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Pubbl. Gio, 8 Apr 2021

La Cassazione sul rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e la truffa

Giulia Rizzo



Con il presente contributo si vuole proporre una breve riflessione in merito al rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e la truffa, di cui rispettivamente agli artt. 166 del D.lgs. n. 58/1998 e 640 c.p., analizzando il principio di diritto enunciato dalla recente giurisprudenza di legittimità sul punto.


Sommario: 1. Premessa; 1.1. Il concorso apparente di norme; 1.1.1. Segue: il concorso di reati; 1.2. Brevi cenni in merito al reato di abusivismo finanziario; 1.3. L’art. 640 c.p.; 1.4. Il rapporto tra le due fattispecie di reato; 1.4.1. Segue: il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte; 1.5. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Premessa; 1.1. Il concorso apparente di norme; 1.1.1. Segue: il concorso di reati; 1.2. Brevi cenni in merito al reato di abusivismo finanziario; 1.3. L’art. 640 c.p.; 1.4. Il rapporto tra le due fattispecie di reato; 1.4.1. Segue: il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte; 1.5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Lo studio delle fattispecie di reato spesso e volentieri richiede preliminarmente l’analisi di alcune nozioni di parte generale, le quali costituiscono il punto di partenza, nonchè la base per l’analisi dei reati di parte speciale e delle leggi complementari. D’altronde, il diritto penale è ripartito in una parte generale e in una parte speciale e se quest’ultima è dedicata alla specifica disciplina delle singole fattispecie incriminatrici, volte a punire i comportamenti vietati dall’ordinamento, la prima disciplina i principi generali, nonché le regole applicabili a tutti i reati. Ebbene, è giocoforza che la parte generale di diritto penale è funzionale alla seconda e che senza la prima l’analisi della seconda rimarrebbe incompleta. Tale discorso ovviamente vale anche per quanto riguarda la funzionalità del diritto penale generale al diritto penale complementare. Quanto premesso si presta all’analisi del rapporto tra il reato di abusivismo finanziario, di cui all’art. 166 del D.lgs. n. 58/1998 e il reato di truffa, di cui all’art. 640 c.p., in quanto con questo contributo non ci si limiterà ad analizzare semplicemente le fattispecie di reato summenzionate, ma sarà necessario in via preliminare trattare alcune nozioni di parte generale al fine di un quadro più delineato per il recepimento del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte che, da ultimo, si analizzerà. Senza togliere il brio del finale in chi legge, è opportuno anticipare che recentemente la giurisprudenza di legittimità si è espressa in merito al rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e quello di truffa sostenendo che tra le due fattispecie vi è concorso di reati per la diversa natura delle due norme. Ed è proprio l’analisi del concorso di reati che costituirà il punto di partenza per la redazione di questo contributo, se non avendo analizzando ancor prima il concorso apparente di norme.

1.1. Il concorso apparente di norme

Per comprendere il rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e quello di truffa, come già anticipato, occorre fare un passo indietro, analizzando nello specifico il concorso apparente di norme.

Il fenomeno del concorso apparente di norme ricorre ogni qualvolta l’insieme delle azioni od omissioni poste in essere dal soggetto agente apparentemente sembrano configurare più norme penali, ovvero più disposizioni di legge, incidenti sulla stessa materia, sebbene sola una di queste trovi in concreto applicazione.

Più precisamente, come sostenuto da autorevole dottrina, il concorso apparente di norme è configurabile quando più norme appaiono, almeno prima facie, disciplinare un medesimo fatto, ma poi effettivamente solo una di esse sarà applicabile al caso di specie[1].  

È facilmente intuibile che a fronte di un concorso apparente di norme sarà necessario individuare quale norma debba in concreto applicarsi, in virtù del principio del ne bis in idem sostanziale, secondo cui l’ordinamento giuridico sancisce il divieto di corrispondere una doppia sanzione per il medesimo fatto.

Difatti, il risvolto processuale nell’ipotesi di violazione del summenzionato principio sarà quello previsto e disciplinato all’art. 649 c.p.p.[2] .

