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Pubbl. Ven, 18 Dic 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Il delitto di tortura. Riflessioni a margine del nuovo art. 613-bis c.p.

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Virna Caliri
AvvocatoUniversità degli Studi di Messina



Il presente contributo analizza la portata effettiva dei problemi interpretativi ed applicativi generati dal delitto di tortura, attraverso la disamina della sentenza n. 50208 dell´11 ottobre 2019, tramite la quale la Suprema Corte si è confrontata con la nuova fattispecie di tortura introdotta all´art. 613-bis c.p. dalla Legge n. 110/2017.


ENG This contribution analyzes the actual scope of the interpretation and application problems generated by the torture crime, through the examination of the sentence n. 50208 on 11th october 2019, with which the Supreme Court has been confronted with the new type of torture introduced to art. 613-bis penal code by the L. n. 110/2017.

Sommario: 1. Premessa e brevi cenni storici – 2. Il caso di specie – 3. La persecuzione della tortura nel diritto internazionale e nel diritto interno – 4. La Legge n.110/2017: uno sguardo d'insieme – 5. L'elemento soggettivo - 6. La condotta prevista dall'art. 613-bis - 7. La crudeltà - 8. Il trauma psichico – 9. La minorata difesa - 10. Il trattamento inumano e degradante – 11.Conclusioni

 

1. Premessa e brevi cenni storici

La sentenza1 in epigrafe indicata che ci si accinge ad esaminare rappresenta una delle pronunce emanate dalla Suprema Corte sulla tematica del reato di tortura, il quale si concretizza mediante l'attuazione di una condotta che, con l'ausilio di violenza, minaccia o crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un trauma psichico ad un individuo.

All'interno dell’ordinamento penale italiano fino al 2017 non esisteva una fattispecie che disciplinasse puntualmente la tortura. Ciò costituiva, invero, anche una violazione degli obblighi d’incriminazione di matrice costituzionale (art. 13 co. 4) e internazionale (in primis la Convenzione ONU contro la tortura del 1984).

Per ciò che concerne l'ambito costituzionale si evidenzia, in tal caso, l'intento non solo di sottolineare il particolare disvalore della tortura, ma anche di imporre una sua imprescindibile repressione mediante il ricorso alla sanzione penale2.

Difatti, in un testo costituzionale che non prevede (altri) obblighi di criminalizzazione, la summenzionata disposizione è l'unica a prevedere una repressione penale, poiché l’esperienza della tortura non era affatto nuova, sfortunatamente, a molti Costituenti.

Dunque, "la tortura è l’unico delitto costituzionalmente necessario"3: la ratifica dell’Italia di trattati e convenzioni che la vietano, quindi, è conforme ad un dovere di coerenza costituzionale, quasi obbligato, dato che è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che prende vita l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso4

Per ciò che concerne invece l'ambito internazionalistico è possibile riscontrare il suddetto intento non solo grazie alle raccomandazioni del Comitato dei diritti umani5, del Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite6, del Comitato per la prevenzione e la repressione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT), ciò è rinvenibile anche nella ratifica dello Statuto di Roma7, nelle condanne della Corte EDU per violazione dell’art. 3 CEDU e nell’introduzione del divieto di tortura nel codice penale militare di guerra, nonché nell’adozione di norme che prevedono il divieto del commercio di strumenti utilizzabili per torturare: ma di una norma incriminatrice ad hoc nel codice penale non vi era ancora traccia.

Anche in occasione della sentenza europea sul caso Cestaro c. Italia, il Governo ha implicitamente replicato al ricorrente che l’ordinamento italiano risultava già di per sé idoneo a punire fatti di tortura.

La questione trattava del ricorso presentato da un cittadino italiano che era stato ferocemente picchiato e aveva subìto gravi lesioni, che ne hanno causato una parziale invalidità permanente, lamentando di essere stato vittima di violenze e abusi qualificabili come tortura durante l’irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova. Egli affermava la mancata inflizione in capo ai responsabili di una adeguata punizione per i reati commessi, anche in considerazione della mancata adozione, da parte dello Stato, delle misure necessarie per reprimere fatti di tortura.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque accolto il ricorso, qualificando la violenza subita dal ricorrente come una vera e propria tortura ai sensi dell’art. 3 CEDU e sostenendo che lo Stato italiano non aveva provveduto ad assicurare un adeguato ristoro della violazione nei confronti del ricorrente. 

Tuttavia, è necessario rilevare che è stato lo stesso Governo ad evidenziare contestualmente che diversi disegni di legge, concernenti l’introduzione di tale reato all’interno del nostro ordinamento, erano attenzionati dal Parlamento, lasciando così intuire una certa consapevolezza in merito ad una evidente lacuna. L’atteggiamento del Governo non desta stupore, in quanto tali affermazioni sono rinvenibili anche nella risposta fornita alle raccomandazioni contenute nel report del CPT, presentato in seguito all’ultima visita effettuata in Italia dal 13 al 25 maggio 2012 8.

E così, nel corso degli anni, grazie all'avvicendarsi delle legislature unitamente all'incremento della pressione scaturente dalla necessità di onorare gli impegni assunti nei confronti della Comunità internazionale, sono stati presentati numerosi progetti di legge riguardanti l’introduzione del delitto di tortura9.

Il suddetto vuoto normativo era riconducibile a svariate motivazioni, la cui analisi, da un lato, consente di comprendere il perché di un iter di approvazione legislativo particolarmente lungo e tortuoso e, dall’altro, offre una chiave interpretativa per confrontarsi con il contorto percorso di stesura con cui è stato scritto il nuovo delitto previsto dall’art. 613-bis c.p.10.

Ampiamente dibattuta è stata la motivazione in merito alle resistenze incontrate sinora dal tentativo di adeguare il nostro ordinamento agli standard di tutela imposti dalla Costituzione e dai ricordati strumenti normativi sovranazionali11.

Le ragioni vanno dalla “negazione” (l’Italia è un Paese civile e democratico, dove non si tortura, dunque l’introduzione di un reato che ne sanzioni la pratica risulterebbe inutile 12; alla “attenuazione” (se anche il fenomeno esiste, le norme vigenti possiedono una batteria di norme repressive13 atte a reprimerlo; sennonché, la molteplicità di fattispecie potenzialmente applicabili (artt. 581, 582, 594, 605, 606, 607, 608, 609, 610, 612, 613 c.p.) non riesce a comporre un quadro idoneo a cogliere l’essenza del fenomeno, così come descritto dalle fonti pattizie, né tanto meno a reprimerlo in concreto in maniera effettiva ed efficace)14; fino a giungere ad una vera e propria “giustificazione”: vuoi nella forma della “ragion di Stato” (La difesa della sicurezza di un Paese e del suo popolo può giustificare il ricorso alla violenza o alla coazione, per mettere in condizioni di non nuocere i feroci nemici delle libertà civili: è lo “stato di eccezione” di cui parlano i giuspubblicisti o la categoria del “diritto penale del nemico”, cara a certi settori della dottrina penalistica)15; vuoi nelle forme della giustificazione “individuale” (artt. 52 e 54 c.p.)16.

I compromessi politico-culturali, di cui la fattispecie finalmente approvata è il frutto, hanno avuto un'evidente influenza nell’attuale testo di legge: un testo tendenzialmente ambiguo, a tratti ultroneo e certamente non pienamente esauriente17.

La tematica sulla quale esso si fonda è, per sua intrinseca natura, estremamente complessa. La tortura è, difatti, un tema che affonda le proprie radici nel passato, prodotto ultimo di diversi fomiti che nel corso della storia hanno indotto l’uomo a torturare il prossimo.

Fin dai tempi più remoti, la tortura fu utilizzata in primo luogo per pretese ragioni di “giustizia”, al fine di accertare il colpevole di un delitto, nonché per fini di prevenzione generale nei confronti dei consociati18.

Venne financo adoperata per sedicenti ragioni scientifiche: durante la seconda guerra mondiale, all’interno dei lager nazisti, gli internati svolsero il triste ruolo di cavie per disumani esperimenti.

In linea di massima il sentire comune propende nel ritenere inammissibile tale condotta. Tesi fermamente sostenuta dai maggiori autori dell’Illuminismo, da Verri19 a Beccaria20.

La tortura lede profondamente e indelebilmente la dignità dell’uomo: il suo utilizzo non può trovare alcuna giustificazione che faccia leva sull’argomento del “male minore”21, né su ragionamenti utilitaristici volti a perseguire un determinato fine.

Pertanto, l’esigenza di introdurre il reato di tortura è connotata dalla sentita necessità di dare una concreta risposta ai molteplici episodi di soprusi e violenze verificatisi negli istituti di detenzione, nonché in relazione al suo utilizzo come mezzo di repressione ad opera dei servizi di sicurezza e delle forze di polizia.

Per queste ed altre motivazioni essa incarna, dunque, una tematica drammaticamente contingente ed attuale.

È inoltre evidente la tendenza, talvolta posta in essere da parte degli Stati moderni, di legittimare forme meno evidenti di tortura, al precipuo scopo di porre un freno a determinate forme di criminalità 22.

Naturale risulta, a tal proposito, un riferimento agli Stati a “democrazia protetta”, i quali eccezionalmente legittimano la sospensione dei diritti fondamentali 23.

Ad ogni buon conto, in virtù di una sempre maggiore ascesa di una cultura dei diritti umani, la tortura ha incarnato l'emblema del concetto d'inciviltà, rappresentando, consequenzialmente, qualcosa di radicalmente inconciliabile con la democrazia.

A tal proposito, copiosamente si sono avvicendati nel corso del tempo, come già anticipato, Trattati internazionali e Convenzioni, redatti con il fine di ostracizzare questa abominevole pratica, facendo sì che gli Stati si adoperassero proficuamente in tal senso, vietandola24.

Il diritto internazionale pone infatti un fermo e deciso divieto all'utilizzo della tortura e ad altri trattamenti inumani, degradanti e crudeli, che ha posto le basi per l'introduzione del relativo reato ad opera del legislatore italiano nel nostro ordinamento25.

Della previsione di uno specifico reato di tortura si discute da almeno trent’anni; cioè da quando l’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti (CAT), adottata in seno alle Nazioni Unite nel 1984, il cui art. 4 pone a carico degli Stati contraenti uno specifico obbligo di penalizzazione di condotte descritte nel suo art. 1 26.

Tale norma dispone una definizione di ciò che, secondo il diritto internazionale, si deve ricondurre al concetto di “tortura”:

"qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito" 27 .

Tutto ciò ha poi condotto all'introduzione del reato di tortura all'interno del Capo III del Titolo XII, dedicato ai delitti contro la libertà individuale, a chiusura della Sezione di delitti contro la libertà morale28. Siffatta scelta pone in evidenza, primariamente, l'assunto che tale fattispecie tutela innanzitutto la libertà morale e fondamento di tutte le libertà esterne, nonché della dignità della persona umana, posto che la tortura è ritenuta una condotta atta ad umiliare la vittima, disconoscendone e offendendone la dignità e l'umanità, sino all'annullamento29.

 

2. Il caso di specie.

La sentenza in esame30 è stata emanata dalla Quinta Sezione Penale nel 2019, a seguito del ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Taranto che aveva confermato l'ordinanza applicativa della custodia in carcere emessa dal G.I.P. dello stesso Ufficio Giudiziario nei confronti dei due ricorrenti che avevano agito in concorso con altri sei minori.

La vicenda è incentrata sulle condotte violente, umilianti e vessatorie poste in essere dai due soggetti sottoposti a processo, in concorso con i minori summenzionati, ai danni di un soggetto sessantaseienne, affetto da disturbi psichici.

I giovani avevano fatto irruzione all'interno dell'abitazione dell'uomo, l'avevano picchiato e percosso violentemente con dei bastoni, deridendolo e umiliandolo contemporaneamente e riprendendo il tutto tramite dei telefoni cellulari, per mezzo dei quali diffondevano poi i relativi video via internet.

La vicenda era venuta alla luce grazie all'intervento della Polizia che, allertata dal vicinato, si recava presso l'abitazione dell'uomo, il quale si rifiutava di aprire la porta per il timore che dietro di essa vi fossero i suoi aguzzini.

Egli veniva dunque condotto presso il vicino nosocomio e lì, una volta accertata la sua condizione psichica, veniva rilevata la presenza di traumi, oltre ad uno stato di disidratazione, derivanti dalle aggressioni subite, unitamente alla condizione di privazione in cui l'uomo versava da diversi giorni.

L'uomo, privo di mezzi di comunicazione con i quali mettersi in contatto con l'esterno, viveva difatti in condizioni di degrado, dovute alla mancanza di generi di prima necessità, dei quali non riusciva più ad approvvigionarsi per timore di incontrare i propri aggressori una volta uscito di casa.

