stesso sesso.
Si tratta di un ulteriore passo in avanti compiuto dalla giurisprudenza costituzionale in relazione alla realizzazione di una piena tutela dei diritti fondamentali degli individui omosessuali e della rispettiva prole; a tal riguardo, nel caso concreto, la Corte ha affermato che
«i nati a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi[1]».
Invero, l'ordinamento giuridico italiano risulta tutt'oggi privo di una disposizione apposita che consenta l'adozione di minori da parte di coppie omosessuali, in quanto alla fattispecie vengono considerate validamente applicabili le norme in tema di adozione e filiazione previste dal diritto privato; il tema resta comunque affidato prevalentemente all'interpretazione giurisprudenziale rilevante in materia[2].
Con riferimento alla situazione in esame, è opportuno sottolineare che i giudici costituzionali, già in passato, hanno ravvisato la condizione in cui versano i minori figli di coppie omosessuali assimilabile, in maniera non assoluta, ad un'altra categoria di nati cui, per molti anni, è stato precluso il riconoscimento dello status filiationis (i cosiddetti figli incestuosi, condannati, secondo le parole della stessa Corte costituzionale, ad una «captis deminutio perpetua e irrimediabile[3]»), in evidente contrasto con il principio di eguaglianza, enucleato nell'articolo 3 della Costituzione[4].
2. L'istituto della stepchild adoption
Al fine di poter comprendere in toto la portata della pronuncia della Corte costituzionale in questione, occorre preliminarmente analizzare l'istituto della stepchild adoption, che consente al partner di una coppia di diventare legalmente, mediante procedimento adottivo, genitore del/la figlio/a del compagno/a, con il consenso del genitore biologico.
Trattasi di una categoria di adozione volta a proteggere il diritto del minore ad avere una famiglia in circostanze in cui non è possibile ricorrere al procedimento adottivo ordinario; generalmente, siffatto istituto viene invocato nel momento in cui due adulti manifestano la volontà di costituire un nucleo familiare e un componente della coppia, o entrambi, hanno già un figlio nato da una relazione precedente[5].
Nell'ordinamento italiano, attraverso il procedimento d'adozione, il genitore diventa legalmente tale, pur in assenza di un reale legame biologico con il minore, attraverso una procedura giurisdizionale; suddetta procedura adottiva trova principale riferimento normativo nella Legge 4 maggio 1983, n. 184[6], la quale, a fronte di casi di adozione cd. legittimante[7], prevede altresì l'ipotesi di "adozione in casi particolari" (Titolo IV "Dell'adozione in casi particolari"), enucleati nell'art. 44. L' "adozione in casi particolari" è generalmente ammessa in circostanze in cui sussiste una determinata relazione parentale de facto fra un adulto e un minore[8]: si pensi all'ipotesi dei minori sottoposti alle cure di parenti o conoscenti (art. 44, comma 1, lettera a) o ancora, secondo il disposto dell'art. 44, comma 1, lett. b), «nel caso in cui il minore sia figlio dell’altro coniuge, anche adottivo».
Di notevole valore per la discussione in esame è la lettera d) del citato art. 44, che sancisce la possibilità di ricorrere all' "adozione in casi particolari" altresì quando sussista la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». La giurisprudenza più recente ha interpretato siffatta norma stabilendo che la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» si riferisce non solo alla situazione in cui un minore non si trovi in stato di abbandono ai fini dell'applicazione delle disposizioni riguardanti l'adozione "ordinaria", ma anche a tutti i casi in cui l'adozione risulta il miglior strumento per una tutela piena dei diritti e degli interessi del minore nella loro interezza[9].
Seguendo tale impostazione, nel 2007 il Tribunale dei minorenni di Milano, al cui orientamento si è successivamente uniformata la Corte d'Appello di Firenze con sentenza n.1274/2012, sulla base dell'interpretazione del sopramenzionato art. 44, comma 1, lettera d), ha inoltre concepito la possibilità per le coppie conviventi eterosessuali non coniugate di valersi della stepchild adoption[10].
2.1 Stepchild adoption e unioni omosessuali
Come ben noto ai più, la Legge 20 maggio 2016, n.76 (cd. legge Cirinnà) ha introdotto in Italia, la disciplina delle unioni civili per le persone dello stesso sesso, senza tuttavia prevedere espressamente la possibilità per il partner di adottare il figlio/a del/la compagno/a.
La Legge Cirinnà presenta all'interno dell'art.1, co. 20 una vera e propria clausola di salvaguardia, sancendo che le «disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole "coniuge", "coniugi" o termini equivalenti, ovunque ricorrono [...], si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica [...] alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».