Dunque, dinanzi ai molti casi di concorso di norme incriminatrici il problema che rileva è quello di analizzare se si tratti di un concorso reale di norme, in cui alla pluralità delle fattispecie incriminatrici applicabili corrisponde la pluralità dei reati, come verrà meglio spiegato nel prosieguo, ovvero se si tratti di un concorso apparente di norme in cui la pluralità di norme è solo apparente, essendo unica in realtà la norma concretamente applicabile.

Innanzitutto il concorso apparente di norme si configura quando ricorrono la pluralità di norme, l’identità del fatto e la circostanza per cui solo una norma sarà quella che troverà in concreto applicazione. Gli esempi di concorso apparente di norme sono innumerevoli[3] ma in questo contesto ci si limiterà solo ad analizzare i criteri regolatori del concorso apparente di norme.

Pertanto, in ossequio alle teorie c.d. monistiche, maggiormente accreditate in giurisprudenza, la soluzione al concorso apparente di norme deve rinvenirsi nell’art. 15 c.p. Quest’ultimo, infatti, disciplina la materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge, enunciando il criterio di specialità nel conflitto tra legge generale e legge speciale, in ossequio al brocardo latino secondo cui lex specialis derogat legi generali.

Detto altrimenti, secondo le teorie c.d. monistiche la natura apparente del concorso di norme va individuata applicando il principio di specialità, secondo cui sarà speciale quella norma che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale più ulteriori elementi specializzanti.

In tale ottica, infatti, il criterio di specialità opera a livello logico-formale, imponendo di porre a raffronto la struttura delle fattispecie incriminatrici al fine di verificare quale norma risulterà speciale rispetto all’altra[4].

L’orientamento monista è quello maggiormente seguito in giurisprudenza[5] in quanto il criterio di specialità da esso adottato è espressamente disciplinato, rispettando, dunque, il principio di legalità sia in senso formale, sia in senso sostanziale.

Secondo, infatti, le teorie c.d. monistiche il criterio di specialità è l’unico criterio non solo espressamente enunciato dal legislatore ma anche rilevante sul piano pratico in quanto volto a regolare i casi di apparenza del concorso apparente di norme.

Diversamente, le teorie c.d. pluralistiche ritengono che sia necessario affiancare al principio di specialità ulteriori criteri, quali quello di sussidiarietà e di assorbimento (o consunzione).

Tali criteri non si basano su un rigoroso raffronto strutturale tra norme astratte ma su un apprezzamento di valore del fatto concreto[6]. In altri termini, secondo il criterio di sussidiarietà, il quale trova applicazione tra norme che prevedono diversi gradi di offesa allo stesso bene giuridico, la norma principale che offende in misura maggiore il bene giuridico protetto esclude l’applicabilità della norma sussidiaria, in virtù del brocardo latino secondo cui lex primaria derogat legi subsidiarie. Il criterio di assorbimento, invece, impone l’applicazione della norma che assorbe a sé il disvalore dell’illecito meno grave che, pertanto, viene dalla prima assorbito, in ossequio al brocardo latino lex consumens derogat legi consumptae.

Proprio sulla base di questi presupposti, le teorie c.d. pluralistiche sono state ripudiate dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, come sopra già richiamata, affermando che << […] i criteri di assorbimento e di consunzione sono privi di fondamento normativo […] >>, ed inoltre << […] i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuite del giudice l’applicazione di una norma penale[7]>>.

1.1.1. Segue: il concorso di reati

Chiarito il concorso apparente di norme, occorre ora analizzare il concorso di reati. Come già anticipato, si ha concorso di reati quando uno stesso soggetto ha posto in essere più fatti di reato e, pertanto, deve rispondere di tanti reati quante sono le violazioni che ha commesso[8].

A differenza del concorso apparente di norme in cui la pluralità di norme è solo apparente, nel concorso di reati la pluralità di reati è reale e ciò può configurarsi sia quando il soggetto con più azioni od omissioni commetta una pluralità di reati, sia quando con un’unica condotta vengano violate più norme incriminatrici o vengano poste in essere più violazioni della stessa fattispecie. Nel primo caso si avrà un concorso materiale di reati, nel secondo caso un concorso formale di reati.