Il Tribunale del riesame di Taranto, mediante un provvedimento pronunziato il 14 maggio 2019, ha confermato l'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso ufficio giudiziario nei confronti di due degli indagati.

I due sono stati tratti in arresto, in esecuzione dell'ordinanza predetta, siccome gravemente indiziati dei reati di tortura e violazione di domicilio, entrambi aggravati (per il danneggiamento la misura non è stata applicata per difetto del massimo edittale), in concorso con altri sei soggetti contro i quali si procede separatamente, data la loro minore età.

Gli indagati, pertanto, proponevano ricorso per Cassazione avverso la summenzionata ordinanza, in primis lamentando il difetto del reale pericolo di inquinamento probatorio che avrebbe indotto il Tribunale del riesame a predisporre le opportune misure cautelari, scelta effettuata in base ad una valutazione negativa operata dal Tribunale in merito alla personalità dei due indagati, in secundis sostenendo la mancata sussistenza dei requisiti che perfezionerebbero la condotta integrata dall'art. 613-bis.

A quest’ultimo proposito i ricorrenti rilevano innanzitutto il difetto del requisito della pluralità delle condotte, necessario affinché il fatto sia penalmente rilevante, in seguito si contesta anche la presenza dei requisiti della "crudeltà", delle "acute sofferenze" e del "verificabile trauma psichico" in capo alla persona offesa, nonché la carenza della minorata difesa e del "trattamento inumano e degradante" pure richiesti dalla norma incriminatrice.

Il ricorso viene dunque attentamente vagliato in tutti suoi punti dalla Corte, la quale giunge infine a propendere per il suo rigetto, poiché ritenuto inammissibile.

La motivazione della sentenza spiega con chiarezza le ragioni che hanno indotto la Corte a propendere per tale decisione, operando una ricostruzione sistematica della normativa relativa alla fattispecie oggetto del caso in questione.

Tramite il primo motivo di ricorso il Collegio attenziona primariamente la locuzione "mediante più condotte" avallandone la corretta interpretazione operata da parte dei giudici del riesame.

Successivamente analizza il concetto di crudeltà, rilevando come il ricorrente avesse trascurato

“il quid pluris costituito dalla ricerca, da parte degli indagati, delle sofferenze della vittima come di un risultato foriero di generare un soddisfacimento di un istinto sadico che merita la connotazione di cui si discute”.

Per ritenere integrato tale evento, il giudice della cautela aveva dunque correttamente preso in considerazione i certificati medici relativi al ricovero della persona offesa in ospedale unitamente alla documentazione video delle violenze,

che corroborava l'idea che le condotte degli indagati avessero provocato alla persona offesa le conseguenze in termini di patimento fisico richieste dal legislatore della novella”.

La summenzionata documentazione era fondamentale anche per ritenere integrato l’evento alternativo del “verificabile trauma psichico", anch’esso subitamente rinvenibile dalle riprese video.

Ugualmente privo di fondamento era il tentativo dei ricorrenti di escludere la condizione di minorata difesa della vittima evidenziando, quale indicatore di una sua potenziale reattività, la circostanza che la stessa avesse precedentemente sporto denuncia per fatti analoghi.

Il Collegio ha inoltre affermato che il concetto di "trattamento inumano e degradante" quale condizione ulteriore per la punibilità del reato, alternativa alle “più condotte”. sembra riferibile a comportamenti che inducano nella vittima sofferenze di minore intensità di quelle legate al concetto di tortura,  e che pertanto,

se l'ordinanza impugnata resiste alle critiche del ricorrente che attaccano la più grave caratterizzazione della condotta come tortura, è evidente che queste ultime non potrebbero avere alcuna incidenza sulla tenuta dell'ordinanza avversata laddove si riferiscono al concetto in esame, che attiene a condotte caratterizzate da una più moderata carica etero offensiva”.

 

3. Il divieto di tortura nel diritto internazionale e nel diritto interno

Il punto di partenza dell'analisi della Corte si rifà inizialmente alla disamina della normativa internazionale.

Difatti, il divieto di tortura trova in tale ambito un primo riconoscimento tramite gli strumenti di soft law, quali l'art. 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948 e la Dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1975 31.

É necessario sottolineare anche l'importanza dell'art. 3 Convenzione EDU del 4 novembre 1950, gli artt. 5 par. 2 della Convenzione Interamericana del 22 novembre 1969 e della Carta africana del 28 giugno 1981 e l'art. 7 del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre 1966 e ratificato in Italia con L.25 ottobre 1977 n.881 32.

Dal suddetto Patto è scaturita la prima Dichiarazione ONU sulla protezione di tutte le persone sottoposte a forme di tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti del 1975 33.

Essa fornisce una definizione di tortura all’art. 1:

"Il termine tortura indica ogni atto per mezzo del quale un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali vengono deliberatamente inflitte ad una persona da agenti dell’amministrazione pubblica o su loro istigazione, principalmente allo scopo di ottenere da questa persona o da un terzo delle informazioni o delle confessioni, o di punirla per un atto che essa ha commesso o che è sospettata di aver commesso, o di intimidirla o di intimidire altre persone. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a queste sanzioni o da esse cagionate, in una misura compatibile con le regole minime standard per il trattamento dei detenuti"34.

Con l'intento di garantire l’osservanza del divieto, l’art. 7 della Dichiarazione del ’75 stabilisce che ogni Stato debba prevedere il reato di tortura nel proprio ordinamento interno, applicando anche il concorso di persone nel reato, il tentativo e l'istigazione35.

Tale Convenzione costituisce una importante leva da cui avrebbe preso in seguito le mosse la Convenzione contro la Tortura, approvata il 10 dicembre 1984 e ratificata in Italia con L. del 3 novembre 1988 n. 498 (CAT)36.

Essa risultava perfettamente allineata con l'intento, già manifestatosi, di realizzare concretamente il rispetto dei diritti umani sostenuto da parte della comunità internazionale, considerando la tortura nell'ottica della sua criminalizzazione, non come enunciato di principio37.

Tale Convenzione, oltre ad una esaustiva enunciazione del concetto di tortura, stabilisce alcuni importanti punti.

Innanzitutto, l'art. 5 della Dichiarazione prevede che "nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento a punizioni crudeli, inumani e degradanti", e ne criminalizza i relativi atti che contravvengono a tale disposto tramite pene appropriate, in base ovviamente alla loro gravità38

Un altro punto fondamentale è l'impegno, assunto da ogni Stato parte, a porre in essere gli opportuni provvedimenti legislativi, amministrativi e giudiziari con lo scopo di impedire che atti di tortura vengano compiuti all'interno del proprio territorio (art. 2.1)39.

Inoltre, nessuna circostanza eccezionale, sia essa uno stato di guerra oppure una sua minaccia, può essere invocata quale giustificazione della tortura (art. 2.2), nè tanto meno un qualsiasi ordine di un superiore (art.2.3). Indicare in nota il contenuto per esteso

Più specificamente, la Convenzione contempla un vero e proprio obbligo d'incriminazione, in base al quale ogni Stato parte è tenuto a porre in essere i necessari accorgimenti affinché qualsiasi atto di tortura venga qualificato quale reato all'interno del proprio ordinamento, punito secondo la specifica gravità della relativa azione (art.4) 40.

Per tali motivi il divieto di tortura è considerato parte del ius cogens del diritto internazionale generale, pertanto valido per tutti gli Stati indipendentemente da una previsione pattizia41, in quanto norma imperativa del diritto internazionale generale 42.

Successivamente, tale reato è stato ulteriormente regolamentato tramite la Convenzione interamericana sulla prevenzione e la repressione della tortura del 1985, relativamente all'Organizzazione degli Stati americani, e la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987, per quanto riguarda invece il Consiglio d'Europa, con i suoi due protocolli 43.

Quest'ultima ha previsto un sistema di controllo del rispetto dei diritti dell'uomo che va a spalleggiare quello già introdotto dalla Convenzione EDU, incentrato sui ricorsi presentati dai singoli individui. Veniva adesso a porsi in essere un Comitato europeo, basato su un sistema non giudiziario e di natura preventiva, avente la precipua funzione di esaminare il trattamento riservato alle persone private della libertà, con l'obiettivo di rafforzare, ove necessario, la protezione di queste contro qualsiasi tipologia di trattamento umano degradante44.

Il divieto del reato in questione viene riconosciuto anche da parte della Convenzione EDU, la quale prevede una tutela attuata in maniera più articolata per quanto concerne la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, cosa che comporta importanti conseguenze anche in merito agli obblighi di previsione penale e di adeguata punizione45.

Ciascun Paese ha difatti sia obblighi negativi, di astensione, ma anche obblighi positivi, di intervento, sulle condotte poste in essere tramite violazioni dirette o indirette46 (tendenzialmente violazioni procedurali attinenti alla risposta dello Stato innanzi ad una ipotetica applicazione di trattamenti inumani e degradanti) del principio tutelato attraverso l'art. 3 CEDU, secondo il quale nessuno può essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti47.

La Corte di Strasburgo, non ammettendo alcuna limitazione o eccezione a tale disposto48, posto che esso riveste il ruolo di norma cardine per la tutela psico-fisica dell'individuo49, riconosce che tale divieto non tollera alcuna limitazione o eventuale bilanciamento, nè tanto meno una qualche possibilità di deroga, considerato che esso viene ricondotto ai principi inderogabili sanciti dall'art. 15 al secondo comma50.

Estremamente vasta e copiosa è la giurisprudenza tramite la quale la Corte di Strasburgo ha avallato tale principio, condannando le violazioni dell'art.3 CEDU e tentando in tal modo di definire con sempre maggiore chiarezza i relativi limiti51.

Una delle principali sentenze operanti in tal senso è sicuramente Irlanda c. Regno Unito52, nella quale la Corte era chiamata a pronunciarsi in merito all'utilizzo delle tecniche di privazione sensoriale (incappucciamento, privazione del sonno e del cibo, ecc.) attuate dalla polizia britannica contro il terrorismo irlandese, nella fattispecie contro l'IRA, tese al fine specifico di ottenere informazioni utili per le indagini53.

Qui la Corte opera una distinzione tra i comportamenti vietati, ponendoli in un rapporto di progressiva intensità: inizialmente vengono posti trattamenti o pene degradanti, a livello intermedio, vi sono poi trattamenti o pene inumani, infine, come apice viene posta la tortura vera e propria54.

La Corte, nel caso di specie, non giunge a classificare tali azioni quali vere e proprie torture55, qualificandole piuttosto come trattamenti disumani particolarmente gravi, ritenendo le tecniche di privazione sensoriale utilizzate dalla polizia non del tutto idonee, per gravità e violenza, da integrare in toto il concetto di tortura56.

La Corte, invero, qualifica i summenzionati comportamenti in tal senso poiché li ritiene idonei a causare alle vittime, se non delle vere lesioni, almeno delle vive sofferenze fisiche e morali, in aggiunta a disturbi psichici acuti durante l’interrogatorio; ma anche degradanti57 in quanto tali da creare nei detenuti sentimenti di paura e inferiorità atti ad umiliarli, stremarli nel corpo e nello spirito e spezzare così la loro resistenza fisica o morale58.

Altre sentenze da citare sono poi Akulin e Babich c. Russia59, in cui i ricorrenti erano stati più volte colpiti al capo e alla schiena affinché confessassero il furto di un'auto; poi Paduret c. Moldavia60, in cui il ricorrente denunciava di essere stato picchiato e seviziato dagli agenti di polizia, appeso per i piedi con le mani legate ad un tubo metallico.

È necessario rilevare, come anticipato, la mancanza, per lungo tempo, nel nostro ordinamento di una fattispecie incriminatrice specifica in merito alla tortura61.

La lacuna era risultata sempre più evidente di fronte a gravi episodi di violenza che si sono avuti negli ultimi anni. Per tale motivo, si erano nel tempo succedute diverse sollecitazioni per un intervento legislativo interno da parte degli organi internazionali, preposti alla vigilanza del rispetto degli strumenti giuridici relativi alla tortura62.

Le giustificazioni di cui lo Stato italiano si era avvalso per il mancato adempimento degli obblighi costituzionali di incriminazione della tortura sono state svariate, due delle quali vengono maggiormente in evidenza.

La prima si basa sull'assunto che il reato di tortura sarebbe già stato presente nell'ordinamento italiano in conseguenza della mera ratifica della Convenzione ONU dell'84 63.

Affermazione tuttavia criticata dalla Corte di cassazione, la quale ha evidenziato il fatto che

"trattandosi di materia penale, in cui vige il principio costituzionale sancito dall'art. 25 comma 2 Cost., secondo cui nullum crimen, nullam poenam sine lege [...] non è possibile che una nuova norma incriminatrice entri nell'ordinamento penale per via consuetudinaria"64.

