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Pubbl. Ven, 13 Nov 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Il sindacato di legittimità costituzionale in Italia: una prospettiva critica

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Luigi Moschiera



Il presente contributo si propone di offrire un quadro dettagliato delle diverse modalità di esercizio del sindacato di costituzionalità in Italia, nonché di metterne in evidenza i profili critici e di verificarne l´interferenza con l´attività del Legislatore.


ENG This contribution aims to offer a detailed picture of the various ways of exercising constitutionality control in Italy, as well as highlighting their critical profiles and verifying their interference with the activity of the Legislator.

Sommario: 1. Le funzioni della Corte costituzionale; 2. Atti sindacabili e parametro di costituzionalità; 3. Il giudizio in via incidentale; 3.1. L’origine giudiziaria della questione di costituzionalità; 3.2. L’introduzione della questione di legittimità costituzionale; 3.3. Il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato; 3.4. I limiti dell’accesso in via incidentale;  4. Il giudizio in via principale; 5. Residui di sindacato in via preventiva; 5.1. Il controllo di costituzionalità sugli statuti regionali; 5.2. Il sindacato di costituzionalità sulle leggi statutarie delle Regioni speciali; 5.3. Spunti critici sul sindacato preventivo di costituzionalità; 6. Il ruolo del Giudice costituzionale rispetto alle fonti europee e internazionali; 7. Le pronunce della Corte costituzionale e la loro rilevanza nel sistema delle fonti del diritto; 7.1. Presupposti teorici; 7.2. Tipi di pronunce di accoglimento; 7.3. L’impatto normativo delle sentenze costituzionali di accoglimento.

1. Le funzioni della Corte costituzionale

Al fine di esaminare il sistema di giustizia costituzionale italiano un imprescindibile punto di partenza è costituito dall’art. 134 della Costituzione, con cui si apre la Sez. I del Titolo VI intitolato “Garanzie costituzionali”, a mente del quale ‹‹la Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione››. A queste attribuzioni, l’art. 2 della legge cost. 1/1953 ha aggiunto quella relativa al giudizio di ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo[1].

Poiché il nostro campo di indagine è circoscritto, alla luce delle finalità sopra indicate, alle modalità con le quali la Corte costituzionale esercita il suo sindacato sulle leggi e incide sul complessivo sistema delle fonti del diritto, interferendo in particolare con l’attività del Legislatore, l’attenzione sarà rivolta soprattutto sulla prima delle funzioni qui enumerate.

Il nostro ordinamento contempla due procedimenti per l’instaurazione del giudizio di costituzionalità sulle leggi[2]:

-  La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, rilevata d’ufficio o sollevata dalle parti nel corso di un giudizio: tale procedimento è in via incidentale o d’eccezione, in quanto la questione nasce da una controversia pendente innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa; è generale, in quanto può riguardare tutte le leggi nel momento della loro applicazione; è indisponibile, perché il giudice a quo deve promuoverlo quando ne sussistano i presupposti.

- La questione di costituzionalità promossa dal governo su leggi e statuti regionali e, viceversa, promossa dalle Regioni su leggi e atti aventi forza di legge statali: trattasi di procedimento in via principale o d’azione, poiché la questione è posta con una procedura ad hoc e non come incidente processuale; astratto, in quanto l’impugnazione riguarda la legge nelle sue prescrizioni generali e a prescindere dalla sua applicazione in un caso concreto; specifico, in quanto limitato all’impugnazione di atti statali o regionali eccedenti la propria sfera di competenza; è disponibile, poiché l’avvio del giudizio è rimesso alla libera discrezionalità dei soggetti legittimati a proporre ricorso in via principale.

Il giudizio di costituzionalità della leggi è dunque uno strumento attraverso il quale la Corte costituzionale interviene per ovviare ad un abuso della funzione legislativa, che si verifica allorché ‹‹la legge non è capace di dare alla società strutture normative coerenti, pacificatrici, giustificabili››[3]. Quando la Corte ritiene che si sia verificato siffatto abuso, dichiara a posteriori la legge costituzionalmente illegittima.

L’invalidità di una legge può derivare dalla sussistenza alternativa di tre macro-categorie di vizi di legittimità[4]:

A) Vizi formali o procedimentali: attengono al procedimento di formazione della legge e si configurano allorché non vengano osservate le norme costituzionali che disciplinano tale procedimento. Sono tali i vizi compresi fra il momento dell’iniziativa legislativa e quello della deliberazione da parte della Camera che, senza ulteriori emendamenti, approva la legge per ultima, nonché quelli riguardanti la formazione del progetto di legge, nonostante un’antica dottrina tendesse a ritenerli sanati dalla successiva approvazione della proposta di legge ad opera delle Camere.

B) Vizi materiali o sostanziali[5]: attengono alla violazione del contenuto normativo delle norme costituzionali e sono circoscrivibili alle seguenti ipotesi: 1) la violazione diretta, testuale o stricto sensu della Costituzione; 2) la violazione di una norma costituzionale implicita, eventualmente risultante dal combinato disposto di norme costituzionali; 3) la violazione di una norma riconducibile, almeno in base all’art. 3, alla Costituzione, lesa nel suo spirito complessivo per il vizio di irragionevolezza.

La prima ipotesi si realizza nel caso in cui le norme confrontate abbiano significati normativi opposti, il che ha indotto parte della dottrina a parlare di casi di mera nullità-inesistenza, ad esempio per diretto contrasto con la Costituzione di una legge che sopprima la Corte costituzionale[6]. Qui si avrebbe, in particolare, una violazione della garanzia di effettività del principio di supremazia costituzionale, che presuppone non l’indefettibilità della Corte già esistente, ma la necessarietà di una qualche forma di sindacato di costituzionalità. Altra dottrina, peraltro, non accoglie la tesi della nullità-inesistenza, considerando giustamente che la Corte, a difesa della garanzia sopra menzionata e prima dell’entrata in vigore di una legge che la estingua, possa sollevare dinanzi a sé contro il Parlamento un conflitto di attribuzione in via preventiva, nell’imminenza della produzione degli effetti dell’atto lesivo.

