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Pubbl. Gio, 3 Dic 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Il diritto di accesso dei consiglieri regionali ai sensi dell´art. 43, comma 2, TUEL: l´accesso informatico

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Piofrancesco Formica



Il contributo analizza l’istituto del diritto di accesso previsto per i soggetti in possesso della qualifica di consiglieri locali (comunali, provinciali, regionali), ponendo particolare enfasi sulle recentissime pronunce dei Tribunali Amministrativi Regionali in relazione allo strumento del c.d. “accesso informatico”, quale strumento potenzialmente invasivo dell’operato degli enti destinatari della richiesta di accesso. Lo scopo dell´elaborato è quello di inquadrare i limiti dell´accesso ex art. 43, comma 2, Testo Unico Enti Locali, nel caso di accesso informatico o da remoto, poiché la legge vigente è carente di una disciplina puntuale in materia. Le pronunzie più recenti sono infatti pionieristiche e allo stato è assente un´autorevole pronunzia del Consiglio di Stato.


ENG The paper analyzes the instrument of the right of access for those subjects who have the position of local councilors (comunal, provincial, regional), focusing on the latest decisions of the Tribunali Amministrativi Regionali on the right of information technology access, as a potentially invasive instrument on the actions of the local agencies. The target of the research is to frame the limits of this type of access (art. 43, paragraph 2, Testo Unico Enti Locali) when is commited with informatic means or remotely, because the current law lacks of this kind of discipline on the matter. The latest decisions are, in fact, innovative, and it’s necessary an eminent decision of the Consiglio di Stato to remove every doubt on the matter and give an uniform regulation of this kind of access.

Sommario: 1. Principio di trasparenza e accesso: introduzione; 2. La natura del diritto di accesso; 3. Il diritto di accesso: diritto soggettivo o interesse legittimo?; 4. L’accesso ai documenti amministrativi ex legge 241 del 1990; 5. I limiti dell’accesso documentale: il bilanciamento tra interesse dell’accedente e il diritto alla privacy dei controinteressati, alla luce del GDPR Europeo; 6. Altre forme di diritto d’accesso: l’accesso civico semplice e l’accesso civico generalizzato nel d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013; 7. Obblighi di pubblicazione delle PPAA ex art. 13 e ss. del Codice della Trasparenza; 8. Il diritto d’accesso dei consiglieri regionali, comunali e provinciali ex art. 43 del Testo Unico Enti Locali: la legittimazione rafforzata; 9. La rimozione del limite sui dati personali alla luce delle recenti pronunzie del Consiglio di Stato; 10. Il primo indirizzo giurisprudenziale: concezione espansionistica del diritto di accesso dei consiglieri (regionali, provinciali, comunali); l’“accesso informatico”; 11. Il secondo indirizzo giurisprudenziale: il ridimensionamento del diritto di accesso ex art. 43, comma 2, del Testo Unico Enti Locali, alla luce delle recenti sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali; 12. Conclusioni.

 

1. Principio di trasparenza e accesso: introduzione 

L’etimologia latina stessa della parola trasparenza, dal verbo “trans” parere, “lasciare vedere” o “conoscere”, lega già solo sul piano semantico i due principi di trasparenza ed accesso.

La trasparenza è cardine dell’intero sistema amministrativo, sia sostanzialistico che processualistico, e ricopre il ruolo, insieme al meccanismo di accesso, di garanzia di tutti i cittadini, destinatari finali, diretti o indiretti, dell’attività amministrativa.

Sull’Amministrazione Pubblica grava tale obbligo di trasparenza dell’attività amministrativa, affinché il cittadino possa anche solo passivamente scrutare ed informarsi sui vari indirizzi di volta in volta intrapresi delle varie PPAA. Lo stesso cittadino, qualora riscontri la necessità di conoscere un determinato aspetto della sfera amministrativa non pubblicato in maniera generalizzata da un determinato ente, può prodigarsi attivamente mediante lo strumento di accesso al fine di prendere visione di determinati documenti, atti o informazioni che non risultano, ad esempio, “accessibili” sui siti web dei singoli enti pubblici.

Tale meccanismo di trasparenza consente altresì al cittadino non solo di poter facilmente accedere alle varie attività dell’Amministrazione Pubblica, ma gli consente ulteriormente di venire a conoscenza delle ragioni e delle giustificazioni di uno specifico provvedimento amministrativo (come si evince della stessa legge n. 15 del 2005[1], la quale modifica la legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990).

La trasparenza sembra dunque permettere un controllo diretto (seppur con dovuti limiti dei quali si tratterà successivamente) dell’intera attività amministrativa, corroborato dalla possibilità per il cittadino di poter utilizzare attivamente lo strumento di accesso qualora ritenga di dover venire a conoscenza di ulteriori documenti, informazioni o atti non soggetti ad obbligo di pubblicazione da parte della PA.

Oltre alla necessità del cittadino di venire a conoscenza (quando possibile) dell’attività amministrativa rileva, quale ratio fondante il principio stesso di trasparenza, l’esigenza di prevenire vari fenomeni corruttivi a tutti i livelli della PA.

Primo limite che confligge ed inibisce, di volta in volta, la pubblicazione di determinati atti, informazioni, dati o documenti, si individua nella necessarietà di conciliare la difesa e la protezione dei dati personali con gli eventuali bisogni di renderli conoscibili, e, dunque, trasparenti, attraverso parametri segnalati dal legislatore, i quali vengono veicolati dai vari enti pubblici nell’operazione di bilanciamento da effettuare singolarmente nei casi concreti.

La trasparenza è dunque da intendersi, alla luce del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150[2], come accessibilità totale, anche tramite il mezzo della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche; il menzionato articolo e parte della disciplina del d.lgs. del 2009 risultano oggi abrogati e sostituiti dal d.lgs. n. 33 del 2013, il quale è stato utilizzato dal legislatore proprio per operare un riordino il più organico possibile sia in relazione alla trasparenza che in relazione all’accesso.

La trasparenza si pone, infatti, l’obiettivo di rendere il più possibile conoscibile l’intera organizzazione dell’amministrazione; rendendo ad esempio visionabili le tabelle retributive dei singoli dirigenti o di coloro che rivestono incarichi apicali a cavallo tra la politica e l’amministrazione stessa. Essa è altresì, come anticipato precedentemente, principio teso a prevenire e a reprimere eventuali fenomeni corruttivi nell’attività della PA, come sancito dalla legge 6 novembre 2012, n. 190[3] (c.d. legge anticorruzione).

Ulteriore fonte si evidenzia nel “Codice dell’Amministrazione Digitale”, promulgato già nel 2005, il quale fondava la sua ratio stessa nei principi di legittimità, trasparenza ed imparzialità; tale testo, tutt’oggi vigente, è stato di recente modificato con il D.L. 30 dicembre 2019, n. 162.

A livello costituzionale la trasparenza risulta ancorata all’art. 97[4] della Costituzione, il quale la include in maniera implicita.

La trasparenza va dunque interpretata come un “servizio pubblico” che mira a soddisfare pienamente i bisogni della collettività, in ottemperanza ai criteri e ai principi di uguaglianza, continuità, sussidiarietà ed equo trattamento imparziale. Ulteriore fine è quello di inserire il singolo cittadino nel meccanismo della PA, per renderlo partecipe, anche sul piano processuale e provvedimentale, dell’attività amministrativa, e non solo mero spettatore impotente.

2. La natura del diritto di accesso

Nonostante il termine “diritto” di accesso, introdotto dal riformulato art. 22 della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, è tutt’ora controversa la natura della situazione giuridica legittimante l’accesso ai documenti amministrativi.

Per meglio comprendere invero l’approccio odierno, è importante fare menzione dei due filoni interpretativi principali utilizzati negli anni passati.

Un precedente orientamento, prevalente in dottrina, propendeva a qualificare ed interpretare la legge del ’90, in relazione al diritto di accesso, come un vero e proprio diritto soggettivo, perfetto ed autonomo: la verifica della richiesta di accesso, infatti, consisteva nell’analisi dei vari motivi legittimanti l’interessato e nella valutazione dell’eventuale esistenza di ostacoli tassativi all’ostensione degli elementi verso cui l’accesso era indirizzato. Non si rilevava, dunque, alcuna discrezionalità in capo all’amministrazione, che in maniera puramente tecnica soppesava la posizione del legittimato (o meglio, interessato) rispetto ad eventuali elementi ostacolanti l’accesso (ad esempio la tutela della posizione di un eventuale controinteressato). L’attività era dunque da intendersi come essenzialmente vincolata, escludendo in ogni caso l’emersione di interessi legittimi.

Secondo la prevalente giurisprudenza successiva, invece, tale “diritto” non poteva in alcun modo combaciare con la posizione di diritto soggettivo, mancando del tutto le caratteristiche tipiche idonee ad assicurare una tutela immancabile ed un’integrale garanzia del risultato.

La qualificazione di diritto soggettivo comportava altresì la possibilità di reiterare la richiesta anche una volta scaduti i termini (giorni 30) di impugnazione della determinazione negativa, sia essa espressa o tacita, e di innestarvi congiuntamente o separatamente una eventuale richiesta risarcitoria per il danno sofferto. Siffatta qualificazione permetterebbe un ben più agevole bilanciamento di posizioni giuridiche primarie nei conflitti tra accesso e riservatezza, ai sensi dell’art. 22 c. 3 della legge 675/1996[5], cosa ben più difficile e di fatto impraticabile qualora la pretesa all’acceso sia qualificata come interesse legittimo.

A livello processuale il giudizio sarebbe solo in apparenza impugnatorio perché l’atto lesivo, risolvendosi in una violazione di obblighi puntuali posti a tutela del diritto del richiedente, anziché porsi come oggetto diretto della doglianza, si atteggerebbe come mero presupposto processuale per l’accesso alla tutela giurisdizionale.

Optando per la tesi dell’interesse legittimo, invece, sarebbe del tutto esclusa la possibilità di proporre un’analoga richiesta in via successiva: il relativo processo, di stampo impugnatorio avverso un provvedimento autoritativo, censurabile per gli ordinari vizi di legittimità, potrebbe dunque portare, in caso di accoglimento, ad una condanna all’esibizione dei documenti richiesti; necessaria in tal caso, pena l’inammissibilità, la notifica ad almeno uno dei controinteressati. Tale tesi, minoritaria, è stata avvalorata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 1999[6].