Anche in questo caso, l’analisi sarà breve ma efficace ai fini della comprensione del rapporto tra la fattispecie di abusivismo finanziario e quella di truffa.

Il concorso materiale di reati è disciplinato all’art. 71 c.p. il cui trattamento sanzionatorio è quello del cumulo materiale delle pene, pertanto, al soggetto che commette più fatti di reato verrà applicata la somma aritmetica delle pene stabilite per ciascuna infrazione. In questo contesto è opportuno, inoltre, inquadrare il c.d. reato continuato che, seppur disciplinato all’art. 81 co. 2 c.p., costituisce un’ipotesi peculiare di concorso materiale di reati in quanto nell’ipotesi in cui vengano poste in essere più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e, dunque, vengano commesse più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, il trattamento sanzionatorio non sarà quello del cumulo materiale, bensì quello del cumulo giuridico delle pene.

Il trattamento applicabile al concorso formale di reati, di cui all’art. 81 c.p., infatti, è quello del cumulo giuridico delle pene; pertanto, al soggetto che ha commesso più violazioni con la stessa condotta verrà applicata la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo.

Ebbene, non vi sono dubbi che il reato continuato seppur strutturalmente sia assimilabile alla nozione del concorso materiale di reati, praticamente, sul lato sanzionatorio, vede applicarsi il più favorevole regime del cumulo giuridico delle pene in luogo del cumulo materiale delle stesse.

Fatta questa breve disamina sulla distinzione tra concorso apparente di norme e concorso di reati è possibile ora trattare nello specifico le fattispecie di reato oggetto di analisi.

1.2. Brevi cenni in merito al reato di abusivismo finanziario

Il reato di abusivismo finanziario, di cui all’art. 166 del D.lgs. n. 58/1998, recante il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.), è disciplinato nell’ambito delle Leggi complementari al codice penale.

Il summenzionato articolo punisce l’abusivismo in ambito finanziario, prevedendo la pena della reclusione da uno a otto anni e la multa da euro quattromila a euro diecimila.

Si tratta, in altri termini di un reato commesso dagli intermediari finanziari non autorizzati cui si affidano gli investitori. Tale reato si configura laddove venga svolta attività finanziaria da parte di soggetti non abilitati, né autorizzati, nei confronti del pubblico[9], in violazione delle norme che regolano la competenza a gestire il mercato mobiliare.

Si pensi ad esempio alla semplice consulenza per investimenti o all’esercizio abusivo dell’attività di promotore finanziario da parte di una persona non iscritta all’apposito Albo dei promotori finanziari, o ancora a chi promuova prodotti finanziari, come le polizze assicurative a carattere finanziario.

Ovviamente, il bene giuridico tutelato dall’art. 166 T.U.F. è il corretto funzionamento del mercato finanziario italiano, salvaguardandolo da chi operi in tale settore senza autorizzazione.

Secondo autorevole dottrina l'art. 166 T.U.F è qualificabile come reato di pericolo presunto[10], volto a tutelare l’interesse degli investitori a trattare solo con soggetti che siano qualificati e competenti, nonché a tutelare il mercato mobiliare.

Più nello specifico l’abusivismo finanziario è definito come “reato a consumazione prolungata” in quanto la condotta non si esaurisce in un unico episodio e, pertanto, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui viene compiuta l’ultima condotta illecita. Dunque, il reato di abusivismo finanziario è consumato fintantoché l’incarico abusivo viene svolto[11].

1.3. L’art. 640 c.p.

La truffa, invece, è un reato contro il patrimonio commesso mediante frode in quanto la condotta tipica si caratterizza per la presenza di artifizi e raggiri.

Vi sono diversi ipotesi particolari di truffa, da quella a tre soggetti a quella processuale, ma in questo contesto ci si limiterà a trattare solo gli aspetti più salienti della fattispecie in questione, ai fini del confronto con il reato di abusivismo finanziario, oggetto del paragrafo che seguirà.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 640 c.p. è non solo il patrimonio del singolo, ma anche l’interesse alla libera formazione del consenso, pertanto, trattasi di un reato plurioffensivo.

