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Pubbl. Ven, 26 Feb 2021

Distanze legali tra edifici e regolamenti edilizi: se cambia la destinazione d´ uso è necessario verificare le distanze

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Lorenza Di Martino
AvvocatoUniversità degli Studi di Torino



Il presente contributo si propone di chiarire le motivazioni poste alla base della sentenza della Corte di cassazione del 18 giugno 2020, n. 11845, con la quale si conferma che nel caso in cui una norma regolamentare locale consenta di porre determinate costruzioni a distanza inferiore rispetto a quella prescritta per le restanti costruzioni, purché abbiano una specifica destinazione, il successivo mutamento di destinazione del manufatto, ancorché non accompagnato da modifiche strutturali o aumenti di volumetria, impone di verificare la perdurante legittimità dell’opera proprio alla luce della diversa destinazione assunta in concreto.


Sommario: 1. Premessa; 2. Le distanze legali e la destinazione urbanistica; 3. Sopraelevazione e mutamento di destinazione d’uso per la legittimità del fabbricato; 4. La derogabilità delle disposizioni in tema di distanze legali; 5. Conclusioni.

1. Premessa

I giudici della Suprema corte, con la pronuncia del 18 giugno 2020, n. 11845, hanno affrontato una questione che spesso influenza i rapporti di vicinato: il tema delle distanze legali, così come disciplinato nel Codice civile e nei regolamenti locali, cercando di chiarire la rilevanza in tale contesto del mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato.

Posto che «i confini del fondo segnano, in senso orizzontale, il limite entro il quale ciascun proprietario esercita la facoltà di godimento insita nel suo diritto di proprietà»[1], non si può negare l’impossibilità di escludere l’interazione con ciò che sta fuori da tali confini. Il legislatore è, pertanto, chiamato a prevedere norme che, da un lato, possano garantire la pacifica convivenza tra i consociati e, dall’altro, permettano di mantenere ordine a livello urbanistico[2].

2. Le distanze legali e la destinazione urbanistica

La distanza tra edifici è determinata dall’art. 873 c.c., che nel disciplinare l’attività edificatoria dei suoli, pone un limite minimo di tre metri tra le costruzioni su fondi finitimi, secondo la ratio del Testo unico in materia edilizia, D.P.R. 380/2001 e della l. 443 del 2001, interventi normativi volti a contemperare l’interesse generale alla tutela del paesaggio, con quello del privato a edificare sul proprio suolo. Lo scopo principale del limite posto è quello di garantire che non si creino intercapedini tra le costruzioni tali da ostacolare il passaggio di luce e aria[3], compromettendo l’igiene, il decoro e la sicurezza degli abitanti nel godimento della proprietà; al contrario, sono generalmente ammesse costruzioni in appoggio o in aderenza.

La disposizione richiamata, con il secondo comma, ammette però una deroga: i regolamenti locali in tema di rapporto di vicinato edilizio possono prevedere distanze differenti, ma «qualora sia accertata la violazione delle distanze tra costruzioni, è preclusa al giudice ogni indagine sull’idoneità dell’intercapedine ad arrecare il pregiudizio per l’igiene e la salubrità dell’ambiente che le norme sulle distanze intendono impedire, in quanto la legge, imponendo l’osservanza di determinate distanze, ha ritenuto che soltanto queste valgano presuntivamente a soddisfare le esigenze di sicurezza ed igiene»[4]. Le norme che prevedono il rispetto di particolari distanze hanno, infatti, carattere preventivo, perché si applicano indipendentemente dalla sussistenza di un danno.

É opportuno anche precisare che per l’ordinamento la destinazione urbanistica indica la funzione riconosciuta all’immobile, in considerazione delle caratteristiche architettoniche e strutturali che lo connotano. Per ottenere l’autorizzazione al cambio di destinazione è necessario presentare una SCIA - Segnalazione Certificata di Inizio Attività - con l’asseverazione di un tecnico abilitato, quando non servono particolari opere; se, invece, il cambio richiede le esecuzioni di interventi peculiari, occorre domandare il Permesso di Costruire, subordinato alla previa esecuzione dei controlli necessari e all’attestazione della congruità del piano di lavori con gli strumenti urbanistici in vigore.

3. Sopraelevazione e mutamento di destinazione d’uso per la legittimità del fabbricato

Dallo svolgimento dei fatti di causa si evince che nel corso del procedimento di secondo grado, una consulenza tecnica d’ufficio ha rilevato che le modifiche apportate con la realizzazione di un tetto a due falde sopra l’originaria copertura orizzontale hanno determinato un modesto innalzamento del bene, senza rendere praticabile il sottotetto.