Come sapientemente sottolineato dal Tribunale per i Minorenni di Bologna[11], l'espressione «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» viene infatti in considerazione quale clausola di salvaguardia, frutto di un compromesso legislativo, che è stata inserita a seguito dello stralcio dell'originario disegno di legge; invero, quest'ultimo apportava una modifica non indifferente all'articolo 44, comma 1, lett. b), consentendo «l'adozione in casi particolari dal coniuge o dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge o dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso[12]». In questo modo, si sarebbe esplicitamente riconosciuta la possibilità di ricorso all'adozione in casi particolari anche ai partner omosessuali uniti civilmente; senonché, la scelta del Legislatore si è rivelata a favore dell'espunzione dal testo della L. 76/2016 della citata disposizione.
Tuttavia, in virtù della clausola di salvaguardia ex. art.1, co. 20 della Legge Cirinnà e attraverso un'interpretazione evolutiva dell'articolo 44, comma 1, lett. d) della citata legge 4 maggio 1983 n. 184, l'adozione in casi particolari trova oggi concreta applicazione anche in caso di coppie omosessuali, ossia nelle ipotesi in cui esiste l'interesse del minore al riconoscimento giuridico della relazione esistente con un'altra figura genitoriale, anche se dello stesso sesso del genitore biologico[13]. Pertanto, dalla L. Cirinnà si deduce la volontà del Legislatore di estendere il ricorso all'istituto dell’adozione particolare anche a conviventi dello stesso sesso.
3. L'evoluzione giurisprudenziale in materia
A ben vedere, la giurisprudenza italiana ha affrontato in maniera interessante e critica il problema della corretta delimitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 44, comma 1, lett. d) in caso di adozione da parte di coppie omosessuali, già prima dell'entrata in vigore della L. 76/2016. Nello specifico, come precedentemente accennato, il vivace dibattito giurisprudenziale si è concentrato primariamente sull'interpretazione dell'espressione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», inteso come presupposto indispensabile al fine del ricorso all'adozione speciale.
Di conseguenza, prima di concentrarsi sull'esame della sentenza 32/2021 della Corte costituzionale, risulta opportuno analizzare le pronunce che maggiormente rilevano nell'ambito della presente discussione.
3.1 Sentenza n. 299/2014 del Tribunale per i minorenni di Roma
Il Tribunale per i minorenni di Roma, con sentenza 30 luglio 2014 n. 299, ha esaminato il primo caso di stepchild adoption in Italia da parte di due donne omosessuali italiane, le quali avevano contratto matrimonio in Spagna, dove, attraverso fecondazione eterologa, erano riuscite a realizzare altresì il loro comune progetto di genitorialità. Rientrate in Italia, la madre non biologica, con il pieno assenso della partner, ha richiesto al Tribunale per i minorenni di Roma l'adozione della minore.
Il Tribunale ha autorizzato l'adozione attraverso un'interpretazione del vigente art. 44, comma 1, lett. d) della L. 184/1983, a favore della convivente della madre biologica della bambina, in base al legame affettivo esistente in concreto tra adottante e adottanda.
In particolare, i giudici minorili hanno constatato l'impraticabilità di ricorrere all'affidamento preadottivo della minore, in quanto quest'ultima aveva già un genitore perfettamente in grado di prendersene cura, e, in aggiunta, aveva sviluppato una relazione stabile di tipo parentale con la madre "non biologica", un rapporto meritevole di trovare riconoscimento giuridico nella disposizione di cui all'art 44[14]. Con riferimento alla «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», espressa nell'articolo più volte citato, il Tribunale sostiene che questa impraticabilità non debba essere interpretata come impossibilità "di fatto", bensì come impossibilità di "diritto", tale da ricomprendere anche minori che non si trovino in stato di abbandono, ma che abbiano interesse al riconoscimento giuridico della relazione parentale intrattenuta con il partner del genitore biologico[15].
Il Collegio ritiene, inoltre, che nessuna limitazione applicativa della norma in esame possa rivenire dall’orientamento sessuale della donna richiedente l'adozione disciplinata in casi particolari, poiché non è possibile stabilire che l'interesse del minore non possa realizzarsi anche nell'ambito di una famiglia composta da persone dello stesso sesso[16].
Dunque, secondo la Corte capitolina, la ratio legis della norma in esame è da individuarsi nel perseguimento in via prioritaria dell'interesse del minore, che deve costituire il perno fondante ed interpretativo dell'istituto dell'adozione, con la precisazione che “il criterio dell'imitatio naturae” in virtù del quale l'adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante della famiglia tradizionale unita dal vincolo del matrimonio, aveva già subito un ridimensionamento a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 145 del 1969 dove veniva precisato che, con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni "non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell'imitatio naturae" esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell'esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo.[17]
Il Tribunale per i minorenni ha ritenuto che un’interpretazione diversa della norma che disciplina l'"adozione in casi particolari", intesa a rigettare la richiesta di adozione a favore del partner omosessuale del genitore biologico della minore, sarebbe risultato in contrasto non solo con la L. 184/1983, ma anche con la stessa Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (artt. 8 e 14, che sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di discriminazione)[18].