La truffa, inoltre, è un reato a forma vincolata in quanto la condotta incriminata è quella caratterizzata da artifizi e raggiri, attraverso l’induzione in errore del soggetto passivo, determinandolo al compimento di un atto di disposizione patrimoniale foriero di un profitto ingiusto per il reo e di un danno patrimoniale per la vittima.  

Gli artifizi[12] determinano una immutatio veri, facendo apparire come effettiva una realtà che non esiste o celandone una esistente; i raggiri[13], invece, sono dei discorsi, dei ragionamenti, delle parole che suggestionano la psiche del soggetto passivo, ingannandolo e, quindi, traendolo in errore.

La truffa, inoltre, è un tipico reato commesso con la cooperazione della vittima in quanto senza la sua induzione in errore il reato non verrebbe a configurarsi.

La fattispecie di reato in questione è qualificata come reato di danno in quanto l’offesa al bene giuridico si realizza concretamente dal momento in cui il soggetto ingannato ha effettuato la disposizione patrimoniale e quindi si richiede che la lesione del patrimonio del soggetto passivo avvenga effettivamente.

Difatti, come sostenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità la truffa è un reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo e, di conseguenza, si consuma nel momento in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte della vittima[14].

1.4. Il rapporto tra le due fattispecie di reato

Dopo aver analizzato per sommi capi la differenza tra le due fattispecie di reato occorre, ora, guardare attentamente al rapporto che intercorre fra le due norme.

Senza dubbio l’art. 166 del D.lgs. n. 58/1998 e l’art. 640 c.p. hanno una diversa collocazione sistematica e, pertanto, sono posti a tutela di un diverso bene giuridico.

Nel primo caso, si vuole tutelare l’interesse degli investitori a trattare solo con soggetti affidabili, nonché il mercato mobiliare; nel secondo caso invece si vuole tutelare la libertà di autodeterminazione della vittima, nonché il suo interesse patrimoniale.

Ebbene, tale considerazione non lascia dubbi sul fatto che tra le due norme non vi possa essere un concorso apparente di norme perché affinchè questo si configuri, secondo la summenzionata teoria c.d. monistica, occorre che vi sia una norma che presenti un quid pluris rispetto all’altra, ovvero che le due norme apparentemente siano applicabili al caso concreto, ma solo una prevalga poi effettivamente sull’altra.

Addirittura, se si seguisse l’orientamento minoritario delle c.d. teorie pluralistiche, la truffa potrebbe assorbire la fattispecie di abusivismo finanziario in quanto caratterizzata da un disvalore maggiore dovuto alla presenza di artifizi e raggiri e dall’induzione in errore.

Difatti, ad una prima lettura, l’art. 166 del D.lgs. n. 58/1998 potrebbe destare qualche perplessità ed indurre a ritenere che sia un’ipotesi di truffa. D’altronde trattare con soggetti che si rivelino non affidabili, né qualificati, né autorizzati equivarrebbe a trattare con soggetti che esercitano abusivamente la propria professione e che allo stesso tempo hanno l’abilità di ingannare l’investitore, facendogli, pertanto, credere di trattare con soggetti qualificati.

Se si volesse, pertanto, procedere con un’interpretazione azzardata, il reato di abusivismo finanziario potrebbe configurare un’ipotesi di “truffa contrattuale”, basti pensare, come già ricordato, alle polizze assicurative di natura finanziaria tra il “presunto” promotore finanziario e il cliente.

La truffa contrattuale, infatti, rappresenta un’ipotesi peculiare di truffa comune e si configura quando gli artifizi e i raggiri intervengono nella formazione della volontà contrattuale in modo da indurre la controparte (ovvero il soggetto passivo) alla prestazione del consenso.

In altre parole, la truffa contrattuale si realizza quando uno dei contraenti pone in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o simulare fatti che, ove conosciuti, avrebbero indotto l’altra parte ad astenersi dal concludere il contratto. Di conseguenza, l’ingiusto profitto, nonché il danno del soggetto passivo consiste nel fatto stesso della stipulazione del contratto e nella lesione della libertà contrattuale[15].