Per costante giurisprudenza si ritiene che vi sia sopraelevazione tutte le volte in cui ricorre un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, come avvenuto nel caso di specie[5]. Le intervenute modifiche al tetto possono, pertanto, ritenersi integranti una nuova costruzione. Ciò determina una conseguenza fondamentale: la disciplina applicabile in tema di distanze legali, in presenza di una nuova costruzione, sarà quella vigente al momento della relativa edificazione[6].

A voler essere ancor più precisi, gli Ermellini nella pronuncia oggetto della presente analisi hanno richiamato un precedente per cui

«in materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura; spetta al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali»[7].

L’aspetto innovativo della questione affrontata sta nella rilevanza attribuita alla destinazione d’uso dell’immobile ai fini della valutazione della legittimità della costruzione in tema di distanze legali, a seguito di interventi modificativi.

Nel caso di specie la concessione edilizia ha determinato un mutamento della destinazione d’uso del fabbricato, che da pertinenziale è divenuto residenziale. La deroga al regime della distanza tra edifici del Codice civile, prevista dall’art. 35 Regolamento edilizio comunale che aveva legittimato in origine la costruzione, si basava proprio sulla particolare destinazione d’uso del fabbricato.

È stato, pertanto, il successivo mutamento di destinazione d’uso a determinare l’applicazione della disciplina più rigorosa in relazione alle distanze. E come la pronuncia stessa tiene a precisare, non si tratta di un caso di ius superveniens[8] più sfavorevole. La disposizione locale di cui si chiede l’applicazione è rimasta immutata e ciò implica che se oggi venisse realizzata una costruzione a destinazione residenziale con le caratteristiche che ha assunto il bene a seguito delle modifiche denunciate, risulterebbe evidentemente illegittima e non potrebbe porsi alla distanza nella quale è invece collocata.

Per di più, sin dal principio la norma locale aveva considerato la destinazione dell’immobile come essenziale per individuare a quale distanza dovesse essere posto l’edificio vicino. Pertanto, pur in assenza di modifiche strutturali del fabbricato, secondo ciò che emerge dalla valutazione dei giudici della Suprema corte, la legittimità dell’opera deve essere rivalutata, tenendo conto del mutamento intervenuto a seguito di nuova concessione edilizia, in modo da applicare le disposizioni locali previste per i fabbricati ad uso residenziale.

4. La derogabilità delle disposizioni in tema di distanze legali

Vi è un secondo quesito per il quale la pronuncia in commento offre una soluzione: la derogabilità delle disposizioni che disciplinano le distanze tra fabbricati.

Gli Ermellini hanno negato la legittimità della scrittura privata per ammettere fabbricati realizzati in violazione delle distanze previste dal regolamento edilizio locale.

Per comprendere le motivazioni poste alla base di tale affermazione è però opportuno tenere in debita considerazione la ratio che distingue le previsioni codicistiche dalle norme integrative, i c.d. regolamenti edilizi. Le prime hanno senza dubbio una natura dispositiva, in quanto sono previste dall’ordinamento proprio per la tutela di interessi privatistici e, pertanto, sono derogabili mediante convenzione[9]. Le altre, invece, presentano carattere cogente perché, pur essendo fonte di diritti subiettivi, sono volte ad interessi più generali, di tipo urbanistico e non sono disponibili da parte dei privati[10].

Sulla base di tali elementi, solo le norme codicistiche ammettono deroga convenzionale. Non bisogna però dimenticare che, senza distinzione circa la natura delle norme, è ritenuto ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù relativa al mantenimento di una costruzione ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge[11].

Ciò è il frutto di un’evoluzione giurisprudenziale: in merito alla possibilità di derogare alle disposizioni in tema di distanze tra edifici, sia per mezzo di acquisto per usucapione della servitù, sia per mezzo di un contratto, si registravano opinioni contrastanti. Da un lato, vi era chi riteneva di escludere la derogabilità delle norme in tema di distanze e, dall’altro, chi ammetteva la legittimità di una deroga convenzionale per gli edifici posti a distanze inferiori.

In seguito, la giurisprudenza, soffermandosi sulla diversa natura degli istituti del contratto e della servitù, ha riconosciuto l'acquisto per usucapione di una servitù per la conservazione dell’immobile a distanza inferiore rispetto a quella legale [12]. Negare tale ipotesi significherebbe rendere instabili, in maniera perpetua, i rapporti tra vicini: in ogni momento, anche oltre venti anni dopo la realizzazione di una costruzione, un confinante potrebbe agire per ottenere il rispetto delle distanze legali.

5. Conclusioni

In conclusione, si rileva che le disposizioni in tema di distanze legali, previste dai regolamenti edilizi, non possono essere derogate convenzionalmente e ciò emerge in maniera chiara dalla pronuncia in commento. Ogni accordo delle parti deve reputarsi affetto da nullità, a nulla rilevando l’esistenza, nel caso di specie, di una scrittura privata, con la quale si autorizzava il mantenimento dell’edificio nella collocazione originaria[13].

