Il principio di evidenza pubblica a tutela della concorrenza e della libertà di iniziativa economica: i casi più recenti
Modifica paginaL´elaborato esamina la natura e la funzione del principio di evidenza pubblica pro-concorrenziale, da intendere quale principio che obbliga le amministrazioni aggiudicatrici a seguire una procedura competitiva per la scelta del contraente. Inizialmente concepita nell´esclusivo interesse finanziario dell´ Amministrazione, l´evidenza pubblica è divenuta, sotto la pressione del diritto europeo, un imprescindibile strumento di salvaguardia della concorrenza e della libertà di iniziativa economica. In questa prospettiva, sono analizzate le recenti implicazioni del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, con particolare attenzione all´esegesi, passata e presente, dottrinale e giurisprudenziale, degli istituti giuridici direttamente coinvolti.
Sommario: 1. Premessa; 2. L’evoluzione del principio di evidenza pubblica: dalla matrice contabilistica a quella concorrenziale; 3. Le implicazioni del recepimento della “evidenza pubblica proconcorrenziale”; 3.1. Ampliamento dell’ambito soggettivo dell’obbligo di gara; 3.1.1. L’impresa pubblica operante nei “settori speciali”; 3.1.2. (Segue) Il “caso” di Poste Italiane S.p.A.: la sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 28 ottobre 2020; 3.2. Estensione dell’ambito oggettivo dell’obbligo di gara; 3.2.1. (Segue) L’attuale questione delle concessioni demaniali marittime; 4. Il rapporto tra vizi della procedura di aggiudicazione e sorte del contratto; 4.1. La concentrazione della tutela dinanzi al giudice amministrativo; 4.2. La “inefficacia” del contratto; 5. Considerazioni finali.
1. Premessa
La Pubblica Amministrazione, come può desumersi dal comma 1-bis dell’art 1, L. 241/1990[1], è titolare di una generale potestas contrahendi[2]. Con la norma de qua il legislatore codifica come principio generale dell’attività amministrativa la tesi, da tempo sostenuta in dottrina e in giurisprudenza[3], favorevole al riconoscimento in capo all’Amministrazione della facoltà di agire secondo schemi privatistici.
L’autonomia contrattuale della P.A., tuttavia, presenta delle peculiarità estranee alla libertà negoziale dei soggetti privati[4]. L’attività amministrativa, quale ne sia la forma di estrinsecazione, è ancorata dalla legge al perseguimento dell’interesse pubblico; ovvero, è “attività funzionalizzata”[5]. Pertanto, se si riconosce all’Amministrazione la facoltà di curare l’interesse pubblico instaurando rapporti privatistici - in alternativa all’esercizio unilaterale del potere -, deve altresì affermarsi la soggezione di questa forma di autonomia privata all’inderogabile principio di legalità, bussola dell’agere amministrativo, che la indirizza verso il perseguimento del fine istituzionale[6].
In altri termini, l’agire secondo le norme del diritto privato non comporta l’abbandono della “funzione pubblica” – ossia dell’agire perseguendo gli scopi indicati dalla legge – in quanto è imprescindibile la conformità del negozio all’interesse pubblico. Sicché, si è correttamente parlato di “attività amministrativa di diritto privato”[7].
Nell’apparente antinomia tra il delineato vincolo di scopo e la libertà contrattuale[8] si staglia il principio di “evidenza pubblica”, attraverso il quale la formazione della volontà negoziale della P.A. e la sua scelta in merito alla controparte contrattuale si “procedimentalizzano”[9]. In questa prospettiva, l’evidenza pubblica assurge a criterio di collegamento tra l’autonomia negoziale e la funzione amministrativa alla cui realizzazione il contratto è strumentale.
Subordinare la manifestazione della volontà negoziale della P.A. ad una sequenza procedimentale risponde ad una esigenza chiara. Tale procedura, nel prevedere la necessaria adozione di una serie di atti amministrativi – che vanno dalla delibera a contrarre, fino alla stipula e ai controlli – consente di far emergere le “ragioni di pubblico interesse” che giustificano l’intenzione di contrarre, la scelta del contraente e la formazione del consenso dell’amministrazione, anche al fine di favorirne l’eventuale sindacato, e impedisce alla libertà negoziale di allontanarsi dal fine istituzionale che la legge le ha attribuito[10].
Alla luce di questa premessa di carattere generale, dunque, si è in grado di affermare che il principio di evidenza pubblica contiene l’autonomia contrattuale della P.A. all’interno del perimetro finalistico tratteggiato dal legislatore. Resta, tuttavia, da fornire una definizione esaustiva del principio in questione. A tal fine, occorre individuare l’interesse specifico che il legislatore intende soddisfare attraverso la previsione del procedimento ad evidenza pubblica.
2. L’evoluzione del principio di evidenza pubblica: dalla matrice contabilistica a quella proconcorrenziale
In origine, l’intera disciplina dei contratti della pubblica amministrazione era contenuta nel “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello stato” (Regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440). Lungi dall’essere una mera casualità, l’inserimento della disciplina del procedimento ad evidenza pubblica tra le norme sulla contabilità dello Stato rispondeva all’esigenza di garantire una gestione corretta ed efficiente del denaro pubblico[11].
Il legislatore, infatti, si preoccupava di evitare uno spreco di risorse pubbliche – dovuto alla conclusione di un contratto antieconomico per la P.A. – imponendo all’amministrazione di avviare una gara pubblica che, sulla base del criterio del “miglior offerente”, le avrebbe permesso di scegliere il contraente che le offrisse le "migliori condizioni economiche possibili". In quest’ottica, il principio di evidenza pubblica aveva come fine precipuo la tutela dell’interesse finanziario dell’Amministrazione, laddove l’interesse dei contraenti alla corretta valutazione delle proprie offerte era soltanto indirettamente tutelato, venendo in rilievo se ed in quanto coincidente con una lesione dell’interesse della P.A. alla conclusione del contratto alle migliori condizioni[12].
Ebbene, l’istituto dell’evidenza pubblica ha cambiato radicalmente la propria fisionomia con l’avvento del diritto comunitario, e l’originaria matrice “contabilistica” ha ceduto il passo alla matrice “concorrenziale”[13].
Come evidenziato dalla Corte di Giustizia dell’UE[14], il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) volge alla creazione di un “mercato unico europeo” che, sulla base dei principi della libertà di stabilimento, della libera circolazione di capitali e dei servizi e della non discriminazione, consenta agli operatori economici di esercitare liberamente la loro iniziativa economica sull’intero territorio europeo[15]. Pertanto, alterare il gioco della concorrenza significherebbe rendere le richiamate libertà comunitarie meramente “virtuali”[16].
In questo contesto soccorrono le direttive europee[17], le quali, specificando e attuando i principi contenuti nel TFUE, fissano le regole comuni che gli Stati membri devono seguire per garantire la concorrenza nei vari settori del mercato, con lo scopo di favorire la parcondicio tra gli operatori economici[18]. In quest’ottica, le prescrizioni contenute nelle direttive hanno una forte portata programmatica. Esse, infatti, valorizzano il ruolo fondamentale dei contratti pubblici all’interno della c.d. “strategia Europa 2020”, essendo considerati come uno degli strumenti necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva del mercato unico[19].
La stessa Corte di giustizia dell’UE ha precisato che il coordinamento a livello comunitario delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici ha come fine «di proteggere gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro che intendano offrire beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici stabilite in un altro Stato membro e, a tal fine, di escludere sia il rischio che gli offerenti nazionali siano preferiti nell’attribuzione di appalti sia la possibilità che un’amministrazione aggiudicatrice si lasci guidare da considerazioni non economiche»[20]. Da queste esigenze discende l’obbligo di osservare il principio di “parità di trattamento” degli offerenti, nonché l’obbligo di “pubblicità” al fine di garantire il rispetto del “divieto di discriminazione” in base alla nazionalità[21].
Alla luce della normativa comunitaria, appare evidente il mutamento del profilo funzionale del principio di evidenza pubblica. Sorta come principio che, attraverso la tutela dell’interesse dell’amministrazione alla conclusione del contratto alle migliori condizioni, salvaguardava le esigenze di bilancio dello Stato, l’evidenza pubblica diviene il mezzo principale per garantire la “concorrenza nel mercato” (concorrenza in senso oggettivo), essendo quest’ultima logicamente connessa e prodromica all’esercizio delle libertà economiche riconosciute ai singoli operatori economici (concorrenza in senso soggettivo)[22].
In definitiva, può affermarsi che il principio di evidenza pubblica “proconcorrenziale” subordina la scelta del contraente ad una procedura competitiva, caratterizzata dalla pubblicità e dalla valutazione comparativa delle offerte, volta alla salvaguardia della concorrenza in funzione del libero esercizio dell’iniziativa economica degli operatori[23].
3. Le implicazioni del recepimento della “evidenza pubblica proconcorrenziale”
In Italia, il processo di recepimento della disciplina comunitaria sull’evidenza pubblica è stato tortuoso, tanto che si è parlato di “legislazione recalcitrante”[24]. Le misure nazionali di esecuzione delle direttive, spesso adottate in ritardo rispetto alle scadenze, hanno richiesto continui correttivi, ciò comportando il sovrapporsi di regimi transitori e il determinarsi di un’incertezza giuridica generatrice di contenziosi giudiziari.
Numerose, infatti, sono state le procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea per la mancata conformità dell’ordinamento italiano alle direttive europee e per la non corretta applicazione dei principi comunitari da parte delle singole amministrazioni[25]. Si trattava, in altri termini, di un impianto normativo che comprometteva il diritto degli operatori economici di agire in un contesto concorrenziale.
Al fine di superare l’inadeguatezza della disciplina italiana, è stata emanata la Legge delega n. 11/2016 che, conformemente alle direttive europee che disciplinano il settore degli appalti e delle concessioni[26], riflette la “logica proconcorrenziale” del principio di evidenza pubblica.
Essa, infatti, ha indicato i criteri per l’adozione di un teso normativo unico capace di fornire una disciplina organica del sistema dei contratti pubblici, assicurando al contempo un più elevato livello di certezza del diritto e una semplificazione dei procedimenti. Ciò ha portato alla nascita del “nuovo” Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50)[27], costituente un grande passo avanti verso l’apertura dell’ordinamento italiano al recepimento dell’evidenza pubblica proconcorrenziale.
Il Codice in analisi, nel prevedere che l’affidamento dei “contratti pubblici”[28] (quali appalti e concessioni di servizi, forniture, lavori e opere) avvenga all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, ne modula il rigore e il formalismo in funzione del livello di rischio di distorsione della concorrenza.
Invero, le direttive europee ricercano un punto di sintesi tra la salvaguardia della concorrenza e le esigenze di semplificazione dei procedimenti amministrativi, sicché la serie minuta di regole formali e procedurali che caratterizzavano la disciplina precedente[29], è stata sostituita da un insieme coerente di regole che favorisce un approccio meno formalistico e più aperto a momenti di confronto tra l’amministrazione committente e le imprese, come testimoniato dall’art 64, D. Lgs. n. 50/2016 (“Dialogo competitivo”)[30].
Nell’ottica comunitaria, infatti, un qualche margine di discrezionalità dell’amministrazione non è visto con scetticismo; al contrario, esso le consente di invitare alla contrattazione le imprese ritenute più affidabili e le permette, in sede di gara, di effettuare un bilanciamento tra i vari interessi che vengono in rilievo nell’affidamento del contratto[31].
