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Pubbl. Sab, 19 Dic 2020

La Prima Repubblica cecoslovacca dalla caduta dell´Impero all´occupazione nazista.

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Nando Ganassi



Nel corso del 2020, è caduto il centesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione della Prima Repubblica cecoslovacca (1918-1938) approvata dall’Assemblea costituente il 29 febbraio 1920. Con il presente saggio, si coglie l’occasione della ricorrenza per ripercorrere i passaggi che portarono alla nascita del nuovo stato, a seguito della dissoluzione dell’Impero Asburgico, e per analizzare succintamente il sistema istituzionale delineato dalla prima Carta costituzionale a prevedere, con alcuni mesi di anticipo rispetto a quella austriaca dello stesso anno, una Corte costituzionale informata al modello Kelseniano.


ENG The year 2020 marks the centenary of the entry into force of the Constitution of the First Czechoslovak Republic (1918-1938), approved by the Constituent Assembly on February 29th, 1920. We desire to get this chance by retracing the steps that marked the birth of the new state, following the dissolution of the Austro-Hungarian Empire, to briefly analyse the institutional system outlined by the first Constitution that provided, with some months ahead of the Austrian one, for a Constitutional court shaped by the Kelsenian model.

Sommario: 1. Premessa; 2. La dissoluzione dell’Impero austro-ungarico; 3. L’edificazione di una nazione; 3.1. Le Terre ceche nel periodo prebellico; 3.2. Il periodo bellico e l’Indipendenza; 3.3. Questioni contingenti alla nascita del nuovo Stato; 4. Gli organi costituzionali della Repubblica; 4.1. Il potere legislativo: l’Assemblea Nazionale; 4.1.1. Il Sistema elettorale e la cd. “clausola cecoslovacca”; 4.2. Un potere esecutivo dualista; 4.2.1. Il Governo; 4.2.2. Il Presidente della Repubblica; 4.3. Alcuni tratti del sistema giudiziario; 4.4. La Corte costituzionale; 5. La fine della Prima Repubblica cecoslovacca; 5.1. L’accordo di Monaco; 5.2. L’istituzione del Protettorato e della Repubblica Slovacca.

 

1. Premessa

In considerazione della ricorrenza del centesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione cecoslovacca del 1920, caduto nella prima parte dell’anno corrente, il presente elaborato mira a svolgere una concisa panoramica sul contesto istituzionale della Prima Repubblica cecoslovacca (1918-1938).  
Sviluppando l’itinerario a partire dalle ragioni storiche che portarono alla caduta dell’Impero asburgico e alla conseguente nascita di uno stato indipendente nell’area comprensiva delle Terre ceche e della Slovacchia, si procederà poi con l’analisi dei mutamenti istituzionali caratterizzanti lo stato appena fondato, con l’obiettivo precipuo di mettere in luce tratti peculiari, punti di forza e aspetti di debolezza di un ordinamento costituzionale particolarmente avanzato per il suo tempo rispetto al contesto europeo.

2. La dissoluzione dell'Impero austro-ungarico

Sebbene dal punto di vista dell’osservatore contemporaneo la dissoluzione dell’Austria-Ungheria appaia quale esito inevitabile del primo conflitto mondiale, la situazione percepita nei territori della monarchia asburgica nel periodo precedente allo scoppio della Grande Guerra era alquanto differente.  
Isolate le eccezioni delle aspirazioni irredentiste che caratterizzavano le province italiane, benché non ancora con modalità apertamente conflittuali, e la Serbia in modo già robusto e aggressivo, il cuore dell’Impero appariva chiaramente forte e coeso, fintanto all’inizio della seconda decade del Ventesimo secolo.

Un passaggio di un discorso pronunciato nel 1913 durante una seduta del Parlamento viennese dal politico ceco Tomas Mašárik – il quale, negli anni successivi dell’esilio, diverrà non solo uno dei protagonisti della lotta per la conquista dell’indipendenza della nazione cecoslovacca, ma tornato in patria anche il primo presidente della Repubblica – appare di particolare interesse a tale riguardo:

"Giustamente non mi sono mai sognato di pensare alla caduta dell’Austria perché io so che, nel bene o male, quest’Austria deve durare, e mi sembra mio dovere fare qualcosa. I nostri progetti di diritto pubblico o di riforma amministrativa non devono tendere ad indebolire gli altri (paesi), ma rendere più forte l’insieme[1].
Purtroppo, l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Asburgo, compiuto il 28 giugno 1914 per mano dell’attentatore serbo Gavillo Princip, rappresentò l’innesco di una miccia che da lì a poco condusse all’esplosione di un conflitto sul territorio europeo che in breve tempo avrebbe assunto proporzioni colossali.         
Gli eventi successivi sono storia tristemente nota. L’appiattirsi dell’Austria sulle politiche aggressive del bellicoso alleato tedesco e, in seguito, la trasformazione della struttura del conflitto da guerra di movimento a guerra di trincea portarono rapidamente l’Impero austro-ungarico in uno stato di grave crisi economica che aprì la strada a una ancor più rilevante resa dei conti tra i vari gruppi etnici riuniti sotto il riflesso, ormai opaco, della corona asburgica.       
Come la storiografia pone in evidenza, anche grazie all’autorevole contributo di John W. Mason, le questioni riguardanti le diverse nazionalità misero in secondo piano tutte le altre vertenze interne ai domini della monarchia asburgica e l’impossibilità di porvi rimedio rappresentò la causa decisiva di collasso dell’Impero[2].