Nondimeno, su questo particolare punto, si era già in precedenza pronunciata la Corte E.D.U. con riferimento al caso "X ed altri contro Austria", in cui ha riconosciuto in tema di stepchild adoption una violazione del menzionato articolo 14 della Convenzione nell'ipotesi di un ingiustificato trattamento giuridico riservato ai partner eterosessuali in danno delle coppie omossessuali, in quanto, nel caso di specie, nell'ordinamento austriaco siffatta forma di adozione era concessa solo alle coppie eterosessuali de facto[19]. D'altronde, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sempre provveduto in via prioritaria a offrire una lettura in chiave dinamica ed evolutiva dei diritti e delle libertà sancite nella Convenzione, spesso indicata quale living instrument, le cui disposizioni devono essere declinate in funzione del progresso naturale della società civile e dei suoi valori. Inoltre, non si dimentichi che la Corte E.D.U. sollecita gli ordinamenti statali a rimuovere ogni ostacolo alla piena attuazione dell'uguaglianza sostanziale tra gli individui, pur lasciando alla discrezionalità di singoli Stati la scelta relativa ai mezzi più congrui da adottare per il raggiungimento di tale obiettivo[20].
Dalle considerazioni appena avanzate, non appare difficile comprendere che, già in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'innovativa e tanto attesa Legge Cirinnà, la sentenza appena valutata rappresenti una prima, seppur timida, conquista giurisprudenziale per il progressivo affermarsi del diritto delle coppie omosessuali a costruire un proprio nucleo familiare, tutelato e riconosciuto a pieno dall'ordinamento italiano.
Orbene, all'opinione sostenuta dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014, si è contrapposta la cosiddetta "tesi restrittiva"[21] dell'art. 44, I co., lett. d), in base alla quale l'espressione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» debba essere configurata come impossibilità di "fatto" e non di "diritto"; secondo tale orientamento, il presupposto fondamentale di suddetta impossibilità risiede nella situazione di abbandono o di parziale abbandono del minore. In forza di siffatto indirizzo, l'interpretazione estensiva dell'art.44, I co., lett. d), così come prospettata dalla Corte capitolina, comporterebbe il ricorso all'istituto dell’"adozione in casi particolari" «tutte le volte che ciò corrisponda all'interesse del minore, con conseguente aggiramento della condizione limitativa imposta dalla legge»[22].
3.2 La decisione della Corte di cassazione, sentenza 22 giugno 2016, n. 1296
Al fine di dirimere i dubbi concernenti la presente questione, nel 2016 è intervenuta la Corte di cassazione con sentenza n. 12962[23] con la quale la Suprema Corte avalla la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma appena analizzata. Il giudice di legittimità scioglie il nodo interpretativo e stabilisce in maniera chiara l'ambito di applicazione dell’”adozione in casi particolari" disciplinata dall'art. 44, I co., lett. d) della L. 184/1983, fornendo altresì delucidazioni in merito al significato da attribuire alla sopramenzionata «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», delineata come condizione essenziale ai fini del ricorso alla tipologia di adozione in esame.
La Suprema Corte osserva che tale espressione deve essere interpretata anche in senso giuridico e non solo fattuale, prendendo in considerazione «tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura».
Invero, affermare che la sussistenza di una condizione di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» non può prescindere dal verificare la reale esistenza di una situazione di abbandono «[...]condurrebbe sempre ad escludere che, nell’ipotesi di cui alla lettera d), l’adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l’accertamento di una situazione di abbandono così come descritta nel citato articolo 8, comma 1, della Legge n. 184 del 1983[24] » (cd. adozione legittimante, basata sulla condizione di abbandono del minore).
A ben vedere, infatti, nella lett. d) dell'art. 44 non viene delineato nessun requisito ai fini della definizione del profilo giuridico dell'adottante e del minore, venendo solo precisata la condizione della impossibilità dell'affidamento preadottivo; di conseguenza, l'ipotesi contrassegnata dalla lett. d) presenta senza dubbio un grado di determinazione inferiore alle altre precedentemente indicate nella norma[25].
Appare chiaro dalle considerazioni esposte che la Suprema Corte avvalora la tesi interpretativa più ampia dell'art. 44, I co. lett. d), la quale ricomprende anche l’impossibilità di affidamento preadottivo "di diritto" e, pertanto, tutti i casi in cui, anche in assenza di uno stato di abbandono reale, esiste un concreto e tangibile interesse del minore a veder riconosciuti dall'ordinamento giuridico le relazioni parentali e i legami affettivi intrattenuti con soggetti diversi dal genitore biologico, con preminente riguardo ai best interests of the child.