Nondimeno, il principio di evidenza pubblica proconcorrenziale ha avuto importanti implicazioni sull’ambito di applicazione (soggettivo e oggettivo) dell’obbligo di gara, e ha rimodulato i rapporti tra vizi dell’aggiudicazione e sorte del successivo contratto concluso tra stazione appaltante e illegittimo aggiudicatario. Nei paragrafi che seguono, dunque, si cercherà di analizzare gli elementi appena richiamati, al fine di meglio delineare l’attuale portata del principio di evidenza pubblica.
3.1. Ampliamento dell’ambito soggettivo dell’obbligo di gara
L’illustrata ratio comunitaria posta alla base dell’obbligo dell’evidenza pubblica ha permesso di estenderne l’ambito di applicazione oltre i limiti legati alla veste formale del soggetto committente.
Infatti, se con la gara pubblica vogliono crearsi artificialmente le condizioni di concorrenza nei confronti di soggetti che naturalmente potrebbero determinarsi alla stipula secondo logiche di segno diverso[32], saranno tenuti ad espletarla tutti i soggetti operanti senza il peso del “rischio d’impresa”[33].
Volendo specificare, il soggetto committente che esercita l’attività senza assumerne le alee sfavorevoli – come il rischio d’insolvenza che porta al fallimento – sarà più facilmente influenzabile nel suo agire da ragioni extraeconomiche (politiche, affaristiche). L’ordinamento, dunque, al fine di scongiurare una scelta del contraente fondata su criteri non concorrenziali, impone a quel soggetto il rispetto dell’obbligo di gara[34].
Viceversa, nel caso di un soggetto committente che operi in un contesto concorrenziale con rischio d’impresa – non essendo le sue perdite ripianate da altri soggetti (come accade per le amministrazioni, le cui perdite sono ripianate mediante “aiuti di Stato”)[35] – il pericolo che la scelta dei propri fornitori sia dettata da ragioni extraeconomiche si riduce notevolmente. In questa ipotesi, dunque, l’introduzione di procedure di affidamento non sarà necessaria[36].
Questo spiega l’imposizione dell’obbligo di gara ai c.d. “organismi di diritto pubblico”, figura di matrice comunitaria[37].
Come descritto dall’art. 3, comma 1, lett. d), D. Lgs n. 50/2016[38], l’organismo di diritto pubblico è tale in presenza di tre requisiti: il possesso della personalità giuridica; la sottoposizione all’influenza dominante da parte di una pubblica amministrazione; il perseguimento di esigenze di interesse generale (requisito teleologico-positivo) non aventi carattere industriale e commerciale (requisito teleologico-negativo).
Con riferimento al requisito della personalità giuridica, si richiede che il soggetto sia titolare di soggettività giuridica, essendo sufficiente la mera presenza di un centro di imputazione di situazioni giuridiche. Pertanto, è ammissibile anche la personalità giuridica di diritto privato. Invero, come osservato dalla giurisprudenza, l’organismo può avere sostanza di diritto pubblico pur rivestendo una forma di diritto privato (ad es. societaria), in quanto, più che la veste formale, rileva la «effettiva realtà interna dell’organismo e la sua preordinazione al soddisfacimento di interessi di carattere generale»[39].
Il requisito della “influenza pubblica dominante”, invece, si configura nell’ipotesi di finanziamento pubblico maggioritario, o di controllo pubblico della gestione, oppure di nomina della maggioranza dei membri dell’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza da parte di soggetti pubblici[40]. I suddetti indici rappresentano espressioni diverse dell’influenza pubblica, per cui non si richiede che esistano cumulativamente, essendo sufficiente anche solo uno di essi per determinare la sussistenza del requisito[41].
Il terzo requisito, teleologico, richiede che il fine perseguito dall’organismo abbia una duplice caratteristica: da una parte, e in positivo, l’attività deve volgere al soddisfacimento di bisogni di interesse generale; dall’altra parte, e in negativo, l’attività non deve avere carattere industriale o commerciale. Quest’ultima caratteristica ha creato diversi dubbi interpretativi, essendo enucleabile solo dagli elementi indiziari del caso concreto. Come affermato dalla Corte di giustizia dell’UE, il fatto che l’organismo operi in un contesto concorrenziale e con rischio d’impresa, lascia presumere che l’attività abbia carattere industriale/commerciale; tuttavia, viene rimesso al giudice nazionale la rilevazione di circostanze concrete per cui “appare verosimile” che l’attività svolta soddisfi un bisogno di interesse generale privo di carattere industriale[42].
Nel caso dell’organismo di diritto pubblico, dunque, si tratta di un soggetto che, in ragione della sua funzione e del suo collegamento strutturale con la pubblica amministrazione, può essere condizionato nella politica degli acquisti da “ragioni extraeconomiche”, e ciò determina l’imposizione dell’obbligo di procedere ad evidenza pubblica nella scelta del contraente[43].
Da precisare che, all’esito di un dibattito giurisprudenziale sviluppatosi sia a livello comunitario che nazionale, la garanzia dell’evidenza pubblica è richiesta limitatamente ai casi in cui l’organismo di diritto pubblico concluda un contratto strumentale al soddisfacimento di interessi generali, laddove la stessa garanzia risulterà superflua nel caso in cui l’organismo svolga in parte qua attività privata[44].
In particolare, nel caso Mannesman, il giudice comunitario aveva optato per la tesi secondo cui, accertata la natura di organismo di diritto pubblico dell’ente, deve sempre ritenersi necessario il rispetto dell’obbligo di gara, non solo per le attività volte al soddisfacimento di interessi di carattere generale, ma anche per eventuali attività propriamente commerciali o industriali gravate da rischio d’impresa (cd. “teoria del contagio”)[45].
Questa tesi è stata superata dal giudice nazionale che, facendo riferimento alla nozione funzionale sottesa all’organismo di diritto pubblico, ha accettato l’idea che possa esistere un organismo di diritto pubblico in parte qua: solo in relazione all’attività di interesse generale. Pertanto, il rispetto del principio di evidenza pubblica è imposto limitatamente alla conclusione di contratti collegati all’attività di interesse generale[46].
3.1.1. L’impresa pubblica operante nei “settori speciali”
Il diritto comunitario, inoltre, ha avuto un impatto significativo in merito alla questione dell’obbligo di gara gravante sulle imprese pubbliche.
Per “impresa pubblica” si intende un soggetto giuridico che svolge un’attività economica volta alla produzione e allo scambio di beni o servizi per il mercato generale[47]; la “pubblicità” dell’impresa, qualità condivisa con l’organismo di diritto pubblico, è determinata dall’influenza dominante esercitata su di essa dalla Pubblica amministrazione[48]. Tuttavia, a differenza dell’organismo di diritto pubblico, l’impresa de qua si distingue per essere sprovvista del “requisito teleologico”, nel senso che non opera per il soddisfacimento di interessi generali o comunque, se svolge un’attività di interesse generale, lo fa assumendosi il “rischio d’impresa”[49].
Se l’elemento caratterizzante l’impresa pubblica è l’agire assumendosi i rischi economici dell’attività, allora, le esigenze di tutela della concorrenza si riducono notevolmente[50]. Di regola, infatti, operando in un contesto concorrenziale che la orienta all’apertura al mercato dei fornitori, l’impresa pubblica è sottratta all’obbligo di osservanza della procedura ad evidenza pubblica[51].
Ebbene, ciò avviene per l’appunto “di regola”. Infatti, nel caso in cui l’impresa pubblica svolga un’attività inerente ai c.d. “settori speciali” ex art. 114, D. Lgs. n. 50/2016 (gas, energia termica, trasporti, acqua, servizi postali), dovrà necessariamente seguire la procedura ad evidenza pubblica nella scelta del contraente[52].
L’assoggettamento dell’impresa al principio di evidenza pubblica nei settori speciali si giustifica per due ordini di motivi: per essere i settori de quibus collegati a particolari interessi pubblici[53]; perché trattasi di settori in cui l’impresa pubblica gode di un forte potere di mercato a causa dell’attuale – o comunque recente – situazione di monopolio in cui versa(va)no[54].
Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che l’assoggettabilità dell’affidamento di un servizio al principio di evidenza pubblica non può essere desunta, aprioristicamente, sulla base del solo criterio soggettivo, relativo cioè al fatto che il contratto sia affidato da un’impresa di regola operante nel settore speciale, essendo necessario che l’oggetto dello specifico contratto che l’impresa intende stipulare sia “effettivamente riferibile” ai settori speciali[55].
Si è così affermato che, al fine di stabilire la sussistenza dell’obbligo di gara in capo all’impresa pubblica operante nel settore speciale, occorre verificare l’esistenza di un nesso funzionale tra contratto e attività, in forza del quale il contratto risulta strumentale all’esercizio della “attività speciale” dell’impresa[56].
3.1.2. (Segue) Il “caso” di Poste Italiane S.p.A.: la sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 28 ottobre 2020
Sull’ultimo punto, rilevante è la sentenza del 28 ottobre 2020 della Corte di giustizia dell’UE, con la quale si è imposto a Poste Italiane S.p.A. di procedere ad evidenza pubblica per la conclusione di un contratto di vigilanza degli uffici[57]. La questione, come emerge dall’Ordinanza di rinvio pregiudiziale del TAR Lazio, presentava diversi profili critici, attinenti sia alla natura giuridica di Poste Italiane sia alla disciplina applicabile nel caso di specie[58].
In via preliminare, il giudice comunitario ha affermato la natura di “impresa pubblica” di Poste Italiane S.p.A. ai sensi dell’art. 4, par. 2, direttiva 2014/25/UE[59], a ciò conseguendo la sua configurabilità come “ente aggiudicatore” sottoposto ad evidenza pubblica per i contratti inerenti ai già richiamati settori speciali[60].
Tuttavia, non rientrando il servizio di vigilanza – oggetto del contratto di specie – in maniera “diretta” tra i settori speciali[61], è sorta la necessità di accertare la sussistenza di un nesso funzionale tra il contratto e l’esercizio del servizio postale (settore speciale), tale da giustificare l’imposizione dell’obbligo di gara in capo a Poste Italiane. A tale riguardo, la Corte di giustizia dell’UE ha rilevato non essere sufficiente che i servizi oggetto del contratto di guardiania contribuiscano positivamente alle attività dell’ente aggiudicatore (Poste Italiane) e che ne accrescano la redditività.
Invero, per verificare la sussistenza del nesso funzionale tra contratto e settore speciale – da cui scaturisce l’obbligo di procedere ad evidenza pubblica – si deve accertare che il servizio dedotto in contratto serva “effettivamente” all’esercizio dell’attività inerente al settore speciale, nel senso cioè, di consentirne la realizzazione in maniera adeguata tenuto conto delle sue “normali condizioni di esercizio”[62].
Sulla base di queste premesse, la Corte di giustizia ha statuito che, nell’insuperabile difficoltà di ipotizzare che Poste Italiane S.p.A. possa fornire servizi postali adeguati in assenza di servizi di portierato, reception e presidio varchi dei suoi uffici, si sostanzia il nesso funzionale tra contratto e settore speciale tale da obbligarla all’affidamento del servizio di vigilanza tramite procedura ad evidenza pubblica[63].