3. L'edificazione di una nazione

3.1 Le Terre ceche nel periodo prebellico

Nonostante il lungo dominio della dinastia asburgica sulle Terre ceche, risalente alle prime decadi del Sedicesimo secolo, il paese e i suoi abitanti riuscirono a mantenere salda la propria identità nazionale[3].
A tale riguardo, e a titolo esemplificativo, si può sottolineare come negli anni poco precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale l’apparato burocratico degli organismi amministrativi in Boemia fosse composto per più del 94% da impiegati di origine ceca, mentre solo il 5,5% era di origine tedesca[4].
I sentimenti verso la monarchia erano piuttosto altalenanti e conflittuali.          
Le persone generalmente non apprezzavano pienamente la monarchia (la questione della cd. rivalità boemo-germanica era già sentita e i cechi parevano consapevoli che non avrebbero trovato un interlocutore disponibile in essa a tale riguardo).          
Le opinioni all’interno del ceto politico boemo erano altrettanto variegate.       
La maggior parte dei rappresentanti politici non si contrapponeva alla monarchia. Anche i socialdemocratici ritenevano che i loro propositi potessero realizzarsi gradualmente al di sotto dell’ombrello comune del sistema vigente a quel tempo.          
L’idea di una nuova nazione indipendente dall’influenza austriaca cominciò a essere proposta da un piccolo gruppo di politici (considerati di idee radicali) all’interno del quale un ruolo centrale fu assunto, successivamente, da Tomas Mašárik.            
Dopo l’inizio della Prima guerra mondiale, Mašárik mutò in modo netto la propria posizione riguardo alla condizione delle Terre ceche e alla monarchia: dal suo seggio a Vienna iniziò ad attaccare l’alleanza con la Germania e le politiche intransigenti dell’Austria-Ungheria contro gli altri gruppi etnici parte dell’Impero[5].

3.2. Il periodo bellico e l'Indipendenza

Al diffondersi, all’interno delle Terre ceche, degli ideali relativi alla creazione di una nazione indipendente, così come nelle altre zone dell’Impero dove andavano assumendo vigore le rivendicazioni di autodeterminazione dei popoli, il governo centrale dell’Austria-Ungheria rispose adottando politiche fortemente repressive.           
La censura della stampa e il divieto di dibattiti e manifestazioni pubbliche divennero la norma. Le persone accusate di tradimento o di attività eversive venivano arrestate e incarcerate.   
Diversi esponenti del movimento per l’indipendenza seguirono questo destino e altri, come Tomas Mašárik e Edvar Beneš, preferirono l’esilio dal quale, nondimeno, riuscirono a svolgere un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’indipendenza.  
Il Consiglio Nazionale cecoslovacco fu istituito a Parigi nel novembre 1915 da Mašárik, i suoi collaboratori e i rappresentanti degli Slovacchi che nel frattempo si erano uniti alla causa.
Oltretutto, è bene ricordare come Tomas Mašárik sia considerato l’“ideatore” della Cecoslovacchia, della quale non vi erano chiare radici storiche prima di allora.       
Il periodico britannico The New Europe[6] contribuì a una rapida diffusione dei progetti del Consiglio cecoslovacco che trovarono il supporto degli Alleati (per i quali, inoltre, l’istituzione di uno stato cecoslovacco indipendente rappresentava un rilevante interesse strategico).
Grazie al supporto degli Alleati, una dichiarazione di unione politica tra i cechi e gli slovacchi fu infine siglata[7]
Successivamente, il Consiglio Nazionale fu trasformato nel Governo Provvisorio della Cecoslovacchia in esilio, mentre in patria venne costituito il suo organismo ufficiale di rappresentanza: il Comitato Nazionale della Cecoslovacchia[8] (formato da membri nominati dai partiti politici in proporzione ai risultati delle ultime elezioni del Reichsrat).
La Dichiarazione di Indipendenza della Cecoslovacchia verrà redatta dai rappresentanti cecoslovacchi a Washington e pubblicata dal Governo Provvisorio il 18 ottobre 1918. Trascorsi solo dieci giorni da quel momento, il 28 ottobre 1918 la nascita del nuovo stato indipendente fu solennemente proclamata dal Comitato Nazionale a Praga.