3. Il diritto di accesso: diritto soggettivo o interesse legittimo?

Le posizioni dottrinali e giurisprudenziali descritte nel paragrafo precedente permettono dunque, oggi, di poter dare una risposta al quesito sulla effettiva natura del diritto di accesso.

In prima battuta è necessario segnalare il fondamento costituzionale della pretesa all’accesso, ravvisabile negli artt. 21, 97 e 98 della Costituzione, i quali vanno valutati anche alla luce dell’art. 255 del Trattato UE che ha riconosciuto a qualunque cittadino europeo o persona giuridica dell’Unione il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni europee, nel rispetto delle modalità previste e dei limiti fissati sia dal Consiglio che dalle Istituzioni stesse.

Il TAR infatti, in sede di impugnazione, non è chiamato a valutare l’eventuale legittimità o meno del silenzio o dell’atto di rifiuto, ma ad accertare che rilevino i presupposti e le varie condizioni fissate dalla legge per consentire l’accesso ed a condannare eventualmente l’Amministrazione all’ostensione dei documenti oggetto della richiesta. Ciò si deduce anche da un’importante pronunzia del Consiglio di Stato, n. 5818 del 2002, la quale ha puntualizzato che il Giudice che giudica la legittimità di atti amministrati a tutela di interessi legittimi non ha poteri decisori di condanna dell’Amministrazione ad un facere specifico.

Altro tassello a completamento del quadro qui analizzato rileva alla luce della legge n. 205 del 2000, come da ultimo modificata dal d.lgs. n. 104 del 2010, la quale nel devolvere alla giurisdizione generale di legittimità del TAR anche le questioni risarcitorie conseguenziali all’annullamento di atti illegittimi, ha previsto che il giudizio sull’accesso ex art. 25 l. n. 241/90[7] possa innestarsi nello stesso processo principale, previa notifica, a pena di nullità, all’Amministrazione ed ai controinteressati.

L’obiettivo del legislatore è qui quello di assicurare al diritto di accesso una tutela processuale (più) celere, efficace ed economica, evitando che si creino due processi paralleli, a volte aventi anche tempi totalmente diversi, utilizzando lo strumento della concentrazione processuale.

La previsione della necessaria notifica sia all’Amministrazione che ai controinteressati si ricollega a quanto affermato nella pronunzia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 1999 summenzionata, a sottolineare la tesi della natura impugnatoria di tale processo, a cui si aggancia, conseguentemente, la tesi della natura di interesse legittimo. Tali modifiche e novazioni della materia però non intaccano in ogni caso il fine del processo di impugnazione del rifiuto, il quale sembra sempre essere volto, sostanzialmente, all’accertamento ed eventuale condanna all’ostensione avverso l’Amministrazione, e non dunque di annullamento del rifiuto illegittimo. Tali modifiche, infatti, non sembrano in alcun caso esser sufficienti a degradare tale diritto (come visto sopra sia costituzionale che comunitario) ad interesse legittimo. Si evidenzia invece, in maniera particolarissima, la compresenza sia di un interesse legittimo che di un diritto soggettivo, il quale riceve dal primo l’impulso e il supporto necessario ad attivare la reazione processuale dinanzi al TAR, qualora leso da un rifiuto illegittimo; occorre però ribadire che non rileva alcun affievolimento e degradazione del diritto ad interesse, in quanto il primo persiste, nella sua interezza, in ogni momento della richiesta, sia sul piano sostanziale che durante l’eventuale piano processuale.

Come sopra esposto, solo riconoscendo (anche e prevalentemente) la natura di diritto soggettivo è possibile operare la (a volte) necessaria comparazione con il diritto al riserbo dei dati sensibili di cui all’art. 22 c. 3 l. n. 675/1996, comparazione che sarebbe del tutto impraticabile qualora si riconoscesse la sola natura qualificante di interesse legittimo.

Alla luce della l. n. 205/2000 e della riforma del Titolo V della Costituzione il Supremo Collegio di Giustizia Amministrativa ha espressamente riconosciuto[8] la natura del diritto d’accesso quale diritto soggettivo pieno e perfetto, la cui cognizione in sede giurisdizionale è destinata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La giurisprudenza più recente sembra aver altresì superato il dibattito sulla natura giuridica del diritto di accesso, ritenendolo superfluo in quanto privo di alcuna valenza nell’applicazione puntuale dei singoli casi.

Le pronunce degli ultimi anni, infatti, tendono a definire l’accesso non come un mero strumento per salvaguardare un bene oggetto della situazione giuridica ad esso sottostante, ma come un bene della vita autonomo, ravvisabile nella sola conoscenza di determinati documenti riguardanti l’istante.

L’interesse, dunque, risulta tutelato se connesso ad una preesistente posizione soggettiva, collegata, a sua volta, alla richiesta di ostensione di un determinato documento; ma la richiesta di accesso non è meramente strumentale a forme di reazione processuale e quindi il relativo diritto resta inalterato anche in caso di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo lesivo della posizione giuridica ad esso sottostante.

Ma con l’azione di accesso il legislatore, alla luce della legge 241/1990 e successive modifiche, puntualmente tende ad assicurare un procedimento di accesso trasparente ed efficace, indipendentemente dalla concreta lesione di una specifica posizione di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo.

In questa ottica, quindi, il dibattito sulla natura giuridica del diritto d’accesso risulta privo di qualsivoglia riscontro pratico ed applicativo, poiché lo stesso interesse alla visione dei documenti amministrativi viene valutato quale potenziale bene della vita del tutto autonomo e non quindi strumentale alla tutela di un diverso bene finale.

4. L’accesso ai documenti amministrativi ex legge 241 del 1990

Tra le varie tipologie di accesso, oggetto di analisi nella seconda parte del presente elaborato, rileva come “standardizzato” e ordinario il c.d. diritto di accesso ai documenti amministrativi previsto dalla legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della medesima legge.

Tale strumento costituisce uno dei meccanismi principali tesi a incrementare la trasparenza dell’attività amministrativa e a promuoverne l’imparzialità.

L’accesso ai documenti amministrativi consiste nel «diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi[9]». Tale tipologia di accesso è inclusa, nell’art. 29 comma 2-bis della legge 241/90, tra i livelli essenziali delle prestazioni ai quali fa riferimento l’art. 117, comma 2, lett. m, della Costituzione italiana, rientrando quindi nella esclusiva competenza del Legislatore nazionale.

L’art. 22 della l. 241/90, inoltre, lo definisce come «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza[10]».

Anteriormente alla legge del 1990 era del tutto assente, a livello legislativo, una norma puntuale e completa tale da attribuire la giusta rilevanza giuridica all’istituto dell’accesso: era possibile rinvenire solo dei richiami sporadici, ad esempio nell’art. 31 della legge urbanistica del 1942 (così come modificato dalla legge – ponte n. 365/1967); nell’art. 10 c. 4 e nell’art. 25 l. 816/1985 in tema di aspettative, permessi ed indennità degli amministratori locali, nonché nella l. 349/1986 sullo stato dell’ambiente.

Il legislatore del ’90, infatti, ha stabilito e rimarcato negli artt. 10 e 22 della legge 241 che l’accesso ai documenti amministrativi assurge a regola generale di diritto nei rapporti tra Amministrazione e privati, sia internamente al procedimento amministrativo stesso, che all’esterno, riconoscendo dunque la legittimità all’esperimento dello strumento di accesso a chiunque abbia interesse alla cura di personali fattispecie giuridicamente rilevanti.

L’accesso documentale, inoltre, varia a seconda che esso sia promosso in corso di un procedimento amministrativo già avviato (accesso procedimentale) o in assenza di effettiva pendenza di un procedimento amministrativo connesso (non procedimentale).

Nel primo caso sono soggetti legittimati alla richiesta tutti coloro che partecipano, di fatto e di diritto, al procedimento amministrativo. In questo caso l’intento del legislatore è quello di tutelare maggiormente la posizione di questi soggetti legittimati (siano essi interessati o controinteressati) attraverso la presa visione di tutti quegli atti e documenti che gravitano intorno a quel determinato procedimento. In questo modo si «instaura un legame funzionale tra principio di trasparenza (accesso ai documenti) e diritto di partecipazione, che ne esce così rafforzato (partecipazione informata)»[11]. In tale caso si tratta di uno strumento indispensabile per assicurare una “partecipazione informata” al procedimento.

Per quanto attiene all’accesso non procedimentale, come suggerisce il nome stesso, esso può essere esercitato autonomamente da tutti quei soggetti che, pur non partecipando ad alcun procedimento amministrativo, detengono un interesse all’ostensione di documenti detenuti da una Pubblica Amministrazione. Tale espressione di “accesso non procedimentale” fa emergere profili più critici e di difficile decodificazione rispetto all’accesso procedimentale, il quale è contornato da confini rigidi e specifici. L’accesso esoprocedimentale[12], invece, nonostante l’art. 22 sia il punto di contatto tra i due, è volto ad una più difficile interpretazione e bilanciamento fra l’interesse alla trasparenza, all’imparzialità ed al buon andamento e l’interesse individuale ad un’informazione che non sia meramente emulativa, ma effettivamente strumentale alla tutela di una situazione giuridica soggettiva.

La ratio di fondo, nucleo generatore dell’istituto dell’accesso amministrativo, è da ravvisarsi nell’evoluzione dei rapporti tra Amministrazione e privati, derubricando la regola della riservatezza e segretezza dell’istruttoria a mera eccezione, la quale permetteva precedentemente all’amministrazione di bloccare le richieste dei privati in maniera spesso ingiustificata ed immotivata, nonostante la qualifica di questi ultimi quali “interessati”.[13]

Come già dedotto in precedenza, il diritto di accesso in primis e la partecipazione al procedimento amministrativo, in secundis, contribuiscono a rendere l’azione amministrativa più trasparente e democratica. Tali principi di trasparenza e democraticità si elevano a valori fondamentali da salvaguardare nell’esercizio dei pubblici poteri, richiamando in maniera diretta il principio costituzionale di imparzialità.

Risulta, quindi, evidente come la sola conoscenza degli atti delle varie Pubbliche Amministrazioni sia strumentale rispetto ad una partecipazione al procedimento, partecipazione informata e consapevole del privato, al fine di instaurare un dialogo il più paritetico possibile tra quest’ultimo e le singole PP.AA.