In questo modo, il giudice europeo ha abbracciato un’accezione ampia di “contratto inerente al settore speciale” sottoposto ad evidenza pubblica, includendovi tutte le prestazioni che, anche indirettamente, appaiono strumentali allo svolgimento della “attività speciale”.
3.2. Estensione dell’ambito oggettivo dell’obbligo di gara
Il mutamento di ratio del principio di evidenza pubblica ad opera del diritto comunitario ha determinato un’espansione anche del suo ambito di applicazione oggettivo.
Nell’ottica della già analizzata “matrice contabilistica” del principio de quo, volta ad evitare uno spreco di risorse pubbliche, l’obbligo di gara trovava il suo terreno fertile nei soli “contratti passivi”, ovvero nei contratti per i quali l’amministrazione versa un corrispettivo in cambio di una prestazione[64].
Con l’affermarsi della “matrice proconcorrenziale” il centro di interessi tutelato dall’evidenza pubblica non è rappresentato più dall’Amministrazione, ma dai soggetti operanti nel mercato. Pertanto, non rileva più l’onerosità del contratto, ma la “occasione di guadagno” per gli operatori economici che dalla sua conclusione deriva.
Come è stato evidenziato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, adeguandosi alle pronunce della Corte di giustizia[65], se lo scopo della normativa comunitaria è evitare che i soggetti pubblici alterino il gioco della concorrenza distribuendo opportunità economiche sul mercato senza seguire criteri di competitività ed efficienza, risulta evidente che l’obbligo della gara – tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione –, venga in rilievo quante volte la P.A. conferisca ai soggetti operanti sul mercato una “opportunità di guadagno” e, quindi, la possibilità di un’iniziativa economica che possa determinare un “vantaggio competitivo”[66].
Su tali basi, si è esteso l’obbligo di procedere ad evidenza pubblica anche ai “contratti gratuiti” stipulati tra P.A. e operatore economico, nei quali il secondo offre una prestazione all’amministrazione senza percepire alcun corrispettivo[67]. Potrebbe sembrare una conclusione avventata. In realtà, prendendo in prestito alcune nozioni civilistiche, il contratto va interpretato facendo riferimento ai “concreti interessi” che le parti intendano realizzare con la sua conclusione (c.d. causa in concreto)[68]. Sulla base di questa premessa, si è in grado di affermare che il contratto gratuito non è privo di utilità economica per chi sopporta il sacrificio.
Esso, al contrario, è sorretto da un interesse economico e concreto che si esprime non più in una prestazione dell’altro contraente, ma in una “utilità indiretta”[69]. In altre parole, l’operatore economico che si impegna ad eseguire una prestazione a favore dell’Amministrazione senza ricevere alcun corrispettivo, potrà comunque conseguire un “vantaggio economico indiretto” dall’esecuzione del contratto (in termini di pubblicità, notorietà, benemerenza). Sicché, è proprio nel suddetto vantaggio economico indiretto che si sostanzia il concreto interesse dell’operatore a concludere il contratto con la P.A.[70].
Risulta evidente, allora, che non può eludersi l’obbligo di procedere ad evidenza pubblica mediante la conclusione di un contratto privo di corrispettivo, dato che, anche in questo caso, la P.A. sta offrendo un’occasione di guadagno agli operatori economici, seppur in via indiretta[71].
3.2.1. (Segue) L’attuale questione delle concessioni demaniali marittime
Così delineato, l’obbligo di gara ha avuto importanti ripercussioni sul settore delle concessioni demaniali marittime[72], costituente un punto nevralgico all’interno dell’ordinamento italiano[73]. Invero, come è stato evidenziato unanimemente dalla giurisprudenza, l’impianto normativo nazionale in materia si pone in netto contrasto con i già richiamati principi comunitari posti a tutela della concorrenza[74].
La questione sorge dalla prassi legislativa italiana di adottare regimi di “proroga automatica” delle concessioni in scadenza (da ultimo, il D.L. n. 34/2020 ha confermato la proroga al 31 dicembre 2033)[75] al di fuori dell’espletamento di una qualsiasi gara ad evidenza pubblica, e a favore del concessionario uscente.
La ratio sottesa alla scelta del legislatore italiano può rinvenirsi nella volontà di salvaguardare gli investimenti fatti dai titolari delle concessioni per l’esercizio dell’attività. In altre parole, il legislatore si preoccupa di dare modo ai concessionari di far fruttare i propri investimenti e, a tal fine, prolunga in via automatica la durata delle concessioni.
Ebbene, il “regime delle proroghe” si pone in aperto contrasto con la normativa proconcorrenziale contenuta nella Direttiva 2006/123/EC (cd. “Bolkestein”). L’obiettivo della direttiva de qua, come enunciato all’art. 1, è «agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi»[76].
Tuttavia, sarebbe riduttivo circoscriverne l’ambito di applicazione al solo settore dei servizi, proponendosi la Direttiva come “direttiva-quadro” che pone regole generali nell’ottica di una semplificazione delle procedure amministrative (“liberalizzazione”)[77], in modo da garantire agli imprenditori un accesso libero e concorrenziale al mercato unico europeo[78].
A tal fine, la Direttiva Bolkestein prevede un “regime generale di autorizzazione” che, imperniato sui principi di concorrenza e trasparenza sanciti nel TFUE, determina un ripensamento della tradizionale distinzione tra autorizzazioni e concessioni, riconducendo ad unità i molteplici atti che realizzano forme di controllo ex ante sulle attività dei soggetti privati[79].
Nello specifico, il regime generale di autorizzazione include «qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi all’amministrazione allo scopo di ottenere una decisione formale relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio» (art. 4, n. 6). Inoltre, come precisa il considerando n. 39, esso comprende «tutte le procedure per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni». Appare evidente che l’intento del legislatore comunitario è ovviare a classificazioni di istituti ad opera delle normative nazionali che avrebbero l’effetto di eludere i principi proconcorrenziali[80].
Quanto detto ha permesso di estendere l’ambito di applicazione della direttiva de qua alle concessioni demaniali marittime.
Infatti, il soggetto privato può svolgere l’attività sul bene demaniale marittimo se, ed in quanto, ha preventivamente ottenuto il rilascio della concessione da parte della Pubblica Amministrazione. In particolare, la normativa comunitaria esige che, qualora le richieste di concessione siano più d’una ed il numero di titoli concessori rilasciabili sia limitato per “scarsità delle risorse”, la scelta del concessionario da parte della P.A. debba avvenire all’esito di una procedura ad evidenza pubblica[81].
Ciò al fine di evitare che l’amministrazione concedente distribuisca una “occasione di guadagno” – rappresentata dalla possibilità di svolgere un’attività lucrativa sul bene demaniale marittimo – al di fuori dei criteri concorrenziali, inibendo la possibilità degli altri operatori economici interessati di concorrere per l’ottenimento della concessione in scadenza[82].
Alla luce di quanto detto, appare evidente che la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, attribuendo un vantaggio economico a favore del concessionario uscente a fronte di una compressione pressoché totale dell’iniziativa economica degli altri operatori, si ponga in conflitto con le esigenze di tutela della concorrenza poste alla base della normativa comunitaria[83].
Né, come ribadito dalla Corte di Giustizia nella nota sentenza del 14 luglio 2016, la proroga automatica può essere giustificata facendo riferimento ai “motivi imperativi di interesse generale” contemplati dalla stessa Direttiva Bolkestein[84]. La clausola appena citata, infatti, va interpretata nel senso di consentire all’amministrazione concedente di tener conto, in sede di selezione pubblica dei candidati, degli effettivi investimenti del concessionario uscente che potrebbero giustificare un rinnovo della concessione. In altri termini, la gara pubblica costituisce il nucleo ineliminabile della tutela della concorrenza, e l’interesse (secondario) del concessionario uscente – legato agli investimenti effettuati – può venire in rilievo solo nell’ambito della stessa gara ad evidenza pubblica, che rappresenta la sede più opportuna per effettuare il bilanciamento dei molteplici interessi coinvolti[85].
Il perdurante contrasto tra ordinamento italiano e ordinamento comunitario ha generato una serie di interventi correttivi da parte della giurisprudenza nazionale che, sulla base del principio di primazia del diritto comunitario, ribadiscono l’imprescindibilità della gara ad evidenza pubblica per la scelta del concessionario[86].
Tuttavia, la soluzione definitiva del problema non può ricercarsi nell’interpretazione giurisprudenziale, la quale interviene nel momento patologico delle relazioni giuridiche; laddove è la legge che, attraverso una regolamentazione organica, dovrebbe garantire la certezza delle situazioni giuridiche, anche nell’ottica di evitare la propagazione di contenziosi giudiziari. Invece, come evidenziato dalla Commissione europea nella recente “lettera di costituzione in mora” per l’Italia (3 dicembre 2020), l’inadeguatezza della legislazione italiana «cre[a] incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi[a] gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia italiana e già duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa per le autorità locali italiane (…)»[87].
4. Il rapporto tra vizi della procedura di aggiudicazione e sorte del contratto
Come accennato in precedenza, il recepimento del principio di evidenza pubblica proconcorrenziale ha inciso significativamente anche sui rapporti tra annullamento della procedura di aggiudicazione e sorte del contratto.
Si tratta di un tema complesso che vede contrapporsi molteplici interessi e tutti meritevoli di considerazione. Invero, da un lato vi è l’interesse alla stabilità del contratto cui aspirano sia l’amministrazione aggiudicatrice sia l’impresa aggiudicataria. La prima, perché ha interesse a che il contratto sia eseguito per ricevere la prestazione; la seconda, in quanto nutre un legittimo affidamento sulla conclusione del contratto stesso. Dall’altro lato, invece, vi sono le esigenze di tutela della concorrenza (frustrate dall’aggiudicazione illegittima) cui si ricollega l’interesse dell’impresa illegittimamente pretermessa a subentrare nel contratto. Motivo per cui, il rapporto tra annullamento della procedura e sorte del contratto è stato diversamente ricostruito nel tempo a seconda dell’interesse che, tra quelli citati, voleva farsi prevalere in sede di tutela[88].
Originariamente, si riteneva che i vizi dell’aggiudicazione determinassero la mera annullabilità del contratto, ovvero una forma di invalidità a legittimazione relativa. Invero, l’unico soggetto legittimato a proporre l’azione di annullamento del contratto, dinanzi al giudice ordinario, era l’amministrazione aggiudicatrice, equiparandosi il vizio dell’aggiudicazione ad un vizio del consenso dell’amministrazione[89].
Come osservato da attenta dottrina, questa tesi poggiava sulla convinzione che il principio di evidenza pubblica operasse nell’interesse esclusivo dell’amministrazione pubblica, ovvero a tutela solo di uno dei contraenti[90]. Su tali basi, si riteneva che “la parte nel cui interesse” era previsto l’annullamento (ex art. 1441 c.c.)[91], e dunque l’unica che potesse domandarlo, fosse l’amministrazione aggiudicatrice.
Tuttavia, questa soluzione si è rivelata incompatibile con la nuova matrice proconcorrenziale dell’evidenza pubblica. Infatti, il regime tradizionale era orientato tutto a favore dell’interesse dell’amministrazione, sacrificando l’interesse dei partecipanti alla gara a che la scelta dell’amministrazione seguisse i criteri concorrenziali. Altresì, si impediva all’aggiudicatario illegittimamente “pretermesso” di aggredire il contratto al fine di subentrarvi, riconoscendogli solo la possibilità di ricorrere dinanzi al giudice ordinario per attivare una tutela risarcitoria.