3.3. Questioni contingenti alla nascita del nuovo Stato

Riguardo agli aspetti giuridici del nuovo ordinamento, dopo il varo della Costituzione provvisoria (il 13 novembre 1918, mediante la quale veniva adottata una forma di governo parlamentare), un altro importante atto venne adottato dal Comitato Nazionale: il cd. Reception Act che sanciva il principio di continuità giuridica con l’ordinamento previgente dell’Austria-Ungheria.         
Quest’ultimo atto trasponeva un sistema giuridico duale per il neonato Stato, mantenendo sostanziali differenze tra le diverse aree dello stesso paese: le Terre ceche durante l’epoca imperiale furono sotto l’influenza della tradizione legale austriaca, mentre la Slovacchia era parte della tradizione legale del sistema giuridico ungherese.
Fatte salve alcune eccezioni (ad esempio, l’incompatibilità espressa delle previgenti leggi austro-ungariche che si ponessero in contrasto con l’avvento dell’Indipendenza del nuovo Stato), l’ordinamento cecoslovacco rimase legato alla precedente tradizione giuridica fino agli anni Cinquanta del secolo scorso[9].
Allo stesso modo con cui le minoranze etniche costituirono uno dei principali problemi dell’Impero, la Cecoslovacchia dovette seriamente confrontarsi con esse e, in particolare, con la minoranza di origine germanica che rappresentò un decisivo elemento di destabilizzazione del paese nel corso degli anni repubblicani.                 
Tra le cd. minoranze nazionali, quella di origine germanica era la più consistente. Dalla consultazione dei dati censitari di inizio anni Venti del secolo scorso emerge il seguente quadro: oltre tre milioni di persone risultavano essere di matrice tedesca, mentre quelle censite di origine cecoslovacca si attestavano a poco meno di 9 milioni (in pratica, una sorta di stato nello stato)[10]
Dopo la proclamazione dell’indipendenza, la minoranza germanica contestò in modo deciso tale atto e non riconobbe l’autorità del nuovo ordinamento.
Nelle regioni situate lungo i confini della Boemia e della Moravia, dove la popolazione di origine germanica era maggiormente concentrata, quattro province furono dichiarate autonome da un movimento secessionista costituitosi nel frattempo.       
Tali eventi furono forieri di una seria situazione di crisi per lo Stato da poco istituito. Sul finire del 1918, anche mediante interventi militari e grazie al supporto offerto dagli Alleati, il movimento secessionista venne sconfitto.
Negli anni seguenti, il contrasto tra  minoranze etniche, e segnatamente le tensioni provenienti dal gruppo di origine tedesca, sembrarono affievolirsi per poi avvampare nuovamente nella seconda metà degli anni Trenta quando, in un paese attraversato da problemi di natura economica e da nuovi attriti sorti anche tra Cechi e Slovacchi, l’eco delle rivendicazioni per l’autodeterminazione della minoranza tedesca fu udita con interesse dalla Germania Nazista e, di conseguenza, divenne parte integrante delle rivendicazioni di Adolf Hitler di uno spazio vitale (Labensraum) per il Terzo Reich.   
Detti eventi porteranno prima alla firma dell’Accordo di Monaco e, successivamente, in spregio agli impegni assunti con il trattato appena citato, all’occupazione del paese da parte dei Nazisti.      

4. Gli organi costituzionali della Repubblica

La Costituzione della Prima Repubblica cecoslovacca venne adottata nel 1920[11] in sostituzione della Costituzione provvisoria (ma ponendosi in continuità con gli aspetti fondamentali sanciti da quest’ultima)[12]
L’assemblea costituente non fu un consesso direttamente legittimato dal voto popolare, ma composto da rappresentati nominati dai partiti cechi e slovacchi. Una delegazione di rappresentanti della minoranza tedesca non fu inclusa in ragione, almeno in parte, della riluttanza dei tedeschi dei Sudeti a riconoscere la legittimazione dell’organo costituente[13].

4.1. Il potere legislativo: l'Assemblea Nazionale

La Costituzione cecoslovacca del 1920 istituiva un parlamento bicamerale denominato unitamente Assemblea Nazionale e composto quindi da due rami: la Camera dei Deputati (formata da 300 membri) e il Senato (formato da 150 membri)[14].
I componenti di ciascuna camera venivano eletti direttamente dal popolo con modalità di suffragio universale, eguale, diretto e segreto. Il suffragio universale, riconosciuto a uomini e donne che avessero raggiunto le età prescritte in Costituzione, è considerato un importante passo in avanti nel conseguimento dell’eguaglianza di genere e un istituto che può contribuire a qualificare la Prima Repubblica cecoslovacca come un ordinamento particolarmente avanzato nel riconoscimento dei diritti politici ai cittadini rispetto a altre nazioni europee in quel determinato periodo storico[15]. Oltretutto, il voto era obbligatorio.
Nonostante il sistema parlamentare della Repubblica fosse oggetto di critiche durante la sua esistenza, in particolare per la struttura del Senato definito talvolta in termini di “superfluo duplicato”, il sistema parlamentare non era ricostruibile in termini di bicameralismo paritario[16].
Il Governo era politicamente responsabile solo nei confronti della Camera dei Deputati per il mantenimento del rapporto fiduciario. La preminenza della Camera dei Deputati sul Senato si manifestava anche nell’ambito del procedimento legislativo.    
Sebbene l’iniziativa legislativa fosse riconosciuta a ciascun deputato e a ciascun senatore all’interno dell’aula di appartenenza, la Camera poteva superare le delibere del Senato in materia legislativa con le modalità previste in Costituzione (§ 44 in particolare).  
Tale approvazione con il solo consenso della Camera non era possibile nell’eventualità di leggi costituzionali e negli altri casi in cui il consenso di entrambe le camere fosse esplicitamente richiesto ex § 42 della Costituzione.
Inoltre, i progetti di legge di iniziativa governativa sul Bilancio dello Stato o relativi alla Difesa dovevano essere presentati alla Camera dei Deputati in prima lettura (§ 41.3 della Costituzione). 
Ad ogni buon conto, le questioni oggetto di critiche in riferimento al sistema parlamentare bicamerale, poc’anzi menzionate, erano collegate anche al tipo di sistema elettorale, il quale era informato alle regole della rappresentanza proporzionale.          
Pertanto, dopo le elezioni, il Parlamento fu sempre composto da un numero elevato di partiti diversi (con la conseguente necessità di esprimere esecutivi di coalizione tra partiti rappresentati nelle camere) e l’esigenza di giungere a compromessi e conciliazioni politiche tra posizioni divergenti fu una costante della vita repubblicana.
Considerata la necessità di raggiungere accordi politici in entrambe le camere (al limite, per evitare lungaggini nelle procedure parlamentari), sono comprensibili le ragioni che portarono autori come Edvard Táborský a criticare la struttura del Parlamento e ad affermare che l’iter legis: "was in fact nothing but a duplication of party procedure"[17].  
Peraltro, benché la durata dei mandati dei due rami del Parlamento fosse differente (6 anni per la Camera e 8 anni per il Senato), entrambe le Camere furono usualmente sciolte nello stesso momento nel tentativo di assicurare una distribuzione dei seggi tra i partiti il più omogenea possibile.       
Sebbene il sistema funzionò piuttosto bene in termini di stabilità politica, soprattutto nei primi anni Venti quando le maggioranze parlamentari si stabilizzarono negli assetti relazionali tra partiti, le proposte di riforma del sistema bicamerale, mediante l’abolizione del Senato o la trasformazione della sua struttura, emersero periodicamente nel dibattito politico della Prima Repubblica cecoslovacca, ma una tale riforma non fu mai approvata. Tra i vari promotori di progetti di riforma dell’assetto parlamentare merita menzione Edvard Beneš (Primo Ministro per alcuni anni e successivamente eletto secondo presidente della Prima Repubblica cecoslovacca)[18].