Consapevole pertanto dell'insufficienza di tale argomentazione, il Governo italiano ha preferito dunque sostenere un'ulteriore tesi, secondo la quale gli strumenti presenti all'interno del codice penale fossero già sufficienti ad attuare una congrua repressione di tale fattispecie di reato65.

Pur volendo tralasciare il fatto che le convenzioni internazionali imponessero l'adozione di una norma ad hoc, era comunque evidente come le norme incriminatrici già esistenti non consentissero di punire in maniera adeguatamente severa simili comportamenti, pertanto i rilievi avanzati non risultavano idonei a costituire un serio deterrente in tal senso66.

Da sottolineare, inoltre, è la copiosa presenza di sentenze emanate dalla Corte EDU sul punto, che avevano, sfortunatamente, dato riprova della insufficienza del sistema penale italiano in merito alla repressione della tortura.

Una delle più importanti da annoverare a tal proposito è sicuramente la sentenza Cestaro c. Italia67.

Qui la Corte ha appurato come i procedimenti penali a carico dei militari e degli agenti di polizia, autori delle violenze verificatesi all'interno delle scuole Diaz-Pascoli e Diaz-Pertini e nella caserma di Bolzaneto di Genova nel luglio 2001, non avessero portato alla condanna dei responsabili dell'illecito68.

Esse, pertanto, appaiono inequivocabilmente inadeguate e incapaci, in tal modo, di costituire un valido e concreto deterrente che scongiurasse una eventuale riproposizione di simili azioni in futuro 69.

Ad una simile conclusione la Corte sarebbe giunta anche con la sentenza Bartesaghi, Gallo e altri c. Italia, con la condanna nei confronti dell'Italia per violazione degli obblighi sostanziali e processuali derivanti dall'art. 3 CEDU 67, sostenendo inoltre il fatto che, qualora il legislatore interno non avesse adempiuto agli obblighi discendenti dall'art. 46 CEDU, l'Italia sarebbe andata incontro ad ulteriori condanne.

Le sentenze Cestaro e Bartesaghi, Gallo e altri c. Italia, dunque, non hanno fatto altro che rendere ancor più evidente l’obbligo di criminalizzazione della tortura70 e dei trattamenti inumani e degradanti, ricavabile dalle precedenti sentenze della Corte, sulla falsariga di quanto la stessa aveva già sostenuto nella sentenza Siliadin c. Francia71 del 2005 in tema di art. 4 CEDU72.

L'importanza di tale sentenza è inoltre data dalla incisiva accelerazione che ha inferto sul travagliato iter parlamentare che ha poi condotto all'approvazione della L.110/2017, fungendo così da apripista all'introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento penale italiano, avvenuta tramite l'immissione al suo interno degli artt. 613-bis e 613-ter73.

Prima dell'avvento di tale legge, difatti, l'unica norma corrispondente all’obbligo di criminalizzazione previsto dalla Costituzione all'art. 13, comma 474, secondo il quale viene punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, era l’art. 608 c.p., che incrimina e punisce l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti75.

Si tratta, tuttavia, di uno strumento repressivo per molti versi inadatto, in primis per i limiti edittali di pena piuttosto modesti, quali la reclusione fino a 30 mesi, ma anche per la scelta di ridurne l’ambito di applicazione ai soli pubblici ufficiali, e non anche agli incaricati di pubblico servizio, ai fatti commessi in danno di soggetti “legittimamente” privati della libertà personale, ai soli casi di applicazione di misure di rigore non consentite dalla legge. Tale espressione è stata a lungo intesa in modo da attribuire rilievo solo alla violazione di regole di condotta relative a misure di rigore comunque previste dai regolamenti penitenziari76.

Soltanto successivamente è stata introdotta una diversa interpretazione, improntata a ricollegare all’ambito di applicazione dell’art. 608 c.p. le forme di “tortura inquisitoria” che si traducano in altrettante lesioni del fondamentale principio dell’inviolabilità della persona sottoposta a restrizioni di libertà77.

In tale ottica, grazie all’ingresso del reato di tortura, il nostro ordinamento percorrerà una “strada senza ritorno” atta all’innalzamento del livello di tutela dei beni giuridici offesi dalla medesima78.

 

4. La Legge n.110/2017: uno sguardo d'insieme.

Il prodotto di tali osservazioni è la Legge 14 luglio 2017 n.110, la quale è stata comunque oggetto di critiche a livello nazionale e internazionale.

Lo stesso Presidente della Commissione per i Diritti Umani aveva durante l’iter legislativo manifestato profonda preoccupazione circa la formulazione del reato di tortura, sottolineando in particolar modo come il testo previsto divergesse dalla definizione di tortura adottata dalla CAT 79.

Inoltre, in particolare per quanto riguarda la richiesta della reiterazione delle condotte, si rilevava come si corresse il rischio di far perdere vigore all'azione di prevenzione e contrasto ai fatti più noti di tortura perpetrati dalle autorità statali, nonchè di un'eventuale impunità generata da prescrizione, amnistia e indulto80.

La Legge n. 110/2017 costituisce il frutto di un tortuoso e tormentato iter parlamentare iniziato nel 2014 tramite l'approvazione in Senato di un disegno di legge risultante dall'unione di sei precedenti proposte, nonchè oggetto di varie interpolazioni tra Camera e Senato, sino a giungere, finalmente, alla sua definitiva approvazione81.

L' art. 182 della novella legislativa introduce, dunque, i reati di tortura e, al secondo comma, di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.

Il primo comma tratta quindi di una forma di maltrattamento operante tra privati, mentre il secondo sanziona il deprecabile utilizzo di potere coercitivo del quale viene a macchiarsi l'autorità.

L'art. 283 della suddetta legge invece modifica l'art. 191 c.p.p. relativo alle prove illegittimamente acquisite, grazie all'inserimento del comma 2-bis, che vieta l'utilizzo delle informazioni ottenute attraverso la tortura, ad eccezione di quelle destinate ad essere adoperate contro le persone accusate di tale delitto, allo scopo di provarne la penale responsabilità84.

Per quanto concerne la collocazione sistematica della nuova fattispecie criminosa, essa viene posta tra i delitti contro la persona (titolo XII) e, più precisamente, nel capo dei delitti contro la libertà individuale (capo III), a chiusura della sezione relativa ai delitti conto la libertà morale85 (sezione III)86, in entrambe le ultime versioni resta invariata rispetto a quella del Senato87.

Tuttavia, l’introduzione degli artt. 613-bis e 613-ter c.p. dopo l’art. 613 c.p., che condanna lo stato di incapacità causato tramite violenza, lascia alquanto perplessi, dato che, nonostante non vi siano dubbi circa la carica offensiva delle pratiche di tortura per la libertà morale della persona offesa, non vi è certezza che si tratti del bene giuridico maggiormente leso o posto in pericolo88.

La tortura, nonostante possa leggersi quale ipotesi di reato plurioffensivo, prima di violare la libertà morale dell’individuo, colpisce l’incolumità individuale, intesa come integrità fisica e psichica della persona89. Dunque, in tal modo il legislatore intende conferire maggiore importanza alla libertà di autodeterminazione dell'individuo.

Tale decisione non è, tuttavia, avallata da parte di coloro90 che intendono la tortura come causa di una lesione dell'integrità psicofisica, pertanto, della libertà morale della persona. Ragion per cui sarebbe stato, a rigor di logica, preferibile inquadrare la fattispecie all'interno dei reati contro la vita e l'incolumità individuale91.

La fattispecie indicata dall'art. 613-bis delinea dunque una nozione di tortura identificabile con l'espressione "a disvalore progressivo", dato che in tal modo il legislatore ha inteso incorporare all'interno del nuovo reato sia la cosiddetta "tortura comune" attuabile da chiunque, ma anche la "tortura di Stato", evidentemente riferibile al secondo comma della norma summenzionata92.

L'iter intrapreso dal legislatore italiano teso all'introduzione del delitto di tortura ha condotto a un reato doloso, a forma causale, vincolata dal modo di realizzazione della condotta, dall'evento e dal soggetto passivo93. Ci si è sforzati dunque di tradurre in termini tecnico-giuridici le primarie esigenze dell'oggettivismo penale al confronto con la sentimentalità delle vicende di tortura94.

Indubbiamente è comunque rintracciabile all'interno del primo comma il fulcro delle scelte di politica-criminale disposte, che infligge la pena della reclusione da quattro a dieci anni nei confronti di colui che, tramite violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona sofferenze fisiche o un trauma psichico ad una persona privata della libertà personale, o comunque posta sotto il suo controllo o assistenza, o che si trovi in condizioni di minorata difesa, ma soltanto se il fatto venga commesso tramite più condotte ovvero possa identificarsi quale trattamento inumano e degradante 95.

La definizione della norma adoperata consente indubbiamente di qualificare il fatto come reato comune, sostenendo che chiunque sia capace di porre in essere la condotta incriminata96.

La pena prevista viene maggiorata comunque nel caso in cui il reato venga commesso da un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.

Sicuramente un profilo rilevante risulta la scelta della L.110/2017 di non ricomprendere all'interno del proprio alveus esclusivamente condotte poste in essere da parte di funzionari pubblici, ma anche quelle attuate da parte di coloro che sono privi di tale qualifica.

La suddetta inclinazione non risulta condivisa da parte di coloro97 che sostengono che il disvalore della tortura emerga eminentemente di fronte a fatti di violenza psichica o morale attuati da parte di pubblici ufficiali avverso soggetti che, per le più svariate ragioni, si trovano sottoposte al loro potere98.

E proprio in questa direzione si pone la Convenzione ONU del 1984, la quale all'art. 1 limita l'incriminazione per gli Stati aderenti ai fatti commessi da un pubblico funzionario o, comunque a persone che agiscano sotto sua istigazione o consenso.

Dunque, negare alla tortura la natura di reato proprio vorrebbe dire privare tale fattispecie del suo specifico disvalore, rappresentato proprio da quei soggetti cui l'ordinamento affida l'obbligo di proteggere i consociati99.

In tal modo si è operato uno spostamento dell'asse di lesività della fattispecie. Difatti l'accezione più classica rapporta il reato di tortura con il tradimento del potere coercitivo affidato ad un pubblico funzionario100.

Di contro, un reato comune basato su un rapporto controllo-soggezione va a tangere qualsiasi sofferenza inflitta nei confronti di un soggetto che versi in  stato di sostanziale impotenza, per la cui configurazione si prescinde da qualsiasi qualifica soggettiva dell'autore, indipendentemente dunque da una sua pubblica qualifica, situazioni che erano invero già punibili attraverso altre fattispecie preesistenti101.

Pertanto l'elemento caratteristico della fattispecie si riscontra nella natura della condotta, anziché nello status del soggetto agente102.

Di contro, a vantaggio della tesi che qualifica il reato come comune, si sostiene invece che nella realtà criminologica la tortura possa assumere anche una dimensione inter-privatistica, in tale ottica dunque il quid proprium del crimine consiste nell'atto di causare intenzionalmente ad un soggetto indifeso intense sofferenze, siano esse di natura psichica o fisica, indipendentemente dalla qualità soggettiva del responsabile103.

Oltretutto, il fatto che il legislatore italiano decida di propendere verso questa seconda concezione non si pone necessariamente in disaccordo con il concetto di criminalizzazione sancito dall'art. 1 CAT, il quale tende esclusivamente a fissare uno standard minimo di tutela, senza precludere la possibilità agli Stati membri di estendere l'ambito della tutela penale a condotte ulteriori104.

Del resto altre Convenzioni internazionali, ratificate dall'Italia, come la Convenzione ONU sull'eliminazione della discriminazione razziale del 1965, prevedono la repressione della tortura financo nei rapporti tra cittadini, configurando altrettanti obblighi sovranazionali di incriminazione105.

È inoltre da sottolineare come l’inclinazione estensiva risulti maggiormente coerente con i dettami della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che tende verso una interpretazione onnicomprensiva, rivolgendosi a tutti i soggetti previsti dall'ordinamento, sia pubblici che privati.

Ca va sans dire che, naturalmente, la tortura posta in essere da parte di pubblici funzionari sia connotata da un maggior disvalore rispetto a quella attuata dai privati, in virtù della distorsione dell'utilizzo della funzione pubblica che la contraddistingue106.

Il legislatore ha difatti ravvisato una maggiore offensività di tale condotta, prevedendo al comma 2 uno specifico incremento del trattamento sanzionatorio.

È dunque importante stabilire se la fattispecie delittuosa in questione possa essere commessa davvero da "chiunque", così come indicato dalla lettera dalla norma.