In questo contesto, si sono susseguite una serie di tesi che, seppure con presupposti differenti, si ponevano l’obiettivo di assicurare al contraente “pretermesso” una tutela in forma specifica[92].
Una prima tesi, attribuendo all’aggiudicazione il valore di accettazione dell’offerta proposta dall’aggiudicatario, ricollegava al suo annullamento la “nullità strutturale” del contratto, per “mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325 c.c.”, ossia dell’accordo delle parti[93]. Al contrario, la tesi che negava all’aggiudicazione della P.A. il valore negoziale di accettazione dell’offerta, prospettava la nullità del contratto ma in termini diversi, ovvero come “nullità virtuale” derivante dalla violazione di norme imperative. In questo senso, la disciplina della evidenza pubblica veniva intesa come disciplina vincolante sia l’amministrazione sia gli aspiranti aggiudicatari, e alla cui violazione conseguiva la patologia della nullità[94].
La tesi più in voga in giurisprudenza, invece, era quella che, valorizzando la sussistenza di un nesso di stretta presupposizione tra aggiudicazione e contratto, stabiliva la “caducazione automatica” del contratto sulla base del principio simul stabunt simul cadent[95].
Questa tesi mirava a concentrare la giurisdizione dinanzi al giudice amministrativo, ovviando alla previsione del gravoso doppio binario giudiziario che ancora caratterizzava la tesi della nullità. Infatti, ricollegando all’annullamento dell’aggiudicazione l’effetto automatico di caducazione del contratto, era più agevole giustificare l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di accertare (e non costituire) l’avvenuta caducazione del contratto in conseguenza della sua decisione di annullamento[96].
Tuttavia, la tesi della caducazione automatica non fu esente da critiche. Come sostenuto in dottrina, infatti, essa non permetteva una graduazione né dei vizi dell’aggiudicazione né dello stato di esecuzione del contratto, rischiando di produrre un effetto caducante abnorme[97].
Pertanto, venne prospettata una quarta tesi: la “inefficacia relativa” del contratto. Questa tesi mirava a sopperire l’assenza di una disciplina specifica attraverso un’interpretazione integratrice del contratto fatta alla luce del diritto civile. Su tali basi, si applicavano in via analogica le regole dedicate alla sorte dei contratti delle persone giuridiche private in caso di annullamento degli atti deliberativi interni (art. 23 c.c.)[98].
L’annullamento della deliberazione di aggiudicazione, dunque, lasciava «salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione», il contratto era salvo e l’inefficacia non gli era opponibile se il terzo (rectius: l’aggiudicatario) lo avesse stipulato in buona fede[99].
Il dibattito delineato, generatore di diverse tesi meritevoli di attenzione ma poco risolutive, ha subito un arresto con il recepimento della “direttiva ricorsi” (Direttiva 2007/66/CE)[100], i cui contenuti sono stati trasferiti nel codice del processo amministrativo (artt. 120-125 c.p.a.). La direttiva, infatti, ridisegna la regolamentazione in materia, con importanti implicazioni sia sul piano processuale (risolvendo una volta per tutte la questione della giurisdizione in ordine alla sorte del contratto) sia sul piano sostanziale (in merito alla questione degli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto)[101].
4.1. La concentrazione della tutela dinanzi al giudice amministrativo
Prima del recepimento della “direttiva ricorsi”, e in assenza di una disciplina specifica, era controversia l’individuazione del giudice competente a decidere sulle sorti del contratto in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione.
Le Sezioni unite della Cassazione, in un primo momento, hanno optato per il “doppio binario processuale”: l’impugnazione dell’aggiudicazione viziata doveva avvenire dinanzi al giudice amministrativo, che ne poteva disporre l’annullamento; la successiva controversia relativa agli effetti che il contratto subiva a causa di detto annullamento, invece, apparteneva alla giurisdizione del giudice ordinario[102].
Questa tesi poggiava sull’ idea che vi fosse una differenza sostanziale tra le due situazioni dedotte in giudizio. Si affermava che, fino all’adozione dell’atto di aggiudicazione, i soggetti privati sono titolari di una posizione di “interesse legittimo” da ricollegarsi al potere pubblico dell’amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, i vizi prodottisi nelle more del procedimento, e derivanti da un esercizio illegittimo del suddetto potere, appartengono alla cognizione del giudice amministrativo. Al contrario, con la conclusione del contratto si instaura un rapporto giuridico di natura privatistica fonte di posizioni di “diritto soggettivo”. Dunque, le pretese strettamente conseguenziali all’annullamento dell’aggiudicazione, in quanto riguardanti la validità di un rapporto negoziale, devono devolversi al giudice ordinario[103].
Questa impostazione ha sollevato diversi dubbi circa la sua compatibilità con il principio della “effettività della tutela”. Invero, la netta scissione tra il momento pubblicistico (procedimentale) e il momento privatistico (contrattuale) prospettata dalla Corte di Cassazione costringeva il ricorrente ad adire due giurisdizioni diverse per la stessa vicenda.
Al fine di attenuare gli effetti di tale orientamento, il Consiglio di Stato ha fatto perno sulle potenzialità del giudizio di ottemperanza della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione. In questo modo, si riconosceva al giudice dell’ottemperanza la possibilità di effettuare una valutazione incidenter tantum circa la nullità o inefficacia dello contratto, al fine di dare esecuzione al giudicato di annullamento. In quest’ottica, il giudice dell’esecuzione amministrativa non decideva sulle sorti del contratto, che restavano nella cognizione del giudice ordinario, ma effettuava un apprezzamento incidentale in linea con la funzione del giudizio di ottemperanza, nel quale il giudice si sostituisce all’Amministrazione rimasta inerte[104].
In questo contesto, in via risolutiva, interviene il diritto comunitario con misure volte a salvaguardare la “effettività della tutela”, la “concentrazione processuale” e la “ragionevole durata del processo”. Invero, la già richiamata “direttiva ricorsi” stabilisce la necessità di concentrare la tutela dinanzi ad un unico organo giurisdizionale (giudice amministrativo), stante la stretta connessione tra la domanda di annullamento dell’aggiudicazione e quella di caducazione del contratto concluso dall’aggiudicatario, entrambe volte alla realizzazione di una tutela in forma specifica per il ricorrente[105].
E’ sorta così l’esigenza di attuare i principi comunitari estendendo la cognizione del giudice amministrativo alle sorti del contratto[106].
A tal fine, l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 del c.p.a. prevede espressamente la “giurisdizione esclusiva” del giudice amministrativo in merito alle controversie «relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie», precisando che essa si estende «alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative».
La previsione de quo individua un tipico caso di “compresenza” di posizioni giuridiche di interesse legittimo (legate al corretto svolgimento della procedura di aggiudicazione) e di diritto soggettivo (legate alla stabilità del contratto), entrambe devolute ad un unico organo giurisdizionale[107].
Il legislatore nazionale, dunque, superando l’orientamento prima richiamato che vedeva nella differenza delle due situazioni giuridiche un ostacolo alla trattazione unitaria delle rispettive controversie, offre la possibilità al ricorrente di proporre nello stesso giudizio sia la domanda di annullamento di aggiudicazione sia la subordinata domanda di inefficacia del contratto. In questo modo, vengono soddisfate le esigenze di concentrazione processuale richieste dal diritto comunitario per una tutela piena ed effettiva.
4.2. La “inefficacia” del contratto
L’incidenza della “direttiva ricorsi”, come anticipato, è stata altrettanto rilevante nel campo degli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto stipulato tra amministrazione aggiudicatrice e illegittimo aggiudicatario. La normativa comunitaria si preoccupa di apprestare al ricorrente una “tutela in forma specifica” che gli consenta di conseguire la “utilità finale” (rectius: bene della vita), ovvero il subentro nel rapporto contrattuale.
A tal fine, l’art. 2-quinquies della direttiva ricorsi individua i casi tassativi in cui l’accertamento del vizio dell’aggiudicazione deve comportare un’automatica “privazione di effetti” del contratto successivamente stipulato. In un’ottica “proconcorrenziale”, infatti, «la privazione di effetti è il modo più sicuro per ripristinare la concorrenza e creare nuove opportunità commerciali per gli operatori economici che sono stati illegittimamente privati delle possibilità di competere»[108].
Negli altri casi non rientranti nell’articolo citato, invece, la tutela della parte interessata è rimessa al legislatore interno, il quale è libero di prevedere anche una tutela limitata al solo risarcimento per equivalente.
Il termine utilizzato dalla direttiva ricorsi (“privazione di effetti”) è intenzionalmente generico, in quanto destinato ad incidere su una molteplicità di ordinamenti ispirati a principi e istituti anche molto differenti fra loro. Il legislatore italiano, in accoglimento di un’osservazione prestata dal Consiglio di Stato in sede consultiva[109], ha effettuato una scelta conforme all’esegesi sviluppata attorno alla questione della sorte del contratto all’esito dell’annullamento dell’aggiudicazione, traducendo il portato comunitario nella “dichiarazione di inefficacia” del contratto.
Si tratta di una patologia, quella dell’inefficacia del contratto in seguito ad annullamento della procedura, dalla connotazione peculiare. Infatti, nel diritto civile, l’inefficacia contrattuale non è dotata di autonoma disciplina (salvo casi specifici come nel caso di azione revocatoria ex. art. 1353 c.c.), ma esiste come “categoria di derivazione”, nel senso di costituire la naturale conseguenza di una caratteristica insita o accertata del contratto stesso (es. nullità, annullabilità). Nell’ambito dei contratti pubblici, invece, l’inefficacia assurge a vizio autonomo del contratto, trovando la propria disciplina negli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo.
In particolare, la disciplina codicistica delinea i poteri cognitori del giudice amministrativo, inserendoli nell’ambito di un giudizio a “oggetto necessario”, ovvero di un giudizio unico in cui la pronuncia di annullamento funge da presupposto necessario per la successiva dichiarazione di inefficacia del contratto[110]; e modulandoli a seconda della “gravità” del vizio dell’aggiudicazione.
L’art. 121 c.p.a. individua i casi di “violazioni gravi” della procedura di aggiudicazione che, in ossequio al dettato comunitario, conducono ad una automatica inefficacia del contratto concluso. Si tratta dei casi di: aggiudicazione avvenuta senza previa (e prescritta dal codice o dal diritto comunitario) pubblicazione del bando o dell’avviso; aggiudicazione avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato l'omissione della pubblicità prescritta dalla legge; contratto stipulato senza rispettare il termine dilatorio trentacinque giorni intercorrente tra l’atto di aggiudicazione e la conclusione del contratto (c.d. standstill period sostanziale) oppure la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva (c.d. standstill period processuale).
Le prime violazioni compromettono in radice la possibilità di competizione concorrenziale degli operatori, trattandosi di ipotesi in cui l’amministrazione aggiudica il contratto al di fuori dell’espletamento effettivo di una “gara pubblica”; perciò, il legislatore non richiede alcun ulteriore condizione per considerare il contratto stipulato privo di effetti.
Diversamente, la mera violazione dello standstill period non è sufficiente per dichiarare l’inefficacia del contratto, dovendosi “aggiungere” ad una preventiva violazione (non grave) della procedura espletata assieme alla quale influisce negativamente sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento[111].