Nonostante sia ancora assente oggi un espresso richiamo nella Carta Fondamentale per quanto attiene al diritto di accesso, alcuni autori tentano di collegarlo all’ art. 21 della Costituzione; dottrina prevalente preferisce invece richiamare gli artt. 97 e 98 Cost, i quali stabiliscono che l’assetto organizzativo degli uffici pubblici deva mirare ad assicurarne il buon andamento e l’imparzialità e che i pubblici ufficiali stessi sono al servizio della Nazione, da intendersi come “cittadini”[14].

La giurisprudenza attuale è arrivata, infine, ad escludere la valenza solo strumentale del diritto di accesso rispetto alla difesa in giudizio.

È soltanto sufficiente, infatti, che gli atti oggetto di istanza di ostensione abbiano spiegato o siano tesi a dispiegare effetti in maniera diretta oppure indiretta nei confronti dell’istante[15].

Come ha già stabilito la stessa giurisprudenza, i caratteri che deve possedere l’interesse sotteso all’accesso sono l’attualità, la personalità, la concretezza e la serietà. Tale statuizione è stata utilizzata dal legislatore per vietare qualunque controllo generalizzato sull’attività della PA[16].

Ulteriore profilo di attuale interesse attiene all’accessibilità di documenti ed informazioni provenienti da “interessi diffusi”. Da ultimo, il Consiglio di Stato si è, invero, pronunciato sulla nuova portata dell’art. 22 della legge 241/90, nello specifico in relazione alla possibilità di accesso da parte di un’associazione finalizzata alla tutela dei consumatori. Il Supremo Consesso Amministrativo ha, infatti, riconosciuto la tutela garantita da una tale forma di accesso alla categoria debole dei consumatori, prospettando una soluzione contemperativa tra le esigenze di trasparenza della Pubblica Amministrazione e la posizione (debole) dei soggetti consumatori, attraverso un esame congiunto tra le norme generali in materia di accesso (l. 241/90) e quelle specifiche previste dal Codice del Consumo (d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206).

Per tali tipi di associazioni, quindi, non è necessario prevedere una forma ad hoc di accesso, essendo possibile utilizzare la stessa forma prevista per il singolo interessato, a patto però che vi sia di fondo un interesse concreto e attuale.

In ogni caso, il Consiglio di Stato ha più volte ribadito la impossibilità di un’azione di accesso “popolare”, necessitando la sussistenza di una situazione concreta relativa ad un interesse differenziato.

5. I limiti dell’accesso documentale: il bilanciamento tra interesse dell’accedente e il diritto alla privacy dei controinteressati, alla luce del GDPR Europeo

L’art 24 l. 241/1990, accanto ai segreti di Stato e di ufficio, pone come ulteriore limite all'accesso la tutela della riservatezza di terzi, siano essi persone, gruppi o imprese. Si tratta di notizie inerenti alla sfera intima di tali categorie di soggetti che, anche se acquisite e conosciute dall’amministrazione, implicano per loro natura l’esclusione di altri dalla loro conoscenza. Ciò attiene a notizie concernenti fatti e situazioni che costituiscono oggetto di quel particolare aspetto e modo di porsi della persona, che viene qualificato come “diritto alla riservatezza[17]”.

Il bilanciamento degli interessi in conflitto viene in ogni caso realizzato dall’art 24. Di particolare rilevanza è la previsione contenuta nell'ultimo comma dell'art 24, a norma del quale «deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici» (prevalenza del c.d. accesso difensivo, che si ritrova anche nell’articolo 13 del codice dei contratti pubblici[18]).

Il Giudice dell’accesso deve compiere una valutazione prognostica della necessità difensiva evidenziata e della pertinenza del documento, non potendo giungere fino a sindacare la concreta utilità della documentazione ai fini della vittoriosa conclusione del giudizio[19].

Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 d.lgs. n. 196 del 2003 in presenza di dati che permetterebbero di apprendere lo stato di salute ovvero l’orientamento sessuale personale (cc.dd. dati super sensibili).

Nonostante la rivisitazione dell’art. 24 da parte della novella del 2005, risultano ancora problematici i rapporti tra accesso e riservatezza specie da quando quest'ultima è assurta a rango di diritto fondamentale e costituzionalmente rilevante, ormai specificamente prevista e tutelata dal nuovo Codice della Privacy nel 2003[20].

Prima dell'entrata in vigore della legge 675 del 1996 in materia di tutela del trattamento dei dati personali, il diritto di accesso si riteneva prevalente rispetto alla tutela della riservatezza purché fosse esercitato a difesa necessaria di un interesse giuridico, nella sola forma della presa visione, e quindi senza prelevare materialmente (oggi anche in via informatica) il singolo documento.

Con l'adozione della legge 675 del 1996 viene a delinearsi un sistema a doppio binario per i dati comuni e per quelli sensibili, che i soggetti pubblici sono chiamati a trattare e a comunicare.

Per quelli comuni è sancita senza alcun limite, che non sia quello della connessione con interessi giuridicamente rilevanti, la prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza. Per gli altri, quelli sensibili, il diritto alla riservatezza prende il sopravvento sul diritto di accesso, occorrendo la sussistenza di specifiche disposizioni di legge che consentano il trattamento e la comunicazione o, in difetto, l’autorizzazione del Garante e il consenso dell'interessato.

Con il d.lgs. 190/2003 sono state raccolte in un unico codice le disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, di cui alle leggi nn. 675 e 676 del 1996, al fine di riordinare la materia, mettere un freno al dilagare delle norme, semplificare le disposizioni più complesse ed introdurre delle importanti novità.

Il nuovo art. 24 , comma 7, della legge 241/90, come modificato dalla l. 15/2005[21], ribadendo che l’accesso deve essere comunque autorizzato a coloro che lo richiedano, qualora la conoscenza di tali documenti sia necessaria per tutelare o eventualmente difendere interessi anche solo potenzialmente lesi, specifica che, nell’eventualità in cui i documenti contengano dati “particolarmente sensibili”, l'accesso va garantito subordinatamente all'osservanza della sola regola della “indispensabilità”, il cui fondamento va ricercato proprio negli artt. 3 e 22 del d.lgs. 193/2003; mentre nel caso di dati volti a rendere conoscibile lo stato di salute e la sfera sessuale (e finanche l’orientamento) l'accesso è permesso qualora sia strettamente indispensabile; è necessario inoltre che vengano rispettati anche i limiti temporali previsti dall'articolo 60 Codice della Privacy, il quale prevede la necessità che il “livello” della situazione abbia una rilevanza giuridica tale da esser tutelata con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, oppure risultare pari (o anche superiore) ai diritti dell'interessato, con conseguente possibilità di conoscenza di detti documenti. La giurisprudenza ha chiarito che tale valutazione debba avvenire in relazione allo specifico singolo caso in concreto, cioè non avendo riguardo solo in astratto al rango dei beni coinvolti, ma considerando anche la gravità della lesione che tali beni subiscono[22]. Il Codice della privacy, quindi, ha ribadito la graduazione della tutela della riservatezza, partendo dai dati personali comuni ai quali si applicano le regole della legge 241 del 1990, per poi passare a una tutela più elevata dei dati sensibili ex art. 59 del codice in esame e giungere, infine, alla quasi totale intangibilità di quelli sensibili ai sensi dell’art. 60.

Individuate le posizioni tutelate dal Codice Privacy, il GDPR europeo[23] è andato oltre rispetto alla normativa nazionale. Il legislatore europeo, infatti, ha introdotto nuove informazioni che possono essere richieste. L’art. 15 prevede, nello specifico, che l'interessato abbia il diritto di venire a conoscenza degli obiettivi finali del trattamento; dei tipi di dati personali che il titolare detiene; dei destinatari a cui i dati verranno diffusi, specificando in particolare se si tratta di soggetti che si trovano in paesi terzi rispetto all'Unione Europea o se si tratta di organizzazioni internazionali. Qualora ricorra una di queste ultime ipotesi, l'interessato ha anche il diritto di essere informato: sull'esistenza di adeguate garanzie concernenti il trasferimento dei propri dati personali (in siffatti casi viene ad affievolirsi, infatti, la tutela del singolo dato personale), indicato, per l’appunto, nel Capo V del General Data Protection Regulation, concernente il “passaggio” di tali dati verso paesi esteri o eventuali organizzazioni internazionali; sul preciso intervallo temporale intercorrente tra la registrazione di siffatti dati e la loro futura cancellazione, o eventualmente, e qualora possibile, sulle linee guida che regolano cronologicamente la conservazione; sull’eventuale possibilità di richiedere la totale o parziale rimozione -qualora ad esempio scaduti- della registrazione dei dati o la loro modifica, in caso di variazione degli stessi; richiedere eventualmente la limitazione del trattamento qualora si ecceda nell’utilizzo dei dati registrati, per qualunque scopo non correttamente ed ampiamente motivato (ciò può avvenire, ad esempio, per un improprio utilizzo dei dati a fini di mero profiling per marketing); sull’eventuale opposizione all’utilizzo di tali dati da parte di qualunque ente terzo indirettamente interessato; sulla possibilità di proporre legittima opposizione e reclamo all’autorità competente in caso di eventuale abuso nell’utilizzo dei dati; sul tracciamento dei propri dati, e quindi il “percorso” che essi hanno seguito per essere registrati da soggetti non originariamente destinatari; sul funzionamento dei sistemati automatici che, sulla base di algoritmi e senza dunque l’ausilio dell’uomo, trattano quotidianamente tali dati in modo virtuale ed informatizzato. A differenza della precedente normativa in materia l’attuale Codice Privacy è volto a sensibilizzare maggiormente il singolo garantendogli anche strumenti più efficaci a tutela della sua sfera privata.

I principi introdotti dal GDPR europeo trovano ulteriore riscontro in altre due forme di accesso, l’accesso civico “semplice” e l’accesso civico “generalizzato”, di cui si tratterà nel prosieguo.

