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Pubbl. Ven, 28 Ago 2015

Non punibile il convivente che ha commesso il reato per salvare il prossimo congiunto. (Sent. Cass. 34147/2015)

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Gemma Occhipinti


Un altro passo verso il riconoscimento giuridico delle convivenze.


Lo scorso 4 Agosto sono state depositate le motivazioni della pronuncia della Corte di Cassazione numero 34147 del 2015. Tra le tante questioni di diritto affrontate dai giudici di legittimità, è emersa un’inversione di rotta in merito all’applicabilità dell’art. 384 comma 1 c.p. al convivente more uxorio. La ricorrente, in effetti, aveva consentito al convivente -coimputato nel medesimo procedimento- di intestarle fittiziamente un immobile, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzioni patrimoniali; la stessa lamentava, tuttavia, la violazione dell’art. 384, asserendo che la sua condotta di favoreggiamento ex art. 378 c.p. non avrebbe dovuto essere considerata punibile dai giudici di secondo grado.

Nella sua analisi, la Suprema Corte ripercorre le diverse posizioni assunte nel tempo, evidenziando una progressiva apertura verso una regolamentazione giuridica delle convivenze. Come è noto, la Corte Costituzionale aveva, negli anni ’80, reiteratamente negato l’illegittimità costituzionale della mancata equiparazione del convivente more uxorio al coniuge, fondando le sue decisioni sulla insopprimibile diversità ontologica tra le condizioni di coniuge e convivente. Diversamente opinando, infatti, si sarebbe corso il rischio di violare non solo l’art. 29 Cost. - che fa chiaramente riferimento alla famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” - ma anche l’art. 3 laddove effettivamente imponga, in una prospettiva di uguaglianza sostanziale, di trattare situazioni diverse in maniera differente. Deve comunque riconoscersi che lo stesso Giudice delle Leggi aveva, sin da allora, manifestato la consapevolezza della necessità di predisporre un'autonoma regolamentazione del fenomeno delle unioni di fatto, ad opera del legislatore ordinario; tale regolazione non poteva ovviamente avvenire mediante una pronuncia additiva della Corte stessa, che, diversamente, si sarebbe arrogata il diritto di decidere su questioni di sensibilità sociale (oltre che giuridica), indiscutibilmente affidate alle scelte del legislatore.

Si sono quindi registrati, progressivamente, parecchi interventi sia normativi che giurisprudenziali - puntualmente richiamati nella sentenza in esame - in cui si è scelto di attribuire rilevanza al fenomeno delle convivenze. Terreno fertile di discussione, si era rivelata la questione circa l’applicabilità, al convivente more uxorio, della causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista dall’ art. 649 c.p. Si ricordi, al riguardo, la sentenza della Cassazione penale n. 32190 del 2009.

Siffatte conclusioni, sono state estese anche a fattispecie criminose diverse dai delitti contro il patrimonio: nella sentenza in commento, ad esempio, è stata analizzata la posizione dei conviventi nell'ambito dei delitti contro l’amministrazione della giustizia. In particolare, la Corte si è concentrata sull’ambito applicativo dell’art. 384 c.p. giacché, al comma 1, questi prevede una causa di non punibilità a favore del prossimo congiunto. “Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371bis, 371ter, 372, 373, 374 e 378 non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore”. A questo punto è bene precisare come, le cause di esclusione della punibilità, in effetti contemplino delle situazioni in cui, pur essendo stato integrato il reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stata effettuata dal legislatore la ben precisa scelta di non punire l’autore del fatto criminoso. La ratio di tale scelta risiede in ragioni sia di opportunità sostanziale che di bilanciamento degli interessi in gioco. Nel caso di specie, a fronte di un comportamento lesivo del bene giuridico tutelato - quale il corretto funzionamento del sistema giudiziario - risulta più opportuno salvaguardare il vincolo familiare, che sarebbe inevitabilmente compromesso con una pronuncia di condanna del prossimo congiunto. Le cause di non punibilità non possono quindi essere confuse con le scriminanti o con le scusanti, il cui ricorrere impedisce la formazione stessa di una fattispecie criminosa completa. Dalla diversità concettuale ne deriva una diversità di disciplina, atteso che le cause di non punibilità si applicano esclusivamente alla persona alla quale si riferiscono e non sono estendibili analogicamente.