Ebbene, il reato di abusivismo finanziario sembrerebbe attagliarsi a questa definizione, soprattutto nell’ambito del c.d. trading online.

Inoltre, la truffa contrattuale, come il reato di abusivismo finanziario, è un reato a consumazione prolungata che si configura, pertanto, quando, a fronte di un accordo iniziale, il cliente effettui periodici versamenti di somme scaglionate nel tempo[16].

Eppure, se si guardasse più attentamente alla struttura del reato di abusivismo finanziario è evidente che questo possa concorrere con l’art. 640 c.p.

Il concorso tra le due norme, come sopra già evidenziato, è dipeso non solo dalla diversa collocazione sistematica delle fattispecie di reato, ma anche dalla modalità della condotta in quanto il reato di abusivismo finanziario non è connotato dalla presenza di una condotta fraudolenta, come la truffa , ma soprattutto, l’elemento discretivo tra le due norme è dato dalla loro diversa natura.

Si rimanda però la trattazione di questo aspetto al paragrafo successivo, riportando il principio di diritto espresso dalla recente giurisprudenza di legittimità sul punto.

1.4.1. Segue: il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte

Attese le perplessità che possono destare le fattispecie di reato summenzionate, recentemente la giurisprudenza di legittimità si è espressa per fare chiarezza in merito al rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e quello di truffa.

In verità, si tratta di una pronuncia giurisprudenziale che non costituisce un caso isolato, bensì il retaggio di un orientamento consolidato in giurisprudenza e che, di recente, è stato nuovamente confermato.

Difatti, secondo quanto statuito recentemente dai giudici di legittimità il reato di abusivismo finanziario  può concorrere con il reato di truffa, attesa la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie. A sostegno di ciò la Suprema Corte ha affermato infatti che << […] l’abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l’interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonché l’interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati; la truffa, invece, è reato di danno, che, per la sua esistenza, richiede l’effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell’uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele[17] >>.

Pertanto, è ammissibile il concorso tra le due fattispecie di reato.

Da un lato, infatti, si configurerà la truffa in quanto il finto promotore finanziario con artifizi e raggiri induce in errore l’investitore, procurando un ingiusto profitto consistito nel conseguire la disponibilità delle somme conferitegli dall’investitore stesso con conseguente danno per quest’ultimo[18]; dall’altro, si configurerà l’abusivismo finanziario in quanto il finto promotore mediante la predetta condotta esercita abusivamente l’attività di promotore finanziario.

Da ciò se ne deduce, dunque, un concorso materiale di reati con vincolo di continuità, di cui all’art. 81 co. 2 c.p., in un’ottica di un medesimo disegno criminoso

1.5. Considerazioni conclusive

Ecco che tirando le fila di quanto fin qui detto, la trattazione degli aspetti concernenti la parte generale del diritto penale sono stati utili e prodromici per la comprensione del rapporto tra il reato di abusivismo finanziario e quello di truffa. Senza, infatti, la lettura di quegli aspetti sarebbe stato difficile inquadrare correttamente le due fattispecie di reato poste a confronto, ed inoltre, sarebbe risultato incompleto anche il principio di diritto espresso dalla recente giurisprudenza che, da ultimo, è stato analizzato. Difatti, nell’ambito del diritto penale spesso e volentieri si pongono problemi interpretativi in merito al rapporto tra le diverse fattispecie di reato, risultando pertanto difficile capire se si possa configurare un eventuale concorso oppure no. Per tale ragione, la funzione della parte generale di diritto penale mira proprio a rendere più esaustiva possibile la comprensione dei reati di parte speciale laddove sorgano conflitti di tipo interpretativo, al fine di consentire a chi legge di avere una panoramica a tutto tondo sul rapporto tra le fattispecie di reato.