Tale impostazione, sostenuta dai giudici di legittimità, ben si conforma alla pronuncia della Corte costituzionale n. 399/1999, in cui viene affermato che l'intera norma di cui all'articolo 44 costituisce una "clausola residuale"[26] per i casi particolari di adozioni non riconducibili alla categoria della cd. adozione legittimante, permettendo però l'adozione di minori anche quando non sussistano i presupposti per ricorrere a quest'ultima.
Di conseguenza, la Corte conclude che
«poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’articolo 44 comma 1 lettera d) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall'art. 57, I co., n. 2[27]) non può essere svolto - neanche indirettamente - dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner».
Ebbene, la Suprema Corte nella sentenza in questione adotta un approccio squisitamente garantista nei confronti dei diritti dei minori e delle famiglie "arcobaleno", confermando un orientamento della giurisprudenza italiana particolarmente virtuoso in materia di stepchild adoption.
3.3 Sentenza del Tribunale per i minorenni di Bologna del 25 giugno 2020 e l’interpretazione dell’art. 74 c.c.
Appare ulteriormente rilevante e interessante per l'analisi trattata della materia la recente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Bologna, con particolare riferimento all’interpretazione dell’art. 74 c.c.
Il caso in esame riguarda due donne che, conosciutesi all'Università, decidono di intraprendere una relazione sentimentale e, successivamente, una stabile convivenza nel capoluogo emiliano. Volendo sperimentare la maternità, decidono di rivolgersi ad un centro di medicina riproduttiva in Belgio. Una delle due donne mette al mondo una bambina e, alcuni anni dopo, anche la sua partner diventa madre biologica di due gemelli maschi. Allo scopo di vedere riconosciuto legalmente il proprio legame con la figlia minore della compagna, la donna chiede al Tribunale dei minorenni la dichiarazione di adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma I d) della L. 184/1983 nonché la costituzione del rapporto di parentela tra i propri figli e la bambina adottanda, secondo il disposto dell' art. 74 c.c, il quale recita: «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.»
Il Tribunale bolognese, dopo aver intrapreso le necessarie e opportune indagini, accoglie entrambe le domande prospettate dalla ricorrente.
Con riferimento all'applicazione dell'art. 44, 1 co., lett. d), il Collegio per i minorenni adotta la tesi "estensiva" dell'interpretazione "in diritto" e non esclusivamente fattuale della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», già condivisa dal Tribunale dei Minorenni di Roma e dalla Suprema Corte di cassazione, ribadendo ulteriormente l'orientamento giurisprudenziale maggioritario più volte analizzato e menzionato in questa sede.
Riguardo al secondo punto della questione, il Tribunale emiliano rammenta che l'art. 1, I co. della L. n. 219/2012[28] ha modificato il disposto originario dell'art. 74 c.c., realizzando in tal modo una piena ed efficace eguaglianza tra i figli, nel rispetto degli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, con riferimento sia a quelli nati all'interno del matrimonio ovvero al di fuori di esso che a quelli adottivi. Tuttavia, siffatto articolo non permette l'insorgenza del vincolo di parentela nel caso di adozioni di persone maggiori di età, configurata anch'essa come ipotesi di adozione non legittimante al pari della fattispecie disciplinata dall’art. 44; orbene, tale esclusione, comprendente anche l'adottato in casi particolari, veniva giustificata con la volontà del legislatore di tutelare una relazione parafamiliare[29], differente e ulteriore rispetto a quella esistente tra l'adottando e il suo nucleo familiare "biologico", che comunque permane in quanto l'adozione non legittimante «non rescinde il legame del minore con la propria famiglia d'origine ma offre semplicemente valenza giuridica ad un rapporto di fatto consolidatasi nel tempo fra adottante ed adottato[30]».
A tal proposito, l'articolo 55[31] della legge 184/1983 chiude il titolo IV concernente l’”adozione in casi particolari" attuando un rinvio automatico ad alcune norme del codice civile, fra cui l'articolo 300 c.c. il quale, al secondo comma, dispone che l'adozione di persona di maggiore età «non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge».