4.1.1. Il sistema elettorale e la cd. "clausola cecoslovacca"

Focalizzare l’attenzione sulla legislazione elettorale può rivelare alcuni tratti caratterizzanti di particolare interesse.
Il cardine del Wahlordnung va rinvenuto nella legge elettorale deliberata dall’Assemblea costituente con atto 123/1920[19], nello stesso giorno dell’approvazione della Costituzione, che prevedeva un sistema elettorale proporzionale con voto di lista coerentemente con le disposizioni costituzionali in materia (§§ 8 e 13 della Sezione II).
Le ragioni per fissare direttamente in Costituzione la formula elettorale possono essere ritrovate, almeno in parte, nella necessità di garantire al meglio la rappresentatività dei diversi gruppi linguistici in un paese multietnico come la Cecoslovacchia della Prima Repubblica[20].
Principalmente due elementi catturano l’attenzione in un sistema elettorale complesso e dettagliato come quello cecoslovacco: il ruolo centrale riconosciuto ai partiti politici e la relativa previsione di una sorta di mandato imperativo di partito in capo ai membri del Parlamento.     
In primo luogo, il diritto di presentare liste di candidati alle elezioni era riconosciuto solo alle formazioni partitiche. Il sistema elettorale prevedeva un voto su liste bloccate: l’ordine dei candidati veniva stabilito dagli organi direttivi dei partiti e non era ammesso alcun tipo di voto di preferenza.            
Rispetto al secondo punto, il riferimento per una restrizione del libero mandato parlamentare si rinveniva nell’articolo 13 della legge 125/1920 sulla Corte elettorale, al netto della previsione all’articolo 22 della Costituzione che, riguardo ai parlamentari, sanciva: "They shall not receive orders from anybody".         
Ai sensi dell’articolo 13 appena richiamato, la Corte elettorale era competente a giudicare le controversie relative alla decadenza dal seggio del parlamentare espulso dal partito di elezione in corso di legislatura, qualora fosse fondata su motivi di indegnità e disonore. L’interpretazione di questi motivi di indegnità e disonore resa dalla Corte elettorale nella sua giurisprudenza era comprensiva di casi di indisciplina degli eletti rispetto alla linea ufficiale espressa dal partito di riferimento[21].
I rappresentanti elettorali designati dai partiti per la convocazione dei comizi elettorali erano legittimati a presentare ricorso alla Corte elettorale per ottenere la dichiarazione giudiziale di decadenza dal seggio del parlamentare espulso e la successiva nomina del primo dei non eletti nella lista elettorale del partito.          
La dottrina è solita riferirsi a questa previsione legislativa in termini di “clausola cecoslovacca”[22]  quale rilevante esempio nella storia giuridica dell’ultimo secolo di un sistema democratico che regolava una forma di mandato imperativo di partito, all’interno del dibattito attuale sulle possibili riforme del sistema parlamentare, a conferma, perciò, dell’originalità della disposizione[23].
In ogni caso, la rilevanza della clausola cecoslovacca come garanzia per la coesione delle compagini parlamentari dei partiti in parlamento e la possibilità di un suo eventuale trapianto in altri ordinamenti nazionali europei rappresentò un elemento presente e controverso e nei dibattiti di alcuni procedimenti costituenti del secolo scorso[24].

4.2. Un potere esecutivo dualista

La “natura dualista” di un potere esecutivo ripartito tra il Presidente della Repubblica e il Governo emerge chiaramente dagli articoli della Sezione III della Costituzione cecoslovacca del 29 febbraio 1920[25].
La ragione saliente per una divisione delle funzioni esercitate dal potere esecutivo era collegata non solo alla necessità di coerenza con il sistema parlamentare scelto dai padri costituenti, ma ulteriormente a evitare la concentrazione di quote eccessive di potere in un unico organo costituzionale. In altre parole, la scelta di una forma di governo presidenziale su modello di quella statunitense fu considerata particolarmente rischiosa in quegli anni e, in un neonato contesto statuale dove era stata finalmente raggiunta l’indipendenza dopo secoli di dominazione monarchica, il timore di un possibile regressione, nei fatti, da cittadini a sudditi era piuttosto sentito e condiviso dai costituenti.    
Nel prosieguo, svolgiamo una rapida analisi degli aspetti fondamentali di ciascun organo del potere esecutivo.

4.2.1.Il Governo

Posto al vertice dell’Amministrazione pubblica, l’Esecutivo era politicamente responsabile, mediante il rapporto fiduciario, nei confronti della sola Camera dei Deputati.