6. Altre forme di diritto d’accesso: l’accesso civico semplice e l’accesso civico generalizzato nel d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013

Attraverso l'art.1, commi 30-36, della legge anticorruzione (l. 190/2012) e l’art. 1 d.lgs. 33/2013[24] viene introdotto uno strumento di controllo diffuso sugli obiettivi istituzionali della PA e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

Tale previsione normativa prevede, infatti, che le amministrazioni pubblichino sui relativi siti web istituzionali una vasta gamma di dati sull'organizzazione e le varie attività proprie della singola amministrazione. Tale obbligo spiega, quindi, la possibilità in capo a qualsiasi soggetto di esercitare il c.d. diritto di accesso civico, ex art. 5[25] d.lgs. 33/2013. La caratteristica propria di questa situazione giuridica è quella di una legittimazione soggettiva indiscriminata ed assoluta, senza che sia dunque necessario addurre alcuna motivazione da parte dell'istante, prospettando un tipo di accesso virtualmente incondizionato. Ulteriore finalità di tale forma di accesso è la possibilità, prevista dal legislatore stesso, di consentire un controllo diffuso sulle strutture pubbliche. A sottolineare la funzione dell'accesso civico (“semplice”) in relazione al principio della trasparenza, per evitare e prevenire fenomeni di mala gestio e corruzione, emerge la necessità di indirizzare l’istanza di accesso al responsabile della trasparenza, che di solito coincide con la figura del responsabile della prevenzione della corruzione.

Autorevole dottrina configura il diritto di accesso civico come un vero e proprio interesse diffuso tutelato sia con il ricorso al titolare del potere sostitutivo, di cui all’art. 2, comma 9 bis, della l. 241/90, sia con l’actio ad exhibendum ex art. 116 c.p.a., il quale, come modificato nel 2013, estende espressamente il suo ambito di applicazione all’accesso civico.

Secondo giurisprudenza maggioritaria (Cons. di St. 5515/2013[26]), il d.lgs. 33/2013 non ha in alcun modo abrogato, né esplicitamente né tacitamente, le norme della legge generale sul procedimento amministrativo in materia di accesso, poiché le due normative hanno ambiti applicativi ed oggettivi diversi.

Il diritto di accesso civico, infatti, riguarda soltanto quei dati -non necessariamente contenuti in documenti- per cui è previsto dalla legge un obbligo di pubblicazione. La mancata pubblicazione fa nascere un vero e proprio diritto soggettivo a conoscere tali dati attraverso lo strumento fin qui analizzato, pur restando ferma la disciplina dell'accesso “tradizionale” per gli atti della PA.

L'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato il regolamento attuativo in materia di accesso civico (delibera 74/2013[27]), individuando gli obblighi di pubblicità e trasparenza imposti dal d.lgs. 33/2013 e le modalità di esercizio dell'accesso.

La recente legge Madia, l. n. 12/2015, all'art. 7 ha previsto una delega in relazione alla riforma sulla materia della pubblicità, sulla trasparenza e sulla divulgazione di informazioni da parte delle PPAA, positivizzata all’intero del d.lgs. 33/2013.

In accoglimento ed in applicazione di questa delega è stato emanato nel 2016 il d.lgs. n. 97, c.d. FOIA (Freedom of Information Act). Tale testo normativo ha operato una modifica dell'art. 5 del d.lgs. 33/2013 introducendo ed estendendo il già formulato accesso civico (“semplice”) in un nuovo strumento (di accesso) da affiancarsi al previgente. Tale nuovo strumento, c.d. accesso civico “generalizzato”, pur rivolgendosi alla stessa categoria di legittimati -ossia alla totalità dei consociati- va ben oltre, permettendo la presa visione di dati, documenti e informazioni non soggetti ad obbligatoria pubblicazione, dovendo in ogni caso osservare le limitazioni riguardanti la tutela di interessi giuridicamente rilevanti, come statuito dall'art. 5 bis[28] del d.lgs. 33/2013.

7. Obblighi di pubblicazione delle PPAA ex art. 13 e ss. del Codice della Trasparenza

A doppio filo con le due forme di accesso civico summenzionate si ricollega, dunque, la necessità e l’obbligo delle varie PPAA di pubblicare determinati dati, documenti ed informazioni.

La trasparenza è da intendersi, infatti, alla luce del nuovo Codice della Trasparenza (d.lgs. 33/2013), come uno strumento volto alla prevenzione di qualunque forma di corruzione, in tutte le aree pubblicistiche. Essa, dunque, è da intendersi come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche».

Pur restando ferme e vigenti le disposizioni contenute nella legge 241/90, lo scenario prospettato dal legislatore muta: la legge sul procedimento amministrativo tendeva (e tende) a valorizzare lo strumento della trasparenza in funzione della posizione del singolo interessato – legittimato, al fine ultimo di tutelare la sua posizione nei confronti della PA. Con il d.lgs. n. 150 del 2009 prima, e con il riordino operato dal d.lgs. 33/2013 poi, si assiste ad un’espansione del principio di trasparenza, inteso in senso più ampio, praticamente universale -pur con i dovuti e necessari limiti- verso la totalità dei consociati. Tale concetto estensivo è quello fondante lo stesso FOIA già menzionato, che garantisce a chiunque l’accesso ad atti, informazioni, dati e documenti della PA, nei limiti previsti dalla stessa normativa.

Il FOIA nasce già nel 1966 negli Stati Uniti d’America, ad opera del presidente Lyndon B. Johnson[29], al fine di rendere “trasparente” l’operato del governo federale, garantendo -altresì- attraverso un apposito elenco tassativo, la presa visione, e dunque l’accesso, a dati, informazioni e documenti prima classificati.

Sulla scorta di quanto avviato pioneristicamente dagli Stati Uniti sono oggi numerosi gli Stati che hanno adottato il FOIA, tra cui, dal 2016, l’Italia.

La legge 150/2009 prevedeva, limitatamente, obblighi di pubblicazione solo sulle “performance” delle PPAA, permettendo l’accesso solo a queste. Il d.lgs. 33/2013, all’art. 1, comma 1, ha esteso la precedente previsione in maniera pressoché totale, prevedendo -altresì- all’art. 23[30] l’obbligo di pubblicare un elenco, da aggiornarsi semestralmente, sui provvedimenti amministrativi emanati dagli organi politici e dai dirigenti, con peculiare attenzione ai provvedimenti finali.

L’intenzione del legislatore è quella di rendere l’Amministrazione Pubblica come una vera e propria “casa di vetro[31]”, trasparente, quindi, in tutto il suo operato interno.

Tali obblighi di trasparenza sono spesso assolti attraverso la pubblicazione sui vari siti internet degli enti pubblici di atti, informazioni e documenti coperti da obbligatorietà di pubblicazione.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) prevede espressamente sul suo sito web istituzionale[32] la regolamentazione necessaria per rispettare la previsione normativa di cui al d.lgs. 33/2013.

Da ultimo vanno segnalate due importanti modificazioni relative agli obblighi di pubblicazione. La legge di bilancio 2020, infatti, (l. n. 160 del 27 dicembre 2019) ha introdotto due corpose modifiche al d.lgs. 33/2013. La prima modifica attiene all’oggetto delle pubblicazioni sui concorsi pubblici nella sezione “Amministrazione Trasparente” (commi 145 e 146) all’interno del sito web istituzionale.

La seconda invece, di maggiore rilievo, modifica l’apparato relativo alla responsabilità dirigenziale e il regime sanzionatorio per eventuali mancanze (o anche errori) degli obblighi di pubblicazione (comma 163). Inoltre, il c.d. decreto milleproroghe[33] ha sospeso l'applicazione delle sanzioni, rafforzate dalla legge di bilancio 2020, per gli inadempimenti relativi alle pubblicazioni dei dati di titolari di incarichi dirigenziali di cui all’art. 14 del decreto legislativo 33 del 2013.

8. Il diritto d’accesso dei consiglieri regionali, comunali e provinciali ex art. 43 del Testo Unico Enti Locali: la legittimazione rafforzata

Giunti alla terza parte del presente elaborato, risulta necessario operare una ricognizione dell’istituto per meglio comprendere la speciale ipotesi di accesso prevista dall’ordinamento degli enti locali, fulcro ed obiettivo ultimo dell’odierna ricerca dottrinale e giurisprudenziale.

Già la legge di riforma delle autonomie locali (l. 142/1990), promulgata prima della legge 241/90, prevedeva il diritto di accesso agli atti dell’amministrazione pubblica, alle informazioni detenute dall’Amministrazione stessa e ai servizi e alle organizzazioni ad essa strettamente connessi.

Nacque dunque negli anni '90 una nuova epoca per quanto attiene ai rapporti tra Amministrazione e destinatari dell’azione amministrativa: la tendenza era quella di realizzare nuovi modelli organizzativi partecipati, non solo per tutelare le varie situazioni soggettive che possono essere pregiudicate qualora si scontrino con i pubblici poteri, ma anche per un controllo sociale sulla stessa Amministrazione.[34]

Con l’entrata in vigore della legge 241/90 è sorto un contrasto fra quest’ultima e la legge 142/90; la dottrina, infatti, ha cercato -da tale momento- di coordinare e delimitare la portata delle relative disposizioni in materia.

Il problema più evidente, affrontato dalla dottrina, riguarda la possibilità di trasferire la tutela prevista dall’art. 25 della legge 241/90, nel silenzio del legislatore sul punto, nell’ambito della disciplina sugli enti locali.

Un primo ostacolo si ravvisa nell’art. 1 l. 142/1990, comma 3, il quale prevede espressamente che modifiche della stessa legge possono avvenire solo attraverso abrogazioni esplicite delle sue disposizioni.

In dottrina tale ostacolo è stato superato riconoscendo la natura integrativa della legge 241/90, non avente, invece, natura derogativa, come prospettato in origine.

Seguendo, quindi, questa tesi di integrazione fra le due normative, il diritto di accesso agli atti amministrativi nelle autonomie locali risulta disciplinato -in maniera puntuale ed esaustiva per quanto attiene alle modalità di esercizio e alla struttura dell’istituto- dalla combinazione delle disposizioni di entrambe le leggi, da un lato l’art. 10 TUEL e dall’altro la legge 241/90.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, inoltre, l’art. 10 TUEL non delinea un modello ostensivo autonomo, ma è riconducibile alla disciplina contenuta nella legge 241/90[35].

Il TUEL presenta un ulteriore modello speciale di accesso agli atti: l’art. 43, comma 2, infatti, rubricato “Diritto dei consiglieri[36]”, attribuisce ai consiglieri comunali e provinciali (e per estensione anche a quelli regionali) il diritto di accedere, in modo del tutto assoluto e incondizionato, ai documenti ed a tutte le informazioni che riguardano l’Ente Locale, le sue aziende e gli enti controllati. L’ampiezza dell’ambito applicativo di tale istituto si giustifica alla luce della ratio legis che è quella di consentire al consigliere di svolgere il proprio mandato in modo informato e di poter controllare l’operato della Giunta.