La deroga di tali previsioni normative non può in alcun caso dipendere dalla volontà delle parti, per esigenze garantistiche dell'ordinamento e se la destinazione d'uso di un fabbricato è requisito che ammette l'applicazione di una norma speciale in tema di distanze, il successivo mutamento impone di verificarne la perdurante legittimità proprio rispetto a tale elemento, pur in assenza di modifiche strutturali o aumenti di volumetria.


Note e riferimenti bibliografici

[1] F. GALGANO, Trattato diritto civile, Vol. I, Padova, 2015, 412.

[2] Cass. civ. Sez. un. Sent., 24 settembre 2014, n. 20107.

[3] M. SCARLATA FAZIO, voce Distanze legali (diritto romano), in Enc. del dir., XIII, Milano, 1964, 279, ove Giustiniano viene identificato quale precursore della disciplina in tema di distanze legali in virtù del fatto che per primo segnalò l’esigenza di mantenere il c.d. “vento dell’aia”. Il concetto di distanze legali inteso in senso moderno e non come meccanismo di protezione del dominus nel suo rapporto con la cosa emerge a partire dal Medioevo e la sua evoluzione va di pari passo con il mutamento stesso della concezione proprietaria. Oggi, la normativa in tema di distanze legali si connota di una duplice natura: una privatistica e più risalente, volta a tutelare il diritto del proprietario di godere del bene in modo pieno ed esclusivo; e quella pubblicistica che identifica le distanze come limiti legali ai quali il diritto di proprietà deve conformarsi per la tutela dell’interesse della collettività a vivere in un ambiente salubre.

[4] Cass. civ. Sez. II Sent., 05 maggio 2015, n. 8935.

[5] Cass. civ. Sez. III Sent., 15 giugno 2018, n. 15732, Cass. civ. Sez. II Sent., 03 gennaio 2011, n. 74.

[6] Cass. Civ. Sez. Un. Sent., 19 ottobre 2011, n. 21578.

[7] Cass. civ. Sez. II Sent., 25 settembre 2006, n. 20786.

[8] Sul punto si veda Cass. civ. Sez. II Sent., 23 ottobre 2018, n. 26886, secondo cui in materia di rispetto delle distanze, lo ius superveniens che contenga prescrizioni più restrittive incontra la limitazione dei diritti quesiti e non trova applicazione con riferimento alle costruzioni che, al momento della sua entrata in vigore, possono considerarsi già sorte, in ragione dell’avvenuta realizzazione delle strutture organiche, costituenti punti di riferimento essenziali per la misurazione delle distanze.

[9] Cass. civ. Sez. II Sent., 02 marzo 2018, n. 5016. Le convenzioni in deroga alle distanze previste dal codice, arrecano una menomazione per l’immobile e concretano veri e propri atti costitutivi di servitù, in quanto tali assoggettati alla forma scritta ad substantiam ex art. 1350 n. 4 c.c. È dibattuto in giurisprudenza se il diritto a tenere la propria costruzione a distanza inferiore a quella legale possa essere acquistato anche mediante possesso ad usucapionem per la durata prevista dalla legge. L’orientamento più recente sembra positivo (Cass. civ. Sez. II, 22 febbraio 2010, n. 4240), ma non mancano pronunce in senso contrario, che argomentano nel senso che l’ordinamento non può accordare tutela ad una situazione in contrasto con l’ordinamento pubblico per inerzia del vicino (Cass. civ. Sez. II Sent., 03 ottobre 2007, n. 20769).

[10] Cass. civ. Sez. II Sent., 31 maggio 2006, n. 12966.

[11] Cass. civ. Sez. II Sent., 22 febbraio 2010, n. 4240 e in senso conforme Cass. civ. Sez. II Sent., 23 gennaio 2012, n. 871 e Cass. civ. Sez. II Sent., 07 settembre 2009, n. 19289.

[12] Cass. civ. Sez. II Sent., 11 giugno 2018, n. 15041 e si veda Cass. civ. Sez. II, Ord., 14 maggio 2019, n. 12793, per cui elemento imprescindibile affinché possa ipotizzarsi l’acquisto per usucapione del diritto a mantenere una costruzione ad una distanza inferiore a quella di legge, è che esista una costruzione visibile e permanente, destinata in modo non equivoco all’esercizio della servitù e visibile dal fondo sul quale l’onere grava, in modo da poterne presumere la conoscenza da parte del proprietario di esso e porre, a base dell’usucapione, la sua inerzia per oltre venti anni.

[13] Cass. civ. Sez. II Ord., 18 ottobre 2018, n. 26270, Cass. civ. Sez. II Sent., 23 aprile 2010, n. 9751.