La seconda ipotesi è più frequente e si verifica, ad esempio, nel caso di una legge che violi il diritto di abitazione, desumibile dagli artt. 2,14 e 47 Cost. o quello all’obiezione di coscienza, fondato negli artt. 2,13, 19 e 21 Cost. Quanto alla terza ipotesi, osteggiata da quegli studiosi che si affidano incondizionatamente al tenore letterale dell’art. 28 della l. n 87/1953 e non ammettono alcuna interferenza della Corte con la politica[7], può dirsi originata dalla stessa giurisprudenza costituzionale.

La Corte, pur avendo mantenuto fermo il principio secondo cui il sindacato di costituzionalità esclude ogni possibilità di valutazione delle scelte politiche compiute dal legislatore, ha al contempo affermato[8]: a) la sua competenza a verificare se il provvedimento legislativo sia inficiato da carenza assoluta di motivi logici e coerenti o da contraddizioni palesi sui presupposti, in modo da incidere negativamente nel campo di altri diritti costituzionalmente garantiti (sent. 37/1969); b) che, con particolare riferimento al principio di eguaglianza formale, la discrezionalità del legislatore incontra un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento fra cittadini (sent. n. 104/1968, sent. n. 144/1970; sent. n. 200/1972), anche avuto riguardo ad un’altra o ad altre normative costituenti il cd. tertium comparationis  (sent. n. 10/1980, sentt. n. 15 e 277 del 1983), cosicché la comparazione delle posizioni raffrontate deve avvenire ‹‹in vista del loro riequilibrio mediante parificazione della posizione assunta come discriminatoria a quella di cui si richiede l’applicazione›› (sent. n. 220/1982); c) che la Corte può verificare lo scopo di una legge quando si contesta la legittimità di quest’ultima verso una norma costituzionale che vincola ad un fine la discrezionalità legislativa e di vagliare il rapporto di congruità fra mezzi e fini (sent. n. 78/1970).

La giurisprudenza costituzionale ha così individuato alcuni criteri che sono indice dell’eccesso di potere legislativo, cioè l’assoluta illogicità, incoerenza o arbitrarietà della motivazione della legge o della palese contraddittorietà rispetto ai presupposti; l’irragionevolezza delle disposizioni legislative rispetto alla realizzazione concreta del fine; l’incongruità fra mezzi e fini che la legge intende conseguire[9].

Nel caso in cui la Corte riscontri un eccesso di potere legislativo, appare evidente la labilità del confine fra il suo giudizio sulla legittimità e quello sul merito delle leggi, pure in linea di principio escluso dall’art. 28 L. 87/1953. I mezzi di cui può avvalersi la Corte per evitare uno sconfinamento politico del suo sindacato devono essere allora rappresentati da un rigoroso self-restraint dei suoi poteri, nel senso che essa dovrà porre a fondamento delle sue valutazioni criteri e canoni – sebbene metagiuridici - obiettivamente ricavabili dalle norme costituzionali e altresì motivare le proprie scelte non dal punto di vista dell’interesse politico ma da quello del diritto in modo da evitare un’indebita interferenza nella sfera di discrezionalità del legislatore[10]

Più banalmente, però, è alla stregua del principio di separazione dei poteri che lo stesso controllo di costituzionalità delle leggi potrebbe costituire un grave vulnus per le prerogative del Parlamento[11].

C) Vizio di incompetenza[12]: è il vizio determinato dall’inosservanza di norme costituzionali che stabiliscono l’ordine delle competenze nell’organizzazione dei pubblici poteri e che si articola in incompetenza relativa e assoluta. Mentre l’incompetenza relativa deriva dalla violazione delle regole di distribuzione interne alla potestà legislativa intesa in senso ampio (si pensi alla legge regionale emanata in ambito sottratto alle attribuzioni della Regione[13]), l’incompetenza assoluta si configura nel caso in cui non esista alcuna autorità legislativa competente in alternativa a quella chiamata(ad esempio laddove il legislatore violi il limite del giudicato non per preminenti ragioni di interesse pubblico, ma per condizionare, modificare, rimuovere decisioni del giudice, senza la modifica stabile della legislazione sostanziale o processuale che regola i rapporti controversi). Ciò non compete senz’altro al Parlamento, ma agli strumenti previsti, anche costituzionalmente, all’interno dell’organizzazione della funzione giudiziaria.

2. Atti sindacabili e parametro di costituzionalità

La Corte costituzionale esercita il proprio sindacato su ‹‹leggi e atti con forza di legge dello Stato e delle Regioni››, in particolare[14]:

a) Leggi ordinarie: per tali s’intendono tutte le leggi approvate dal Parlamento, sindacabili senza alcuna limitazione, a prescindere dal momento della loro emanazione e dal contenuto, nonché anche quando siano state abrogate, laddove se ne richieda l’applicazione in giudizio al tempo in cui le stesse erano operanti[15].

b) Atti aventi forza di legge: trattasi dei decreti legge e dei decreti legislativi emanati dal Governo, oggetto di controllo in virtù della loro parificazione alle leggi formali ordinarie.

Non agevole è il controllo della Corte sui decreti legge, in quanto questi, al decorso di 60 giorni dalla loro pubblicazione senza che siano stati convertiti, decadono con efficacia ex tunc sicché la Corte, se al momento del giudizio il d.l. è decaduto, si troverebbe costretta a dichiarare la questione di legittimità costituzionale “inammissibile” per il venir meno dell’oggetto dell’impugnazione. L’area della sindacabilità dei decreti legge va circoscritta a due soli casi:

1) Il decreto dev’essere stato impugnato e giudicato dalla Corte nei sessanta giorni di vigenza “provvisoria”: ipotesi rara per la ristrettezza dei tempi processuali e plausibile solo in caso di impugnazione diretta delle Regioni o in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;

2) Il decreto legge è stato illegittimamente reiterato: peraltro, nella sent. 360/1996, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale della pratica della reiterazione del d.l. [16], laddove il nuovo d.l. non risultasse fondato su ‹‹autonomi e pur sempre straordinari motivi di necessità e urgenza, in ogni caso non riconducibili al solo fatto del ritardo conseguente alla mancata conversione del precedente decreto››[17].