Il Tribunale per i Minorenni sottolinea che con la novella 219/2012, enunciante la piena eguaglianza tra figli senza alcuna distinzione, la disciplina dettata dall'art. 55 nonché l'equiparazione degli adottati in casi particolari agli adottati maggiorenni non siano più attuali né corrispondenti all'interesse del minore da tutelare. A parere dei giudici, al minore non interesserebbe tanto veder riconosciuto legalmente il legame con i propri genitori biologici, bensì sarebbe per lui maggiormente fruttuoso il riconoscimento dei legami parentali con un nucleo familiare che realmente avverte come proprio. Invero, «se non si applicasse l’art. 74 c.c., i minori […] vedrebbero riconosciuto l’esclusivo legame di parentela con il rispettivo genitore intenzionale[32], non instaurandosi tra loro alcun legame di fratellanza. I medesimi, quindi, paradossalmente, vivrebbero una condizione di fatto familiare in cui avrebbero il medesimo cognome e gli stessi legami affettivi, ma una condizione giuridica che li vedrebbe estranei gli uni agli altri, pur nella comunanza di vita»[33].
In questo scenario, il Tribunale ha ritenuto opportuno applicare l'art. 74 c.c. al caso concreto, sancendo che L. n. 219/2012 ha operato un'abrogazione tacita dell'art. 55 L. 184/1983, nella parte in cui richiama l'art. 300, II co., c.c., soprattutto per motivi di ordine sistematico e di armonia formale[34].
In pratica, nell'opinione dell'autore della presente discussione, i giudici bolognesi sembrano auspicare una riformulazione dell'art. 74 c.c., per meglio sottolineare la valenza dell'unicità dello status di figlio, senza nessuna discriminazione, ratio questa fondamentale della novella del 2012.
Di conseguenza tale soluzione, che a parere di chi scrive sembra configurarsi come soddisfacente in quanto sempre più tesa alla salvaguardia delle pretese e degli interessi dei minori adottandi da parte di coppie omosessuali, può essere letta altresì in piena conformità e in coordinamento con l'art. 315 c.c., in base al quale tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.
4. Corte costituzionale, sentenza 9 marzo 2021, n. 32
Come sottolineato in principio dell'attuale trattazione, la Corte costituzionale nella recentissima sentenza n. 32/2021, adottata su questioni sollevate dal Tribunale di Padova, ha denunciato un grave vuoto normativo in materia di stepchild adoption di un minore nato attraverso PMA, praticata all'estero da coppie omossessuali.
Con l'espressione PMA, si fa riferimento a tutte le pratiche che consentano alle coppie di procreare, attraverso varie metodologie; tra queste tecniche, rientra anche la fecondazione assistita, che comprende la fecondazione in vitro dell'ovulo da parte dello spermatozoo, con lo scopo di dar vita a degli embrioni da impiantare successivamente nell'utero della madre. La fecondazione assistita si distingue poi in fecondazione omologa, quando entrambi i gameti vengono donati dai futuri genitori del nascituro e in fecondazione eterologa quando invece uno dei gameti proviene da un individuo esterno alla coppia[35].
Per poter comprendere a pieno le motivazioni che hanno ispirato la decisione della Corte, risulta opportuno sottolineare che la PMA - pratica che ha suscitato non pochi dibattiti non solo da un punto di vista squisitamente etico ma anche con riferimento alla sfera giuridica – è attualmente disciplinata dalla L. n. 40/2004[36]; a tal riguardo, la Corte costituzionale, con sentenza 10 giugno 2014, n. 162, ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di fecondazione eterologa contenuto in siffatta legge, in quanto lesivo degli artt. 2,3,29, 31 e 32 della Costituzione, stabilendo che la PMA di fatto incide su interessi e pretese costituzionalmente protette, tanto da richiedere un bilanciamento delle esigenze in gioco. Grazie a suddetta pronuncia, al giorno d'oggi la tecnica della fecondazione eterologa viene considerata una pratica lecita, condizionata, però, alla sussistenza dei presupposti indicati nella citata novella[37].
Nel caso di specie, il Collegio veneto era stato adito da una donna, madre intenzionale di due gemelle nate a seguito di PMA dalla compagna della stessa, per ottenere il riconoscimento giuridico del legame stabilito con le minori ai sensi dell’art. 8 della L. 40/2004 o di essere dichiarata genitore delle stesse in quanto prestatrice del consenso alla pratica di fecondazione eterologa; tuttavia la coppia non aveva effettuato una dichiarazione congiunta dinanzi ad un ufficiale dello stato civile circa la nascita delle due bambine, avvenuta peraltro in Italia.
Terminata la relazione dopo anni di convivenza, alla madre intenzionale non era stato concesso il libero esercizio della responsabilità genitoriale, nonostante il rapporto intenso e affettivo instauratosi con le gemelle; nondimeno, il ricorso all'adozione in casi speciali non era praticabile, in quanto l'art. 46[38] della legge n. 184/1983 stabilisce necessariamente l'assenso del genitore legale (la madre biologica) dell'adottando che, nell'ipotesi concreta, invece era stato negato.