Inoltre, nell’ipotesi di violazione dello standstill “sostanziale”, si richiede altresì che «tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto»[112].
Ciò implica che la dichiarazione di inefficacia del contratto non possa intervenire nell’ipotesi di un contratto stipulato prima dei 35 giorni ma dopo la proposizione del ricorso, non essendovi un pregiudizio del diritto di impugnazione del ricorrente, ma solo una violazione dello standstill “processuale”.
Nei casi descritti dall’art. 121 c.p.a. il giudice ha un potere di apprezzamento limitato, in quanto la regola generale gli impone di dichiarare l’inefficacia del contratto una volta accertata la sussistenza di una “violazione grave”[113]. Tuttavia, lo stesso articolo, al comma 2, riserva al giudice una valutazione circa l’esistenza di “esigenze imperative connesse ad un interesse generale”, che gli permette di mantenere in vita gli effetti del contratto, pur in presenza di gravi vizi della procedura[114].
L’art. 122 c.p.a., invece, disciplina le conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione in caso di “violazioni ordinarie” della procedura, ovvero di violazioni non comprese tra quelle tassativamente indicate dall’articolo precedente.
In queste ipotesi, il giudice è titolare di un potere cognitivo più ampio. Infatti, come la lettera dell’art. 122 c.p.a. suggerisce («può dichiarare»), la dichiarazione d’inefficacia del contratto è solo eventuale, essendo subordinata ad un giudizio discrezionale del giudice dell’annullamento. Più in particolare, rilevata una violazione non grave dell’aggiudicazione, il giudice effettuerà un giudizio complesso che tiene conto degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nello stesso. In questo caso, dunque, la prospettiva è rovesciata: mentre per le “violazioni gravi” la regola è l’inefficacia del contratto, salva la possibilità del giudice di salvarlo in ragione di interessi generali, qui l’inefficacia medesima non è la conseguenza ordinaria della violazione, essendo soltanto eventuale[115].
Quanto appena rilevato permette di attribuire maggior significato alla disposizione, già analizzata, che ricollega alla violazione dello standstill period “sostanziale” (nei termini prima descritti) l’inefficacia automatica del contratto. Volendo specificare, il legislatore nazionale esclude che l’amministrazione possa concludere validamente il contratto successivamente ad un’aggiudicazione viziata da una “violazione ordinaria” e prima che il termine dilatorio sia spirato.
Prevedere il contrario, infatti, esporrebbe il ricorrente alla “valutazione discrezionale” del giudice prevista dall’art 122 c.p.a. – stante la violazione non grave della procedura – con una inevitabile compressione della “tutela in forma specifica” che proprio la previsione del termine dilatorio mira a garantire. Invero, il termine di 35 giorni previsto dall’art. 11, comma 10, D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (standstill period “sostanziale”), nel garantire al soggetto illegittimamente pretermesso la possibilità di “aggredire” la procedura viziata prima della conclusione del contratto, risponde all’esigenza di consentire al ricorrente stesso un conseguimento più agevole dell’utilità finale (aggiudicazione); laddove un’impugnazione dell’aggiudicazione effettuata a contratto concluso renderebbe più difficoltoso l’ottenimento del “bene della vita” perseguito (subentro nel contratto); ciò per la sussistenza di un vincolo contrattuale che, per il suo stato avanzato di esecuzione, potrebbe scoraggiare il giudice dal dichiararne l’inefficacia.
All’esito dell’analisi normativa degli artt. 121 e 122 c.p.a., sia consentito di rilevare la pregevole portata delle due disposizioni, da intendere quali regole che predispongono i rimedi funzionali ad una tutela effettiva del ricorrente pregiudicato dalla procedura competitiva viziata (o addirittura assente), con ciò ristabilendo il necessario rispetto del principio di evidenza pubblica, necessario per la salvaguardia della concorrenza.
5. Considerazioni finali
Il principio di evidenza pubblica si inserisce nell’alveo della più ampia categoria della “tutela della concorrenza”, la quale abbraccia una molteplicità di istituti che hanno come scopo precipuo quello di salvaguardare e favorire il mercato concorrenziale. La stessa giurisprudenza costituzionale concepisce la tutela della concorrenza come una materia di rilievo costituzionale dal carattere “trasversale”, avendo una “estensione incerta” e, al tempo stesso, una “funzione esercitabile su più oggetti”[116].
In questa prospettiva va letta la riforma del Titolo V della Costituzione che, all’art. 117, comma 1, lett. e), ha incluso la “tutela della concorrenza” tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato. Come affermato dalla Corte Costituzionale, si tratta di una “clausola generale di competenza” – essendo una competenza costruita finalisticamente, in funzione, cioè, dello scopo e non dell’oggetto[117] – che, in nome della necessità di garantire il rispetto della concorrenza e della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), consente al legislatore statale di permeare diversi spazi riservati alla competenza legislativa regionale. Fermo restando che, pena l’illegittimità costituzionale, potranno essere adottate con legge statale solo le disposizioni strettamente funzionali al mantenimento o alla crescita della concorrenza nei vari settori economici, molti dei quali affidati, per la disciplina degli altri profili, alla potestà legislativa regionale[118].
La delineata trasversalità della “tutela della concorrenza” si traduce in una trasversalità degli strumenti utilizzati per garantirla. Un esempio plastico di questo fenomeno è, per l’appunto, la “evidenza pubblica proconcorrenziale”. Facendo il suo ingresso nell’ordinamento italiano attraverso lo stesso art. 117 (che subordina la competenza legislativa nazionale al rispetto degli obblighi comunitari), il principio di evidenza pubblica di matrice europea è divenuto uno strumento indispensabile per garantire la difesa e lo sviluppo della concorrenza e, come visto in precedenza, il suo spettro di azione si estende oltre le qualifiche formali del soggetto aggiudicatore, nonché al di là della natura giuridica dell’atto[119].
All'esito delle riflessioni da ultimo effettuate, si valorizza la necessità di un rapporto simbiotico tra ordinamento interno e ordinamento comunitario in materia di “concorrenza”, all’interno del quale la “pressione” del diritto comunitario, lungi dal configurare come un "peso" per il legislatore interno, è da cogliere nella sua forza propulsiva di “spinta” verso il raggiungimento di interessi che, come evidenziato, lo stesso ordinamento italiano dota di rilevanza costituzionale.
[1] Art. 1, comma 1-bis, L.241/1990, recita: «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».
[2] In tal senso, F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, XII ed., Roma, 2018, 1621.
[3] In particolare, V. ROPPO, Il Contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di G. IUDICA e P. ZATTI), Milano, Giuffrè, 2001, 65. L’Autore, nel trattare del contratto come “paradigma generale dell’azione pubblica”, afferma: «Si diffonde sempre più il ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni impegnate nell’attuazione di politiche pubbliche, a strumenti modellati sul paradigma del contratto anziché sul tradizionale paradigma dell’atto amministrativo come atto unilaterale e autoritativo».
[4] Si v. G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. I, VIII ed., Milano, 1958, 31, secondo cui «anche nella scelta tra più mezzi egualmente consentiti, la amministrazione è tenuta a dare preferenza al più adatto, più utile e conveniente in ordine al fine che si tratta di conseguire: l’uso di un mezzo inadatto o inopportuno costituisce vizio di merito dell’attività. È chiaro, quindi, quanto sia diversa la discrezionalità dell’amministrazione dalla comune libertà. Quest’ultima è la facoltà di scelta di cui ciascuno dispone nella direzione della propria vita e nella cura dei propri interessi; quella è la facoltà di scelta propria di colui che agisce al servizio degli altri, cioè per il conseguimento di fini altrui, di fini da altri imposti e voluti».
[5] In tal senso, F. G. SCOCA, Attività amministrativa, in Enc. Dir., Agg. VI, 2002, 95. L’Autore evidenzia che: «l’attività posta in essere dall’amministrazione per la cura di interessi pubblici (ossia tutta l’attività che essa può porre in essere) è comunque attività amministrativa in senso proprio, soggetta a tutti ed esclusivamente i principi che reggono l’attività amministrativa; e ciò tanto se gli atti che alla fine vengono adottati siano retti dal diritto pubblico (provvedimenti) tanto se siano retti dal diritto privato (contratti, accordi)».
[6] Cfr. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, 599: «[…] gli atti compiuti dall’amministrazione in vista della conclusione del contratto sono sempre finalizzati al perseguimento di interessi pubblici e, di conseguenza, non sono riconducibili agli atti di autonomia dei privati. È, dunque, la funzionalizzazione immanente all’attività della pubblica amministrazione che impone di qualificare in modo diverso l’attività contrattuale dell’amministrazione rispetto a quella dei privati: questi sono normalmente liberi di perseguire i propri fini, la prima deve avere sempre come parametro la cura di interessi pubblici»; V. POLI, Principi generali e regime giuridico dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, in www.giustizia-amministrativa.it, il quale ritiene non sostenibile una piena fungibilità tra contratto e atto amministrativo, almeno con riferimento alla attività di spettanza necessaria della P.A.
[7] M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, IV ed., Torino, 2018, 374.
[8] Alcuni, intendendo per “autonomia negoziale” la libertà dei fini sic et simpliciter, ne negano categoricamente la sussistenza in capo all’amministrazione, essendo il suo agere sempre vincolato nel fine. In realtà, come autorevolmente sostenuto, l’autoregolamentazione non implica necessariamente la libertà di regolamentazione dei propri interessi (fini, nel caso della P.A.), bensì regolamentazione di questi mediante gli strumenti giuridici apprestati dall’ordinamento. La libertà negoziale, pertanto, è da intendere come una posizione giuridica soggettiva che si atteggia a mezzo, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Edizioni Scientifiche Italiane, 1943, 40 ss.
[9] Si veda, M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II ed., Milano, 1988, 797 ss. L’Autore, tra i primi a parlare di “evidenza pubblica”, ha inteso la procedura ad evidenza pubblica come “sistema a doppio stadio”, composto da due procedimenti paralleli: il primo, detto serie procedimentale, strumentale alla scelta del contraente e disciplinato da disposizioni pubblicistiche, rispetto alle quali vengono individuate posizioni di interesse legittimo; il secondo, definito come serie negoziale, volto alla regolamentazione del rapporto privatistico, nel cui ambito i singoli risultano portatori di diritti soggettivi.
[10] G. PERICU, L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, in Aa.Vv., Diritto Amministrativo, Bologna, 2005, afferma che l’autorità contraente è tenuta «a spiegare le ragioni di interesse pubblico per le quali vuole addivenire o è addivenuta a quel contratto avente quel certo contenuto in modo da dare evidenza alle ragioni di interesse pubblico per le quali si sono adottate certe condizioni ed a controllarle».
[11] In questo senso, M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, III ed., Bologna, 2017, 430.
[12] R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, V ed., Milano, 2020, 795, i quali rilevano che, essendo l’interesse dei contraenti dipendente dalla sussistenza della lesione dell’interesse della P.A., «la sola P.A. poteva far valere le patologie e i vizi della procedura incidenti sulla validità del negozio finale con l’azione di annullamento del contratto».