c) Leggi regionali: laddove ex art. 127 Cost. ‹‹eccedano la competenza della regione››; oggetto del controllo sono altresì le leggi delle Province autonome di Trento e Bolzano, per violazione della Costituzione, dello Statuto regionale o del principio di parità fra i gruppi linguistici (art. 97 Statuto Trentino Alto Adige).

d) Statuti regionali: pur non essendo più approvati con legge del Parlamento, ma dallo stesso Consiglio regionale, sono soggetti al controllo di costituzionalità ai sensi dell’art. 123 Cost, per come modificato dalla L. cost. 1/1999;

e) Decreti legislativi di attuazione degli Statuti delle Regioni ad autonomia differenziata: in quanto trattasi di atti con forza di legge, emanati dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta di una Commissione paritetica Stato-Regione.

f) Leggi costituzionali e di revisione costituzionale: la loro sindacabilità è circoscritta ai vizi formali relativi alla regolarità del procedimento di formazione, di cui all’art. 138 Cost., con esclusione dei vizi sostanziali, in quanto non esistono norme sostanziali che vincolino l’esercizio del potere di revisione costituzionale, fatto salvo l’art. 139 Cost. da cui in via di interpretazione si è ricavato, come limite ulteriore alla revisione della Costituzione, quello dei principi supremi dell’ordinamento, come il principio di eguaglianza, di democraticità della Repubblica, di sovranità popolare, di rigidità della Costituzione.

g) Referendum abrogativo: laddove producesse effetti difformi rispetto al testo costituzionale, potrebbe essere sindacata la relativa normativa di risulta.

Sono, invece, esclusi dal controllo di costituzionalità:

1) Gli atti normativi di rango secondario: il riferimento è ai regolamenti dell’esecutivo e agli altri regolamenti amministrativi, che invece potranno essere annullati sia per contrasto con le leggi ordinarie sia per contrasto “diretto” con la Costituzione da parte del giudice amministrativo[18].

2) Le fonti-fatto: includono consuetudini, norme di diritto comunitario, trattati internazionali, fatta salva tuttavia l’impugnabilità delle leggi interne che vi danno applicazione[19].

3)I regolamenti interni dei Consigli regionali: sono stati ritenuti, infatti, dalla Corte estranei alle fonti dell’ordinamento generale (sent. 288/1987)[20].

4) I regolamenti parlamentari: poiché non hanno forza di legge, la Corte costituzionale con la sent. 154/1985 ha negato di poter vagliare la loro legittimità, fermo restando che essi potranno essere oggetto di confitto di attribuzioni dinanzi alla Corte.[21]

Dopo aver delineato l’oggetto del sindacato della Corte, merita di essere indagato il termine di paragone adoperato per il suo esercizio, chiamato parametro di giudizio o parametro di costituzionalità.

La Corte non ha subito sposato siffatta nozione, avendo fatto a lungo riferimento nelle sue pronunce, salve poche eccezioni, a principi o norme costituzionali assunte a parametro[22]. Peraltro, già prima che la Corte entrasse in funzione, Carlo Esposito affermò che il suo sindacato fosse “strettamente delimitato dal testo costituzionale”, con la conseguenza che “ogni volta che la Costituzione non disciplini direttamente il contenuto della legge, ma rinvii per la disciplina a norme non costituzionali e non costituzionalizzate, la divergenza della legge da queste regole giuridiche o non giuridiche non dovrebbe essere rilevata dalla Corte”[23]. Secondo l’insigne giurista, il giudice costituzionale nell’esercizio delle sue funzioni si sarebbe potuto avvalere, cioè, del solo parametro diretto di valutazione della legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, costituito dalle sole disposizioni costituzionali e leggi costituzionali. Ciò sembrava confermato sul piano del diritto positivo dall’art. 23 della l. n 87/1953 che pone l’obbligo in capo all’autorità giurisdizionale remittente di indicare ‹‹le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate››. Da ciò discendeva da un lato l’impossibilità di pronunciare l’incostituzionalità delle norme dei decreti legislativi contrastanti con i criteri direttivi della legge di delegazione o delle leggi regionali difformi rispetto ai principi fondamentali posti con legge dello Stato, dall’altro una distribuzione anomala fra Corte e giudici ordinari del controllo giurisdizionale di costituzionalità che avrebbe voluto questi ultimi competenti nel conoscere delle eventuali esorbitanze delle norme delegate rispetto alle norme deleganti, al pari degli eccessi dei regolamenti esecutivi[24].

Già nella sentenza n.3 del 1957, al fine di ampliare il proprio spettro di cognizione in danno dei giudici comuni anche alle violazioni indirette o mediate della Costituzione[25], la Corte ha accolto, accanto alla nozione di parametro tradizionale, quella di parametro interposto, che include anche fonti sub-costituzionali, purché dotate di copertura costituzionale[26]. Trattasi, cioè, di fonti che si interpongono tra il piano costituzionale e il piano ordinario, in virtù per l’appunto del riferimento ad esse fatto nella Carta costituzionale, che tuttavia non li “costituzionalizza” sicché la norma interposta è a sua volta soggetta a una verifica di conformità con l’intero testo costituzionale, fatta salva l’eccezione relativa alle norme comunitarie[27], che sono invece tenute al solo rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico[28].

E’ soprattutto il processo di integrazione europea, unitamente a quello di internazionalizzazione dei diritti, che ha determinato una dilatazione del parametro interposto, comprendente non più solo fonti interne, ma anche sovranazionali[29].

Sono perciò atti tenuti all’osservanza delle fonti interposte, oltre ai menzionati decreti legislativi rispetto alla legge di delega ex art. 76 Cost. e alle leggi regionali in rapporto alle leggi quadro dello Stato ex art. 117 c.3 Cost., anche le leggi interne rispetto alle norme internazionali consuetudinarie ex art. 10 c.1 Cost., alle norme concordatarie ex art. 7 c.2 Cost., alle norme europee e alle norme di diritto internazionale pattizio ex art 117 c.1 Cost[30].

Da ultimo, si può notare che, ogniqualvolta sussista un collegamento funzionale tra fonti costituzionalmente richiamate, potrà applicarsi la “logica” della fonte interposta, da cui deriva sine dubio un allungamento del parametro di costituzionalità[31], a cui corrisponde un allargamento delle maglie del controllo di costituzionalità della Corte e, di conseguenza, del suo potere di interferenza con il legislatore.