Di conseguenza, alla luce della disciplina vigente, il Tribunale di Padova aveva ritenuto di non poter accogliere le richieste della ricorrente, riscontrando un vuoto normativo evidente sulla questione dei figli nati da partner dello stesso sesso attraverso PMA. Pertanto, il giudice padovano aveva promosso questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 8 e 9 della L. n. 40/2004 e all’art. 250 c.c[39]. Infatti, secondo il Tribunale rimettente, le disposizioni della L. 40/2004 contestate permetterebbero il riconoscimento della responsabilità genitoriale nei confronti della madre o del padre intenzionale dei nati in seguito a PMA soltanto ove ricorrano le condizioni indicate nell' art. 5 della medesima legge, cioè quando i genitori siano di sesso diverso; la norma recita espressamente «possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Nella fattispecie in questione, non vi sarebbero nemmeno i presupposti per procedere all'adozione ex art. 44, I co., lett. d), in quanto si richiede ai sensi dell’art. 46 della novella del 2004 necessariamente il consenso del genitore biologico.
La Corte costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionalità sollevate dal Collegio padovano. Tuttavia, quel che rileva in questa sede è la posizione assunta dalla Corte, la quale conferma l'assoluta impellenza di un intervento normativo adeguato, considerando che «il grave vuoto di tutela dell’interesse del minore, nato da fecondazione eterologa praticata all’estero da due donne il cui rapporto, dopo anni, è diventato conflittuale, non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore».
Il quesito di legittimità costituzionale posto dal giudice a quo ha dimostrato come il ricorso alla stepchild adoption non sia in grado di costituire un valido nonché completo strumento di protezione del nato da coppie omosessuali; a sostegno del suo orientamento, la Corte sottolinea che, anche in presenza di un rapporto di filiazione concretamente effettivo con la madre intenzionale, attualmente non può essere utilizzato nessun mezzo di tutela legale per far valere i diritti delle gemelle e il loro best interests.
Non a caso, a tal proposito, la Corte costituzionale riprende il principio posto a garanzia del miglior interesse del minore, enucleato all'interno della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, in cui si stabilisce che, nell'ambito dell'approvazione di leggi o comunque di provvedimenti che interessino il minore, «the best interests of the child shall be a primary consideration»[40].
Il giudice costituzionale auspica, quindi, un intervento del legislatore sulla materia quanto più rapido possibile, al fine di giungere ad un giusto ed equo bilanciamento dei beni costituzionali coinvolti e nel pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali del minore.
Tale intervento, a detta della Corte, potrebbe realizzarsi mediante una riscrittura delle disposizioni stabilite in tema di riconoscimenti o nell'introduzione di una procedura efficace volta a garantire l'interezza dei diritti connessi allo status filiationis, consentendo di ovviare alla frammentarietà che caratterizza la disciplina giuridica della condizione dei nati da PMA ad opera di coppie dello stesso sesso[41].
5. Riflessioni conclusive
Dalle considerazioni finora avanzate, è possibile affermare che la Corte costituzionale ha riacceso il dibattito concernente l'adozione di minori da parte di coppie omosessuali in Italia, ponendo l'accento sulla necessità di un intervento normativo adeguato che abbia come principale ed esclusivo obiettivo quello di provvedere all'interesse del bambino, prescindendo da ogni sorta di discussione morale ed etica in quanto avulsa dall'ambito prettamente giuridico.
Orbene, risulta innegabile che la giurisprudenza italiana si sia evoluta nel corso degli anni a favore della piena tutela non solo delle coppie omosessuali ma anche dei loro figli, come chiaramente dimostra l'interpretazione dell'art. 4, I co, lett.d) della L. 184/1983, la quale estende altresì alle same-sex couples la possibilità di ricorso all' "adozione in casi particolari".
Sebbene in passato l’Italia sia stata ripetutamente additata come un Paese poco sensibile agli interessi della comunità LGBTI, l'evoluzione giurisprudenziale in materia di nati da partner omosessuali a seguito di PMA ha manifestato una connotazione prettamente garantista dei diritti delle coppie omosessuali, tale da incarnare altresì un punto di partenza importante per futuri interventi del Legislatore volti a raggiungere fini costituzionalmente necessari.
Invero, a parere di chi scrive, proprio il Legislatore dovrebbe introdurre, in qualità di strumento più adatto a colmare il vuoto normativo in esame, una nuova tipologia di adozione (soluzione peraltro prospettata anche dalla stessa Corte costituzionale) che sia esplicitamente indirizzata ai minori venuti al mondo attraverso fecondazione eterologa praticata da partner dello stesso sesso; tale categoria "innovativa" di adozione dovrebbe, inoltre, prospettare la possibilità di ricorso ad una procedura adottiva standard e minuziosamente dettagliata, al fine di evitare interpretazioni ambigue della futura disciplina, tale da comprometterne l'applicazione effettiva, eliminando per sempre ogni sorta di discriminazione e violazione dei diritti fondamentali del minore e/o del proprio nucleo familiare.