Secondo consolidata giurisprudenza, però, “il riconoscimento da parte dell'art. 43 d.lgs. 267/2000 di una particolare forma di accesso, costituita dall' accesso del consigliere comunale per l'esercizio del mandato di cui è attributario, non può portare allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti e non può comportare che, attraverso uno strumento dettato dal Legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti cittadino-PA, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull'attività dell'amministrazione oramai vietato dall'art. 24 c. 3 l. 241/90”[37]. I consiglieri possono accedere a qualunque informazione utile all’espletamento del loro mandato. La giurisprudenza ritiene che, data l’ampiezza del diritto in esame, la richiesta di accesso non vada neanche motivata, così si evita che l’ente possa avere un potere di controllo sull’esercizio del mandato. Tale modalità di accesso, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza sulla scorta di quanto previsto dall’art. 43, comma 2, TUEL, configura un istituto caratterizzato da una legittimazione nettamente rafforzata rispetto a quella prevista, ad esempio, per il solo accesso documentale ex legge 241/90, prerogativa, però, soltanto dei soggetti muniti di incarico politico nelle qualità di consiglieri comunali, provinciali o regionali.

9. La rimozione del limite sui dati personali alla luce delle recenti pronunzie del Consiglio di Stato

L’art. 43, comma 2, TUEL ha una portata molto ampia, relativamente all’oggetto per il quale è possibile richiedere l’accesso. La disposizione recita infatti che «I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. [...]».

Il consigliere, dunque, durante l’intero periodo del mandato, può richiedere alle varie amministrazioni, destinatarie di apposita istanza di accesso, una rosa molto varia di “documenti”, utili proprio all’espletamento dell’incarico politico e rappresentativo conferitogli.

Tale forma di accesso è però soggetta ad alcune limitazioni. Come si legge nell’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 3 TUEL, i consiglieri «sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge».

Uno di questi limiti, applicato in maniera costante dalla giurisprudenza fino al 2018, era individuato nel diritto alla riservatezza, e dunque all’oscuramento di dati personali sensibili che non potevano, in alcun caso, essere oggetto di ostensione.

Ma se ciò vale per l’accesso documentale, analizzato nella prima parte del presente elaborato, previsto dalla legge 241/90, esso subisce una deroga in materia di accesso dei consiglieri comunali, anche alla luce del tenore letterale della semplice norma.

L’evidente portata estensiva della norma e le necessità sottese al mandato politico del consigliere -sia esso comunale, provinciale o regionale- permettono di accedere in maniera molto più “profonda” rispetto alle modalità e all’oggetto previsto per l’accesso documentale.

Il Consiglio di Stato, infatti, con un’importante sentenza del 2018[38],  ha affermato autorevolmente come il diritto di accesso dei consiglieri non trovi alcuna limitazione in relazione alla natura riservata degli atti, né in relazione a dati o elementi riconducibili tra i c.d. “dati sensibili”, proprio per la peculiare natura di tale carica politica, e, inoltre, come non sia permesso sindacato alcuno sull’esercizio delle funzioni di consigliere.

Nel caso di specie, sotteso alla pronuncia summenzionata, era stato negato l’accesso ad un consigliere regionale in relazione ad alcuni nominativi di colleghi consiglieri che avevano esercitato l’opzione per l’assegno di fine mandato.

Sulla falsa riga di un’ostensione a seguito di accesso documentale, l’amministrazione aveva accolto l’accesso, fornendo però i nominativi in modo anonimo e aggregato. Il Consiglio di Stato, dunque, con la pronuncia in oggetto, ritenne legittimo l’accesso del consigliere permettendo la visione dei nominativi sottesi alla richiesta, enunciando il principio di diritto per cui tale figura non incontra alcun limite in relazione alla riservatezza, sia riguardante l’atto o il documento in sé, che solo alcuni elementi in essi contenuti.

Come si legge dalla stessa pronuncia del CdS, il quale richiama una precedente pronuncia[39] in materia di limiti all’accesso ex art. 43, comma 2, il consigliere deve in ogni caso evitare strategie ostruzionistiche e di paralisi dell’attività amministrativa, al fine di bilanciare la portata generale di uno strumento potenzialmente invasivo.

Sono, altresì, due i limiti che gli stessi Giudici di Palazzo Spada hanno riconosciuto alla figura del consigliere: il segreto d’ufficio e il segreto di Stato.

Il consigliere, infatti, pur potendo accedere a dati coperti da segreto d’ufficio e da riservatezza, è soggetto in ogni caso -e a sua volta- a tale segreto, non potendo in alcun caso divulgarlo a terzi[40].

Risulta, quindi, evidente come la più recente giurisprudenza ritenga fortemente incisivo lo strumento dell’accesso ex art. 43, comma 2, essendo esso privo di alcun limite, pur comunque soggiacendo -il consigliere- al segreto d’ufficio e di Stato, ed essendo vietati comportamenti ostruzionistici volti a minare l’attività della P.A.

Pur concessa l’ostensione di atti e documenti coperti da segreto, il consigliere, a sua volta, è obbligato a rispettare il diritto alla riservatezza.

Tali limiti si giustificano per la natura stessa della figura del consigliere comunale, provinciale, e per estensione regionale; il Consiglio di Stato ha infatti qualificato l’accesso di questa categoria di soggetti come un “diritto soggettivo pubblico funzionalizzato[41]”, orientato al controllo politico - amministrativo sull’ente, nell’interesse della collettività.

10. Il primo indirizzo giurisprudenziale: concezione espansionistica del diritto di accesso dei consiglieri (regionali, provinciali, comunali); l’“accesso informatico”

Come già esposto nei precedenti paragrafi, l’accesso dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, alla luce della giurisprudenza sia dei TAR che finanche del Consiglio di Stato, sembra essere caratterizzato da una portata pressoché illimitata, e non soggetto ai limiti tipici delle altre forme d’accesso, specialmente quello documentale, soggetto invece -quest’ultimo- all’insormontabile limite della riservatezza, pur comunque risultando necessario (come trattato nella prima parte dell’elaborato) un doveroso bilanciamento degli interessi tra quelli del richiedente l’accesso e quelli sottesi  ai documenti oggetto di istanza.

La qualifica data dallo stesso Consiglio di Stato non lascia adito ad alcun dubbio: il diritto del consigliere comunale, provinciale e per estensione quello regionale è un diritto soggettivo pubblico[42].

Posta da parte la querelle tipica sulla natura del diritto di accesso, quale interesse legittimo o diritto soggettivo, il CdS riconosce che l’accesso dei consiglieri sia da qualificarsi, per sua natura intrinseca, come diritto soggettivo proprio dei soggetti individuati dall’art. 43 T.U.E.L.

Tale diritto soggettivo viene, inoltre, descritto come pubblico dai Giudici di Palazzo Spada, a voler sottolineare l’obiettivo pubblicistico al quale deve tendere ogni istanza motivata ex art. 43, comma 2, del Testo Unico degli Enti Locali e al non voler, altresì, ostacolare l’operato degli uffici dell’amministrazione, vero limite all’esercizio di tale forma di accesso.

La questione che qui ci si pone come obiettivo da trattare riguarda, indirettamente, la digitalizzazione sempre più complessa ed estesa “a macchia d’olio” della Pubblica Amministrazione.

Nel 2000, infatti, è stato introdotto il c.d. protocollo informatico, con D.P.R. n. 445, il quale -all’art. 50[43]  comma 3- indica la necessità di realizzare infrastrutture informatiche che siano in linea con la normativa vigente sulla tutela dei “dati sensibili”; gli artt. 53 e 55 di tale testo di legge annoverano, rispettivamente, la “registrazione di protocollo” e la “segnatura di protocollo”, che attengono ai modi di tracciamento dei dati.

L’autorevole Plenum della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi[44] ha riconosciuto la possibilità dei consiglieri -nel caso in esame quello comunale- di poter accedere al protocollo informatico, al fine di operare un controllo completo e tempestivo dell’operato della PA, senza aggravarla. Si legge, infatti, che «l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente, ove operante, è uno strumento di accesso certamente consentito al consigliere comunale che favorirebbe la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Ovviamente il consigliere comunale rimane responsabile della segretezza della password di cui è stato messo a conoscenza a tali fini (art. 43, comma 2, T.U.E.L.)».

Lo stesso Garante per la tutela dei dati personali  aveva puntualmente indicato che «nell’ipotesi in cui l’accesso da parte dei consiglieri comunali riguardi dati sensibili, l’esercizio di tale diritto, ai sensi dell’art. 65, comma 4, lett. b), del Codice, è consentito se indispensabile per lo svolgimento della funzione di controllo, di indirizzo politico, di sindacato ispettivo e di altre forme di accesso a documenti riconosciute dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per consentire l’espletamento di un mandato elettivo. Resta ferma la necessità … che i dati così acquisiti siano utilizzati per le sole finalità connesse all’esercizio del mandato, rispettando in particolare il divieto di divulgazione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute. Spetta quindi all’amministrazione destinataria della richiesta accertare l’ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione officii del consigliere comunale[45]».

La giurisprudenza medesima è arrivata ad affermare la possibilità di tale accesso informatico al protocollo[46], senza escludere elementi e/o informazioni private di materie soggette a segretezza, pur rilevando comunque l’obbligo del segreto in capo allo stesso consigliere come previsto dall’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000.

Una recentissima pronuncia del TAR Sardegna, la n. 531 del 2018, ha cercato di ridimensionare l’eccessiva portata (e se vogliamo anche invasività) della particolare forma di accesso informatico, statuendo che il «possesso delle chiavi di accesso telematico, rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale […] ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione. Peraltro, una delle modalità essenziali per poter operare in tal senso è rappresentata proprio dalla possibilità di accedere (non direttamente al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’amministrazione, ma) ai dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo[47]».

Si nota dunque come dal 2018 le varie pronunce dei Giudici dei diversi TAR siano contrastanti, venendosi a delineare un nuovo problema dovuto allo strumento informatico, per sua natura -potenzialmente- invasivo.

Successivamente alla citata ultima pronuncia del TAR Sardegna rileva una recentissima pronuncia del TAR Campania[48], la quale riconosce invece la possibilità e il diritto del consigliere (comunale) di accedere finanche da remoto al protocollo informatico dell’ente.