3. Il giudizio in via incidentale

3.1. L’origine giudiziaria della questione di costituzionalità

Il giudizio in via incidentale o in via d’eccezione si configura allorché la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto con forza di legge sorga ‹‹nel corso di un giudizio›› (art. 1 L. cost. 1/1948). Il procedimento incidentale, dunque, esclude la proponibilità di un ricorso individuale davanti alla Corte per violazione di un proprio diritto costituzionale ad opera di una legge, a differenza di quanto accade, ad esempio, in Germania[32]. Al contrario, esso presuppone la pendenza di un giudizio innanzi ad un’autorità giurisdizionale, detto giudizio principale o giudizio a quo, nel corso del quale potrà essere sollevata una questione di costituzionalità come “incidente processuale”, che determina la sospensione del giudizio e il deferimento della questione al giudice costituzionale, dinanzi al quale si svolgerà il giudizio incidentale[33].

Prima di esaminare il procedimento di introduzione della questione, vanno preliminarmente enunciati i requisiti ritenuti necessari dalla giurisprudenza costituzionale per riconoscere a un organo la legittimazione a sollevare l’eccezione di incostituzionalità[34]:

a) Requisito oggettivo: per tale s’intende l’esistenza di un giudizio in senso tecnico, cioè di un’attività che può essere qualificata come propriamente giurisdizionale e finalizzata all’applicazione obiettiva della legge. In base a tale criterio, l’idoneità a sollevare l’eccezione di incostituzionalità è stata riconosciuta: alla Sezione disciplinare del C.S.M.; ai Commissari agli usi civili (sent. nn. 78/1971, 46/1995 e 345/1997 e ord. n. 17/1999); al Consiglio Nazionale Forense in sede disciplinare e – parrebbe – per ogni questione concernente l’Avvocatura (sentt.nn.114/1970 e 189/2001); al Consiglio Nazionale dei ragionieri e periti commerciali (ord. n. 103/2000); a taluni organi la cui composizione e/o attività è stata giudicata come incostituzionale, ma ugualmente “giurisdizionale” e tali sollecitare un intervento della Corte, quali Consigli di prefettura in sede di giurisdizione contabile e le Giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale (sent. n. 30/1967), gli intendenti di finanza (sent. n. 60/1969); ed ancora: alle Commissioni tributarie (sentt. nn. 287/1974, 215/1976, 322/2002); alla Commissione sui ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio brevetti e marchi (sentt. nn. 37/1957, 158/1995 e 236/1996); alla Corte dei Conti, oltre che nei giudizi in materia pensionistica, nel giudizio di parificazione (sentt. nn. 165/1963 e 244/1995) e di controllo preventivo sugli atti del Governo (decc. nn. 226/1976, 384/1991, 295-310/1998), non pure invece in sede di controllo successivo di gestione ai sensi dell’art. 3, IV c., l. n. 20/1994 (sent. n. 335/1995); agli arbitri in sede di arbitrato rituale (sent. n. 376/2001). E’ esclusa la legittimazione del notaio rogante (ord. n. 52/2003) e dei Consigli comunali, nel corso del procedimento di contestazione della elezione di un loro componente (ord. n. 78/2003). La Corte ha del pari riconosciuto in capo a se stessa la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità in via d’eccezione (ord. n. 22/1960 e successive: tra le altre, ordd. nn. 225-297/1995, 197/1996, 42-156-288/2001), sia nei giudizi ordinari di legittimità costituzionale e, in particolare, in sede di conflitto di attribuzioni, quanto nei giudizi sulle accuse (ord. n. 2/1977 della Corte integrata, quindi decisa con sent. n. 125/1977), sebbene la Corte abbia perentoriamente affermato di non appartenere agli organi giudiziari, pur se speciali (sentt. nn. 13/1960 e spec. 536/1995).

b) Requisito soggettivo: fa riferimento all’esistenza di un giudice, facente parte dell’organizzazione della magistratura ordinaria o amministrativa, che sia terzo, indipendente e imparziale. In base a questo criterio, a prescindere da casi peculiari, come quello dell’Ufficio centrale per il referendum (che si è dichiarato incompetente – ord. 29 Marzo 1994 – in quanto pur agendo con forme giurisdizionali, non esercita un’attività materialmente giurisdizionale), la giurisprudenza, esclusa sistematicamente l’idoneità del Pubblico Ministero (decc.nn. 40-41-42/1963, 52/1976, 415/1995, 86/2002), per il resto sembra oggi orientata a negare la legittimazione al giudice che svolga attività meramente preparatorie o istruttorie in procedimenti aventi natura amministrativa e non decisoria[35]. Non è però sempre facile appurare nella prassi giurisprudenziale l’osservanza di siffatto requisito. Infatti, la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimazione in sede di attività di volontaria giurisdizione (sentt. nn. 5-129/1957), che, per una tesi risalente, non costituirebbe attività materialmente giurisdizionale come pure l’ha riconosciuta al giudice di sorveglianza sull’esecuzione delle pene(decc. nn. 53/1968; 206-237/1996; 212/1997, 26-410-422/1999, 249/2000) e, ancora, al giudice tutelare chiamato ad autorizzare l’interruzione della gravidanza della minore (decc. nn. 194-435/1987), nonché sia pur implicitamente al giudice di pace (decc.nn.185-199-218/1996; 44/1998, 447/2002); ha invece negato la sussistenza del requisito oggettivo del Presidente del Tribunale in sede di registrazione dei quotidiani (dec. n. 96/1976), al Presidente del Tribunale chiamato a provvedere sulla richiesta di astensione di un giudice (ord. n. 216/2001), al giudice conciliatore nel procedimento di separazione tra coniugi (dec. n. 216/1983), al Collegio centrale di garanzia elettorale, costituito presso la Corte di Cassazione, a motivo della natura amministrativa dell’attività svolta (sent. n. 387/1996), al GUP, relativamente alla propria ricusazione (ord. n. 147/2003). Infatti, la più recente giurisprudenza costituzionale è pacifica nel ritenere che il deficit di definitività dei provvedimenti adottati dagli organi giudiziari ordinari, id est la loro impossibilità di produrre l’effetto di giudicato, esclude il carattere giurisdizionale dell’attività dagli stessi svolta.