Il Primo Ministro e gli altri vertici dei dicasteri venivano nominati dal Presidente della Repubblica, il quale determinava anche le funzioni da attribuire a ciascun ministro.         
La nomina presidenziale era unicamente legata alla composizione politica delle Camere, come risultante a seguito del voto.    
Il Presidente della Repubblica designava i soggetti da nominare tra personalità capaci di ottenere la fiducia del Parlamento e di mantenere il rapporto con esso stabile nel tempo, riflettendo gli equilibri interni a quest’ultimo.  
Alla luce del sistema disegnato dalle previsioni costituzionali, il Primo Ministro si poteva considerare quale primus inter pares.          
La Costituzione, inoltre, disponeva in ordine ai poteri normativi del Governo, riconoscendo in capo ad esso la possibilità di adottare decreti governativi durante le sue riunioni. Questi decreti erano espressione di un potere normativo cd. secondario e potevano essere adottati nel rispetto di una previsione legislativa e in conformità con le norme primarie.                    
Nessuna disposizione costituzionale contemplava un possibile potere legislativo in capo all’Esecutivo di natura ordinaria. Per far fronte a situazioni emergenziali, frattanto le Camere non fossero convocate (o fossero state sciolte), svolgeva funzioni di supplenza il Comitato Parlamentare Permanente, eletto e composto da parlamentari con il voto positivo di entrambi i rami dell’Assemblea Nazionale. Tale Comitato - organo caratteristico del sistema parlamentare cecoslovacco, sebbene le funzioni svolte nel corso della storia repubblicana furono in concreto piuttosto ridotte[26] - era responsabile di approvare gli atti normativi sottoposti a esso dal Governo che avessero ricevuto il parere positivo del Presidente della Repubblica[27].
Fatto sta che, nel silenzio della Costituzione, una funzione legislativa delegata fu utilizzata dal Governo durante i periodi di difficoltà. La legittimità di tali atti è tuttora controversa tra gli studiosi di scienze giuridiche[28].
Comunque, al Governo era riconosciuto il diritto di iniziativa governativa da attuarsi mediante la presentazione di disegni di legge in Parlamento[29].
Qualora l’iter legis relativo al disegno di legge presentato dall’Esecutivo avesse avuto esito negativo, la Costituzione (§ 46) riconosceva al Governo la possibilità di sottoporre la proposta al voto popolare indicendo una consultazione referendaria. Tale eventualità non ebbe mai luogo, tenuto conto della mancata approvazione di una legge attuativa della disposizione costituzionale.
Ad ogni modo, anche dalla previsione di un simile istituto di democrazia diretta si denotano i caratteri di particolare innovatività della Costituzione cecoslovacca del 1920 sul piano degli ordinamenti europeo-continentali contemporanei a essa[30].

4.2.2. Il Presidente della Repubblica

Le funzioni del Presidente della Repubblica, quale organo del potere esecutivo, erano chiaramente definite in Costituzione nell’esercizio delle quali il Presidente trovava in essa gli unici limiti. 
La posizione incisiva e di prestigio del Presidente nella vita repubblicana può comprendersi meglio menzionando e analizzando le funzioni di maggiore importanza attribuite a questa istituzione.         
Il Presidente rappresentava lo Stato negli Affari esteri ed era riconosciuto in capo a esso il potere di negoziare e ratificare i trattati internazionali per i quali non fosse richiesto in Costituzione un voto parlamentare.     
Rispetto al rapporto intercorrente con il Parlamento, il Presidente veniva eletto in seduta comune delle due Camere e poteva essere perseguito davanti ad esso solo in caso di Alto tradimento mediante procedura di impeachment: incriminato con voto della Camera e giudicato dal Senato secondo le previsioni costituzionali in materia (§§ 34 e 67, in particolare). Le sessioni parlamentari erano convocate dal Capo dello Stato, almeno 2 volte l’anno (§ 28.1 Cost.), al quale spettava inoltre il potere di dichiarare e procedere allo scioglimento delle Camere.    
Prerogativa centrale, nel discorso che si sta portando avanti, era rappresentata dal potere di veto esercitabile dal Presidente sulle leggi approvate dal Parlamento. Non si trattava di una forma di veto definitivo e insuperabile, considerato che le Camere potevano riapprovare la legge sulla quale fosse stato posto il veto presidenziale, ma con voto favorevole almeno della maggioranza assoluta dei loro componenti.      
Nei rapporti con il Governo oltre a quanto richiamato al punto 4.2.1), il Presidente della Repubblica presiedeva le riunioni di Gabinetto alle quali fosse presente.          
Ulteriori funzioni di rilievo si manifestavano nella nomina degli ufficiali dello Stato, dei professori universitari e nella partecipazione alla designazione dei giudici della Corte costituzionale. Il Capo dello Stato era il comandante delle Forze Armate.        
Il Presidente della Repubblica poteva essere eletto per un mandato settennale rinnovabile una volta sola come previsto in Costituzione (§ 58.4).        
Fatta questa premessa, dal punto di vista sostanziale, Tomas Mašárik rimase in carica come Presidente della Repubblica dal 1918 al 1935; precisamente: nei due anni precedenti al 1920 in qualità di Capo provvisorio dello Stato e negli anni seguenti sarà rieletto per ben tre volte all’ufficio di vertice della Repubblica in deroga alla previsione costituzionale già richiamata.