[13] In tal senso, M. D’ALBERTI, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm, n. 2/2008, 301. L’Autore afferma che «l’evidenza pubblica non è più un procedimento volto a garantire essenzialmente gli interessi pubblici – finanziari e amministrativi – delle amministrazioni procedenti, ma è una procedura finalizzata a tutelare anche e soprattutto la libertà di circolazione e di concorrenza nel mercato europeo». La stessa giurisprudenza costituzionale, Corte Cost. (n. 401/2007), ha registrato «il definitivo superamento della concezione contabilistica che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse della P.A. Muta il profilo funzionale della evidenza pubblica, che da disciplina posta a presidio delle esigenze dell’interesse pubblico, in vista della scelta del miglior contraente e del contenimento della spesa dall’esclusivo punto di vista della P.A., diviene una regolamentazione che protegge anche gli interessi delle imprese».
[14] Corte Giust. UE, 8 giugno 1971, causa 78/70, Deutsche Grammophon, p.to 12.
[15] Cfr. art. 32, lett. b) TFUE: «Nell'adempimento dei compiti che le sono affidati ai sensi del presente capo, la Commissione s'ispira all'evoluzione delle condizioni di concorrenza all'interno dell'Unione, nella misura in cui tale evoluzione avrà per effetto di accrescere la capacità di concorrenza delle imprese». Si v. A. ARENA, F. BESTAGNO, G. ROSSILILLO, Mercato unico e libertà di circolazione nell’Unione Europea, Torino, 2016, p. 2, secondo cui «[…] “mercato unico” (single market) vorrebbe indicare l’assoluta unicità del contesto in cui gli operatori economici si trovano ad operare e le merci ad essere scambiate nell’UE».
[16] Cfr. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 795.
[17] Si tratta della direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.
[18] In merito si v. L.P. MARTINA, I principi di evidenza pubblica e le fonti comunitarie sugli appalti pubblici, 18 luglio 2018, in diritto.it.
[19] Si v. Direttiva 2014/24/UE (considerando n. 2), disciplinante i c.d. “settori ordinari”.
[20] Ex multis, sentenza Corte giust. UE, 27 novembre 2001, C-285/99 e C-286/99.
[21] Sul punto si v. M. CLARICH, Contratti pubblici e concorrenza, Testo della relazione per il 61° Convegno di Studi Amministrativi su “La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”, Varenna 17- 19 settembre 2015, su www.astrid-online.it.
[22] Sul punto, L. BUFFONI, La “tutela della concorrenza” dopo la riforma del Titolo V: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Le Istituzioni del Federalismo, 2003, n. 3. L’Autrice rileva che nel concetto di “libertà di concorrenza” è opportuno distinguere due differenti piani: accanto al profilo oggettivo-strutturale del libero gioco della concorrenza, da intendere in una prospettiva macroeconomica come struttura portante dell’economia di mercato, come garanzia di una certa forma e funzionalità del mercato, si pone il profilo marcatamente soggettivo-relazionale della libertà di concorrenza, intesa come “diritto di libertà” del singolo, corrispondente ad un’ottica microeconomica. Si veda anche, F. GALGANO, Rapporti economici – Art. 41, 44, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli: Soc. Ed. del Foro italiano, 1982,11, secondo cui la libertà di iniziativa economica del singolo si presenta, in rapporto all’iniziativa economica degli altri, come libertà di concorrenza, e la libertà di concorrenza altro non è che la libertà economica vista in una prospettiva relazionale, la cui espressa previsione costituzionale (art. 117, comma 1, lett. e) diviene, quindi, tutela implicita del pluralismo nel mercato.
[23] Cfr. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 771. In giurisprudenza si v. Cons. St., ad. plen. n. 5 del 2020.
[24] In questi termini, I. CIPOLLETTA, S. MICOSSI e G. NARDOZZI (coordinato da), Appalti pubblici e concorrenza, in Progetto concorrenza di Confindustria, su www.astrid-online.it.
[25] Tra le altre si v. Procedura di infrazione 2007/2309 ex art. 236 Trattato CE.
[26] Nello specifico, si tratta della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei cd. “settori ordinari”, della direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Per un’analisi dettagliata delle direttive, si v. F. MARTINES, Le direttive UE del 2014 in materia di contratti pubblici e l’articolato processo di integrazione europea nel diritto interno degli appalti, in federalismi.it, n. 11/2015.
[27] Il D. Lgs. n. 50/2016 sostituisce il previgente Codice dei contratti pubblici (D. lgs. n. 163/2006), caratterizzato da una disciplina frammentaria ed eccessivamente complessa. Sul punto si v. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 773.
[28] Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. dd), D. Lgs. n. 50/2016, i “contratti pubblici” sono “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti”.
[29]Come evidenziato da M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit., 430, il rigido formalismo che caratterizzava l’originaria disciplina delle gare pubbliche rispondeva all’esigenza di proteggere l’amministrazione dal rischio di collusione tra le imprese che avrebbe pregiudicato l’interesse finanziario dell’amministrazione.
[30] Art. 64, D. Lgs. n. 50/2016 (“Dialogo competitivo”): «1. Il provvedimento con cui le stazioni appaltanti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), decidono di ricorrere al dialogo competitivo deve contenere specifica motivazione […]. 2. Nel dialogo competitivo qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare in risposta a un bando di gara, o ad un avviso di indizione di gara, fornendo le informazioni richieste dalla stazione appaltante, per la selezione qualitativa. […]. 5. Le stazioni appaltanti avviano con i partecipanti selezionati un dialogo finalizzato all'individuazione e alla definizione dei mezzi più idonei a soddisfare le proprie necessità. Nella fase del dialogo possono discutere con i partecipanti selezionati tutti gli aspetti dell'appalto. 6. Durante il dialogo le stazioni appaltanti garantiscono la parità di trattamento di tutti i partecipanti. A tal fine, non forniscono informazioni che possano avvantaggiare determinati partecipanti rispetto ad altri. […] 8. I dialoghi competitivi possono svolgersi in fasi successive in modo da ridurre il numero di soluzioni da discutere durante la fase del dialogo applicando i criteri di aggiudicazione stabiliti nel bando di gara, nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo. Nel bando di gara o nell'avviso di indizione di gara o nel documento descrittivo le stazioni appaltanti indicano se sceglieranno tale opzione. […]13. Le stazioni appaltanti possono prevedere premi o pagamenti per i partecipanti al dialogo».
[31] In tal senso, M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit., 431.
[32] Cfr. Cons. St., sez. III, 17 dicembre 2020, n. 8126.
[33] Si v. G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, XVI ed., Vicenza, 2016, 18, il quale, nel definire la nozione di imprenditore, afferma che il “rischio d’impresa” è costituito dalla “[…] sopportazione di tutti gli oneri (compresi quelli di carattere sociale inerenti alla organizzazione dell’impresa e l’assunzione delle alee, favorevoli o sfavorevoli, inerenti all’attività esercitata”.
[34] Nello stesso senso, R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 796.
[35] Sul punto si v. B. GIORDANO, Le pubbliche amministrazioni ed il ripiano delle perdite nelle società e negli altri organismi partecipati, 7 marzo 2018, in diritto.it.
[36] Sul punto, si v. Cass. civ., Sez. Un., 27 marzo 2020, n.7562, per cui il mero perseguimento dei fini assistenziali e sanitari non può valere di per sé a rendere obbligatorio il regime della gara pubblica, in quanto, nel caso di specie, «l'attività della fondazione era svolta nel mercato concorrenziale ed era ispirata a criteri di economicità, posto che i relativi rischi economici erano direttamente a carico dell'ente-fondazione».
[37] Come evidenziato da M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, cit., 67, la nozione di organismo pubblico è «[…] una nozione funzionale che guarda alla sostanza del fenomeno, prescindendo da valutazioni di ordine formalistico”. Inoltre, “[è] una figura sorta per evitare che enti pubblici, attraverso la costituzione di società private, potessero aggirare la normativa in tema di appalti pubblici».
[38] Art. 3, comma 1, lett. d), D. Lgs n. 50/2016: «Ai fini del presente codice si intende per […] organismi di diritto pubblico, qualsiasi organismo, anche in forma societaria il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».
[39] Come affermato in Cass. civ. sez. un., 7 ottobre 2008, n. 24722; la quale rileva, più in generale, che: «La Corte di Giustizia ha precisato che un organismo può avere sostanza di diritto pubblico pur rivestendo una forma di diritto privato (sent. 15/5/2003, in causa C-214/2000), perché non è tanto la veste giuridica che conta, quanto l'effettiva realtà interna dell'ente e la sua preordinazione al soddisfacimento di un certo tipo di bisogni, cui anche le imprese a struttura societaria sono in grado di provvedere, senza che venga in rilievo al riguardo la maggiore o minore quantità di spazio ad essi dedicato, visto che per la qualificazione di un ente come organismo di diritto pubblico non è necessario che il perseguimento di finalità generali assurga a scopo esclusivo, potendo coesistere con lo svolgimento, anche prevalente, di attività industriali o commerciali (sentt. 10/11/1998 in C-360/1996 e 22/5/2003 in C-18/2001)».
[40] Come osservato da M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit., 436.
[41] Cfr. E. SANGINARO, Organismi di diritto pubblico: la problematica interpretazione del requisito teleologico, in Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici, 8 luglio 2020; si v. anche Parere ANAC, 20 febbraio 2013, n. 3.
[42] Come rilevato da Corte gius. UE, sez. V, 22 maggio 2003, C. 18/2001, Taitotalo Oy, p.to 56; Corte giust. UE, 10 novembre 1998, C. 360/1996, BFI Holding, p.ti 48-49; Corte gius. UE, sez. V, 10 maggio 2001, C. 260/1999, Ente Fiera di Milano; nella giurisprudenza nazionale, si v. Cons. St., sez. VI, ordinanza n. 167/2004.
[43] Sul punto si v. M. LIBERTINI, Organismo di diritto pubblico, rischio d’impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, 6 agosto 2008, 3, in federalismi.it.
[44] Sul punto si v. M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, cit., 67-68; R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 376-377.
[45] Corte giust. UE, 15 gennaio 1998, causa 44/96, Mannesman.
[46] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 29 maggi 2012, n. 8511.
[47] L’art. 3, comma 1, lett. t), D. Lgs. n. 50/2016 definisce le “imprese pubbliche” come: «imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese. L’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: 1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; 2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; 3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa;”. In merito, si v. G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, cit., 40, il quale chiarifica che l’impresa pubblica rientra nella definizione di “imprenditore” ai sensi dell’art. 2082 c.c., il quale prevede che «[è] imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi».
[48] Si v. Art. 3, comma 2, Direttiva 2014/25/UE: «Per “impresa pubblica” si intende un’impresa su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione. Un’influenza dominante da parte delle amministrazioni aggiudicatrici si presume in tutti i casi in cui queste autorità, direttamente o indirettamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) possono designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa».
[49] Sul punto, Corte giust. UE, 15 maggio 2003, C-214/2000, Commissione C. Regno di Spagna; analogamente, TAR Lazio-Roma, sez. II, n. 1778/2013; TAR Sicilia, Catania, sez. II, n. 772/2015.
[50] In questo senso M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit., 437.
[51] Cfr. Cons. St. n. 2008/2015.
[52] Tratta in maniera approfondita degli appalti nei “settori speciali”, A. Nicodemo, Imprese pubbliche e settori speciali. L'autonomia contrattuale e le regole dell'evidenza pubblica, Torino, 2018, 238 e ss.