Ciò sembrerebbe in realtà escludersi nel caso in cui l'art. 613-bis prevede che il soggetto offeso sia una persona affidata alla custodia, cura o assistenza del responsabile, nel qual caso diventa presupposto l'esistenza di un rapporto qualificato come caratteristica implicita della fattispecie, che si riveli atta ad imporre determinati obblighi di tutela e cura nei confronti della vittima in capo al responsabile107.

Seguendo tale ragionamento logico dovrebbe dunque ritenersi che la norma venga a configurare in questo caso un reato proprio, attuabile soltanto da chi si trovi in una relazione qualificata con la vittima108.

Al di fuori dell'ipotesi in cui la condotta si concretizzi nei confronti delle categorie di soggetti passivi indicate dalla norma, quali le persone private della libertà personale o in condizioni di minorata difesa, è tuttavia possibile sostenere che la tortura costituisca un reato comune, in quanto non prevede l'accertamento di una preesistente relazione qualificata tra agente e vittima109.

La sedes materiae denota dunque quale specifico bene giuridico tutelato dal reato in esame la libertà morale o psichica, vista come diritto dell'individuo di autodeterminarsi liberamente, la quale deve ovviamente essere scevra da qualsiasi coercizione psichica110.

Tuttavia, vi è la preoccupazione di causare vuoti di tutela, per fatti ritenuti omogenei a quelli di tortura posti in essere da agenti pubblici, ma commessi materialmente da privati. Ciò costituisce però una preoccupazione non condivisibile, in quanto le fattispecie presenti nell’ordinamento sono, tendenzialmente, sufficienti a sanzionarle111.

Inoltre, a vantaggio dell’opzione per la tortura come reato comune, si rilevano le difficoltà di ordine dommatico ed applicativo in cui si andrebbe incontro nel tentativo di estendere la punibilità ai privati che agiscano su mandato di soggetti pubblici o con l’acquiescenza di questi112. Nel primo caso, verrebbe in evidenza la problematica del concorso morale e della causalità psichica; nel secondo, quella del fondamento e dei limiti della responsabilità per omissione, nella forma individuale o in quella concorsuale.

Anche in questo caso si tratta di preoccupazioni non insormontabili.

Quanto alla punibilità del pubblico ufficiale che favorisca o tolleri episodi di tortura, per esempio, l’obiettivo potrebbe raggiungersi attraverso la previsione di una “clausola di estensione della punibilità” ai fatti commessi dal privato con il consenso, l’acquiescenza e la tolleranza di un pubblico ufficiale, prevedendo inoltre che quest’ultimo debba comunque rispondere di tale reato. Certo ci troveremmo di fronte ad un regime derogatorio rispetto ai principi che regolano il concorso di persone nel reato (principi che, per esempio, non ammettono, di norma, la punibilità della mera connivenza). Ma di deroghe in materia di concorso di persone il progetto di legge ne contiene già una (peraltro poco giustificabile) all’art. 115 c.p. Il riferimento è alla già ricordata previsione relativa all’Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura113.

A favore della scelta del “reato proprio” si potrebbe invocare primariamente la nozione “storica” di tortura e la definizione fornita dall’art. 1 CAT, ma principalmente la preoccupazione che una configurazione della tortura come reato comune ne marginalizzi, fin quasi ad azzerarla, la specificità sul piano del disvalore114.

Per ciò che attiene poi alla natura della fattispecie, considerato il dato letterale secondo il quale è strutturata la norma, è possibile individuare la natura di reato abituale, categoria relativa a fattispecie costituite da segmenti di condotte intervallate nel tempo115.

Si sostiene che la differenza che contraddistingue il reato abituale dall'illecito permanente e continuato consista nella realizzazione di una serie minima di condotte, che per quantità e intensità può recare un vulnus del bene giuridico protetto116.

Altra corrente117 sostiene invece che, differentemente, l'assenza di parametri normativi, renda poco agevole stabilire con precisione quale sia il numero minimo di atti necessari ad integrare la fattispecie penalmente rilevante.

Difatti, concordemente a quest'ultima impostazione ermeneutica, un orientamento recente118 propende per la diversa natura di illecito istantaneo a consumazione prolungata, affermando che la tortura si consumi attraverso il primo intenzionale atto di violenza, mentre la reiterazione della condotta rileverebbe soltanto ai fini della valutazione della gravità in sede di commisurazione della pena119.

Fatte le doverose premesse circa la figura criminosa che connota il reato di tortura, occorrerà adesso concentrarsi sui diversi elementi che contraddistinguono la fattispecie delittuosa oggetto di tale analisi.

 

5. L'elemento soggettivo.

La qualificazione del dolo del reato di tortura rappresenta una delle vicende maggiormente dibattute durante l'iter che ha dato i natali alla L. 110/2017.

Di notevole rilevanza è il fatto che la Camera dei deputati si servì, per la formulazione dell'art. 613-bis, dell'avverbio "intenzionalmente", coerentemente con il concreto disposto dell'art. 1 CAT,  in quanto l'autore del reato doveva causare volutamente acute sofferenze fisiche o psichiche alla vittima120.

La precisazione inoltre implica anche un requisito finalistico della condotta, improntata ad ottenere informazioni dalla vittima, ovvero a punirla per un'azione commessa o allo scopo di esercitarvi una qualche pressione121.

Successivamente, nell'ultima versione proposta dalla Commissione giustizia, tuttavia, viene meno l'avverbio summenzionato e si è espunto qualsiasi accenno alle specifiche finalità che il soggetto attivo deve perseguire122.

Ciò in quanto il termine intenzionalmente era sì ritenuto un elemento di importante tipizzazione, atto a differenziare le pratiche di tortura da lesioni, minacce o violenza privata123, tuttavia esso avrebbe favorito un uso improprio delle incriminazioni124, inoltre a favore di tale abbandono è anche necessario considerare il caso in cui se le torture vengano commesse in assenza di testimoni, ovvero senza lasciare tracce evidenti sul corpo, in tale circostanza diverrebbe oltremodo complicato raccogliere prove sufficienti, favorendo così il sorgere di presunzioni di sussistenza del dolo richiesto e lasciando eccessivi margini d'impunità125.

Così posta la norma veniva dunque caratterizzata dalla presenza di un dolo generico, eliminando qualsiasi riferimento al dolo specifico126.

Il mutamento però è incapace di ingenerare discrepanze in merito alla situazione da incriminare, posto che si tratta di una fattispecie talmente tipica e pregnante, anche in relazione alla sanzione ad essa connessa, da prescindere da una eventuale compatibilità con il dolo eventuale.

Quest'ultimo avrebbe richiesto, difatti, l'accertamento di una volontà particolarmente intensa in capo all'agente, in quanto precipuamente intenzionata a causare sofferenza alla vittima, sia pure strumentalmente rispetto al raggiungimento di ulteriori scopi127.

Un orientamento128 avallava l'inclusione di tale elemento, in quanto ritenuto capace di costituire un imprescindibile criterio di differenziazione che consentisse di distinguere con certezza le situazioni idonee a costituire il delitto di tortura da quelle integranti, invece, altri reati, in quanto non costituenti una deliberata inflizione di sofferenze fisiche o psichiche alla vittima.

Altra parte della dottrina129, invece, concorda con la scelta normativa di non richiedere l'intenzionalità della condotta la quale, essendo di complesso e difficile accertamento processuale, avrebbe potuto comportare un restringimento del campo di applicazione dell'art. 613-bis.

Pertanto, è possibile affermare che il desiderio di infliggere sofferenza nei confronti della vittima costituisca la volontà del soggetto agente, tuttavia essa non rappresenta lo scopo finale della condotta, ma piuttosto costituisce un fattore strumentale rispetto all'ottenimento, ad esempio, di determinate informazioni o dichiarazioni, ovvero teso a fini ulteriori, previsti dalla norma130.

Il mantenimento dell'avverbio intenzionalmente avrebbe del resto inesorabilmente cagionato un eccessivo restringimento dei confini di operatività della norma131. Ne sarebbe infatti derivata l'impunità di talune condotte meritevoli di rilevanza penale, dal momento che sarebbe stato arduo compito del giudice riuscire a riconoscere, e dunque sanzionare, coloro che avessero agito con un'intensità tale da poter ritenere causato intenzionalmente l'evento descritto dalla fattispecie normativa132.

Appariva, infatti, eccessivamente difficoltoso adeguare lo standard probatorio richiesto dall'art. 533 comma 1 c.p.p., secondo il quale la prova deve essere "oltre ogni ragionevole dubbio", all'elemento soggettivo richiesto dall'art. 613-bis c.p.  Situazione da evitare a maggior ragione in una fattispecie in cui, riuscire a reperire in maniera efficace ed ottimale le prove, si rivela essere impresa ardua, in quanto sovente questi reati vengono commessi con tecniche che non lasciano segni evidenti sul corpo, o vengono comunque perpetrati al riparo da ipotetici testimoni e generano inevitabilmente un clima di omertà133.

Mantenere il dolo intenzionale avrebbe dunque comportato il concreto rischio di lasciare impunite alcune situazioni criminose, o di dare eccessivo agio a delle presuzioni134 nelle situazioni in cui non fosse possibile accertare con sufficiente determinatezza l'elemento soggettivo richiesto.

Rischio che andava inesorabilmente ad incrementarsi nell'ipotesi in cui non dovesse essere provato il fine del dolo specifico.

Non si avalla, tuttavia, la rinuncia al dolo specifico nel caso in cui si tratti di condannare un abuso perpetrato da parte dell'autorità135.

Difatti, in tali circostanze la finalità diviene coessenziale al fatto, posto che la tortura si innesta ontologicamente proprio nei rapporti tra autorità e cittadini, rappresentando l'utilizzo distorto con cui si esercita un potere connesso alla funzione136.

Se, prima facie, tali considerazioni possono sembrare contrastanti con quanto enunciato dall'art. 1 CAT o dallo Statuto di Roma relativamente alla definizione di tortura, è necessario non avventurarsi in interpretazioni affrettate, poichè il loro utilizzo di determinati avverbi, quali "intentionally" non si riferiscono necessariamente ad una accezione intenzionale del dolo, quanto piuttosto a denotare la natura dolosa del crimine in esame137.

Pertanto sulla base di quanto suesposto, l'inserimento del termine "intenzionalmente" come indicatore della necessaria presenza di un dolo intenzionale non appare opportunamente fondato.

Tuttavia è necessario sottolineare come, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, l'abbandono del dolo generico a favore di quello specifico, attuato in prima battuta, sembrava meglio delineare i confini di applicabilità della norma, andando a ricoprire la quasi totalità delle finalità perseguite dal delitto di tortura. Cosa che costituiva il discrimen atto a differenziare le pratiche identificabili come tortura da quelle intese, invece, come trattamenti inumani o degradanti138.

Difatti, lo specifico scopo richiesto per la configurabilità della fattispecie analizzata dovrebbe essere inquadrato come elemento di tipizzazione del fatto criminoso nel suo insieme.

L'interesse perseguito dal torturatore, per entrare in conflitto con il bene tutelato dalla norma, deve preesistere alla volontà della condotta che poi si manifesta nel mondo esterno, fungendo da causa della stessa e conferendo alla tortura quella caratterizzazione tipica che la distingue da altri crimini.

Alla luce di ciò, se si ritiene legittima la scelta relativa alla soppressione dell'avverbio "intenzionalmente", non lo è quella di aver eliminato il dolo specifico. Tale decisione rende infatti la fattispecie normativa non sufficientemente determinata139.

L'assenza del dolo specifico potrebbe ampliare eccessivamente il campo di applicazione del reato di tortura, soprattutto per ciò che concerne un utilizzo spropositato della forza ad opera delle forze di polizia.

Non bisogna tuttavia ingigantire la portata di tale assunto, posto che esso non sembra deformare la caratterizzazione della fattispecie prevista dall'art.1 CAT, e, nei limiti in cui essa lo fa, non va certamente a ledere lo scopo perseguito dal trattato, senza dunque favorire indebiti spazi d'impunità. Di contro essa pare aprire prospettive di eccessiva penalizzazione140.

Tali affermazioni trovano conferma all'interno della sentenza qui attenzionata. La Corte nomofilattica, difatti, reputa necessaria la presenza del dolo generico al fine di concretizzare la fattispecie delittuosa oggetto di tale analisi, perfettamente integrata dalla condotta operata dai ricorrenti.

Viene quindi avallata dalla Corte la configurabilità del reato nel caso in cui la vittima sia un soggetto privato della libertà personale o affidato alla custodia, potestà, vigilanza, controllo cura o assistenza dell'autore del fatto ovvero se la persona offesa si trovi in condizioni di minorata difesa. Detto reato, difatti, si consuma nell’istante in cui alla persona offesa vengono cagionati patimenti psicofisici atti a ledere il suo corpo e la sua integrità mentale, da ciò derivando un dolore che è un quid pluris rispetto al comune dolore derivante dal reato in sé.