Tale accesso, finanche da remoto, pone un ulteriore problema del tutto inesistente in epoca “non digitale”.

L’accesso da remoto permette all’utente di prendere visione di dati (informatici) da qualunque dispositivo, anche personalmente e comodamente da casa, dotato delle credenziali informatiche. Il log in fuori dalla sede amministrativa, effettuato su terminali diversi da quelli “autorizzati” e controllati dalla PA, pone potenzialmente a serio rischio la sicurezza informatica sia del sistema dell’Amministrazione che dei dati in esso contenuti.

In mancanza di una puntuale disciplina in materia, i Giudici Amministrativi hanno posto l’accento sulla portata estensiva del diritto di accesso dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, permettendo un vaglio pressoché totale sull’attività dell’ente, attraverso l’accesso al sistema informatico dell’ente stesso e al suo protocollo.

L’indirizzo maggioritario, nella prassi, ha individuato il suddetto diritto, adeguandosi all’evoluzione informatica e tecnologica a cui le PPAA devono conformarsi come indicato dal d.lgs. n. 82/2005 [49](Codice dell’Amministrazione Digitale), attraverso l’adozione di un sistema virtuale integrato per la gestione dei documenti, all’interno del quale si annovera, anche, il “protocollo informatico”.

11. Il secondo indirizzo giurisprudenziale: il ridimensionamento del diritto di accesso ex art. 43, comma 2, del Testo Unico Enti Locali, alla luce delle recenti sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali

Proprio a causa della digitalizzazione dell’attività Amministrativa, e della natura “virtuale” della rete internet, è nata dalla prassi un’esigenza che il legislatore originario del Testo Unico Enti Locali non poteva prevedere.

Nonostante le recenti modifiche introdotte dal d.l. n. 124/2019 convertito con modificazioni dalla legge n. 157/2019, il testo dell’art. 43, comma 2, TUEL, non regolamenta in alcun modo le modalità di accesso prerogativa del “Diritto dei consiglieri”, limitandosi a indicare l’ampia portata di tale diritto.

In ogni caso, come si legge nel testo normativo, è necessario che l’oggetto dell’accesso sia elemento utile all’espletamento del mandato politico. Infatti, nell’espletamento del suo mandato elettivo – fermo il segreto a cui è tenuto ai sensi dell’art. 43, comma 2, TUEL – il consigliere potrà venire a conoscenza di notizie e informazioni in possesso degli uffici comunali sul conto dei cittadini che, ai sensi della disciplina privacy, costituiscono dati personali, di natura sia comune che particolare (dati sensibili).

Bisogna in ogni caso tenere presente che il consigliere, ex art. 78 TUEL, non può partecipare ad atti che lo riguardano direttamente e in modo personale, così come nel caso in cui tali atti rientrino nella sfera privata di parenti o affini entro il quarto grado. Tale norma si basa in maniera evidente sul principio di “buona amministrazione”, sancito dall’art. 97 Cost.

In caso di accesso generalizzato ad atti protocollati, o comunque detenuti da una PA, infatti, il consigliere in conflitto di interesse è tenuto e obbligato ad astenersi.

Il mandato, dunque, oltre che legittimare il consigliere, sembra essere un vero e proprio limite all’esercizio del diritto d’accesso prerogativa del soggetto qualificato[50], in quanto la stessa finalità di tale forma di accesso è quella di operare un controllo volto, ad esempio, al controllo sull’accuratezza e sull’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per poter esternare una congrua valutazione e promuovere attività che attengono ai soli rappresentanti dell’amministrazione locale[51], sempre nell’ambito oggetto di competenze proprie del Consiglio.

Proprio per favorire tali forme di controllo, in ottemperanza al dettato normativo, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario[52] (analizzato nel paragrafo precedente) individua la possibilità di consentire, in determinati casi, l’accesso al protocollo informatico dell’Ente da parte del consigliere.

La querelle, oggetto della presente disamina, nasce proprio dal fatto che, di recente, è sorto in seno alla giustizia amministrativa un nuovo indirizzo giurisprudenziale (alla data in cui si scrive minoritario) che pone l’accento proprio sulla necessità di una maggiore regolamentazione e limitazione di tale forma di accesso alla luce delle caratteristiche proprie dello strumento digitale e informatico.

Del tutto pioneristica risulta, infatti, la pronuncia del TAR Molise del 3 settembre 2019, n. 285, la quale, discostandosi dall’indirizzo maggioritario ancorato ad una interpretazione letterale dell’art. 43, comma 2, TUEL, riconosce che lo strumento informatico per sua stessa natura ha una portata globale poiché gli attuali sistemi in dotazione alle varie PP.AA. non prevedono limitazioni una volta effettuato il log in al portale dell’ente. Questo comporta che il rilascio delle credenziali di user id e password ad un consigliere permette incontestabilmente (ma soprattutto in maniera incontrollata) un vaglio assoluto sull’attività dell’ente stesso, con evidenti finalità esplorative, che eccedono dal perimetro delle prerogative attribuite ai consiglieri comunali, provinciali e regionali.

Il caso riguarda la richiesta di accesso di alcuni consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle tendente ad ottenere il rilascio delle credenziali di accesso all’area “Contabile e Patrimonio” del sistema Urbi Smart[53]: la sentenza in rassegna ha osservato che il tipo di accesso “diretto” richiesto si risolva in un’indagine avente una portata estesa e permanente sull’operato dei singoli uffici, violando quindi l’essenza stessa dell’istituto, che, in tal modo, mira ad alterare la finalità di conoscenza e controllo in relazione ad una peculiare notizia o ad un determinato atto dell’ente pubblico, siccome ritenuti strumentali al mandato politico, culminando in un vaglio incontrollato dell’area “Contabile e Patrimonio” e sull’intero operato degli uffici, avente scopo meramente esplorativo.

Una tale forma di accesso permetterebbe un monitoraggio costante dell’ente, non solo in relazione all’attività presente, ma anche a quella futura, non quindi individuabile al momento della richiesta, ma anche in relazione all’attività passata, quando il consigliere era ancora sprovvisto della qualifica legittimante il diritto in questione, andando quindi oltre la finestra temporale specifica individuata dal mandato politico[54].

Nella sentenza in commento si legge infatti che «[…] l’accesso previsto dall’art. 43 del T.U.E.L.  -pacificamente estensibile ai consiglieri regionali- deve essere letto ed applicato in conformità alla progressiva digitalizzazione che ha interessato negli ultimi anni l’attività degli uffici pubblici, ciò che rende sicuramente ammissibile l’accesso mediante l’utilizzo di sistemi informatici.

È però parimenti vero che la concreta modalità dell’accesso con l’impiego di applicativi informatici non deve determinare la elusione dei principi di fondo che conformano l’esercizio del relativo diritto, nei termini stabiliti dagli artt. 22 e 24 della legge n. 241 del 1990.

In particolare, resta ferma la regola per cui l’esercizio del diritto di accesso presuppone la presentazione di una richiesta specifica e puntuale, che deve riferirsi a documenti preesistenti e già formati.

Invece, nel caso di specie, il rilascio delle credenziali di accesso all’area “Contabile e Patrimonio” del sistema Urbi Smart, nei termini richiesti dai ricorrenti, permetterebbe ai consiglieri regionali di introdursi indiscriminatamente nella totalità dei documenti connessi alla contabilità dell’ente pubblico senza previa ed apposita istanza.»

Più di recente, la giurisprudenza del TAR ha ritenuto legittimo l’ottenimento delle credenziali per il log in al sistema informatico dell’ente ai soli fini della consultazione del protocollo informatico, avendo cura di precisare espressamente che tali credenziali non devono consentire l’accesso diretto ai documenti: «[…]al fine di evitare ogni accesso indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati, il Collegio è dell’avviso che l’accesso da remoto vada consentito in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso (tra le quali la necessità di richiesta specifica)» [55].

L’accesso da remoto, infatti, causa un nuovo problema sulla regolamentazione dell’esercizio del diritto: in precedenza era il funzionario che brevi manu consegnava le copie dei documenti ai consiglieri che ne facevano richiesta; successivamente l’accesso, come avviene in parte oggi, si concretizza nella consultazione da parte del consigliere, presso la sede dell’ente, di un terminale informatico predisposto ed autorizzato, terminale che viene direttamente controllato dall’ente, per tutto ciò che riguarda il contenuto e la sicurezza.

L’accesso non “in locale” ma da remoto esclude del tutto l’opportuna vigilanza della PA, poiché il consigliere, munito delle giuste credenziali, può accedere in totale autonomia e su qualunque dispositivo, personale e non pubblico, esterno dunque alla dotazione informatica dell’ente.

Sulla scorta di quanto fin qui analizzato, il TAR Molise ha respinto la richiesta di accesso in quanto «esorbitante rispetto alla ratio ed al perimetro del diritto di accesso esercitabile da parte dei consiglieri regionali […]».

Tale pronuncia, lungi dal restare isolata, ha dato il via al concretizzarsi di un indirizzo giurisprudenziale più restrittivo, ancora minoritario, attento alle contemporanee esigenze della digitalizzazione amministrativa. La lettura operata dal Giudici del TAR Molise, infatti, si discosta dal tenore letterale della norma contenuta nell’art. 43, comma 2, TUEL, individuando con maggiore precisione i confini del diritto dei consiglieri regionali.

Una recentissima sentenza del TAR Sicilia[56], infatti, seguendo il sentiero tracciato dai Giudici del TAR Molise, ha respinto il ricorso di alcuni consiglieri comunali del Comune di Montagnareale, volto all’ottenimento delle credenziali del programma di gestione contabile dell’ente comunale a seguito del mancato rilascio da parte dell’ente stesso.

I Giudici del TAR Sicilia - Sez. di Catania, pur riconoscendo l’ampia portata del diritto di accesso prerogativa dei consiglieri comunali e tenendo conto dell’indirizzo giurisprudenziale maggioritario in materia, hanno infatti respinto il ricorso in questione, ritenendo che il «[…] rilascio delle credenziali per l’accesso al programma di gestione contabile, in definitiva, consentirebbe ai consiglieri comunali ricorrenti di accedere alla generalità indiscriminata dei documenti relativi alla contabilità dell’Ente in mancanza di apposita istanza; tale forma di accesso “diretto” si risolverebbe in un monitoraggio assoluto e permanente sull’attività degli uffici, tale da violare la ratio dell’istituto, che, così declinato, eccederebbe strutturalmente la sua funzione conoscitiva e di controllo in riferimento ad una determinata informazione e/o ad uno specifico atto dell’ente, siccome ritenuti strumentali al mandato politico, per appuntarsi, a monte, sull’esercizio della funzione propria della relativa area e sulla complessiva attività degli uffici, con finalità essenzialmente esplorative, che eccedono dal perimetro delle prerogative attribuite ai consiglieri». 