[53] In tal senso, M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, Esecuzione, Settori Speciali, Appalti con Regimi Speciali, in Trattato sui contratti pubblici, IV vol., 2019, 510.
[54] Sul punto, si v. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 797, i quali evidenziano come l’impresa pubblica rientra tra gli “enti aggiudicatori” tenuti all’osservanza della disciplina degli appalti speciali, mentre non rientrano tra le “amministrazioni aggiudicatrici” tenuti all’osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari (cfr. art. 3, lett e) del codice dei contratti pubblici.
[55] Si v. Cons. St., Ad. Plen., 1 agosto 2011, n. 16, per cui «la sottoposizione o meno dell’appalto al regime pubblicistico fissato dal codice dei contratti pubblici deriva dalle caratteristiche oggettive dell’appalto e soggettive della stazione appaltante, e dunque dall’esistenza di un vincolo eteronomo e non dalla dichiarazione della stazione appaltante (c.d. auto vincolo)».
[56] Come evidenziato da F. SCURA, I “settori speciali” nel nuovo Codice: ridimensionamento dell’ambito di applicazione, in www.mediappalti.it, sulla base di tali presupposti la giurisprudenza ha ritenuto quale opera “strumentale” ad una infrastruttura aeroportuale, dunque soggetta al principio di evidenza pubblica, la realizzazione di un parcheggio multipiano nell’ambito della struttura aeroportuale (Cons. St. n. 2/2005). «Al contrario, il nesso di strumentalità è stato escluso nel caso di appalto per i servizi di pulizia e sanificazione della sede aziendale affidato da una società partecipata che gestisce la produzione/distribuzione dell’energia elettrica (TAR Bolzano 29 aprile 2015, n. 151) o per il servizio di mensa affidato da una società che opera nel settore dell’energia (TAR Brescia n. 314/2016)”.
[57] Si tratta della sentenza Corte Giust. UE, 28 ottobre 2020, C-521/18, Pegaso Srl Servizi Fiduciari vs Poste Italiane S.p.A.
[58] Si v. TAR Lazio (Roma), sez. III, ordinanza del 12 luglio 2018, n. 7778: «Sulla rimessione alla Corte di giustizia dell'Ue delle questioni circa la qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a. e di Poste Tutela s.p.a. e sull'estensione dell'obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica».
[59] Art. 4, par. 2, direttiva 2014/25/UE, (“Enti aggiudicatori”): «Per “impresa pubblica” si intende un’impresa su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione. Un’influenza dominante da parte delle amministrazioni aggiudicatrici si presume in tutti i casi in cui queste autorità, direttamente o indirettamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) possono designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa».
[60] Pt.o 34, Corte Giust. UE, 28 ottobre 2020: «[…] è pacifico tra le parti che Poste Tutela e Poste Italiane presentano la qualità di «imprese pubbliche», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2014/25, e rientrano quindi, in quanto enti aggiudicatori, nell’ambito di applicazione ratione personae di tale direttiva. Pertanto, non è necessario esaminare se tali imprese costituiscano parimenti un organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva».
[61] I “settori speciali” sono individuati dagli artt. 8 a 14 della direttiva 2014/25/CE (e ripresi dall’art. 114, D. Lgs. n. 50/2016). Essi sono: gas (art. 8), energia termica (art. 9), elettricità, acqua (art. 10), trasporti (art. 11), porti e aeroporti (art.12), servizi postali (art. 13), estrazione di petrolio e gas e prospezione o estrazione di carbone o di altri combustibili solidi (art. 14).
[62] Cfr. Pt.o 42, Corte Giust. UE, 28 ottobre 2020.
[63] In tal senso, si v. pt.o 45, Corte Giust. UE, 28 ottobre 2020. La Corte, inoltre, evidenzia che: «Tale constatazione vale tanto per gli uffici aperti agli utenti dei servizi postali e che ricevono quindi il pubblico, quanto per gli uffici utilizzati per lo svolgimento di funzioni amministrative. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 116 delle sue conclusioni, la prestazione di servizi postali comprende anche la gestione e la pianificazione di tali servizi» (pt.o 45).
[64] Sulla distinzione tra “contratti attivi” e “contratti passivi” della P.A., si v. F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 1628-1629.
[65] Si v. Corte giust. UE, 14 luglio 2016, n. 458.
[66] Cfr. Cons. St., sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 30.
[67] Si v. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 797, secondo cui: “Sono pertanto sottoposti alla gara non soltanto i contratti “onerosi” (nei quali l’Amministrazione versa un corrispettivo in cambio di una prestazione), ma anche i contratti “altruistici” o “gratuiti” e persino quelli “attivi”, che comportano un’entrata per la P.A.”.
[68] Si v. C.M. BIANCA, Il contratto, in diritto civile, Milano, 1987, 425 e ss., per cui “Abbandonato il riferimento alla causa tipica, quale astratta funzione del engozio, occorre piuttosto riconoscere nella causa la ragione concreta del contratto”.
[69] In questi termini, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVII ed., Napoli, 2015, 839.
[70] R. GIOVAGNOLI, Il contratto, II ed., Torino, 2020, 239. L’Autore evidenzia come il contratto gratuito, in cui manca la previsione del corrispettivo della prestazione, si caratterizzi per una “gratuità economicamente interessata”, nel senso che la prestazione è fatta «in vista di un qualche vantaggio o di un interesse economico, sia pure mediato o indiretto che il solvens possa avere di mira, o aver considerato». L’interesse economico sotteso all’atto gratuito è l’elemento che lo distingue dall’atto liberale, nel quale la prestazione è eseguita in maniera disinteressata (dal punto di vista economico). Nello stesso senso, si v. V. Roppo, Il contratto, cit. 375.
[71] In merito, rilevante è la sentenza Cons. St., sez V, 3 ottobre 2017, n. 4614, per cui: «Anche un affidamento concernente servizi a titolo gratuito configura un contratto a titolo oneroso, soggetto alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, dovendo l’onerosità del contratto essere ricercata anche nelle utilità indirette comunque ricavabili dall’affidamento della commessa. […] la garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico della Amministrazione appaltante: ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto».
[72] Nel caso della “concessione demaniale marittima" l’operatore economico si rivolge alla P.A. per ottenere in concessione una zona del demanio marittimo al fine di svolgere una determinata attività economica. In questo caso, l’oggetto principale della concessione è rappresentato dal bene demaniale marittimo, il cui godimento esclusivo funge da presupposto per lo svolgimento dell’attività economica. In tal senso si v. Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2620.
[73] Si v. M. CARLIN con la collaborazione di F. NOSELLA, G. PASQUALE, M. VIDULICH in Concessioni demaniali marittime e lacuali. Problemi e casi pratici, in Diritto Amministrativo e degli enti locali (collana diretta da V. Italia), Milano, 2019.
[74] Ex multis, Corte cost., 9 gennaio 2019, n. 1; Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2020, n. 4610; TAR Venezia, (Veneto), sez. I, 3 marzo 2020, n. 218; Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 2020, n. 29105.
[75] Già l’art. 18, comma 1, D.L n. 194/2009 (convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25) disponeva la proroga automatica delle concessioni fino al 31 dicembre 2015; successivamente, l’art. 34 duodecies D.L. n. 179/2012 (convertito dalla L. n. 221/2012) ha disposto la proroga dei titoli sino al 31 dicembre 2020 «in attesa del riordino della materia»; da ultimo, il D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (come convertito dalla L. del 17 luglio 2020, n. 77), nel recare «misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19», all’art. 182, comma 2, ha confermato la proroga automatica disposta all’art. 1, commi 682 e ss., della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), sino al 31 dicembre 2033.
[76] Lo "stabilimento" consiste nell’«esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 43 del trattato a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi» (Art. 4, n.5, Direttiva Bolkestein). Si intende per "prestatore": «qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o qualsiasi persona giuridica di cui all’articolo 48 del trattato, stabilita in uno Stato membro, che offre o fornisce un servizio”» (Art. 4, n. 2, Direttiva Bolkestein). Il "servizio" consiste in: «qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione”» (Art. 4, n.1, Direttiva Bolkestein).
[77] Sul concetto di “liberalizzazione” si v. F. LIGUORI, Liberalizzazione, Diritto comune, Responsabilità, tre saggi del cambiamento amministrativo, Napoli, 2017, 12.
[78] Si v. P. PERRONE, Concessioni demaniali marittime nella nuova prospettiva dell’Unione Europea, Padova, I edizione, 2019, 9; S. D’Acunto, Direttiva servizi (2006/123/CE): genesi, obiettivi e contenuto, Milano, Giuffrè, 2009, 4-5.
[79] Cfr. G. NICOLA, Autorizzazioni amministrative e liberalizzazione dei mercati tra diritto europeo e diritto interno, Editoriale scientifica, Napoli, 2012; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit.,193.
[80] Si v. R. PALLIGIANO, Concessioni balneari: il contrasto tra diritto interno e la Direttiva Bolkestein alla luce della “innovativa” sentenza T.A.R. Puglia, Lecce, 27 novembre 2020, n. 1321, su www.iusinitinere.it
[81] Ai sensi dell’art. 12 (“Selezione tra diversi candidati”), Direttiva Bolkestein: «1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario».
[82] In questo senso, F. DI LASCIO, Concessioni di demanio marittimo e tutela della concorrenza, in Foro amm.-Tar, 2009, 789; S. PRETE, Effetti dell’applicazione del principio comunitario di evidenza pubblica alla procedura di rilascio delle concessioni demaniali marittime, in Dir. mar., 2007, 1062 ss; V.E. NESI, R. RIGHI, Riflessioni sull’applicazione della Direttiva servizi alle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, in Nel Diritto, VIII, 2014, 1521, per cui “il bene demaniale, infatti, non è ex se un bene produttivo. È l’azienda del concessionario ad imprimere al bene pubblico una destinazione produttiva o, melius, a incorporare il bene pubblico nell’azienda privata. Ma anche dopo l’incorporamento del bene demaniale nell’azienda del concessionario, il primo continua a restare area di sedime. È l’azienda del concessionario, e non la zona demaniale su cui tale azienda insiste, a produrre servizi”.
[83] Sul punto, si v. G. GUZZO, R. PALLIGIANO, Concessioni demaniali marittime e rapporto concessorio tra esigenza di tutela del privato e salvaguardia delle norme eurounitarie, su LexItalia.it, 2021, n. 1.
[84] Art 4, punto 8, Direttiva 2006/123/CE: per cui i "motivi imperativi d’interesse generale" sono: “motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica, la sanità pubblica, il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l’equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale”. Sul punto si v. L. DI GIOVANNI, Le concessioni demaniali marittime e il divieto di proroga ex lege, (Nota a): Corte giustizia UE, 14 luglio 2016, n.458, sez. V, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 03-04, 2016, 912: «Tali eccezioni possono rinvenirsi, ad esempio, nell'applicazione dei principi del legittimo affidamento e di certezza del diritto. Il primo principio costituisce regola generale dell'ordinamento europeo, operante non solo in relazione agli atti propriamente amministrativi, ma anche rispetto a quelli di carattere legislativo, nei rapporti tra privati, Stati membri ed Istituzioni comunitarie, il cui significato coincide con la fiducia che i consociati ripongono nella stabilità di un certo assetto normativo per ragioni di coerenza dell'ordinamento giuridico».
