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Pubbl. Ven, 4 Set 2015

La Corte Costituzionale salva l’art. 42bis del Testo Unico Espropriazioni

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Gemma Occhipinti


Con sentenza n. 71/2015, la Corte Costituzionale si è espressa in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”.


L’espropriazione per pubblica utilità si concretizza in un insieme di atti volti all’acquisizione di un bene privato - che entra così a far parte del patrimonio della Pubblica Autorità - e la cui finalità si sostanzia nel perseguimento di interessi collettivi meritevoli di tutela. Attesa l’evidente compressione del diritto di proprietà, specificamente tutelato dall’art. 42 Cost., risulta necessario che il procedimento espropriativo avvenga nel rispetto delle determinate fasi: apposizione dei vincoli preordinati all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, determinazione dell’indennità di esproprio ed emanazione decreto di esproprio.

La violazione delle prescrizioni normative non consente, di regola, che la Pubblica Amministrazione diventi proprietaria del bene oggetto del suo intervento. Pur tuttavia, il T.U. del 2001 si è premurato di apprestare, a favore della P.A. che abbia posto in essere un procedimento “viziato”, uno strumento che le consenta di acquisire, in maniera alternativa, il bene già modificato; il tutto, al fine di salvaguardare il rilevante interesse all’opera pubblica, nonché di contrastare fenomeni di appropriazioni illegittime effettivamente sorte nella prassi e più volte criticate dai giudici della Corte Europea.

Giova rimarcare come l’art. 42 bis preveda che la Pubblica Amministrazione, che utilizzi un bene per scopi di interesse pubblico e lo modifichi per tali fini, seppur in assenza di un valido provvedimento espropriativo (o dichiarativo di pubblica utilità), possa emanare un provvedimento con cui disponga l’acquisizione non retroattiva del bene. Detta ipotesi fa comunque salva la corresponsione dell’indennizzo a favore di quel privato espropriato che abbia subito un pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, pregiudizio che viene forfettariamente liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene.

La Corte di Cassazione ha nutrito però forti dubbi sulla legittimità costituzionale della norma de qua, dubbi che l’hanno spinta a rimettere la questione alla Corte Costituzionale, la quale, a sua volta, ha prontamente respinto ogni critica.

In primo luogo, per i giudici della Consulta, l’art. 42 bis non violerebbe affatto l’art. 3 Cost.; la diversità di trattamento che la legge riserva alla P.A. rispetto ai privati sarebbe infatti giustificata dalla funzione pubblica che la prima esercita. Inoltre, l’art. 42 bis non violerebbe neanche gli artt. 24 e 113 Cost., concretizzanti l’effettività del diritto alla difesa, specie con riguardo agli atti compiuti dai pubblici poteri. Il diritto a ricorrere in via giurisdizionale non viene scalfito dalla previsione del 42 bis, poiché non esiste un sostanziale impedimento al suo esercizio; esso viene semplicemente “rimodellato” in quanto, non sussistendo alcun atto illecito da parte della P.A., non è consentita al privato l’azione restitutoria.

In buona sostanza, il provvedimento di acquisizione coattiva sanante è caratterizzato dai seguenti elementi:

- Deve essere motivato da eccezionali ragioni di interesse pubblico, valutate comparativamente con le ragioni dei privati (da ciò discendono obblighi motivazionali rafforzati rispetto all’istituto previsto dal precedente art. 43),

- Comporta l’acquisizione ex nunc del bene (non potendo, il provvedimento, essere efficacemente emanato in presenza di una pronuncia, passata in giudicato, che abbia disposto la restituzione del bene al privato);

Subordina il passaggio di proprietà alla condizione sospensiva del pagamento delle somme al privato;

- Riconosce a questi un indennizzo (termine che rimanda ad un comportamento della P.A. considerato legittimo), parametrandolo al valore venale del bene espropriato.

- Fa salva la domanda autonoma di risarcimento del danno che il privato provi di aver subito nel periodo in cui la P.A. abbia illegittimamente posseduto il bene.

La legittimità dell’istituto deriva, tra l’altro, dalla sua considerazione in termini di extrema ratio rispetto alla procedura espropriativa ordinaria. In effetti, non si pone in alternativa ad essa, né tantomeno generalizza una prassi appropriativa illegittima (a differenza di quanto sostenuto dalla Cassazione); rappresenta, piuttosto, uno strumento utilizzabile, seppur con cautela, nei casi in cui sussistano esigenze eccezionali legate al soddisfacimento di pubblici interessi. E’ fuor di dubbio, pertanto, che il mancato ricorrere di queste condizioni precluderebbe il legittimo ricorso allo strumento in esame e, al contrario, consentirebbe al privato di agire in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno, la restituzione del bene e la riduzione in pristino.

La presenza delle suddette garanzie, infine, esclude la violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale CEDU (e, per estensione, dell’art. 117 Cost. che ne impone il rispetto). La caratteristica principale dell’istituto in commento - che lo rende legittimo agli occhi della Corte Europea - risiede nell’aver collegato l’acquisizione del bene in capo alla P.A. non ad un suo comportamento illegittimo (come avveniva col vecchio istituto dell’occupazione appropriativa), bensì ad un atto legittimo che si sostanzierebbe nel provvedimento di acquisizione coattiva sanante. In qualità di provvedimento amministrativo vero e proprio, l’acquisizione coattiva dovrà comunque rispettare specifici parametri formali e sostanziali e sarà soggetta al controllo del giudice amministrativo che venga eventualmente adito dal privato.