3.2. L’introduzione della questione di legittimità costituzionale

L’art. 1 della l.cost. n.1 del 1948 e 23 della l. n. 87 del 1953 attribuisce l’iniziativa nel giudizio incidentale alle parti e allo stesso giudice a quo ex officio.  Il riconoscimento della doppia iniziativa risponde a una duplicità di ‹‹ratio››[36]:

a) Il potere di iniziativa delle parti è solo indiretto, per cui, solo se il giudice ritenga sussistenti i presupposti per il deferimento della questione da loro sollevata, la trasmetterà al giudice costituzionale; la presentazione dell’istanza di incostituzionalità ad opera delle parti rappresenta uno strumento di difesa di diritti e interessi costituzionalmente garantiti, in conformità all’art. 24 c.1 della Costituzione che contempla il diritto di agire in giudizio, declinato qui nella accezione di ‹‹diritto di azione presso la Corte costituzionale mediato dal filtro del giudice a quo››;

b) Il potere di iniziativa dell’autorità giurisdizionale è diretto, in quanto, in presenza delle condizioni prescritte dalla legge, può promuovere direttamente la questione di fronte alla Corte; qui l’attività del giudice assume una connotazione intrinsecamente istituzionale, in quanto egli, sollevando l’eccezione di illegittimità costituzionale, non solo mira a garantire l’astratta coerenza dell’ordinamento giuridico, ma aspira altresì a conservare la sua posizione di ‹‹intermediarietà tra legge e Costituzione››, di ‹‹interprete e garante di un più profondo significato del diritto››, in uno Stato che si regge su una Costituzione rigida.

A prescindere dal soggetto che assume l’iniziativa, il sopra menzionato art. 23 statuisce che sempre al giudice a quo compete la verifica della sussistenza delle due condizioni di proponibilità delle questioni incidentali:

1) La rilevanza della questione[37]: esprime un legame di strumentalità o pregiudizialità tra la questione di costituzionalità e il giudizio a quo nelle sue caratteristiche particolari e concrete tale che il giudizio principale non può essere definito ‹‹indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale››. Siffatta formula contemplata dall’art. 23 della l. n. 87 del 1953 sottolinea che l’iniziativa incidentale può avere ad oggetto solo quelle norme di legge che condizionano il giudizio e che sono in qualche modo applicabili in sede decisoria. Per evitare che alcune discipline normative siano sottratte al sindacato di costituzionalità in considerazione della loro difficoltà ad essere applicate in giudizio, sono state avanzate proposte interpretative volte a limitare la portata del suddetto disposto[38], tutte sistematicamente sconfessate dalla Corte costituzionale[39]. Infatti, l’orientamento della giurisprudenza costituzionale è rimasto granitico nel sottolineare l’opportunità dell’esistenza di tale filtro di costituzionalità, finalizzato ad evitare che la Corte esamini questioni non aventi influenza sul procedimento principale e con chiaro intento dilatorio e, quindi, a impedire che venga politicizzato il sindacato di legittimità costituzionale, con conseguente alterazione dell’ordine di competenze costituzionalmente garantito[40].

 Il rapporto di pregiudizialità costituzionale insito nel concetto di rilevanza, dunque, esclude le suggestioni di quella dottrina che lo concepiva come mera ‹‹occasione›› del giudizio di costituzionalità[41] o come strumento finalizzato ad offrire alla Corte un esempio dell’influenza esercitata in concreto dalla legge sui casi della vita e che le permettesse di operare una valutazione in concreto della quaestio legitimitatis[42].

Il predetto nesso, tuttavia, non implica che giudizio principale e giudizio incidentale siano dipendenti l’uno dall’altro: trattasi, infatti, di due giudizi necessariamente diversi, in quanto diverso è il loro oggetto, come si evince dallo stesso requisito della rilevanza (sent. nn. 65 del 1964 e 256 del 1982; ord. n. 175 del 2003)[43]. Il giudizio a quo ha infatti ad oggetto la tutela di una posizione giuridica subiettiva, mentre quello ad quem riguarda l’accertamento della conformità di una legge alla Carta costituzionale; in altri termini, sotto un profilo eminentemente processuale, non è ammissibile un’azione davanti a un giudice comune riguardante la sola declaratoria di illegittimità costituzionale della legge, attraverso la sollevazione dell’eccezione di incostituzionalità[44]. Ne deriva che le questioni puramente astratte o promosse per ‹‹interesse scientifico›› o per una ragione politica generale, al solo fine di rimuovere dall’ordinamento una legge incostituzionale e a prescindere da ogni necessità applicativa, per cui coincidenti spesso con una fictio litis, devono essere dichiarate inammissibili dal giudice a quo ovvero, in mancanza, da parte del giudice costituzionale, non per motivazioni riguardanti l’azione nel processo a quo, ma per un difetto di rilevanza, giacché la questione di legittimità costituzionale assorbirebbe in sé interamente l’oggetto della causa principale[45].

Tuttavia, non può essere dichiarata inammissibile una questione per la sopravvenienza, rispetto all’ordinanza di rinvio, di atti o fatti che potrebbero influire sull’instaurazione del giudizio costituzionale, in quanto il requisito della rilevanza riguarda il solo momento in cui è stata sollevata l’eccezione di incostituzionalità (in altre parole, la rilevanza deve essere ‹‹attuale›› e non meramente ‹‹eventuale››), risultando eventi successivi non influenti sulla sua valutazione (sent. n. 69 del 2010; ord. n. 110 del 2000)[46].

Delineate le modalità di svolgimento del controllo interno sulla rilevanza, non resta che chiedersi se sia ipotizzabile una qualche forma di controllo esterno su di essa, cioè dal punto di vista del giudice ad quem.  La Corte costituzionale, pur avendo sempre ribadito nelle sue pronunce l’estraneità a tale tipo di valutazioni, ha tuttavia affermato la necessità che il giudice a quo fornisca una motivazione congrua (sent. n. 14 del 1964) ed esauriente (sent. n. 50 del 2004) della rilevanza. Dunque, essa, per evitare un indebito snaturamento della questione incidentale, che non può trasformarsi in una denuncia astratta di incostituzionalità da parte del giudice della causa principale, ma che è funzionale all’applicazione della norma oggetto dell’eccezione nella sua attività giurisdizionale, non potrà che limitarsi a esercitare un controllo relativamente alla plausibilità della valutazione già operata dal giudice a quo[47].