4.3. Alcuni tratti del sistema giudiziario

Gli aspetti fondamentali del sistema giudiziario erano fissati nella Sezione IV della Costituzione cecoslovacca del 1920 che delineavano un assetto normativo del potere giudiziale conforme a un ordinamento democratico.
I giudici erano nominati dal Presidente della Repubblica e restavano in carica a vita, la loro necessaria indipendenza era richiamata all’articolo 98 della Costituzione che specificava la loro soggezione soltanto alla legge nell’esercizio delle loro funzioni.      
Ulteriori previsioni costituzionali disponevano in materia di giusto processo, garanzia di procedimento pubblico davanti alle corti giudiziarie e di necessaria precostituzione del giudice naturale per legge.
Al vertice del potere giudiziario era posta la Corte Suprema, unica per l’intero paese. Per le materie inerenti alle funzioni amministrative e la lesione di situazioni soggettive derivanti da esse, la giurisdizione spettava alla Corte Suprema Amministrativa.                           
La Costituzione disponeva all’art. 19 per l’istituzione di una Corte elettorale con funzioni di controllo sulle operazioni elettorali e di validazione dei risultati delle elezioni da trasmettere al Parlamento. La Corte elettorale, disciplinata dalla legge 125/1920 che ne specificava le funzioni (supra par. 4.1), era presieduta dal Presidente della Corte Suprema Amministrativa[31].

4.4. La Corte Costituzionale

Un ulteriore aspetto degno di nota della Costituzione cecoslovacca del 1920 risiede nel fatto di essere stata la prima carta costituzionale a prevedere l’istituzione di una Corte specializzata, centralizzata e distinta dall’ordinamento giudiziario ordinario per l’aggiudicazione delle controversie di legittimità costituzionale. 
Il modello di Corte costituzionale riprendeva l’impostazione teorizzata da Hans Kelsen (il quale, sebbene le sue relazioni con l’Austria siano più note, nacque a Praga da una famiglia di origini tedesche).
Nell’istituzione della Corte costituzionale cecoslovacca un ruolo di primo piano fu assunto da František Weyr, politico e giurista che ebbe diverse occasioni di scambio e contatti professionali con Kelsen e del quale condivideva l’impostazione della dottrina Normativista[32].
Alla Corte era attribuita la funzione di giudicare la conformità alla Costituzione delle leggi approvate dal Parlamento (inoltre, anche gli atti legislativi approvati dal Comitato Parlamentare Permanente costituivano oggetto di competenza della Corte)[33].
Nei casi in cui riscontrasse un contrasto tra un atto legislativo e Costituzione, la Corte dichiarava l’incostituzionalità dell’atto. La decisione della Corte aveva, però, efficacia ex nunc, dal momento della pubblicazione della stessa sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Oltre a quest’ultimo questo aspetto, la Corte poteva essere adita solo da soggetti espressamente legittimati: ciascun ramo dell’Assemblea Nazionale, la Corte elettorale, la Corte Suprema e la Corte Suprema Amministrativa. 
La legittimità di un atto legislativo poteva essere posta in questione solo entro 3 anni dal momento della sua promulgazione.        
In merito alla composizione dell’istituzione in oggetto, nella Corte costituzionale sedevano sette giudici designati con un sistema di nomine misto: due erano nominati rispettivamente dalla Corte Suprema e dalla Corte Suprema Amministrativa che effettuavano la scelta tra i loro membri, altri due, oltre al Presidente della Corte, erano di nomina del Presidente della Repubblica che effettuava la scelta da liste di possibili candidati approvate dalle assemblee parlamentari.    
Sebbene la Corte sia entrata in funzione nel novembre 1921, con un solo anno di ritardo rispetto alla Corte costituzionale austriaca[34] il suo ruolo e il suo prestigio nella vita della Repubblica non furono rilevanti come per la seconda.
In considerazione di un numero significativamente ridotto di casi portati all’attenzione della Corte, le sue funzioni furono, nei fatti, particolarmente marginali (in pratica, giudicò in misura prevalente solo atti legislativi approvati dal Comitato Parlamentare Permanente).

5. La fine della Prima Repubblica cecoslovacca

Agli albori della Cecoslovacchia, durante gli anni Venti, lo Stato parve in grado di gestire le problematicità legate alle cd. minoranze nazionali. Persino le frizioni con i tedeschi dei Sudeti sembrarono affievolirsi quando le loro rappresentanze iniziarono a partecipare alla vita politica della Repubblica.         
Sfortunatamente, gli eventi erano destinati a precipitare nella seconda parte degli anni Trenta. In aggiunta, le tensioni tra Cechi e Slovacchi che rivendicavano una maggiore autonomia rappresentarono un ulteriore e grave elemento di indebolimento del sistema paese. Nello stesso periodo, i tedeschi dei Sudeti rinnovarono le loro istanze di indipendenza dalla Cecoslovacchia. Il Partito Tedesco dei Sudeti fu fondato agli inizi degli anni Trenta e, potendo godere di importanti contatti e del favore del Partito Nazionalsocialista Tedesco, non aveva alcuna intenzione di ridimensionare i propri obiettivi. I nazisti iniziarono a supportare espressamente i tedeschi dei Sudeti con l’obiettivo di ottenere l’annessione di quei territori per realizzare il disegno di Adolf Hitler di una Grande Germania.         