[1] Cit. Corte cost. Sent. 9 marzo 2021, n. 32
[2] M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Quarta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2018, p. 180
[3] Ibid.
[4] Sul punto, si veda Corte cost. Sent.. 28 novembre 2002, n. 494
[5] Cfr. Camera dei deputati: Temi dell'attività parlamentare XVII legislatura, Il dibattito sulla stepchild adoption
[6] Legge 4 maggio 1983, n. 184, recante norme sulla "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori"
[7] L'adozione legittimante del minore è consentita a favore dei minori che versino in uno stato di abbandono e cioè quando il minore sia privato dell'assistenza morale e materiale da parte dei genitori o di chi è tenuto a provvedervi (ad esempio, i parenti). Sulla disciplina integrale dell'adozione del minore, si veda A. TORRENTE, P. SCHLENSINGER, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 1321 ss.
[8] Cfr. Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 4
[9] Si veda, ad esempio, Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 5
[10] Così Trib. per i Minorenni di Milano Sent. del 28 marzo 2007, n. 626: "Certamente nella originaria idea del legislatore l’adozione in casi particolari aveva l’obiettivo, quanto alla ipotesi di cui alla lettera B) di rafforzare legami di fatto esistenti nell’ambito della unità familiare e, quanto alle altre ipotesi, di evitare a minori per i quali non fosse possibile l’adozione legittimante, il ricovero in istituti. In realtà l’evoluzione dei costumi e delle diverse forme dei legami affettivi significativi ha via via ampliato la portata della norma di carattere residuale in esame, giacchè ciò che deve costituire il principio fondamentale cui ispirarsi è il preminente interesse del minore nel caso concreto"; Corte d'Appello di Firenze Sent. del 4 ottobre 2012, n.1274 "[...] l'adozione ai sensi dell'art 44 lett. B della L. n. 184/1983, pur espressamente dedicata all'ipotesi del coniuge, non esclude la possibilità del convivente ai sensi dell'art. 44 lett. D, quando, come nella specie, ciò corrisponda all'interesse dell'adottando"
[11] Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 4
[12] Cit. M. SANTISE, op. cit., p. 179
[13] Sul punto, si veda anche Corte di Appello di Torino Sent. 27 maggio 2016 (pres. Mecca, est. Lanza)
[14] Cfr. Diritti e tutele in tema di adozione: nota a sentenza n. 299/2014 del Tribunale per i minorenni di Roma, in Pensareildiritto.it,https://www.pensareildiritto.it
[15] M. SANTISE, op.cit, p. 181
[16] A tal proposito, l'articolo 57 della L. 184/1983 stabilisce espressamente che, ai fini dell'autorizzazione all' "adozione in casi particolari", "il tribunale verifica:1) se ricorrono le circostanze di cui all'articolo 44;2) se l'adozione realizza il preminente interesse del minore".
[17] Cit. Tribunale per i minorenni di Roma Sent. 30 luglio 2014, n. 299
[18] Diritti e tutele in tema di adozione: nota a sentenza n. 299/2014 del Tribunale per i minorenni di Roma
[19] C.E.D.U. Sent. del 19 febbraio 2019 nel ricorso n. 19010 del 2007, caso "X and Others v. Austria". "Such a difference in treatment is discriminatory if it has no objective and reasonable justification; in other words, if it does not pursue a legitimate aim or if there is not a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought to be realised." Cit. p. 26. Si veda anche F. CRISAFULLI, Same-Sex Couples’ Rights (Other than the Right to Marry) Before the ECtHR, in D. GALLO, L. PALADINI, P. PUSTORINO (ed.), Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, Springer, Berlino, 2014, p. 425
[20] Cfr. Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 4
[21] In tal senso, si veda, ad esempio, Corte di Appello di Torino Sent. 29 ottobre 2014 e Sent. 27 maggio 2016
[22] Cit. M. SANTISE, op.cit., p. 182
[23] Cass. Civ., Sez. I Sent. 22 giugno 2016, n. 12962
[24] "Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio."
[25] Cfr. I. STELLATO, Adozione - Cassazione Civile: stepchild adoption e coppie same sex: via libera in casi particolari, in Filodiritto, 25 ottobre 2016; M. SANTISE, op.cit., pp. 183 ss.
