ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 10 Mar 2021

Maternità surrogata: per la Corte costituzionale è necessario il riconoscimento giuridico del figlio

Modifica pagina

Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte costituzionale con la sentenza n. 33/2021, depositata il 9 marzo 2021, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale in merito al mancato riconoscimento in Italia di una sentenza straniera che aveva attribuito lo stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente che avevano utilizzato la maternità surrogata all’estero, ritenendo tuttavia indifferibile un intervento del legislatore per effettuare un bilanciamento tra l´interesse superiore del minore e il divieto di maternità surrogata previsto nel nostro ordinamento.


La vicenda in esame attiene a un bambino nato nel 2015 in Canada mediante la pratica della maternità surrogata. Infatti, il figlio nasceva da una donna a cui era stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo italiano (P. F.) che si era sposato in Canada con un altro uomo italiano (F.B), trascrivendo in seguito in Italia l’atto nel registro delle unioni civili. Tuttavia, nell’atto di nascita formatosi in Canada veniva indicato solo il genitore biologico (P.F.) e non l’altro che aveva condiviso il progetto genitoriale.

Nel 2017, la Corte Suprema della British Columbia aveva dichiarato che entrambi i coniugi dovevano essere considerati genitori del bambino, ordinando di conseguenza la rettifica dell’atto di nascita in Canada.

Nonostante ciò, in Italia i genitori ricevettero il rifiuto da parte dell’ufficiale di stato civile di rettificare l’atto di nascita del figlio in ottemperanza del provvedimento della Corte Suprema della British Columbia.

Nel 2018, la Corte di appello di Venezia aveva accolto il ricorso ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995, riconoscendo l’efficacia in Italia del provvedimento straniero.

In seguito, vi fu il ricorso per cassazione da parte dell’Avvocatura dello Stato nell’interesse del Ministero dell’interno e del Sindaco del Comune in cui era stato trascritto l’originario atto di nascita del minore.

La Corte di cassazione, essendo consapevole del deposito della sentenza delle Sezioni Unite civili 8 maggio 2019, n. 12193, che ha affermato il principio secondo cui “non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra un bambino nato in seguito a maternità surrogata e il genitore “d’intenzione” ha ritenuto di rimettere la questione di legittimità alla Corte costituzionale

"dell’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), dell’art. 64, comma 1, lettera g), della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e dell’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico."

Invero, secondo le Sezioni Unite civili, il divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, assumerebbe il rango di principio di ordine pubblico, essendo posto a tutela di valori fondamentali come la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione e sarebbe, quindi, di ostacolo al riconoscimento di un provvedimento straniero di attribuzione dello stato di genitori a chi abbia fatto ricorso alla maternità surrogata.

Secondo la Sezione rimettente, la tesi sostenuta dalle Sezioni Unite civili del 2019 comporterebbe una palesa violazione anche di principi sovranazionali come il diritto al rispetto della vita privata del bambino previsto dall’art. 8 CEDU.

Infatti, il punto centrale sarebbe l’inadeguatezza del sistema italiano che consentirebbe solamente il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari da parte del genitore “d’intenzione”, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184, poiché tale forma di adozione non creerebbe un vero rapporto di filiazione, ma soprattutto porterebbe «il genitore non biologico in una situazione di inferiorità rispetto al genitore biologico».

Tale disparità sarebbe creata dal fatto che non sussisterebbero dei legami parentali con i congiunti dell’adottante con la conseguente preclusione dei diritti successori. Inoltre, non verrebbe neanche garantita quella tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione richiesta dalla Corte EDU nell’interesse superiore del minore.

Inoltre, l’adozione in casi particolari sarebbe rimessa alla volontà del genitore “d’intenzione”, attribuendo a quest’ultimo la facoltà di sottrarsi al progetto di filiazione condiviso con il partner e punto ancora più centrale, sarebbe necessario anche il consenso all’adozione da parte del genitore biologico che sarebbe libero di non prestarlo.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 33/2021[1] ha dichiarato inammissibile la questione, pur riconoscendo la non adeguatezza del ricorso all’adozione in casi particolari prevista all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 rispetto ai principi costituzionali nazionali e sovranazionali che riconoscono rilievo primario all’interesse superiore del minore, affermando che il bilanciamento tra il menzionato interesse del minore e il divieto di maternità surrogata nel nostro ordinamento debba essere rimesso alla discrezionalità del legislatore.

Infatti, si legge nella sentenza depositata il 9 marzo 2021 che

“Come correttamente sottolinea l’ordinanza di rimessione, il possibile ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), ritenuto esperibile nei casi all’esame dalla stessa sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni unite civili, costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati.

L’adozione in casi particolari non attribuisce la genitorialità all’adottante. Inoltre, pur a fronte della novella dell’art. 74 cod. civ., operata dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), che riconosce la generale idoneità dell’adozione a costituire rapporti di parentela, con la sola eccezione dell’adozione di persone di maggiore età, è ancora controverso – stante il perdurante richiamo operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 330 cod. civ. – se anche l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri. Essa richiede inoltre, per il suo perfezionamento, il necessario assenso del genitore “biologico” (art. 46 della legge n. 184 del 1983), che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce per essere così definitivamente privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto presa cura di lui sin dal momento della nascita.

Al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali poc’anzi ricapitolati attraverso l’adozione, essa dovrebbe dunque essere disciplinata in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame, che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983.

Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco."


Note e riferimenti bibliografici