2) La non manifesta infondatezza della questione[48]: la formula della doppia negazione indica la sussistenza in capo al giudice di uno “stato dubitativo”, che lo porta a ritenere che la questione di legittimità costituzionale abbia prima facie un minimo di fondamento giuridico. Circa la portata del controllo rispetto a tale requisito, non si è registrata uniformità di vedute fra i giuristi. La dottrina maggioritaria ha inizialmente ritenuto che i giudici a quibus dovessero limitarsi a un vaglio “superficiale” della non manifesta infondatezza, nei limiti della ‹‹delibazione››, al fine di evitare un’indebita ingerenza nella giurisdizione della Corte[49], dovendo procedere solo all’‹‹….accertamento della sussistenza del fumus boni iuris della questione›› attraverso una semplice ‹‹cognizione sommaria››, anche se l’esame funditus della questione di legittimità costituzionale non comporta alcuna invasione della giurisdizione costituzionale[50]. Seguendo tale orientamento, si dovrebbe ammettere che l’ordinanza che eventualmente dichiarasse l’inammissibilità dell’eccezione di costituzionalità (perché manifestamente infondata) dovrebbe essere succinta e non estesamente motivata, altrimenti sarebbe legittimo il sospetto che la questione di legittimità non sia ictu oculi inconsistente, presentando dei margini di opinabilità tali da richiedere argomentazioni diffuse[51].

Poiché la menzionata ricostruzione teorica si scontra con la circostanza che, dal punto di vista processuale, il giudice ha il dovere di argomentare non già l’infondatezza ma la manifesta infondatezza per respingere un’eventuale eccezione di costituzionalità(art. 24 legge 87/1953), essa è stata definitivamente abbandonata dalla più avveduta dottrina e dalla giurisprudenza, che invece richiede a tal fine al giudice a quo un’ordinanza con una motivazione ampia e articolata[52]. Il magistrato comune, da tale prospettiva, si spoglia dei panni di eterno “Amleto” ed è legittimato dalla stessa giurisprudenza costituzionale a svolgere un esame approfondito della “non manifesta infondatezza”, come si evince dalle pronunce in cui la Corte esige che il giudice a quo esterni in modo inequivocabile il suo pieno “convincimento” circa l’incostituzionalità della disposizione impugnata, pena l’inammissibilità della q.l.c. (dec. n. 189/2012, n.406/1991, n.425/1992, n. 1/2002)[53].

Ai sensi del menzionato art. 24, laddove non dovessero sussistere le condizioni di proponibilità del giudizio costituzionale, il giudice comune respingerà l’istanza con ordinanza adeguatamente motivata, ferma restando la riproponibilità in ogni ulteriore grado del processo. Qualora, invece, l’autorità giurisdizionale ritenga che la questione sia “rilevante” e “non manifestamente infondata”, ‹‹emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso›› (art. 23 c.2 legge 87/1953).

L’ordinanza di rimessione del giudice a quo produce, dunque, un duplice ordine di effetti: da un lato l’introduzione del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, dall’altro la sospensione del giudizio principale finché non intervenga la sentenza costituzionale.

Tale ordinanza deve, dunque, contenere gli elementi necessari ad individuare la quaestio legitimitatis[54] :

a) L’indicazione dell’oggetto, cioè delle disposizioni di legge sospettate di illegittimità costituzionale e del parametro di giudizio, cioè delle norme costituzionali che si ritengono violate;

b) La motivazione circa i requisiti della rilevanza e della non manifesta infondatezza;

c) I profili della questione di costituzionalità in base ai quali si è verificata la violazione con la descrizione della fattispecie concreta oggetto della controversia, il che rileva quando al giudice costituzionale si richiede una sentenza additiva.

L’art. 23 c.4 della legge 87/1953 dispone che ‹‹l’autorità giurisdizionale ordini che a cura della cancelleria(del giudice a quo) l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non se ne sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri od al Presidente della Giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. L’ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento o al Presidente del Consiglio regionale interessato››.

Non appena l’ordinanza di rimessione è pervenuta al giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 25 della legge 87/1953 ‹‹il Presidente della Corte costituzionale ne dispone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, quando occorra, nel Bollettino Ufficiale delle Regioni interessate. Entro venti giorni dall’avvenuta notificazione della ordinanza, ai sensi dell’art. 23, le parti possono esaminare gli atti depositati nella cancelleria e presentare le loro deduzioni. Entro lo stesso termine, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta regionale possono intervenire in giudizio e presentare le loro deduzioni››.

La partecipazione delle parti al processo costituzionale è facoltativa: in altri termini, anche in mancanza di costituzione delle parti, il giudizio costituzionale proseguirebbe, in quanto tende a realizzare uno scopo obiettivo, quello di accertare la legittimità costituzionale delle leggi e solo indirettamente quello di tutelare le posizioni giuridiche subiettive fatte valere nel giudizio principale[55].

3.3. Il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato

Ai sensi dell’art. 27 della legge 87/1953 ‹‹La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata››.

Dalla prima parte dell’enunciato normativo è stato ricavato dalla dottrina il fondamento positivo dell’applicazione al giudizio costituzionale del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, in base a cui il giudice “non deve andare oltre la richiesta delle parti” (ne eat iudex extra petita partium)[56]. Ciò comporta che la Corte può decidere soltanto nel rispetto del limen rappresentato dal petitum, cioè dalla richiesta e dalla causa petendi, cioè dal motivo della stessa. In verità la prassi smentisce il dato strettamente giuridico, in quanto dimostra che la situazione normativa non è rigidamente fissata dal giudice remittente, ma è il frutto di una co-determinazione di giudice a quo e giudice ad quem, se non, in taluni casi, di una “rifondazione” del giudice costituzionale[57]. Basti pensare alle pronunce costituzionali interpretative, al richiamo ad opera del giudice costituzionale di  disposizioni costituzionali non prese in considerazione dal giudice comune come parametro o alla correzione di errori materiali compiute dal giudice a quo nell’indicazione di norme di rango legislativo o costituzionale[58].