[85] Afferma la Corte di Giustizia nella sentenza n. 458/2016: «Da quanto precede risulta che l'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati». In questo senso, un eventuale rinnovo della concessione può avvenire solo all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, e non, come avviene nel sistema italiano, sulla base di una valutazione aprioristica e arbitraria del legislatore.
[86] Ex multis, TAR Firenze, (Toscana) sez. II, 20 febbraio 2020, n. 220; Cons. St., sez. VI, 9 luglio 2019, n. 4795; TAR Cagliari, (Sardegna) sez. I, 15 febbraio 2018, n.128; TAR Roma, (Lazio) sez. II, 9 maggio 2017, n. 5573.
[87] Tratta, tra le altre cose, G. GUZZO, R. PALLIGIANO, Concessioni demaniali marittime e rapporto concessorio tra esigenza di tutela del privato e salvaguardia delle norme eurounitarie, su LexItalia.it, 2021, n. 1.
[88] In tal senso si v. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 917.
[89] Si v. R. GIOVAGNOLI, Compendio di diritto amministrativo, Torino,2020, 604.
[90] Si v. F.G. SCOCA, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, in Giustamm.it, 2007, n. 1.
[91] Recita l’art. 1441, co. 1, c.c.: “L'annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge”.
[92] Sul punto si v. L.M. PETRONE, Tutela in forma specifica e tutela per equivalente, in l’Amministrativista, 2016.
[93] Così, V. LOPILATO, Vizi della procedura di evidenza pubblica e patologie contrattuali, in Foro amm., TAR, 2006, 1519
[94] In dottrina, a sostegno di questa tesi si v. V. CERULLI IRELLI, L’annullamento dell’aggiudicazione e la sorte del contratto, in Giorn. dir. amm., 2002, 1195 ss.; G. CORAGGIO, Effettività del giudicato e invalidità del contratto stipulato a seguito di aggiudicazione illegittima, in Dir. proc. amm., 2003, 776 ss. Rileva F.G. SCOCA, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, che nella tesi della nullità virtuale «non è l’annullamento dell’aggiudicazione a rilevare quale causa della nullità, bensì la violazione di norme imperative in sé considerata, o, se si vuole, la illegittimità dell’aggiudicazione».
[95] Rileva il carattere “maggioritario” della tesi in questione, Cons. St., Sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2992. Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 marzo 1993, n. 435, secondo cui «L’atto di aggiudicazione di una gara pubblica per l’affidamento di un’opera o di un servizio costituisce il presupposto unico ed indefettibile della successiva stipulazione del formale contratto di appalto o di concessione (…). Sicché, in conformità della costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia, deve ritenersi che l’annullamento dell’atto presupposto (nella specie l’aggiudicazione) determini ex se l’automatica rimozione dell’atto consequenziale (la successiva stipula ed approvazione del relativo contratto) senza bisogno che quest’ultimo formi oggetto di autonoma o separata impugnativa». In dottrina si v. F. MERUSI, Annullamento dell’atto amministrativo e caducazione del contratto, in Foro amm., TAR, 2004, 569 ss., spec. 575.
[96] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, secondo cui la tesi della “caducazione automatica”, «prendendo spunto dal rilievo che l’aggiudicazione costituisce il presupposto determinante della stipulazione, conclude, secondo la logica dell’effetto caducante automatico, nel senso che l’inefficacia dell’atto amministrativo ex tunc travolto dall’annullamento giurisdizionale comporta anche la caducazione immediata, non necessitante di pronunce costitutive, degli effetti del negozio».
[97] Nello stesso senso, P. CARPENTIERI, Annullamento dell’aggiudicazione e contratto, in Giorn. dir. amm., 2004, 20.
[98] Stabilisce l’art. 23, comma 2, c.c.: «L'annullamento ella deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima».
[99] Sostengono la tesi dell’inefficacia relativa: F.G. SCOCA, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, in Giustamm.it, 2007, n. 1; G. GRECO, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Torino 2003, 169 ss.; C. LEONE, La tutela del contraente di buona fede nei contratti della pubblica amministrazione, in Foro amm., C.d.S., 2004, 947. Come rilevato da S. Iachelli, Annullamento dell’aggiudicazione definitiva e sorte del contratto, in Rivista Cammino Diritto, 2016, n. 6: «Anche la teoria dell’inefficacia relativa non è stata esente da critiche, soprattutto perché non distingue tra l’inefficacia in senso ampio, intesa come incapacità dell’atto di produrre effetti, quale ne sia l’origine e, quindi, comprensiva anche dell’invalidità, e l’inefficacia in senso stretto, che si configura quando l’atto, pur, essendo valido, non è in grado di produrre effetti».
[100] La “direttiva ricorsi” è stata recepita con il D. Lgs. n. 53/2010, i cui contenuti, inizialmente inseriti nel codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 163/2006), sono stati trasferiti nel codice del processo amministrativo (approvato con D. LGS. n. 104/2010).
[101] In questi termini si esprime F. FRACCHIA, Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, su Giustamm.it, 2010, n. 7.
[102] Come affermato in Cass., sez. un., 17 giugno 1991 n. 6846, ivi, 1992, I, 1014: «l'azione volta all'annullamento di detto contratto, ancorché proposta dal contraente privato, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso altresì che, una volta intervenuta l'aggiudicazione definitiva con valore costitutivo del rapporto contrattuale, l'aggiudicatario vanta una posizione di diritto soggettivo, come tale tutelabile innanzi al giudice ordinario, e non una posizione di interesse legittimo, qual è invece quella degli altri partecipanti (non aggiudicatari) alla gara, i quali possono dedurne gli eventuali vizi di legittimità innanzi al giudice amministrativo». Nello stesso senso si v. Cass., sez. un., 15 luglio 1999 n. 391, ivi, 1999, I, 1368; Cass. 22 dicembre 1999 n. 931.
[103] Non fu sufficiente a scalfire tale tesi l’attribuzione al giudice amministrativo della “giurisdizione esclusiva” sulle controversie inerenti alle procedure di evidenza pubblica, in quanto si riteneva che si estendesse sino al momento aggiudicazione e non oltre. In questo senso Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 2007, n. 7169, secondo cui «gli artt. 6 e 7, L. n. 205 del 2000, nonché l'art. 244 D.L. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici), nell'attribuire alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture e, quelle tassativamente indicate, relative alla successiva fase contrattuale, confermano che, rientrano nella giurisdizione ordinaria le domande volte ad ottenere la dichiarazione di nullità o di inefficacia ovvero l'annullamento del contratto di appalto per le irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte» in Giustizia Civile 2008, 6, I, 1456. Contra, G. Tulumello, Vizi del procedimento di evidenza pubblica e regime dei contratti della pubblica amministrazione, in Foro Amm.vo-Consiglio di Stato, 2003, 3320 e ss.: «In relazione al profilo della giurisdizione, un ulteriore percorso ermeneutico per l’affermazione della inclusione dell’azione di nullità nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, al di fuori della prospettiva della fattispecie complessa di natura risarcitoria indicata nel testo, concerne la sua attrazione nel novero delle “controversie relative a procedure di affidamento di lavori servizi e forniture” (art. 6, l. 205/200), e muove dal rilievo che, escludendo le controversie relative all’impugnazione degli atti del procedimento di evidenza pubblica (già conosciute dal giudice amministrativo, nella giurisdizione generale di legittimità, secondo il criterio di riparto fondato sulla causa pretendi, in relazione alla posizione d’interesse legittimo dei partecipanti alla gara), la nuova norma attributiva della giurisdizione (esclusiva) non può che avere il significato di riferirsi a liti, pur sempre inerenti la fase di formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione, in cui si faccia questione di un diritto soggettivo: fra le quali rientra l’azione volta far dichiarare la nullità del contratto, per un vizio relativo a tale fase».
[104] In questi termini Cons. Stato, ad. plen. 30 luglio 2008, n. 9. Sul punto si v. R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 920.
[105] Sul punto si v. Cass., sez. un., ordinanza 10 febbraio 2010, n. 2906, la quale, operando un revirement della precedente pronuncia del 2007, ritiene che «[…] la direttiva 11 dicembre 2007 n. 2007/66/Ce […] prevedendo l'attuazione di principi corrispondenti a quelli di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo disegnato negli art. 24 e 111 cost., consente un'interpretazione costituzionalmente e, quindi, comunitariamente (ex art. 117 cost.) orientata delle norme sulla giurisdizione, in virtù della quale nelle predette controversie […] va riconosciuto rilievo alla connessione tra le domande di annullamento dell'aggiudicazione e di caducazione del contratto di appalto concluso a seguito dell'illegittima aggiudicazione, con la conseguente attribuzione di entrambe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 244 d.lg. 12 aprile 2006 n. 163», in Giust. civ. Mass. 2010, 2, 175.
[106] Il D. Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, (in vigore dal 27 aprile 2010), recepisce nell’ordinamento interno italiano la “direttiva ricorsi” n. 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, del Parlamento europeo e del Consiglio.
[107] In questi termini, R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 921.
[108] Cfr. considerando 14, “direttiva ricorsi”. Sul punto, R. DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo, luglio 2010, in www.giustamm.it.
[109] Cons. St., sez. VI, n. 2332/2003.
[110] In questi termini F. FRACCHIA, Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, cit., su Giustamm.it, 2010, n. 7.
[111] Cfr. Cons. St., sez. VI, 21 febbraio 2017, n. 775, per cui la sola violazione dello standstill period non può comportare l’annullamento dell’aggiudicazione ma solo l’applicazione (anche d’ufficio) delle sanzioni alternative previste dall’art. 123 c.p.a..
[112] Come affermato dall’art. 121 c.p.a., comma 2, lett. c).
[113] In dottrina si discute circa la natura dichiarativa o costitutiva della dichiarazione d’inefficacia adottata ex art. 121 c.p.a.. A favore della natura costitutiva si v. F. FRACCHIA, Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, cit., in www.giustamm.it, secondo cui il carattere costitutivo della pronuncia si evince dalla considerazione che, in mancanza di essa, il contratto continua a produrre effetti. Contra si v. Follieri, I poteri del giudice amministrativo nel decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 e negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it.
[114] Recita l’art. 121, comma 2, c.p.a.: «[…] Tra le esigenze imperative rientrano, fra l'altro, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall'esecutore attuale. Gli interessi economici possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo in circostanze eccezionali in cui l'inefficacia del contratto conduce a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all'eventuale mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporta l'obbligo di rinnovare la gara. Non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono fra l'altro i costi derivanti dal ritardo nell'esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dell'operatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia».
[115] In tal senso, si v. F. FRACCHIA, Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, cit., in www.giustamm.it.
[116] Cfr. Corte Cost. n. 14/2004.
[117] Cfr. Corte Cost. n. 283/2009; Corte Cost. n. 160/2009; Corte Cost. n. 431/2007. Sul punto si v. D’Atena. A, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni Costituzionali, 2003, n.1.
[118] In questi termini L. BUFFONI, La “tutela della concorrenza” dopo la riforma del Titolo V: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Le Istituzioni del Federalismo, 2003, n. 2.
[119] Infra par. 3.2.1, dove è stato evidenziato che il rilascio della concessione demaniale marittima debba avvenire all’esito di una procedura competitiva, non costituendo un ostacolo all’applicazione dell’evidenza pubblica la natura provvedimentale della stessa concessione.
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