5.1. L'accordo di Monaco

Sul volgere al termine degli anni Trenta, la Germania Nazista si trovava al picco della sua potenza economica e militare e le politiche aggressive perpetrate da essa non trovarono validi oppositori nelle leadership degli altri paesi del continente Europeo.
Nell’aprile del 1938 l’Anschluss fu portato a compimento, ma le mire espansionistiche di Adolf Hitler non erano ancora soddisfatte. Il 30 ottobre dello stesso anno, i leader politici delle grandi potenze europee, il dittatore italiano Benito Mussolini, il Primo Ministro del Regno Unito Neville Chamberlain, il Primo Ministro francese Édouard Deladier e il Führer siglarono, nel corso l’omonima Conferenza, l’accordo di Monaco che dava il via libera all’annessione al Reich dei territori dei Sudeti, con il vano convincimento che tale accordo avrebbe saziato gli appetiti di Hitler in merito allo spazio vitale per la Germania. 
L'accordo di Monaco rappresentò una gravissima lesione nella sovranità dello Stato cecoslovacco che fu forzato ad accettarne gli esiti senza avere alcuna voce in capitolo. Le proteste del paese e del suo presidente Edvard Beneš non furono minimamente prese in considerazione. 

5.2. L'istituzione del Protettorato e della Repubblica Slovacca

Con l’Accordo di Monaco e gli eventi successivi ad esso, la luce della democrazia della Prima Repubblica cecoslovacca fu estinta dall’avanzata dell’ombra del Nazionalsocialismo. Conseguentemente alla firma dell’accordo, il Presidente cecoslovacco Beneš fu forzato ad abbandonare il paese sotto le forti pressioni esercitate della Germania.        
Mentre gli effetti del trattato stipulato a Monaco erano in fase di assestamento, nel Marzo del 1939 le forze armate naziste occuparono l’intero territorio delle Terre ceche in assoluta violazione dei limiti previsti dallo stesso. Il 16 marzo di quell’anno, l’unione delle Terre ceche nel Protettorato di Boemia e Moravia fu proclamata dal Führer. Il successore di Beneš – Emil Hácha – fu posto formalmente alla guida del neoistituito Protettorato che, in pratica, non costituiva altro che una colonia del Terzo Reich. 
Frattanto, in Slovacchia, il fronte indipendentista trasse vantaggio dalla crisi istituzionale per conquistare il potere. Seppure a seguito di un primo tentativo di colpo di stato fallimentare, la Repubblica Slovacca[35] fu istituita grazie all’aiuto e il favore di Adolf Hitler. Il nuovo ordinamento rimase sotto il regime dittatoriale del leader politico e prete cattolico Jozef Tiso fino alla Caduta di Bratislava nel 1945. Un ordinamento repubblicano solo nel nome, un regime clerico-fascista in concreto.


Note e riferimenti bibliografici
  • La versione in inglese dell'articolo è disponibile a questo link.

[1] Dall’estratto riportato in J. BÉRENGER, Storia dell’Impero asburgico 1700-1918, Bologna, 1993, 393. Ad ogni modo, è bene rammentare che Mašárik stava elaborando un progetto relativo alla creazione di un’organizzazione federale di stati.     

[2] JOHN W. MASON, The Dissolution of the Austro-Hungarian Empire 1867-1918, Londra, 2014, 80 ss.   

[3] Le considerazioni della storiografia consultata sul punto, e riportata nella bibliografia in calce, si estendono alla condizione presente in Slovacchia nello stesso periodo.

[4] Dati riportati in JEAN BÉRENGER, Histoire de l’empire des Habsbourg, Paris, 1990.

[5] Cfr. voce “Tomas Mašárik”, Encyclopaedia Britannica, consultabile all’indirizzo www.britannica.com (ultima modifica, 3 marzo 2020).

[6] The New Europe fu un periodico fondato in Gran Bretagna nel 1916 dallo storico Robert W. Seton-Watson e dal giornalista W.Steed. Le proposte per una Cecoslovacchia indipendente trovarono in fra le sue pagine una valida e importante eco nell’Occidente.

[7] Nota come Pittsburgh Convention firmata negli Stati Uniti nel 1918.

[8] A riguardo del Comitato Nazionale cecoslovacco va evidenziato come questo: «had been regarded as the body with supreme legislative and executive powers for the interim period, i.e. until the Czechoslovakia constitutional bodies were established», così J. KUKLÌK, Czech law in historical contexts, Praga, 2015, 90.

[9]  Ibidem, 61 ss.

[10] Dati del censimento nazionale del 1921 riportati nell’enciclopedia nazionale slovacca: Slovenský náučný slovník, I. zväzok, Bratislava-Český Těšín, 1932.         

[11] Riguardo al testo della Costituzione cecoslovacca del 1920, il nostro riferimento è la traduzione inglese in: The Constitution of Czechoslovak Republic with introduction by J. Hoetzel and V. Joachim, Praga, 1920, 19 ss.

[12] Dall’Assemblea Nazionale costituente il 29 Febbraio 1920. Al documento si fa riferimento usualmente come “Costituzione del 29 febbraio 1920” per distinguerla dalle Carte costituzionali adottate negli anni successivi in Cecoslovacchia sotto l’egida di differenti regimi.

[13] J. ROVNY, Circumstantial Liberals: Czech Germans in Interwar Czechoslovakia, 2020, consultabile all’indirizzo: https://hal.archives-ouvertes.fr. Riguardo alla Costituzione cecoslovacca, il giurista tedesco Carl Schmitt ebbe a scrivere con toni polemici in una sua celebre opera: «It was selected by an assembly that was comprised only of party delegates from the Czech and Slovak parties. Of the 13.6 million inhabitants of this state, almost 5 million, or all non-Slovak inhabitants, in particular the German portions of the people, were not represented», l’A. parla proprio di: «imposed constitution», cfr. Id., Constitutional Theory, a cura di Jeffrey Seitzer, Durham and London, 2008, 135.