Note e riferimenti bibliografici

[1]  In merito alla definizione del concorso apparente di norme v., in dottrina, G. Delitala, Concorso di norme e concorso di reati, in Riv. it., 1934, 104; F. Antolisei, Concorso formale di reati e conflitto apparente di norme, in Giust. pen., 1942, II, 209; L. Conti, Concorso apparente di norme, in N. dig. it., 1958, 1007; F. Giuliani, Ne bis in idem e concorso apparente di norme, in Riv. proc. pen., 1960, 318; A. Pagliaro, Concor. di norme, in Enc. dir., VIII, 1961, 545; G. Lozzi, Profili di un’indagine sui rapporti tra "Ne bis in idem" e concororso formale di reati, Milano, 1974, 67; B. Romano, Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996; R. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale e speciale, II ed., 2016, 348 ss.; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, X ed., Padova, 2017, 463 ss.

[2]  L’art. 649 c.p.p. disciplina il divieto di un secondo giudizio per cui  ‘’l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345 ‘’. Tale principio, volto a scongiurare la plurima instaurazione di processi penali è riconosciuto anche dall’art. 4 del Protocollo n. 7 secondo cui ‘’ Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di un sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato’’.

[3] Si pensi ad esempio al concorso apparente di norme tra l’art. 343 c.p., il quale disciplina l’oltraggio a magistrato in udienza e l’abrogata fattispecie dell’ingiuria, di cui all’art. 594 c.p. in cui ciò che rende norma speciale l’art. 343 c.p. rispetto all’ingiuria riguarda il fatto che l’oltraggio presenta tutti gli elementi dell’ingiuria ed inoltre il quid pluris della qualifica di magistrato in udienza. Si tratterà, in questo caso, di un rapporto di specialità unilaterale per specificazione in quanto la qualifica di “magistrato”, di cui all’art. 343 c.p. costituisce una species del genus “persona”, di cui all’art. 594 c.p.

[4]  Sul punto v. sub. art. 15 c.p., R. Garofoli, Codice penale ragionato, VII ed., 2020, 66 ss.

[5] In giurisprudenza v. Cass. pen., SS.UU., n. 20664/2017 secondo cui l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità disciplinato all’art. 15 c.p., il quale consente alla legge speciale di derogare a quella generale laddove le diverse disposizioni penali regolino la stessa materia. La Suprema Corte con tale pronuncia si è espressa in merito al rapporto tra l’art. 316-bis, il quale disciplina la malversazione a danno dello Stato e l’art. 640-bis c.p., disciplinante la truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche. I giudici di legittimità in particolare hanno statuito che tra le due fattispecie vi è un concorso materiale di reati in quanto le stesse si differenziano sia per la modalità della condotta illecita, sia per il bene giuridico tutelato e, pertanto, possono concorrere.

[6]  V. R. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale e speciale, Bari, 349 ss.; F. Mantovani, Diritto penaleop. cit., 467 ss.; Sub. art. 15 c.p., L. Tramontano, Codice penale studium, XVI ed., Piacenza, 2016, 75 ss.

[7]  Cass. pen., SS.UU., n. 20664/2017. Tuttavia, recentemente, non sono mancate alcune pronunce giurisprudenziali che hanno favorito l’applicazione del principio di assorbimento in luogo del criterio di specialità. Sul punto v. Cass. pen., Sez. II, n. 21987/2019.

[8] Sul concorso di reati v. R. A. Frosali, Concorso di norme e concorso di reati, Città di Castello, 1973; A. Moro, Unità e plularità di reati, Padova, 1951; A. Pagliaro, I reati connessi, Palermo, 1956; R. Messina, Il conc. formale di reati, Milano 1979; V. Marini, Concorso di reati e di pene, in N. dig. it., App., 1980, 314; V. Pacileo, Conc. di reati e reato complesso, in Enc. giur., VII, 1988; V. B. Muscatiello, Pluralità e unità di reati, Padova, 2002; D. Brunelli, Azione unica e concorso di reati nell’esperienza italiana, Torino, 2014; R. Garofoli, Manuale di diritto penale, op. cit., 345 ss.; F. Mantovani, Diritto penaleop. cit., 457 ss.