 

6.  La condotta prevista dall'art. 613-bis.

Un rilevante elemento sul quale la Suprema Corte concentra la propria analisi consiste nella pluralità delle condotte, dato precedentemente riconosciuto dal Tribunale del riesame.

Come precedentemente esplicitato, uno degli elementi necessari ai fini del concretizzarsi del reato di tortura, alternativo alla presenza del trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, è la reiterazione nel tempo delle condotte delittuose.

Tra i motivi di ricorso presenti all'interno della sentenza qui attenzionata si rinviene, difatti, proprio la mancanza del requisito della reiterazione della condotta, essenziale, come già detto, per rendere l'azione compiuta penalmente rilevante. Secondo i ricorrenti il fatto contestato è da ritenere isolato, limitato ad un singolo episodio, ciò determinando così il venir meno del requisito della reiterazione nel tempo, caratterizzante la fattispecie delittuosa in esame. Pertanto, ciò era dai ricorrenti ritenuto sufficiente ad escludere la presenza della fattispecie contestata.

L'assunto "mediante più condotte", rinvenibile all'interno dell'art. 613-bis, afferisce non solo ad una pluralità di ordine temporale, con episodi eventualmente reiterati nel tempo, ma anche alla perpetrazione di più contegni violenti nello stesso contesto cronologico, attribuiti allo stesso responsabile141.

Il reato previsto ex art. 613-bis è a forma vincolata, in quanto richiede che la condotta dell'agente si estrinsechi con specifiche modalità e che la stessa cagioni un evento lesivo per la vittima142.

Tali modalità consistono in violenze o minacce gravi poste in essere dall'agente, ovvero che egli agisca con crudeltà e ponga in essere azioni che integrano il reato di tortura solo se il fatto è commesso mediante più condotte, o se esso possa definirsi trattamento inumano e degradante 143.

Non si tratta dunque di un reato a forma libera, che comprenda qualunque efficace tecnica di tormento, bensì di una forma vincolata144. In definitiva, nella forma delle violenze o delle minacce il delitto in parola si connota come abituale; nella forma dell’agire con crudeltà, no145.

Accertato il carattere abituale di questo reato soltanto per le prime due modalità di realizzazione dell’illecito, ci si deve poi chiedere se, con riferimento alle stesse, si tratti di un reato abituale proprio o improprio146.

Il riferimento alla violenza o alla minaccia fa nettamente propendere per la seconda soluzione147, costituendo di per sé fatti di reato tanto la minaccia (art. 612 c.p.), quanto la violenza sulla persona, sia nel caso in cui questa proietti la sua portata lesiva sulla libertà morale della vittima (art. 610 c.p.), sia laddove il suo contenuto lesivo attenga all’incolumità individuale. La formulazione legislativa non si esaurisce però nelle indicate modalità di condotta, ma annovera al suo interno anche l’agire con crudeltà148, che ben potrebbe non integrare di per sé alcuna fattispecie tipica149.

Pertanto, appare ragionevole affermare che nell’art. 613-bis figura un reato abituale improprio, solo ed esclusivamente con riguardo ad una sua realizzazione mediante violenza o minaccia; mentre, per l’agire con crudeltà esso ben può realizzarsi tanto per mezzo di un’unica condotta, quanto di una loro pluralità, che singolarmente considerate non costituiscono reato e, in tal caso, assume la veste di un reato eventualmente abituale150.

L'elemento della condotta posto in essere dalla norma risulta dunque essere strutturato in due livelli, e per ogni condotta configura modalità alternative di realizzazione151.

Nello specifico, il primo livello si struttura nell'alternanza tra le violenze, le minacce gravi o l'agire crudele. Nel caso in cui si configuri uno di questi due elementi si potrà giungere al successivo livello, costituito dal binomio pluralità di condotte - trattamento inumano e degradante152.

Ne deriva un sistema incrociato, frutto della combinazione dei fattori del primo e del secondo livello, moltiplicando in tal modo le possibilità di integrazione della condotta153.

In tal senso risulta complesso ipotizzare la punibilità di condotte omissive, neppure in forza della clausola di equivalenza ex art. 40 comma 2 c.p., così esclusa dalla lettera della legge154.

Inoltre la forma plurale adoperata nel testo della norma impone di escludere da una sanzione la singola azione, pur se gravissima155.

In alternativa, "la selezione opera sul tipo di autore", volgendo lo sguardo all'abiezione e al sadismo; ciò che normalmente integra un'aggravante (art. 61 n.4 c.p.), nel caso di specie si apprezza come elemento costitutivo del reato156.

La formulazione della fattispecie ha sollevato alcune perplessità in ordine alla difficile individuazione delle condotte concretamente sanzionate157.

La principale difficoltà risiede nella comprensione del precetto normativo da parte dei consociati, contrariamente al principio di precisione previsto dall'art. 25 comma 2 Cost., oltre alla perplessità in merito alla capacità di tale disposizione di contrastare efficacemente il fenomeno della tortura e di adempiere agli obblighi sovranazionali di incriminazione158.

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione ha rilevato l'effettivo concretizzarsi dell'elemento della pluralità delle condotte, in quanto commesso tramite una cronologica reiterazione delle stesse.

Tale elemento risulterebbe assolutamente rinvenibile nel caso di specie, posto che, dai dati indiziari, era deducibile la ragionevole convinzione che i ricorrenti non si fossero recati solo una volta a casa della vittima, ma che in realtà vi siano stati più accessi.

Inoltre, osserva la Corte, l'efficacia repressiva della previsione normativa in questione sarebbe irragionevolmente depotenziata nel caso in cui si avallasse un'interpretazione della disposizione che ne circoscriva l'applicazione ai casi di reiterazione differita nel tempo delle condotte, perchè lascerebbe prive di tutela delle situazioni ben possibili nella pratica in cui la tortura venga posta in essere, con le conseguenze sulla persona offesa che pure il legislatore ha previsto, in un unico contesto temporale.

Pertanto, ai fini della sussistenza del reato di tortura, la locuzione “mediante più condotte” che figura all’art. 613-bis co. 1 c.p. deve essere intesa come afferente non solo ad una pluralità di ordine temporale con episodi eventualmente reiterati nel tempo, ma anche alla perpetrazione di più contegni violenti nello stesso contesto cronologico.

Dunque, la commissione di una molteplicità di contegni, pur posti in essere in unico contesto senza soluzione di continuità, vale ad integrare la condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice de qua.

 

7.  La crudeltà

L'agire con crudeltà rappresenta sicuramente una importantissima caratteristica di tale fattispecie delittuosa.

Nella sentenza analizzata difatti la Suprema Corte ne sottolinea l'assoluta preminenza, in relazione alla sua connotazione modale afferente al caso concreto.

Uno dei focus delle rimostranze addotte dei ricorrenti consisteva nell'asserire che il loro agire non avesse cagionato alcun male aggiuntivo alla vittima in contrapposizione alle percosse, tale da integrare la condizione predetta.

Il concetto di crudeltà è solitamente riconosciuto dall'ordinamento penale esclusivamente nei termini di circostanza aggravante di carattere soggettivo159.

Tra l'altro, le Sezioni Unite hanno recentemente fornito una ulteriore precisazione del concetto di crudeltà, in merito alla questione circa la compatibilità tra il dolo d'impeto e l'aggravante delle sevizie e crudeltà160. Esse hanno infatti individuato il nucleo ontologico di quest'ultima in

"una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, che deve essere oggetto di accertamento alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo"161.

La nozione di crudeltà, così sviluppata in riferimento all'aggravante prevista ex art. 61 n. 4 c.p., può essere adottata anche in merito al reato di tortura, all'interno del quale essa costituisce un rilevante requisito, costitutivo della condotta tipica162.

Ciò posto, affinchè si concretizzi un'azione crudele ai sensi dell'art. 613-bis, sarà dunque necessaria una condotta eccedente rispetto alla tipica eziologia del reato, che si realizzi attraverso l'inflizione alla vittima di ulteriori sofferenze rispetto a quelle che, ordinariamente, sarebbero bastevoli a configurare la soglia minima di sofferenza richiesta dall'evento del reato163.

Così si chiede all'interprete di individuare la condotta penalmente rilevante non soltanto in base alle concrete modalità d'azione, ma anche tramite un ragionamento indiziario, atto a scandagliare l'animus interiore dell'agente, da cui dedurre l'efferatezza e la gratuità delle sofferenze inflitte164.

Il concetto di crudeltà poggia dunque su una connotazione squisitamente soggettiva, dato che le modalità crudeli dell'azione rilevano per la loro idoneità a rivelare la spietatezza del reo, rendendolo in tal modo deplorevole165.

Pertanto, da ciò se ne deduce che la determinazione delle concrete modalità di azione relative al tipo legale della tortura debba, imprescindibilmente, essere influenzata anche dall'indagine sull'elemento soggettivo dell'agente, in cui il dolo assume una sfumatura più o meno intensa a seconda che la condotta venga integrata da violenze o minacce, ovvero dalla crudeltà166.

La Corte ha evidenziato come i ricorrenti avessero ripetutamente provocato delle sofferenze in capo alla vittima, azione risulta foriera di generare un soddisfacimento di un istinto sadico, che merita la connotazione del reato di tortura.

L'accento è stato posto sulla spietatezza manifestata dagli autori del reato, manifestata dall'aggressione con corpi contundenti ai danni della persona offesa, nel contempo schernendola e manifestando un compiaciuto divertimento rispetto al terrore ed alle sofferenze volutamente provocate, comportamento questo che merita la connotazione di cui si discute.

 

8.  Il trauma psichico.

Le tipizzate condotte, evidenziate all'interno della sentenza, devono poi essere prodromiche al cagionare acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico ad un soggetto che si trovi in condizione di minorata difesa, ovvero di restrizione della libertà personale167.

Nel caso di specie, difatti, gli impugnanti contestavano la sussistenza dell'evento in tal modo cagionato, ritenendo che esso non dovesse essere identificato con quello che, in buona sostanza, era lo stato psicologico in cui versava la vittima, che al limite sarebbe stato così soltanto accentuato. Infatti, si poneva in tal modo l'accento sulla connessione eziologica della propria condotta rispetto alla patologia psichica da cui era affetta la vittima, ricollegandone la genesi ad una stratificazione di molestie che quest'ultima aveva subito negli anni precedenti, di conseguenza ciò non risultava imputabile al ricorrente.

La prova del danno psichico come conseguenza della condotta è innegabilmente essenziale ai fini del processo penale, necessaria per poter sanzionare il reo ed offrire adeguato ristoro ai danni patiti dalla vittima.

Se si fa riferimento alle nozioni di tortura che nel tempo hanno ottenuto un riconoscimento in ambito giuridico168, degno di menzione è il contributo fornito dalla Inter-American Court, la quale ha ampliato il concetto di tortura, allo scopo di giungere ad una concezione più evoluta ed attuale che consentisse di inserire al suo interno la violenza psichica169.

Come anticipato, una prima nozione di tortura si rifà alle conseguenze patite dai torturati, ponendo l'accento sulla distruzione della personalità, la diffusione del terrore, il propagarsi di sentimenti negativi ed angoscianti, che inevitabilmente costituiscono causa dell'insorgere di disturbi mentali.

Un'altra accezione mette invece in rilievo le metodologie che causano un danno prettamente psicologico, senza tangere la sfera fisica della vittima170.

Di fatto molte tecniche di tortura abbracciano sia una componente fisica, sia una psicologica, grazie alla fisiologica interconnessione tra mente e corpo.

Il concetto di verificabile trauma psichico non risulta per altro approfondito dalla giurisprudenza interna.

L’aggettivo "verificabile", adoperato dal legislatore, risulta poco auspicabile e rivela un tentativo di vanificare la repressione della tortura quando a porla in essere sia lo Stato, tramite persone fisiche che agiscano ufficialmente171.

La questione riguarda la "tortura bianca", la quale non desta allarme, quantomeno prima facie, poiché viene realizzata tramite strumenti sofisticati che aggrediscono i sensi e non il corpo della persona, alterando la percezione del torturato, sino a procurare stati psicotici, o il Post traumatic stress disorder (Ptsd)172.

Si tratta, per l'appunto, di torture prive di contatto le cui conseguenze psichiche diventano pertanto più difficili da provare e, per come è formulata la disposizione legislativa, essa di fatto grava sul torturato, il quale deve dimostrare di aver subito un trauma173.