Per quanto concerne, invece, il rilascio delle credenziali del solo protocollo informatico «[…]il Collegio ritiene che tale rilascio si tradurrebbe in un accesso generalizzato e indiscriminato a tutti i dati della corrispondenza in entrata e uscita».

Il TAR Sicilia – Sez. di Catania ha concluso affermando che «il rilascio delle credenziali per l’accesso a tale ultimo programma, peraltro, si rivela ingiustificato ed eccessivo rispetto alle esigenze conoscitive sottese: si vuol evidenziare, in altri termini, che la modalità informatica di accesso (il “quomodo”) appare eccessiva rispetto allo scopo perseguito, essendo l’Ente comunale tenuto, a fronte di istanza formulata dai consiglieri comunali nel rispetto dei sopra delineati principi a consentire la visione nonché a procedere al rilascio di copia cartacea (stampa) dei dati di sintesi del protocollo informatico (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto)».

12. Conclusioni

Analizzato il contrasto giurisprudenziale tra i due indirizzi, risulta doveroso cercare di individuare un punto fermo nella qualificazione dei limiti del diritto di accesso ex art. 43, comma 2, TUEL.

Ancora oggi, infatti, il Consiglio di Stato non si è pronunciato in maniera puntuale sulla questione, rilevando sull’argomento soltanto le diversificate pronunce dei Tribunali Amministrativi Regionali.

L’informatizzazione radicale ed estesa nell’ambito della PA ha generato un problema che era del tutto assente in epoca analogica, quando l’accesso, anche dei consiglieri regionali, si concretizzava nella visione ed estrazione copia dei documenti cartacei presenti nei vari uffici degli enti pubblici.

È prevedibile, invero, che, lungi dall’essere risolta, la querelle andrà avanti in sede giurisprudenziale, con una continua alternanza di pronunce discordanti sul punto.

Nonostante manchi, inoltre, consolidata dottrina sulla speciale fattispecie “dell’accesso informatico” dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, è da rilevare che consentire un accesso informatico così profondo ed invasivo possa, da un lato, porre a serio rischio la sicurezza e l’attività dell’amministrazione e, da un punto di vista prettamente giuridico, sconfinare in un diritto illimitato, indiscriminato e incontrollato, che -per sua intrinseca natura e per i principi propri dello Stato di diritto- non può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento.

L’accesso informatico da remoto, inoltre, priverebbe lo strumento di qualunque tipo di forma, autorizzando implicitamente il consigliere richiedente le sole credenziali informatiche ad operare un vaglio sull’amministrazione in maniera completamente autonoma da quest’ultima, agendo come una sorta di “Grande Fratello”, distaccandosi dal sistema e controllandolo senza alcuna supervisione, senza che l’Ente possa venire a conoscenza del quando, del come e del perché tale accesso sia esercitato.

Ulteriore prerogativa del diritto di accesso, sia “standardizzato” che “speciale” ex art. 43, comma 2, TUEL, risiede nella necessità di una richiesta specifica e delimitata: risulta, dunque, evidente come l’accesso informatico confligga inevitabilmente con tale principio di diritto, ragion per cui, in conclusione, sembra di gran lunga preferibile la ricostruzione giuridica prospettata dal TAR Molise e, da ultimo, dalla recentissima pronuncia del TAR Sicilia analizzata precedentemente.

I Giudici siciliani, infatti, pur riconoscendo l’indirizzo maggioritario sul punto, se ne sono discostati esplicitamente, ravvisando la potenziale pericolosità di un accesso «...generalizzato e indiscriminato a tutti i dati...».

La pronuncia del TAR Basilicata del 10 luglio 2019, n. 599, sembrerebbe inquadrarsi come una vera e propria sentenza di terza via, perché ha riconosciuto al consigliere il diritto di accedere al protocollo informatico, senza però la possibilità di prendere visione dei documenti in esso contenuti. Ma la sola visione del protocollo informatico permette al consigliere di vagliare l’operato dell’ente anche con riferimento al periodo antecedente alla sua elezione politica, travalicando così i limiti impliciti ed espliciti del diritto ex art. 43, comma 2, TUEL.

In conclusione, dunque, appare del tutto preferibile la ricostruzione giuridica operata dal TAR Molise, il quale, riconoscendo la particolarità e specialità dell’accesso informatico come strumento diverso e nuovo, ha ritenuto che debba ricorrere la necessaria strumentalità al mandato politico e, inoltre, la riferibilità «… a singole problematiche che di volta in volta interessano l’elettorato e desumibili da atti e documenti già in possesso dell’Amministrazione», per evitare un accesso “generalizzato” e “permanente”.


Note e riferimenti bibliografici

[1] www.camera.it/parlam/leggi/05015l.htm

[2] www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/09150dl.htm

[3] www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2012_0190.htm - Art. 30, comma 1: Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l’obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all’articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase.

[4] I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

[5] www.parlamento.it/parlam/leggi/96675l.htm

[6] Adunanza Plenaria; decisione 24 giugno 1999, n. 16; Pres. Laschena, Est. Maruotti; Soc. Autostrade (Avv. Scozzafava) c. Bove (Avv. Rienzi, Saporito, Montaldo). Annulla Tar Lazio, sez. II, 24 settembre 1997, n. 1559

[7] Materia oggi disciplinata nell’art 116 del codice del processo amministrativo: 1. Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni.

2. In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

3. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato.

4. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

[8] Consiglio di Stato n. 2938/2003: “Il giudice amministrativo giudica sulle controversie in materia di accesso in sede di giurisdizione esclusiva. Sulla natura giuridica del diritto d’accesso si sono sinora formati due diversi orientamenti giurisprudenziali. Il primo orientamento (Adunanza plenaria 24 giugno 1999 n. 16; Sez. V, 2 dicembre 1998 n. 1725) ritiene che il diritto d’accesso abbia in realtà natura sostanziale di interesse legittimo; il secondo orientamento (Sez. VI, 19 settembre 2000 n. 4880; Sez. IV, 27 agosto 1998 n. 1137 e 11 giugno 1997 n. 643; TAR Marche, 20 novembre 1997 n. 1181), seguito dalla sentenza impugnata, ritiene invece che il diritto d’accesso abbia natura sostanziale di un vero e proprio diritto soggettivo. Al secondo orientamento implicitamente aderisce la giurisprudenza, oggi pacifica (Sez. IV, 2 luglio 2002 n. 3620 e 16 aprile 1998 n. 641), secondo cui la sopravvenuta inoppugnabilità del diniego d’accesso o del silenzio sulla domanda d’accesso non preclude la facoltà di presentare di nuovo la domanda stessa; e in tal modo riconosce che la posizione soggettiva dell’interessato all’accesso può essere fatta valere senza il limite del termine di decadenza proprio dell’interesse legittimo. Il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali 18 agosto 2000 n. 267, all’art. 19, assicura ai cittadini il diritto di accedere “a tutti gli atti” e “in generale, alle informazioni” di cui è in possesso l’amministrazione locale; e al successivo art. 43 stabilisce che i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere “tutte le notizie…utili all’espletamento del proprio mandato”. Tali norme sono state pacificamente intese nel senso che attribuiscano agli interessati un vero e proprio diritto soggettivo d’accesso. Costituirebbe quindi un’evidente discrasia che solo gli accessi disciplinati dalla legge n. 241/1990, che oltre tutto rappresentano solo una piccola minoranza del totale degli accessi, avessero natura di interesse legittimo; ciò soprattutto ora che il nuovo testo dell’art. 114 della Costituzione ha ribaltato la tradizionale piramide delle pubbliche amministrazioni, ponendo al suo vertice Comuni e Province. In secondo luogo l’Atto Senato n. 1281, al fine evidente di eliminare ogni dubbio sorto in passato ha esplicitamente inserito il diritto d’accesso tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117, lett. m) della Costituzione ed ha precisato che il giudice amministrativo giudica sulle controversie in materia di accesso in sede di giurisdizione esclusiva; sicché ogni dubbio in proposito appare destinato ad essere tra breve formalmente eliminato dal legislatore del quale – allo stato – appare ben chiara l’intenzione”

[9] Legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuova norme sul procedimento amministrativo”, art. 22, comma 1, lett. a.

[10] https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1990_0241.htm

[11] Clarich M. Manuale di diritto amministrativo, (4° ed.) Bologna, 2019, p. 147

[12] S. Rossa, Diritto dell'Informazione e dell'Informatica (Il), fasc. 4, 1 ottobre 2019, pag. 1121

[13] A. Paire, Alcuni rilievi giurisprudenziali intorno al diritto di accesso ai documenti amministrativi, Nota a TAR LA -Roma sez. I bis 20 marzo 2006, n. 1994 in Il Foro amministrativo T.A.R., 2006, fasc. 4, pp. 1343-1355

[14] R. Caridà, Principi costituzionali e pubblica amministrazione, in Consulta Online: www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2014/07/Rossana-Caridà-Principi-costituzionali-e-pubblica-amministrazione.pdf

[15] Ad. Plen. 7/2012; Cons. di St. 1370/2015

[16] Art. 24, c. 3, l. 241/1990: […] Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. […]

[17] G. Finocchiaro, Privacy e protezione dei dati personali, 2012, pp. 3 ss.

[18] M. Mancini, La tutela del cittadino di fronte alla P.A., 2013, pp. 43 ss.

[19] Cons. di St. 4493/2014

[20] Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196,"Codice in materia di protezione dei dati personali", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003 - Supplemento Ordinario n. 123

[21] Legge 11 febbraio 2005, n. 15: "Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005

[22] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in Federalismi.it, Editoriale – 22 maggio 2019, pp. 22 e ss.

[23] Rettifica del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016)

[24] Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni

[25] Art. 5. Accesso civico a dati e documenti

1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.

2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.