[26] Cfr. Corte cost. Sentenza 7 ottobre 1999, n. 383. Risulta interessante ai fini della presente discussione riportare un passaggio di tale pronuncia: " l’art. 44 della legge n. 184 del 1983 si sostanzia in una sorta di clausola residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione "legittimante", consentendo l’adozione dei minori "anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 7". In questa logica di apertura, la lettera c) fornisce un’ulteriore "valvola" per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b). A differenza di quella "legittimante", la particolare adozione del citato art. 44 non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine, ma offre allo stesso la possibilità di rimanere nell’ambito della nuova famiglia che l’ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui: i parenti o le persone che hanno con lui rapporti stabili e duraturi preesistenti alla perdita dei genitori, ovvero il nuovo coniuge del genitore[...].E’ evidente allora che, nelle ipotesi considerate, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un’adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella "legittimante", ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest’ultima. Ciò é pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l’effettiva realizzazione degli interessi del minore."
[27] Ai sensi dell'art. 57, I co., n. 2 della L. 184/1983, prima di pronunciarsi sull' "adozione in casi particolari", il Tribunale deve verificare se tale adozione realizza il preminente interesse del minore. " L'indagine dovrà riguardare in particolare: a) l'idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare degli adottanti."
[28] L. 10 dicembre 2012, n. 219, recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali."
[29] Cit. Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 9
[30] Ibid.
[31] Art. 55: "Si applicano al presente capo le disposizioni degli articoli 293,294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile."
[32] Il genitore intenzionale viene definito come la persona che intende prendersi cura, crescere ed educare i figli biologici del partner
[33] Cit. Trib. per i Minorenni di Bologna Sent. del 25 giugno 2020, p. 10
[34] Il Tribunale stabilisce che: "l’art. 74 c.c. nella sua attuale formulazione nonché interpretazione, rovesci il rapporto tra il principio dell’unicità dello status di figlio, affermato dalla l. 219/2012, ed i suoi effetti. In questo modo, infatti, si applicherebbe un diverso trattamento, con il risultato della creazione di un ingiustificato doppio binario, per situazioni che, pur partendo da un comune denominatore (es. stato di abbandono) abbiano poi dovuto seguire iter differenti. Ecco che, in tal modo, non verrebbe realizzata la funzione intrinseca della novella sulla filiazione, ovvero quella di eliminare ogni tipo di discriminazione tra i figli, anche dal punto di vista dei legami parentali, ed è per questa ragione che si può parlare di abrogazione tacita." Sul punto, si veda anche A. SCALERA, Stepchild adoption: una decisione in chiaroscuro, in QuestioneGiustizia.it, 27 ottobre 2020
[35] M. SANTISE, op. cit., p. 200
[36] Legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita". Sul punto in esame, si veda anche G. BOTTEGHI, Maternità surrogata: riconoscimento di figli di coppie omosessuali in Italia, in Diritto.it, 18 marzo 2021
[37] Si veda, in particolare, artt. 4, 5, 6 di suddetta legge
[38] "Per l'adozione e' necessario l'assenso dei genitori e del coniuge dell'adottando. Quando negato l'assenso previsto dal primo comma, il tribunale, ,sentiti gli interessati, su istanza dell'adottante, puo', ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, pronunziare ugualmente l'adozione, salvo che l'assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la potesta' o dal coniuge, se convivente, dell'adottando."
[39] In relazione agli artt. 2,3,30 e 117, I co. Cost, quest'ultimo con riferimento alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 firmata a New York, e con riferimento agli artt. 8 e 14 della C.E.D.U.
[40] Con riferimento a tale statuizione, si è pronunciata anche la C.E.D.U., ad esempio nella sentenza nella sentenza 5 novembre 2002 "Yousef v. The Netherlands", application no. 33711/96, stabilendo che "the child's rights must be the paramount consideration"; o ancora, nella sentenza della Grande Camera del 26 novembre 2013, "X v. Latvia", application no. 27853/09
[41] La Corte conclude sancendo che "Il terreno aperto all'intervento del legislatore è dunque assai vasto e le misure necessarie a colmare il vuoto di tutela dei minori sono differenziate e fra sé sinergiche."
Bibliografia
- BOTTEGHI G., Maternità surrogata: riconoscimento di figli di coppie omosessuali in Italia, in Diritto.it, 18 marzo 2021
- CAMERA DEI DEPUTATI, Temi dell'attività parlamentare XVII legislatura, Il dibattito sulla stepchild adoption
- GALLO D., PALADINI L., PUSTORINO P. (ed.), Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, Springer, Berlino, 2014, p. 425
- SANTISE M., Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Quarta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2018, pp. 180 ss.
- SCALERA A., Stepchild adoption: una decisione in chiaroscuro, in QuestioneGiustizia.it, 27 ottobre 2020
- STELLATO I, Adozione - Cassazione Civile: stepchild adoption e coppie same sex: via libera in casi particolari, in Filodiritto, 25 ottobre 2016
- TORRENTE A., SCHLENSINGER P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 1321 ss.