Difficoltoso è anche comprendere se il termine utilizzato possa assumere una connotazione squisitamente processuale, ovvero sostanziale, in quanto risulta arduo per il giudice accertare l’esistenza di un trauma psichico. Ciò presuppone un accertamento di natura tecnica che, in termini processualpenalistici, potrebbe tradursi nella necessità di espletare una perizia, con ciò violando il principio del libero convincimento del giudice e con l‘introduzione, in tal modo, di una prova legale per l’accertamento di un reato174.

Senza considerare il fatto che così si porrebbe a carico della vittima un ulteriore gravame, ossia il doversi sottoporre ad accertamenti fortemente invasivi, che andrebbero a far riaffiorare spiacevoli ricordi e sensazioni traumatiche175.

Tali accertamenti, poi, potrebbero comunque esseri vani, potendo anche non condurre ad una reale prova del trauma psichico subito176.

Dimostrata poi l’esistenza del trauma, cosa come già detto tutt'altro che agevole, l’eziologia delle sofferenze psichiche a carattere permanente o duraturo risulta quasi mai certa e incerto è anche il momento in cui essa appare, potendo, peraltro, insorgere anche a molta distanza di tempo dagli abusi subiti177.

La Corte, a tal proposito, ha sottolineato il fatto che il trauma psichico era percepibile dalle riprese video che avevano immortalato il volto terrorizzato e disorientato della vittima mentre veniva malmenata e si vedeva distruggere la casa, oltre a ciò rileva inoltre lo stato della vittima rilevato dai poliziotti, recatisi presso la sua abitazione, occasione in cui temeva di aprire anche a loro ed era da giorni rintanato in casa, senza potersi procurare generi di prima necessità, per paura di uscire di casa ed imbattersi nei suoi aguzzini.

 

9.  La minorata difesa.

Il Supremo consesso ha poi ritenuto infondati i rilievi dei ricorrenti in merito all’inesistenza delle condizioni di minorata difesa della vittima. Questi ultimi nei motivi di doglianza del ricorso avevano escluso la presenza della predetta condizione, in quanto la vittima aveva in precedenza sporto denuncia per fatti analoghi, con ciò evidenziando il difetto di un altro requisito della fattispecie.

La Corte, a contrario, ha evidenziato che la situazione in cui versava la vittima non lasciava adito ad alcun dubbio in merito sulla sua condizione. Difatti, le circostanze logistiche, che lo vedevano abitare da solo, in una situazione di degrado, senza un telefono con cui poter chiedere aiuto e l'ora notturna possono certamente essere ritenuti fattori che avevano, in concreto, agevolato l'opera degli aguzzini.

La nozione di minorata difesa178, in definitiva, è atta a ricomprendere tutti i casi in cui le condizioni di un soggetto passivo non consentano una reazione di difesa rispetto alle minacce o alle violenze di cui è fatto oggetto, per una sua condizione di vulnerabilità intrinseca oppure per le condizioni di tempo e luogo nelle quali si manifesta la condotta dell'agente.

Essa, tuttavia, pone anche dei dubbi interpretativi, in quanto trattasi di un elemento previsto dall'art. 61, co. 5 c.p. quale circostanza aggravante, non come elemento di reato, atto al riscontro in capo alla vittima di una particolare condizione di vulnerabilità, legata a condizioni esterne o fattori soggettivi179. Pertanto è così ravvisabile il rischio di una lacuna per ciò che concerne i casi riguardanti vittime non inquadrabili entro tali generiche categorie individuate dal legislatore.

Inoltre, la decisione della Corte si pone perfettamente in linea con quanto la giurisprudenza di legittimità ha sancito a proposito della minorata difesa, così concretizzandosi quel complesso di condizioni oggettive e soggettive che rendono il soggetto passivo maggiormente vulnerabile, favorendo il controllo dell'autore del fatto sulla persona offesa, con corrispondente soggezione di quest'ultima nel momento in cui viene posta in essere l'azione. Sono circostanze che agevolano il depotenziamento se non l'annullamento delle capacità di reazione del soggetto passivo e dunque i connotati che caratterizzano i rapporti carnefice-vittima nella tortura.

Elementi che nel caso analizzato vengono perfettamente a concretizzarsi, come precedentemente esposto, essendo evidente l'esistenza di condizioni "facilitatrici" per il riconoscimento della condizione di minorata difesa, che va valutata non rispetto a reazioni successive, ma considerando le oggettive possibilità di contrasto dell'azione del reo nel momento in cui essa viene perpetrata.

 

10.  Il trattamento inumano e degradante.

Uno dei motivi di doglianza afferisce alla sussistenza del trattamento inumano e degradante, che i ricorrenti ritengono non sussistere concretamente. La norma prevista dall'art. 613-bis ritiene difatti il "trattamento inumano e degradante" alternativo al requisito della reiterazione della condotta.

Avendo la Cassazione già smontato quest’ultimo rilievo, l’interesse sul trattamento disumano e degradante sarebbe potuto apparire quasi pleonastico. I giudici, tuttavia hanno valutato anche questa problematica sottolineando che il riferimento possa essere applicato a comportamenti che inducono nella vittima sofferenze di minore intensità rispetto a quelle legate al concetto stretto di tortura. A maggior ragione non si può ammettere che per il Tribunale del riesame non ci sia stata alcuna violazione di legge quando ha rilevato che la vittima era stata braccata in casa dai suoi assalitori, percossa, insultata, dileggiata e che il tutto, con un accrescimento del grado di afflittività della dignità della persona, era poi stato oggetto di ripresa video e di diffusione a mezzo web.

Per definire il concetto di "trattamento inumano e degradante" il legislatore ha voluto traslare all'interno del nostro ordinamento il disposto previsto dall'art. 3 CEDU180.

Per meglio comprenderne il significato, appare dunque opportuno riprendere quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte EDU, che distingue il trattamento inumano da quello degradante all'interno di una scala a gravità crescente che il cui apice è la tortura181.

Affinché sia raggiungibile la soglia minima del carattere degradante deve trattarsi di un trattamento che umilia o mortifica l'individuo, ponendo in essere una mancanza di rispetto nei confronti della sua dignità, o la sminuisce ovvero causa in lui il sorgere di angoscia e inferiorità, atti a minare la sua resistenza morale e fisica182.

Tale concetto desta però una importante perplessità in merito alla valutazione in tal senso operata dalla Corte, la quale qualifica così i trattamenti inumani e degradanti come un minus in relazione alla tortura, facendo così derivare la sanzionabilità della tortura da un elemento che prevede una condotta di minore offensività183.

È tuttavia da evidenziare che, anche in relazione alla giurisprudenza della Corte, vadano collegate alla fattispecie in esame soltanto quelle ipotesi in cui la condotta disumana e degradante sia caratterizzata da una notevole gravità, tale da essere ritenuta tortura, stante proprio la sua concretizzazione tramite condotte violente o comunque crudeli, capaci di causare acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico nella vittima184.

Tuttavia, la previsione di tali concetti quali elementi costitutivi del reato di tortura, non risulterebbe pienamente adeguata, dato che nella giurisprudenza della Corte europea i trattamenti inumani e degradanti denotano una situazione avente un minor disvalore rispetto alla fattispecie classica della tortura, distinguendosi per una minore intensità della sofferenza inflitta.

Se, pertanto, la tortura realizzerà sempre un trattamento inumano e degradante, la stessa cosa non può dirsi a parti invertite, in quanto il trattamento inumano e degradante non necessariamente potrà essere qualificato come tortura e, pertanto, non verrà punito come tale185.

Si è pertanto sottolineato il pericolo di poter così incorrere in una eccessiva dilatazione dei margini della fattispecie sino ad includere condotte non meritevoli di essere punite come tortura.

La sussistenza, all'interno dell'art. 613-bis del requisito summenzionato sembrerebbe assumere una connotazione di decisività nel consentire di configurare il delitto di tortura anche in presenza di un solo atto di crudeltà186.

Primariamente è però necessario rilevare che le due condizioni si presentano come disgiuntive e non sembrano esservi dubbi che, in base alla formulazione del testo, pur in assenza di una pluralità di condotte, si concretizzi il reato di tortura nel caso in cui si sia determinato un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona187.

In tale ultima ipotesi dunque si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte.

La norma, pertanto, non richiede che la condotta tipica si perfezioni in un trattamento avente quelle caratteristiche, ragion per cui se ne deduce che essa può consistere anche nel compimento di un atto che di per sé sia legittimo e non abbia nulla di biasimevole188.

Ciò, tuttavia, rende problematico l'inquadramento giuridico della normativa in esame189.

Difatti i trattamenti inumani e degradanti sembrerebbero collocarsi principalmente sul piano dell'evento, descrivendo i diversi gradi di intensità delle sofferenze cagionate alla vittima, anziché connotare la condotta190.

Inoltre la formulazione letterale "se il fatto comporta" sembrerebbe voler collocare i trattamenti indicati dalla norma all'interno della categoria dogmatica delle condizioni obiettive di punibilità, cui il legislatore a volte subordina la punibilità del reato, ancorché questi non siano voluti dall'autore191.

La connotazione quale trattamento inumano e degradante deve dunque essere la conseguenza di quell’atto o comportamento, ed è l’effetto che esso produce a doversi qualificare in quei termini.

Per ciò che concerne il carattere disgiuntivo o meno del trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, è opportuno chiedersi il perché il legislatore abbia voluto inserire entrambi gli aggettivi192.

A tale riguardo appare evidente l’intento del legislatore di aumentare i requisiti per circoscrivere la punibilità del reato di tortura, escludendone l’applicazione nel caso di trattamenti “soltanto” degradanti. Si tratta di un’opzione legislativa che può essere criticabile, ma che non pare illegittima193.

Detto ciò, dunque, i motivi di doglianza addotti dai ricorrenti non sono sufficienti ad escludere il concretizzarsi di trattamenti inumani o degradanti. Le aggressioni ai danni della vittima, nonchè la sua ripresa video con conseguente diffusione sul web atte a cagionare ludibrio sono sicuramente indizi atti a concretizzare l'elemento in questione.

 

11. Conclusioni.

Tenendo conto di quanto sinora esposto, è necessario rilevare come risulti indubbiamente complessa e tutt'altro che agevole una trasposizione del concetto empirico di tortura in una norma incriminatrice.

Difatti, l’incriminazione deve essere in grado di ottemperare agli obblighi di derivazione internazionale, ma essere al contempo rispettosa dei principi garantistici sui quali si fonda il diritto penale, finalizzati al perseguimento di quelle condotte che altrimenti resterebbero impunite o che potrebbero essere sanzionate solo facendo ricorso a più generiche e inadeguate fattispecie comuni, già esistenti nel nostro sistema penale.

Inoltre, le difficoltà non afferiscono in maniera esclusiva alla configurazione normativa del reato di tortura, ma riguardano anche le conseguenze che il suo inserimento può avere sull’intero ordinamento.

Sicuramente l’ingresso della Legge 110/2017, introduttiva del reato di tortura all’interno del codice penale, ha costituito una tappa epocale. Prima facie l’introduzione della predetta fattispecie delittuosa può essere ritenuta un significativo passo in avanti verso una piena tutela dei diritti fondamentali della persona, concordemente alle indicazioni provenienti dalla comunità internazionale.

Tuttavia, nonostante il lungo iter relativo alla sua elaborazione, il nuovo reato di tortura non ha soddisfatto pienamente le attese, consegnando all’interprete

"una disposizione caratterizzata da forti deficit di determinatezza, atti ad incidere negativamente sulla capacità selettiva della fattispecie"194

Spetterà alla prassi applicativa definire i contenuti dell’art. 613 bis c.p., in particolare con riferimento alla natura di circostanza aggravante o fattispecie autonoma del comma 2, alle oggettive caratteristiche di un’azione crudele e ai presupposti per la verificazione dei due eventi alternativi previsti.

In conclusione, l’incriminazione della tortura tramite il suo inserimento all’interno del codice penale non deve assurgere ad un intervento normativo simbolico per rimediare alla lunga inadempienza degli obblighi assunti nei confronti della Comunità internazionale. Risulta difatti auspicabile la possibilità di disporre di una fattispecie idonea a far fronte alle ipotesi criminose, che fino ad oggi non sono state adeguatamente perseguite e punite a causa della tutela frammentaria e non specifica fornita dal nostro sistema penale in materia.

Affinché l’Italia possa finalmente colmare in modo efficace tale lacuna normativa, contrastando adeguatamente il fenomeno della tortura, appare auspicabile che venga posto rimedio alle criticità evidenziate, senza mai perdere di vista il contesto empirico e giuridico all’interno del quale deve operare la nuova norma penale.