[9] Si tratta in pratica di chi svolga attività di trading online. Quest’ultima consiste nella raccolta di risparmio che le “presunte” società finanziarie mettono a disposizione dei clienti ai fini dell’investimento del risparmio stesso. Pertanto, chi investe i propri risparmi attraverso il trading online deve verificare che il consulente finanziario a cui si affida sia in possesso dei requisiti, delle competenze e delle dovute autorizzazioni. Se così non fosse si tratterebbe di un consulente finanziario abusivo e in quanto tale punito ai sensi dell’art. 166 T.U.F.  

[10] Sul punto v. in dottrina A. Zanotti, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano, 2008, 365; A. Alessandri (a cura di), Reati in materia economica, Torino, 2012, 222. In giurisprudenza v. invece, Cass. Pen., Sez. V, n. 22419/2003, in Riv. pen., 2003, 999 ss.; Cass. Pen., Sez. V, n. 43026/2009, in Dejure; Cass. pen., Sez. II,  n. 42085/2010, in Cass. pen., 2011, 2359 ss. I principi di diritto espressi dalle pronunce giurisprudenziali appena summenzionate sono posti a tutela del regolare funzionamento dei mercati e dell'affidabilità tecnica, morale e professionale dei soggetti intermediari, in ossequio all’art. 47 Cost. Inoltre, sulla definizione di reati di pericolo si v. M. Catenacci, Note introduttive allo studio delle fattispecie penali, II ed., 2019, Torino, 79 ss. Giova evidenziare che nei reati di pericolo si ha un’anticipazione della soglia di punibilità che retroagisce al momento della potenziale messa in pericolo del bene in quanto l’offesa al bene giuridico non si concretizza materialmente ma è solo potenziale.

[11]  In merito v. su www.fiscomania.com. Occorre precisare, inoltre, che nei reati a consumazione prolungata la particolarità risiede nel fatto che il soggetto attivo pone in essere un unico comportamento illecito dal quale derivano tutte le conseguenze della condotta e, pertanto, quando la condotta è scandita in più fasi nel tempo il momento consumativo del reato si sposta in avanti fino a comprendere l’ultimo atto riconducibile all’originario programma criminoso.

[12] Per maggiori approfondimenti v. G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Bologna, 2009, 175; G. Marra, Truffa, in I reati contro il patrimonio, a cura di S. Fiore, Torino, 2010, 477 ss.; A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Torino, 2013, 117 ss.

[13] V. A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penaleop. cit., 117 ss.; L. Tramontano, Codice penale studium, op. cit., 1214 ss.; R. Garofoli, Codice penale ragionato, op. cit., 890. In giurisprudenza, inoltre, si ritiene che la truffa, in particolare quella contrattuale, si configuri anche attraverso il silenzio maliziosamente serbato su circostanze rilevanti in quanto quest’ultimo integra l’elemento del raggiro idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo, v. Cass. pen., Sez. II, n. 28791/ 2015; Cass. pen., Sez. II, n. 23079/2018. Dunque, secondo la giurisprudenza anche la truffa per omissione è configurabile.

[14]  Ex multis, Cass. pen., 10539/2000 Rv. 217308; Cass. pen.,  37855/2010 Rv. 248906; Cass. pen., 12795/2011, Rv. 249861; Cass. pen., 8438/2013 Rv. 255235.

[15] A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penaleop. cit., 121 ss.

[16] Cass. pen., Sez. V,  n. 17353/2020.

[17] Cass. pen., Sez. V, n. 155/2021. Prima ancora, v. ex multis Cass. pen., Sez. V, n. 22419/2003 CED 224951; Cass. pen., Sez. V, n. 43026/2009 CED 245433; Cass. pen., Sez. II, n. 42085/2010; Cass. pen., Sez. V, n. 32514/2020.

[18] In virtù del principio di diritto summenzionato, infatti, si faceva riferimento al caso di un soggetto che aveva in via professionale offerto, senza essere in possesso della dovuta abilitazione, e nell’esercizio di un’attività d’impresa, servizi di investimento finanziario,  inducendo parte della propria clientela a versargli somme di denaro, che, tuttavia, non aveva investito nell’acquisto degli strumenti finanziari promessi, ma le aveva utilizzate per l’acquisto di monete d’oro che poi aveva trattenuto presso di sé, ovvero, previo riversamento nei conti personali o dei genitori.