Dalla seconda parte del predetto art. 27 è possibile evincere un’ulteriore eccezione al principio di “corrispondenza fra chiesto e pronunciato”, costituita dal riconoscimento della possibilità in capo al giudice costituzionale di pronunciare una declaratoria di illegittimità costituzionale conseguenziale[59], cioè relativa a quelle norme che diventano illegittime a causa della decisione di incostituzionalità relativa ad altre norme[60]. Per fare un esempio concreto, quando la Corte dichiara illegittima la disposizione che prevede un reato, dichiarerà conseguenzialmente illegittime le disposizioni che prevedono circostanze aggravanti, attenuanti ovvero pene accessorie[61], in tal modo superando eccezionalmente i limiti della questione come formulata dal giudice a quo sotto il vincolo limitativo della rilevanza[62].

3.4. I limiti dell’accesso in via incidentale

Il sistema di instaurazione della questione di costituzionalità per incidens, se da un lato ha avuto il merito di garantire la celerità della giustizia costituzionale e di non appesantire il carico di lavoro della Corte, dall’altro si rivela una “strettoia” difficilmente percorribile quando si dovrebbe vagliare la costituzionalità di leggi a scarsa applicazione giudiziaria, come le leggi elettorali o le leggi organizzative, che disciplinano l’attività dell’amministrazione pubblica senza avere diretta influenza sui rapporti intersoggettivi[63]. E’ lapalissiano che una simile difficoltà nell’operatività del controllo di costituzionalità possa determinare alternativamente le seguenti conseguenze:

1) La sopravvivenza necessaria degli atti legislativi incostituzionali che non ledono direttamente gli interessi soggettivi delle parti del giudizio a quo;

2)La ricerca di una scorciatoia di costituzionalità in via giurisprudenziale per dichiarare illegittimi atti apparentemente incensurabili, come le leggi elettorali;

3) La modifica del sistema di giurisdizione costituzionale vigente al fine di garantire la costituzionalità dell’intero sistema normativo, ad esempio attraverso l’introduzione di un sindacato di costituzionalità preventivo in relazione ad alcune categorie di atti normativi.

E’ la terza di queste situazioni che viene auspicata da alcuni studiosi, nella convinzione che non sia possibile lasciare spazi di incostituzionalità e che non sia nei suddetti casi opportuno colmarli a posteriori per la garanzia del buon funzionamento delle istituzioni. E’ vero, infatti, che l’incidentalità dell’accesso assicura una proficua cooperazione tra giudice costituzionale e giudici comuni e contribuisce alla formazione di una legalità costituzionale in forma meno confittuale e invasiva di quanto non avvenga nei sistemi di giustizia costituzionale ad accesso diretto o preventivo[64], ma è altrettanto vero che – a prescindere dalla via d’accesso prescelta e dal tempus di esercizio del sindacato(preventivo o successivo) – la decisione costituzionale ha sempre una connotazione potenzialmente politica.

Preso atto dell’ineluttabilità dell’interferenza dell’attività giurisdizionale della Corte costituzionale con l’esercizio della funzione legislativa del Parlamento, si può ancora ammettere, in uno Stato a costituzione rigida come il nostro, il sacrificio dell’istanza di costituzionalità dell’ordinamento giuridico nella sua totalità sull’altare di un’incidentalità che solo in apparenza garantisce la separazione fra politica e giurisdizione costituzionale?

4. Il giudizio in via principale

Il procedimento in via d’azione, disciplinato dall’art.127 della Costituzione, consente allo Stato di ricorrere dinanzi al giudice costituzionale avverso le leggi regionali e alle regioni avverso leggi dello Stato o di altre regioni[65]. A differenza del giudizio incidentale, il giudizio in via principale è un giudizio di parti: è, dunque, richiesta a pena di inammissibilità, non solo la notifica del ricorso all’ente di cui si impugna la legge, ma anche una congrua motivazione del ricorso stesso che individui con precisione la questione e l'interesse di cui si invoca la tutela[66].

La riforma costituzionale introdotta dalla l. cost. n. 3/2001 e il successivo raffronto con il modello di giustizia costituzionale francese impongono di dar conto non solo dell’attuale versione dell’art.127 Cost., ma anche di quella antecedente alla revisione.

Secondo il vecchio testo del citato articolo, le leggi approvate dal Consiglio regionale dovevano essere inviate al Commissario del Governo, che era istituito presso ogni Regione, per il visto; nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, il Governo, attraverso il Commissario, poteva rinviare la legge al Consiglio regionale e, nell’ipotesi in cui quest’ultimo l’avesse approvata di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, poteva promuovere questione di costituzionalità dinanzi alla Corte[67].

Era prima previsto, dunque, un controllo preventivo di costituzionalità su impugnazione del Governo avente ad oggetto non la legge, ma la delibera regionale sottoposta al controllo dell’esecutivo prima della sua promulgazione. L’impugnativa regionale, invece, poteva avere luogo solo dopo la promulgazione della legge statale, entro trenta giorni dalla pubblicazione stessa, elevati a sessanta nell’ipotesi in cui il ricorso avesse ad oggetto una legge di un’altra Regione[68].

Il nuovo art. 127 ha operato una parificazione delle Regioni e dello Stato quanto meno sotto il profilo procedurale, prevedendo che: ‹‹Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge››.

Al binomio preventività - successività del sindacato a seconda che ne sia oggetto rispettivamente una legge regionale ovvero statale e che creava una forte disparità fra Stato e Regioni a vantaggio dello Stato che poteva condizionare a mezzo di plurimi rinvii al Consiglio regionale il contenuto stesso delle leggi regionali[69], viene sostituito un controllo unico posteriore alla pubblicazione della legge impugnata entro i medesimi termini.