 

 

 

Note e riferimenti bibliografici

1 1 Sentenza della Corte di Cassazione 11 Ottobre 2019 n. 50208, Quinta Sezione Penale., Pres. De gregorio, Estens. Borrelli

2 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, Bologna, 2013, 203 ss.

3 P. GONNELLA, Un reato fantasma ma è l’unico chiesto dalla Costituzione, ne il manifesto, 18 maggio 2012. In quanto costituzionalmente necessaria, la legge introduttiva del reato di tortura sarà da ritenersi sottratta a referendum abrogativo popolare, ex art. 75, 2° comma, Cost., anche in ragione della natura internazionalmente obbligatoria del nuovo crimine.

4 A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non c‘è, in Dir. Pen Cont., 17 febbraio 2014.

5 A. MARCHESI, L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, in Riv. di Dir. Int., fasc. 2/1999, 463 e ss.

6 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

7 L’Italia è stata uno dei primi Paesi ad aver ratificato lo Statuto di Roma (l. n. 232/1999), tuttavia, ad oggi, nonostante la legge n. 237 del 20 dicembre 2012, “Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale”, il diritto sostanziale non è ancora stato adeguato allo Statuto di Roma. La novella legislativa, infatti, limitandosi ad analizzare aspetti procedurali, come l’obbligo di cooperazione del nostro Paese con la Cpi e l’esecuzione dei provvedimenti di detta istituzione sul territorio italiano, nulla dice riguardo l’adattamento delle fattispecie criminose previste dal nostro ordinamento a quelle previste dallo Statuto.

8 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

9 S. BUZZELLI, Tortura: una quaestio irrisolta di indecente attualità, in Dir. pen. Cont., 26 giugno 2013.

10 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

11 A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione:anatomia di un reato che non c‘è, in Dir. Pen Cont., 17 febbraio 2014.

12 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

13 L’espressione è di G. AMATO, Rapporti civili. Sub art. 13, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, 1977, 28.

14 A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione:anatomia di un reato che non c‘è, in Dir. Pen Cont., 17 febbraio 2014.

15 Per una ricostruzione critica di questo approccio, E. BEA, Il divieto di tortura rimesso in discussione, in Ragion pratica, n. 1/2009, pp. 133 ss.; nonché, M. LA TORRE – M. LALATTA COSTERBOSA, Legalizzare la tortura?, cit., pp. 147 s., i quali osservano: «Non vi è nello Stato costituzionale nessun “cuore di tenebra” occulto, uno “stato di eccezione” latente, un grumo irrisolto di violenza radicale sempre pronta a manifestarsi nuovamente in qualche situazione di pericolo “esistenziale” pre-politica. In democrazia l’esistenza che è in gioco e quella della costituzione e dei suoi diritti. Insomma, nel contesto dell’ordinamento costituzionale, e più in generale in uno Stato di diritto, lo Stato come tale non è mai un argomento». Sul tema del c.d. “diritto penale del nemico”, tra gli altri, AA.VV., Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M. Donini e M. Papa, Milano, 2007; L. FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico e la dissoluzione del diritto penale, in Quest. giust., 2006, 797 ss.; M. DONINI, Diritto penale di lotta v. diritto penale del nemico, in Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale, a cura di A. Gamberini e R. Orlandi, Bologna, 2007, 131 ss.; F. MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 470 ss.

16 A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione:anatomia di un reato che non c‘è, in Dir. Pen Cont., 17 febbraio 2014.

17 ANTONUCCI C. E SS., La Tortura nell'Italia di oggi, luglio 2020.

18 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont., 26 ottobre 2017, 189.

19 P. VERRI, Osservazioni sulla tortura, Roma, 1994.

20 C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Torino, 1970.

21 L’ambiguo argomento del “male minore”, ossia «l’idea che, se ci si trova di fronte a due mali, sia nostro dovere optare per il “più lieve”, e che comunque una scelta tra i due mali debba essere fatta», che talora si insinua prepotentemente nei ragionamenti giuridici e morali, è però estremamente pericoloso. Su questi aspetti, G. FORTI, Percorsi di legalità in campo economico: una prospettiva criminologico-penalistica, Quaderno n. 15, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Milano, 2006, 13 ss.

22 S. CECCANTI, Le democrazie protette: da eccezione a regola già prima dell’11 settembre. Atti del Convegno annuale, Milano, 17-18 ottobre 2003.

23 In tal senso la risoluzione "Autorizzazione all'uso della forza militare" del Congresso degli USA del 15 settembre 2001 che, per far fronte all'emergenza conseguente all'attacco terroristico alle Torri Gemelle, consente il ricorso all'utilizzo della forza ai danni di organizzazioni e Stati coinvolti in azioni terroristiche.

24 GORI, Art..3 CEDU. Trattamenti inumani e degradanti. La giurisprudenza della Corte e il suo impatto sul diritto dei detenuti., in L'altro diritto, 2015.

25 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, 332 e ss.

26 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

27 Obblighi di penalizzazione della tortura erano presenti già in altri, più risalenti, strumenti internazionali a carattere aspecifico (per esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948; le Convenzioni di Ginevra del 1906 e del 1949; la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio del 1948; la Convenzione supplementare per l’abolizione della schiavitù del 1956; lo Statuto di Roma del 1998, istitutivo della Corte penale internazionale); oltre che dall’art. 3 CEDU, in forza del quale "Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti". Rispetto a questi, il profilo di maggiore interesse della CAT è dato proprio dall’aver accompagnato l’obbligo da una dettagliata definizione di ciò che deve essere considerato “tortura”.

28  D. PULITANO', Diritto penale. Parte speciale. Vol. 1: Tutela penale della persona, Torino, 2019, 258 e ss.

29 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

30 Cass. pen., Sez. V, 11 ottobre 2019, sent. n. 50208

31 Risoluzione n. 3452 del 9 dicembre 1975.

32 G. DE SALVATORE, L'incidenza degli 'atti tipici di tortura' sul ragionamento del giudice penale: riflessioni a margine di una pronuncia della Corte d'Assise di Lecce. L'elaborazione del concetto di tortura nell'ordinamento internazionale e nella prassi giurisprudenziale, in Cassazione Penale, fasc.12/2017, 4526 – 4553.

33 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in  Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, p. 332 e ss.

34 Risoluzione n. 3452 del 9 dicembre 1975.

35  N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1997, 21.

36 D. PULITANO', Diritto penale. Parte speciale. Vol. 1: Tutela penale della persona, Torino, 2019, pp. 258 e ss. Torino, 2019, 258 e ss.

37  S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

38 RONZITTI, Tortura: l'Italia  ratifica il Protocollo, ma nel Cp manca la fattispecie criminosa, in Guida al Diritto, 2013.

 G. DE SALVATORE, L'incidenza degli 'atti tipici di tortura' sul ragionamento del giudice penale: riflessioni a margine di una pronuncia della Corte d'Assise di Lecce. L'elaborazione del concetto di tortura nell'ordinamento internazionale e nella prassi giurisprudenziale, in Cassazione Penale, fasc.12/2017, 4526 – 4553.

39 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 e ss.

40 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, p. 332 e ss.

41 Tra i principali trattati internazionali che, da distinte angolazioni, vincolano l’Italia al rispetto del divieto di tortura si annoverano, senza pretesa di esaustività, le Convenzioni di Ginevra del 1949 (artt. 3, comma 1, lett. a), 12, 50, Convenzione di Ginevra (I); artt. 3, comma 1, lett. a), 12, 51, Convenzione di Ginevra (II); artt. 3, comma 1, lett. a), 13, 14, 130, Convenzione di Ginevra (III); artt. 3, comma 1, lett. a), 27, 147, Convenzione di Ginevra (IV)) ed il loro secondo Protocollo aggiuntivo del 1977 (art. 4, comma 2, lett. a)), la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (art. 3), il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (art. 7), la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984, lo Statuto della Corte penale internazionale del 1998 (tortura quale crimine contro l’umanità: art. 7, comma 1, lett. f); tortura quale crimine di guerra: art. 8, comma 2, lett. a), ii) (conflitti armati a carattere internazionale) e art. 8, comma 2, lett. c), i) (conflitti armati non internazionali)) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 (art. 4). Alcuni trattati hanno istituito degli organi appositi, aventi funzione di prevenzione e monitoraggio. Il Comitato internazionale della Croce Rossa opera sotto l’ombrello delle Convenzioni di Ginevra e dei loro Protocolli aggiuntivi; il Comitato dei diritti umani è stato istituito dal Patto del 1966 mentre il Comitato contro la tortura trae origine dalla Convenzione ONU del 1984. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987 ha dato vita al Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Quest’ultimo meccanismo ha dimostrato particolare efficacia in quanto può procedere a sopralluoghi nei centri di detenzione degli Stati parte senza dover dare preavviso né dover ottenere preventiva autorizzazione. Un sistema simile è stato creato dal Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura – ratificato dall’Italia a seguito della legge 9 novembre 2012, n. 195 – che prevede l’istituzione non solo di un apposito Sottocomitato ONU, ma anche di meccanismi nazionali di prevenzione con poteri di visita “a sorpresa” per la prevenzione della tortura nei luoghi di detenzione. 

42 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont., 26 ottobre 2017, 189.

43 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, 332 e ss.

"La convenzione del 12 settembre 1985 e` in vigore sul piano internazionale dal 28 febbraio 1987; la convenzione del 26 novembre 1987, ratificata ai sensi della l. 2 gennaio 1989 n. 7, in Gazz. Uff., n. 12 del 16 gennaio 1989, suppl. ord. n. 2, e` in vigore per l’Italia dal 1° aprile 1989 (sul piano internazionale dal 1° febbraio 1989). I due protocolli del 4 novembre 1993, ratificati ai sensi della l. 15 dicembre 1998 n. 467, ibidem, n. 7 dell’11 gennaio 1999, sono in vigore per l’Italia (e sul piano internazionale) dal 1° marzo 2002".

44 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 ss.

45 S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

46 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 ss.

47 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, 332 e ss.

48  S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

49 A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU), in Dir. Pen. Cont., 22 dicembre 2011.

50 P. PUSTORINO, Commento all'art. 3, in Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, Padova, 2012.

51 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

52 Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, in Riv. Dir. Internaz., 1980, 124.

53 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 – 1791.

54 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 – 1791.

55 La Corte EDU non ritenne integrata la violazione dell’art. 3 CEDU in quanto vi fu il riconoscimento delle violazioni da parte del Governo britannico, l’abbandono delle pratiche e il conseguente impegno a non reiterarle in futuro, ed infine la compensazione economica offerta alle vittime: come si vede si tratta di elementi postumi rispetto alle violazioni, elementi che tuttavia hanno giocato un ruolo fondamentale nell’escludere la responsabilità dello Stato britannico, probabilmente insieme all’esigenza allora molto avvertita di contrastare efficacemente il terrorismo politico che imperversava nell’ambito dei Paesi del Consiglio d’Europa.

56 GORI, Art. 3 CEDU. Trattamenti inumani e degradanti. La giurisprudenza della Corte e il suo impatto  sul diritto dei detenuti, in L'altro diritto, 2015.

57 Per un approfondimento di questi concetti e per l’individuazione dei criteri di demarcazione fra gli stessi, cfr. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in Dir. pen. Cont., 2011, 224, in cui si sottolinea che tali criteri – fra i quali campeggia quello secondo il quale nella tortura, oltre alla rilevante gravità vi sarebbe anche lo scopo specifico di ottenere informazioni, estorcere confessioni, infliggere una punizione, intimidire o esercitare una pressione su qualcuno – hanno un valore soltanto tendenziale“posto che, da un lato, il confine fra trattamenti inumani e trattamenti degradanti si mostra nell’applicazione pratica alquanto incerto, e sono assai frequenti le pronunce in cui la Corte utilizza l’espressione “trattamento inumano e degradante” quasi si trattasse di un’endiadi; dall’altro, non sempre i misbehaviour che raggiungono la soglia di gravità necessaria per essere qualificati come altrettante ipotesi di tortura sono assistiti dallo  scopo specifico ora menzionato: l’analisi della giurisprudenza di Strasburgo consente, piuttosto, di evidenziare un rapporto di proporzionalità inversa fra la gravità della condotta e lo scopo specifico perseguito dall’agente”. La delimitazione della tortura in senso stretto secondo una prospettiva legata allo scopo specificamente perseguito dall’agente, sembra assumere, invece, maggiore rilievo in seno alla CAT, la cui definizione è imperniata proprio sull’elemento finalistico: cfr., per una lettura di tale elemento in chiave di dolo specifico, LOBBA, Punire la tortura in Italia, cit., 192 ss.

58 C. RUSSO, P. M. QUAINI, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Padova, 2006.

59 S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

60 S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

61  G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, 332 e ss.

62 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 – 1791.