[14] Esisteva inoltre la Dieta della Rutenia Subcarpatica, organo con una particolare autonomia legislativa istituito per la Transcarpazia a norma dell’Accordo di Saint-German del 1919 (a seguito dell’annessione di detta regione alla Cecoslovacchia); v. V. SHANDOR, Carpatho-Ukraine in the Twentieth Century: A Political and Legal History, Cambridge, 1998.

[15] A titolo esemplificativo, nel Regno d’Italia nell’anno 1919 si raggiunse solo il suffragio universale maschile, mentre nel Regno Unito solo le donne che avessero compiuto il trentesimo anno di età furono ammesse al voto dal 1918 al 1928 (anno, quest’ultimo, in cui il suffragio universale fu riconosciuto con l’ammissione al voto di tutti cittadini maggiorenni).

[16] Per chiarezza, l’attuale assetto parlamentare italiano è bicamerale paritario.

[17] E. TÁBORSKÝ, Czechoslovak Democracy at Work, Londra, 1945, 43-44.

[18] Cfr. E. BENEŠ, Demokracie dnes a zítra, Praha, 1946, 244. Disponibile anche in una recente traduzione in inglese edita da Forgotten Books: Id., Democracy Today and Tomorrow, Londra, 2017.

[19] Il nostro riferimento per il testo della legge elettorale è C. MORTATI, La Legge elettorale cecoslovacca, a cura di Lanchester, Milano, 2020, 45-79.        

[20] Ibidem, 26-27.

[21] Cfr. E. PESKA, Après dix années. Le développement de la Constitution Tchécoslovaque 1920-1930, Rèveu du droit public, 1930, 244-246.       

[22] Cfr. R. SCARCIGLIA, Il divieto di mandato imperativo. Contributo a uno studio di diritto comparato, Milano, 2005, 77-80; F.R. DAU, Costituzionalismo e rappresentanza. Il caso del Sudafrica, Milano, 2011, 218; G. DAMELE, Vincoli di mandato dei parlamentari e caratteri democratici dei partiti. Spunti a partire dall’articolo 160 della Costituzione portoghese, Forum di Quaderni Costituzionali (Rassegna 5/2017), 4-5; F. LANCHESTER, Crisi della rappresentanza in campo politico e divieto di mandato imperativo, Osservatorio Costituzionale 1/2020, 114-115.

[23] Esempi di analoghe disposizioni legislative, ispirate al sistema Cecoslovacco, sono rintracciabili nell’articolo 7 della Landtagwahlgesetz del Wurttemberg del 4 aprile 1924 e all’articolo 55 dello statuto elettorale del Tirolo del 27 gennaio 1933, cfr. N. ZANON, Il libero mandato parlamentare. Saggio critico sull’articolo 67 della Costituzione, Milano, 1991, 114-116.

[24] Come riportato recentemente da F. Lanchester, autorevoli giuristi come Costantino Mortati in Italia e il tedesco Gerald Leibholz sottolineavano l’importanza della proclamazione del libero mandato parlamentare in Costituzione per evitare il rischio di un’eccessiva concentrazione di potere nei partiti politici, nonostante essi giungessero ad ammettere l’appropriatezza di una disposizione di questo tipo (sebbene in un sistema di partiti regolato puntualmente dalla legge); cfr. Id., Crisi della rappresentanza in campo politico e divieto di mandato imperativo, op. cit., 115-116. 

[25] Sul punto, J. HOETZEL, The Definitive Constitution of the Czechoslovak Republic in The Constitution of Czechoslovak Republic with introduction by J. Hoetzel and V. Joachim, Prague, 1920, 16.          

[26] Cfr. E. TÁBORSKÝ, op. cit., 71-73. L’A. sottolinea come il Comitato: « (…) is a characteristic feature of the Czechoslovak parliamentary system. It is one in which it differs from the Western democracies, though an institution of similar type was introduced into the German, Mexican and Uruguay Constitutions», 71.

[27] § 54 della Costituzione della Prima Repubblica cecoslovacca.      

[28] J. KUKLÌK, Czech law in historical contexts, op. cit., 98-99.      

[29] § 81 della Costituzione della Prima Repubblica cecoslovacca.

[30] Istituti di democrazia diretta erano presenti nella Costituzione di Weimar del 1919, v. C. SCHMITT, Dottrina della Costituzione, Milano, 1984, 162.       

[31] La legge sulla Corte elettorale (atto n.125/1920) fu apporvato il 29 febbraio e successivamente emendato dalla legge del 14 luglio 1927 n. 125.

[32] C. PISTAN, Tra democrazia e autoritarismo. Esperienze di giustizia Costituzionale nell’Europa centro-orientale e nell’area post-sovietica, Bologna, 2016, 79.

[33] E, ulteriormente, gli atti adottati dalla Dieta della Rutenia subcarpatica (supra, nota 14).     

[34] Si rinvia al sito ufficiale della Corte Costituzionale della Repubblica Ceca ove è possibile consultare un estratto di T. LANGÁŠEK, Constitutional court of the czechoslovak republic and its fortunes in years 1920-1948, https://www.usoud.cz.

[35] Nota tra gli storici anche come Prima Repubblica Slovacca per distinguerla dall’attuale Repubblica Slovacca, sebbene quest’ultima non sia il regime giuridicamente successivo al primo.

Bibliografia essenziale:        

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