3. L'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione. L'istanza può essere trasmessa per via telematica secondo le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ed è presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici:

a) all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;

b) all'Ufficio relazioni con il pubblico;

c) ad altro ufficio indicato dall'amministrazione nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale;

d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove l'istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto

[26] CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 20 novembre 2013, n.5515: “Le nuove disposizioni, dettate con d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, disciplinano situazioni, non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Le due fonti normative sono segnate da finalità e disciplina differenti, pur nella comune ispirazione al principio di trasparenza, che si vuole affermare con sempre maggiore ampiezza nell’ambito dell’amministrazione pubblica. […]

[27] Delibera numero 74 del 02 ottobre 2013, Regolamento sugli obblighi di pubblicità e di trasparenza della Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione in attuazione dell’art. 11 del decreto legislativo 14.3.2013, n. 33

[28] Art. 5-bis. Esclusioni e limiti all'accesso civico

1. L'accesso civico di cui all'articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:

a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;

b) la sicurezza nazionale;

c) la difesa e le questioni militari;

d) le relazioni internazionali;

e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;

f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;

g) il regolare svolgimento di attività ispettive.

2. L'accesso di cui all'articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:

a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;

b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;

c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.

3. Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

4. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l'accesso agli altri dati o alle altre parti.

5. I limiti di cui ai commi 1 e 2 si applicano unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato. L'accesso civico non può essere negato ove, per la tutela degli interessi di cui ai commi 1 e 2, sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

6. Ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui al presente articolo, l'Autorità nazionale anticorruzione, d'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative.

[29] Division of Freedom of Information and Publications Services, Office of Administration, U.S. Nuclear Regulatory Commission, Washington, D.C. 20555, “List of Documents Made Publicly Available, Volume 14; Volume 88”, pp. 342 ss.

[30] Art. 23: 1. Le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano ogni sei mesi, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», gli elenchi dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, con particolare riferimento ai provvedimenti finali dei procedimenti di:

a) (lettera soppressa dall'art. 22 del d.lgs. n. 97 del 2016)

b) scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fermo restando quanto previsto dall'articolo 9-bis;

c) (lettera soppressa dall'art. 22 del d.lgs. n. 97 del 2016)

d) accordi stipulati dall'amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche, ai sensi degli articoli 11 e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

[31] F. Caringella – R. Garofoli, 2003, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, Giuffrè, p. 121

[32]www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Attivitadocumentazione/Trasparenza/AttiMateriaTrasparenza “Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”

[33] DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2019, n. 162: Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica” Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 8 (in S.O. n. 10, relativo alla G.U. 29/02/2020, n. 51)

[34] Art. 7 l. 142/1990, oggi modificato e trasformato nell’art. 10 del Testo Unico Enti Locali

[35] Cons. Stato Sez. V, Sent. 24/03/2011, n. 1772

[36] Articolo 43 Testo unico degli enti locali (TUEL), (D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267):1. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio. Hanno inoltre il diritto di chiedere la convocazione del consiglio secondo le modalità dettate dall'articolo 39, comma 2, e di presentare interrogazioni e mozioni.

2. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.

3. Il sindaco o il presidente della provincia o gli assessori da essi delegati rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri. Le modalità della presentazione di tali atti e delle relative risposte sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare.

4. Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative.

[37] Consiglio di Stato, Sez. IV - Sentenza 12 febbraio 2013, n. 846 –

http://www.ptpl.altervista.org/pagine/giurisprudenza/anno_2013_2_quadrimestre.htm

[38] Consiglio di Stato, Sez. V, 2/3/2018 n. 1298: «Il diritto all'accesso ai documenti spettante al consigliere regionale, anche nell'ipotesi di atti riservati, soggiace a limitazioni solo nel caso in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa. La giurisprudenza in tema di diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali e provinciali, e, per estensione, anche regionali, ne ha ravvisato il limite proprio nell'ipotesi in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull'attività dell'amministrazione. L'accesso, in altri termini, deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative. L'accesso ai documenti esercitato dai consiglieri comunali e provinciali, e, per estensione, anche regionali, espressione delle loro prerogative di controllo democratico, non incontra alcuna limitazione in relazione all'eventuale natura riservata degli atti, stante anche il vincolo del segreto d'ufficio che lo astringe. Inoltre, tale accesso non deve essere motivato, atteso che, diversamente, sarebbe consentito un controllo da parte degli uffici dell'Amministrazione sull'esercizio delle funzioni del consigliere. La locuzione aggettivale "utile", contenuta nell'art. 43 del t.u.e.l., non vale ad escludere il carattere incondizionato del diritto (soggettivo pubblico) di accesso del consigliere, ma piuttosto comporta l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato "utile" per l'esercizio delle funzioni.»

[39] Consiglio di Stato, Sez. IV - Sentenza 12 febbraio 2013, n. 846

[40] Cass. Pen. Sez. VI, Sent. n. 30148 del 24/07/2007 «In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto.»

[41] Consiglio di Stato, Sezione V, Sentenza 2 settembre 2005, n. 4471

[42] Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza 2 gennaio 2019, n. 12

[43] Articolo 50 Attuazione dei sistemi:

1. Le pubbliche amministrazioni provvedono ad introdurre nei piani di sviluppo dei sistemi informativi automatizzati progetti per la realizzazione di sistemi di protocollo informatico in attuazione delle disposizioni del presente testo unico.

2. Le pubbliche amministrazioni predispongono appositi progetti esecutivi per la sostituzione dei registri di protocollo cartacei con sistemi informatici conformi alle disposizioni del presente testo unico.

3. Le pubbliche amministrazioni provvedono entro il 1° gennaio 2004 a realizzare o revisionare sistemi informativi automatizzati finalizzati alla gestione del protocollo informatico e dei procedimenti amministrativi in conformità alle disposizioni del presente testo unico ed alle disposizioni di legge sulla tutela della riservatezza dei dati personali, nonché' dell'articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e dei relativi regolamenti di attuazione.

4. Ciascuna amministrazione individua, nell'ambito del proprio ordinamento, gli uffici da considerare ai fini della gestione unica o coordinata dei documenti per grandi aree organizzative omogenee, assicurando criteri uniformi di classificazione e archiviazione, nonché' di comunicazione interna tra le aree stesse.

5. Le amministrazioni centrali dello Stato provvedono alla gestione informatica dei documenti presso gli uffici di registrazione di protocollo già esistenti alla data di entrata in vigore del presente testo unico presso le direzioni generali e le grandi ripartizioni che a queste corrispondono, i dipartimenti, gli uffici centrali di bilancio, le segreterie di gabinetto.

[44] www.commissioneaccesso.it/it/i-lavori-della-commissione/primo-piano/ultima-1/

[45] Relazione 2004, L’attuazione del Codice nel quadro della Costituzione per l’Europa, pp. 19 e 20

[46] TAR Sardegna, Sentenza n. 29 del 2007

[47] http://www.anusca.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11113

[48] TAR Campania, Sez. staccata Salerno, Sentenza n. 445 del 2019:

[…] «Orbene, l’impedimento all’accesso mediante modalità informatiche (messa a disposizione di una password) e, per converso, l’imposizione di esclusive modalità ordinarie (richiesta cartacea) si appalesano difformi dalla direttiva del doveroso approntamento e del costante adattamento delle tecnologie disponibile, e finiscono per qualificarsi come limitazione di fatto della pretesa ostensiva del ricorrente, che ne risulta indebitamente compressa (cfr., in termini, Cons. di Stato, n. 3486/2018). Conformemente alle richiesta (limitata all’accesso al protocollo informatico dell’Ente), l’accesso al protocollo non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione (il che significherebbe accesso indiscriminato), ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, con l’ovvio corollario di separare l’accesso di questi dati dal contenuto dei documenti, avendo cura di adottare tutte le misure minime di sicurezza sul trattamento dei dati per evitare una illecita diffusione, originata, anche involontariamente, dallo stesso consigliere comunale, in ragione dell’accesso abusivo e indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati. La richiesta all’esame odierno, invero, come sopra detto, attiene non all’accesso a singoli e determinati documenti (per i quali vigono le regole ordinarie) bensì a dati identificativi di tali documenti (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto). Il ricorso va dunque accolto nel senso che incombe all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della presente statuizione, le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente» […]

[49] Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale, aggiornato con il decreto legislativo 13 dicembre 2017, n. 217

[50] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2010, n. 6963. Sull’argomento il Garante Privacy, in Privacy e trasparenza negli enti locali – 09 giugno 1998, già affermava che “la concreta individuazione da parte degli enti locali delle notizie e delle informazioni utili che possono essere apprese dai consiglieri deve avvenire tenendo conto della necessità che questi soggetti hanno di accedere a tutto ciò che può essere funzionale allo svolgimento del proprio mandato. E questo allo scopo di consentire loro di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e di promuovere idonee iniziative.

[51] Cfr., ex plurimis, TAR Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 20 gennaio 2020, n. 16; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 7 novembre 2017, n. 1745

[52] Cfr. TAR Basilicata, Sez. I, 10 luglio 2019, n. 599; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 4 aprile 2019, n. 545; TAR Sardegna, Sez. I, 4 aprile 2019, n. 317

[53] TAR Molise, Sez. I, sentenza 3 settembre 2019 n. 285: “[…] I ricorrenti, in qualità di Consiglieri regionali della Regione Molise, hanno agito dinanzi a questo TAR per l’annullamento del “provvedimento di diniego alla richiesta di autorizzazione all’accesso area “Contabile e Patrimonio” del sistema Urbi Smart, del 05.04.2019, prot. n. 43682/2019”, nonché “per l’accertamento del diritto all’ottenimento delle credenziali di accesso al sistema Urbi Smart … o in subordine di altra modalità di accesso che consenta l’immediata verifica dei singoli capitoli del bilancio regionale e delle singole voci di spesa al fine di assicurare l’attività di controllo tipica del Consigliere regionale” […].

[54] TAR Molise, Sez. I, sentenza 3 settembre 2019 n. 285: “[…] Con la nota in data 05.03.2019 la Regione Molise ha conclusivamente giustificato il provvedimento di diniego in ragione del fatto che “la concessione della richiesta abilitazione equivarrebbe ad un accesso indiscriminato e generale su non ben definiti atti d’ufficio. […]

[55] TAR Basilicata, Sez. I, 10 luglio 2019, n. 599

[56] T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., (ud. 23 aprile 2020) 4 maggio 2020, n. 926