63 S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

64 A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione:anatomia di un reato che non c‘è, in Dir. Pen Cont., 17 febbraio 2014.

65 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, p. 332 e ss.

66 F. VIGANO', Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la Camera dei deputati. Parere reso nel corso dell'audizione svoltasi presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 2 settembre 2014, in Dir. Pen. Cont., 25 settembre 2014.

67  Corte EDU, sez. IV, sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, in Giur. it., 2015, 1709, con nota di C. PIZZIMENTI, Nella scuola Diaz-Pertini fu tortura: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia nel caso Cestaro. In argomento, anche F. VIGANÒ, La difficile battaglia contro l’impunità dei responsabili di tortura: la sentenza della Corte di Strasburgo sui fatti della scuola scuola Diaz e i tormenti del legislatore italiano, in Dir. pen. Cont., 9 aprile 2015; F. CASSIBA, Violato il divieto di tortura: condannata l’Italia per i fatti della scuola “Diaz-Pertini”, ivi, 27 aprile 2015. Recentemente la Corte di Strasburgo è tornata su questa vicenda per censurare ancora una volta il nostro Paese per non essere stato in grado, sul piano sostanziale e procedurale, di punire i responsabili di episodi di abuso e violenza: Corte EDU, sez. I, 22 giugno 2017, Bartesaghi e altri c. Italia. Analoghe censure nei confronti dell’Italia per la inadeguate repressione di episodi di tortura in Corte EDU, sez. X, 24 giugno 2014, Alberti c. Italia, in Cass. pen., 2015, 305 ss. Il ricorrente lamentava di essere stato oggetto di violenze da parte di carabinieri mentre si trovava in stato di arresto; e, in effetti, i medici del carcere avevano accertato la frattura di tre costole e un ematoma al testicolo destro. Il procedimento penale si era, però, concluso con un’archiviazione. La Corte europea ha riconosciuto la sussistenza della violazione dell’art. 3, sotto il duplice piano sostanziale e processuale. Tale ultimo profilo, come è noto, attiene all’obbligo dello Stato di esperire indagini effettive ed adeguate su casi denunciati di violenze subite da parte delle forze dell’ordine. Secondo i giudici di Strasburgo il provvedimento di archiviazione era immotivato e prematuro, avendo fatto seguito a indagini frettolose e superficiali.

68  E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

69  S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

70  A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

71 Si veda altresì C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. n. 3 novembre 2015, Myumyun c. Bulgaria, in cui i giudici di Strasburgo sono pervenuti a conclusioni del tutto analoghe, rilevando che l’assenza del reato di tortura nel codice penale bulgaro avesse impedito allo Stato di sanzionare in maniera adeguata gli ufficiali di polizia che per parecchie ore avevano torturato il ricorrente, colpendolo, tra l’altro, con una mazza di legno e con un manganello di gomma e sottoponendolo a scosse elettriche affinché confessasse il reato di furto con scasso.

72  C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. n. 26 luglio 2005, Siliadin c. Francia. In tale occasione, la Corte EDU ha condannato la Francia per la mancata previsione di una norma che incriminasse espressamente le condotte vietate dall’art. 4 CEDU (schiavitù, servitù, lavoro forzato), rilevando come il quadro normativo esistente presentasse parametri di incertezza tali da consentire interpretazioni ondivaghe e, soprattutto, non fosse corredato da sanzioni proporzionate alla gravità di tali fatti.

73 A. COLELLA, La risposta dell’ordinamento interno agli obblighi sovranazionali di criminalizzazione e persecuzione penale della tortura, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 2/2019, 811 e ss.

74 A. COLELLA, Il nuovo delitto di tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 aprile 2018.

75 A. BONOMI, Qualche osservazione sul nuovo reato di tortura introdotto nell'ordinamento italiano dalla L. n.110/2017 alla luce della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984: aspetti di diritto costituzionale, in Osservatorio Costituzionale AIC, fasc.1/2018, 527.

76 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

77  E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

78 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, Bologna, 2013, 203 ss.

79  E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

80 S. TUNESI, Il delitto di tortura. Un'analisi critica, in Giurisprudenza Penale, 2017.

81  I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

82 Art. 1 L. 110/2017: Introduzione degli articoli 613 -bis e 613 -ter del codice penale, concernenti i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura 1. Nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione III, del codice penale, dopo l’articolo 613 sono aggiunti i seguenti: «Art. 613 -bis (Tortura). — Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo. Art. 613- ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura) . — Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».  

83 Art. 2. L.110/2017: Modifica all’articolo 191 del codice di procedura penale 1. All’articolo 191 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2 -bis . Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale». 

84  A. COLELLA, Il nuovo delitto di tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 aprile 2018.

85  A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

85 F. VIGANO', Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la Camera dei deputati. Parere reso nel corso dell'audizione svoltasi presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 2 settembre 2014, in Dir. pen. Cont., 25 settembre 2014.

86 D. PULITANO', Diritto penale. Parte speciale. Vol. 1: Tutela penale della persona, Torino, 2019, 258 e ss.

87 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

88 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

89  G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

90 A. COLELLA, Il nuovo delitto di tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 aprile 2018.

91 Sebbene alcuni disegni di legge prevedessero l’inserimento della fattispecie di tortura tra i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, si trattava, come nel caso della proposta di legge n. 979 presentata il 17 maggio 2013 dall’On. Gozi ed al., di una norma – l’art. 593-bis c.p. – destinata ad essere inserita a chiusura della sezione relativa ai delitti contro la vita e l’incolumità individuale, ovvero subito dopo l’omissione di soccorso. Tale collocazione non era condivisibile, in quanto l’atto di torturare appare più strettamente connesso alle lesioni dolose: ragion per cui la numerazione più consona da attribuire alla norma sembrerebbe essere l’art. 583-quinquies.

92 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

93 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

94 D. FALCINELLI, Il delitto di tortura, in Archivio Penale, 2014.

95 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

96 C. PEZZIMENTI Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, in Diritto penale e processo, fasc. 2/2018, 153.

97 In questo senso, tra gli altri, E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

98 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

99 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 ss.

100 R. DE VITO e SS., Studi sulla questione criminale, in fasc. 2, maggio-agosto, 2018, 11 – 108.

101 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

102 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e  diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont., 26 ottobre 2017.

103 A. COLELLA, La repressione penale della tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 maggio 2014.

104 G. SERRANO, L'introduzione del reato di tortura in Italia: alcune riflessioni, in Rivista  di diritto internazionale privato e processuale, 2/2018, 332 e ss.

105 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

106 S. PREZIOSI, Il delitto di trortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 ss.

107 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

108 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

109 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e  diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont., 26 ottobre 2017.

110 S. PREZIOSI, Il delitto di trortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, 1766 ss.

111 Per un esempio di repressione di episodi di tortura inter privatos attraverso il ricorso a norme incriminatrici comuni già presenti nel nostro ordinamento, Trib. Monza, sent. 10 giugno 2016, in Dir. pen. Cont., 3 novembre 2016. La vicenda riguardava un (sedicente) manager nel campo della moda, il quale, dopo aver indotto una modella svedese contatta su Internet a venire in Italia, allettandola con una falsa offerta di lavoro, instaura con la stessa una relazione sentimentale, che tuttavia degenera nel giro di pochi giorni: la giovane viene costretta a subire atti di violenza di ogni tipo, anche a connotazione sessuale, e progressivamente introdotta in un clima di sopraffazione e abuso del quale resta letteralmente prigioniera per sei mesi, senza poter avere contatti liberi con il mondo esterno. In assenza di una fattispecie incriminatrice ad hoc, l’imputato è stato condannato per i reati di Sequestro di persona, Violenza sessuale e Maltrattamenti. La circostanza che il tribunale abbia condannato l’imputato a una pena di venti anni di reclusione conferma l’assunto secondo cui non sussiste un vuoto di tutela tale da giustificare l’estensione dell’introducendo delitto di Tortura a fatti commessi da soggetti non investiti di una qualifica pubblicistica.

112  F. VIGANÒ, Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione alla Camera dei deputati, in Dir. pen. cont., 25 settembre 2014.

113 I. MARCHI, Luci ed ombre del nuovo disegno di legge per l’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano: un’altra occasione persa?, in Dir. pen. cont., 26 maggio 2014.

114 E. LA ROSA, È giunto finalmente il momento dell’introduzione del reato di tortura? Luci e ombre di un provvedimento da troppo tempo atteso (col rischio di un’ennesima occasione mancata), in Ordine internazionale e diritti umani, 2017, 360 ss.

115 G. DE SALVATORE, L'incidenza degli 'atti tipici di tortura' sul ragionamento del giudice penale: riflessioni a margine di una pronuncia della Corte d'Assise di Lecce. L'elaborazione del concetto di tortura nell'ordinamento internazionale e nella prassi giurisprudenziale, in Cassazione Penale, fasc.12/2017, 4526 – 4553.

116 In questo senso, A. COLELLA, Il nuovo delitto di tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 aprile 2018.

117 A. COLELLA, Il nuovo delitto di tortura, in Dir. Pen. Cont., 26 aprile 2018.

118 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 ss.

119 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

120 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

121 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

122  R. DE VITO e SS.,  Studi sulla questione criminale, in fasc. 2, maggio-agosto, 2018.

123 F. VIGANO', Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la Camera dei deputati. Parere reso nel corso dell'audizione svoltasi presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 2 settembre 2014, in Dir. Pen. Cont., 25 settembre 2014.

124 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

125 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

126 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e  diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont., 26 ottobre 2017.

127 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

128 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

129 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

130 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

131 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

132 G.P. DEMURO, Il dolo: l'accertamento, Milano, Giuffrè, 2010.

133 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

134 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

135 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

136 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

137 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

138  A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

139 Così, L. PICOTTI, Il dolo specifico: un'indagine sugli "elementi finalistici" delle fattispecie penali, Milano, 1993.

140 P. LOBBA, Obblighi internazionali e nuovi confini della nozione di tortura, in Dir. Pen. Cont., 16 aprile 2019.

141 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

142 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

143 R. DE VITO e SS., Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

144 S. AMATO e  M. PASSIONE, Il reato di tortura, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2019.

145 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 – 1791.

146 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 – 1791.

147 In questo senso, S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 – 1791.

148 Per completezza va rilevato come sul concetto di agire con crudeltà, seppure analizzato nel diverso ambito dell’applicabilità dell’aggravante ex art. 61, comma 1, n. 4, c.p., si è espressa con una recente pronuncia la Corte di cassazione a Sezioni unite (sent. 23.06.2016 n. 40516, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2016, 4,1965, con nota di DEMURO) definendo la crudeltà sussistente «quando l’inflizione di un male aggiuntivo, che denota la spietatezza della volontà illecita manifestata dall’agente, non è frutto di una sua scelta operativa preordinata» arrivando quindi a ritenere tale aggravante «di natura soggettiva caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, che deve essere oggetto di accertamento alla stregua della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo» la perversità dell’intento e l’eccesso nell’azione sono quindi ritenute intrinsecamente volontarie e pertanto l’aggravante de qua è compatibile anche con il dolo eventuale poiché si tiene una condotta efferata accettando la possibilità che dalla stessa discenda un evento lesivo: "l’accanimento violento può costituire crudeltà quando gli atti non sono funzionali al delitto ma costituiscono espressione autonoma di ferocia belluina che trascende la mera volontà di arrecare la morte" (cfr. anche Sez. I, 28 maggio 2013, n. 27163, in C.E.D. Cass., n. 256476)».

149 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4, p.1766 – 1791.

150 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 – 1791.

151 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

152 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

153 R. DE VITO e SS., Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

154 D. FALCINELLI, Il delitto di tortura, prove di oggettivismo penale, in Archivio penale, 2017.

155 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e  diritto penale internazionale, in Dir. Pen. Cont. 2017.

156 R. DE VITO e SS., Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

157 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

158 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

159 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

160 I. MARCHI, Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art.613-bis C.P., in Dir. Pen. Cont., 23 giugno 2017.

161  A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

162 S. PREZIOSI, Il delitto di tortura fra Codice e diritto sovranazionale, in Cassazione Penale 2019, fasc. 4,1766 – 1791.

163 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

164 G. LANZA, Verso l'introduzione del delitto di tortura nel codice penale italiano: una fatica di Sisifo, in Dir. Pen. Cont., 28 febbraio 2016.

165 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

166 A. COSTANTINI, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris 1/2018.

167 D. PULITANO', Diritto penale. Parte speciale. Vol. 1: Tutela penale della persona, Torino, 2019, 258 e ss.

168 Sul punto, R. DE VITO e altri, Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

169 R. DE VITO e altri, Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

170 R. DE VITO e altri, Studi sulla questione criminale, fasc. 2, maggio-agosto 2018.

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