Il problema sottoposto all'attenzione della Corte è il seguente: può sostenersi che la necessità di tutelare il vincolo familiare mediante l'esclusione della punibilità del congiunto, sussista anche in caso di famiglia fondata su un una convivenza more uxorio?  Le argomentazioni a sostegno della risposta positiva, fornita dai giudici, sono così riassumibili:

- In primo luogo, la Corte ha preso atto dell’evoluzione del concetto di famiglia - concetto attualmente molto più ampio rispetto a quello fatto proprio dai Costituenti del 1948 - e v’è di più: come riconosciuto dai giudici di legittimità, il fenomeno delle famiglie di fatto è inversamente proporzionale a quello delle famiglie legittime. Quest’ultime sono sempre meno frequenti e sempre più soggette a crisi coniugali che spesso sfociano in separazioni e divorzi. Si tratta, insomma, di una realtà che il legislatore non può ignorare ma che, anzi, deve tenere ben presente in tutti i settori dell’ordinamento, compreso quello penale.

- In secondo luogo, per le convivenze more uxorio, è stato individuato un fondamento costituzionale diverso da quello della famiglia legittima: il fondamento della tutela delle unioni di fatto è da rinvenire, infatti, nell’art. 2 della Carta fondamentale. La norma de qua, promuovendo la tutela dell’individuo nelle diverse formazioni sociali, include tra le stesse anche le convivenze (frutto di una scelta, effettuata dalle parti, libera e comunque degna di considerazione).

- In terzo luogo, la Corte di Cassazione ha correttamente richiamato l’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La noma stabilisce come ogni persona abbia diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza; in mancanza di specificazione alcuna, la giurisprudenza della Corte EDU ha accolto una nozione estensiva di famiglia, senza ancorarla al vincolo matrimoniale ma ricomprendendovi anche i rapporti di fatto, privi di formalizzazione legale. E’ cosa nota, in effetti, come la CEDU abbia una portata estremamente garantista; essa, spesso e volentieri, tutela situazioni e diritti in misura maggiore rispetto a quanto accade nel nostro ordinamento. L’importanza della Convenzione è dimostrata dal fatto che, qualora emergesse un contrasto insanabile con norme dell’ordinamento interno, quest’ultime dovrebbero di certo essere sottoposte al vaglio di legittimità per verificare un'eventuale violazione dell’art. 117 Cost. (parametro interposto che impone il rispetto degli obblighi assunti dall’Italia in sede internazionale). Va infatti rimarcato che, fino a quando l’Unione Europea non terminerà il processo di adesione alla CEDU, a quest'ultima non potrà essere riconosciuta la medesima rilevanza dei Trattati, ma solo il rango di Convenzione internazionale.

In effetti, il giudizio di incostituzionalità, potrebbe essere evitato qualora fosse possibile fornire un’interpretazione delle norme interne che le renda compatibili con la CEDU salvandone, così, l'operatività. Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, alla luce dell'ancoraggio costituzionale nell'art. 2 del fenomeno delle convivenze, ben può concludersi nel senso dell’ammissibilità di una tutela (seppur ancora abbastanza generica) delle stesse, così da allineare le disposizioni costituzionali con quelle della Convenzione europea (come interpretate proprio dalla Corte Europea). L'esistenza di una "regolamentazione a singhiozzo" delle coppie di fatto, soprattutto a livello di legislazione ordinaria, è dovuta alla reticenza che la nostra cultura ancora dimostra nei riguardi di un fenomeno che, lungi dall’essere equiparato a quello della famiglia legittima, meriterebbe di trovare una tutela più ampia.

 

Per siffatte, motivazioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato dall’istante, annullando in parte qua e senza rinvio la sentenza, dichiarando non punibile la ricorrente per il reato di cui all’art. 378 c.p. ed enunciando il seguente principio di diritto: la causa di non punibilità, prevista dall’art. 384 co.1 c.p. in favore del coniuge, opera anche in favore del convivente more uxorio.