Tuttavia, permangono alcune differenze quanto ai vizi di legittimità che possono essere fatti valere: se la Corte consente allo Stato di denunciare tanto l’invasione di competenza nella sua potestà legislativa quanto la generica contrarietà a Costituzione[70], al contrario ex art. 2 c.1. l. cost. 9 febbraio 1948 n.1, nonché ex art. 32 l. n. 87/1953 i ricorsi regionali si fondano esclusivamente sull’affermazione dell’ingerenza nella competenza legislativa costituzionalmente garantita alla Regione.

L’art. 33 c.1 della l. 87/1953 precisa, inoltre, che può essere promossa anche questione di legittimità costituzionale da parte di una Regione avverso un atto legislativo di un’altra Regione esclusivamente se la ricorrente ritenga invasa da quell’atto la propria competenza.

Ulteriore novità introdotta dalla riforma costituzionale del 2001 è la possibilità di sospendere l’esecuzione dell’atto legislativo impugnato, disciplinata dall’art. 35 l. n.87/1953 per come modificato dall’art. 9 c.4 della l. 131/2003: ‹‹Qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all’articolo 25, d’ufficio può adottare i provvedimenti sospensivi dell’atto impugnato››.

5. Residui di sindacato in via preventiva

5.1. Il controllo di costituzionalità sugli statuti regionali e sulle leggi statutarie delle Regioni speciali

Nel nostro ordinamento un controllo di costituzionalità preventivo è ancora previsto in relazione agli Statuti delle Regioni ordinarie e alle leggi statutarie[71].

Quanto agli statuti ordinari, l’art. 123 della Costituzione, per come modificato dalla l. cost. 1/1999, statuisce che ‹‹Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione››. La natura preventiva del controllo è la risultante dell’interpretazione giurisprudenziale data al termine “pubblicazione”.

Infatti, la dottrina inizialmente era divisa fra chi considerava il disposto costituzionale riferito alla pubblicità meramente notiziale anteriore all’eventuale richiesta di referendum sull’atto[72], ipotizzando l’indole preventiva del sindacato e chi, invece, la riteneva come la pubblicità che precede l’entrata in vigore della legge[73], presupponendo la natura successiva del controllo in coerenza col sistema di giustizia costituzionale italiano nel suo complesso. A sciogliere tali dubbi è intervenuta la Corte costituzionale che nelle sent. n. 306 e 304/2002 ha sottolineato che[74]: ‹‹L’art. 123, secondo comma, della Costituzione dopo aver disciplinato il procedimento di formazione dello statuto regionale ed aver statuito che per tale peculiare legge non é richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo, dispone che "il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione". Il successivo comma prevede che lo statuto "é sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale" e stabilisce che "lo statuto sottoposto a referendum non é promulgato se non é approvato dalla maggioranza dei voti validi". La parola pubblicazione, utilizzata nel terzo comma, indica un evento che é anteriore alla promulgazione dello statuto (e quindi anche alla pubblicazione cosiddetta necessaria che ne determina l’entrata in vigore) e che funge da momento iniziale per il decorso del termine per richiedere referendum. E’ a questo punto assai arduo immaginare, in assenza di una esplicita indicazione in tal senso da parte del legislatore costituzionale, che quella stessa parola "pubblicazione", che compare nel comma precedente e che ha, anch’essa, la funzione di scandire l’iniziale decorso di un termine (quello entro il quale il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali), abbia un significato totalmente disomogeneo e stia ad indicare non una pubblicazione a fini notiziali, ma la pubblicazione successiva alla promulgazione, la cui funzione, di per sé, non é quella di provocare l’apertura di termini, ma l’entrata in vigore degli atti normativi. L’interpretazione testuale induce dunque a ritenere che il termine pubblicazione di cui ai commi secondo e terzo indichi forme di pubblicità notiziale; conclusione non dissimile suggerisce l’architettura logica dell’art. 123 Cost.››.

Nella suddetta sentenza, la Corte – oltre a chiarire il significato dirimente del lemma “pubblicità” – esalta la natura preventiva del sindacato sugli statuti regionali ordinari, in quanto finalizzato ‹‹ad impedire che eventuali vizi di legittimità dello statuto si riversino a cascata sull’attività legislativa e amministrativa della Regione, per le parti in cui queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio fondamento esclusivo o concorrente››.

Lo Statuto è impugnabile per ogni ordine di vizio di legittimità costituzionale e, secondo quanto previsto espressamente dallo stesso art. 123 Cost., anche nell’ipotesi in cui violi il limite dell’‹‹armonia con la Costituzione››[75]. La Corte costituzionale nella sent. n. 304/2002 ha dato un’interpretazione estensiva di tale locuzione, affermando in particolare che ‹‹Il riferimento all’"armonia", lungi dal depotenziarla, rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito››[76].

Nel giudizio sugli statuti regionali si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della l. n. 87/1953 relative al giudizio in via principale di cui all’art. 127 della Costituzione(artt. 31 c.1, 34 e 35)[77].

Sotto il profilo del contraddittorio, come per il giudizio sulle leggi in via principale, anche in quello sulla speciale legge regionale ex art. 123 della Costituzione, sono parti solo la Regione, in quanto titolare della potestà statutaria in esame e lo Stato, che è l’unico soggetto costituzionalmente legittimato ad avviare il procedimento. Come dimostra la copiosa giurisprudenza costituzionale (cfr. ex plurimis sent. n. 166 del 2004, n. 338, n.315, n. 307 e n.49 del 2003, nonché l’ordinanza allegata alla sentenza n. 196 del 2004), i soggetti non legittimati a proporre ricorso ex art. 123 possono avvalersi degli ordinari mezzi di tutela delle loro situazioni giuridiche soggettive dinanzi ad altri giudici ovvero dinanzi alla Corte costituzionale nell’ambito del giudizio per incidens[78].

Poiché il ricorso, come detto poc’anzi, ha ad oggetto la deliberazione consiliare prima della eventuale richiesta di sottoposizione della stessa a referendum popolare ad opera di un cinquantesimo degli elettori della regione o di un quinto dei componenti il consiglio regionale,  il controllo di legittimità costituzionale dello statuto dovrà essere coordinato con tale referendum, se indetto[79].

A tal proposito si deve menzionare la sentenza 445/2005, dove si chiarisce che ‹‹il tenore letterale del terzo comma dell’art. 123 della Costituzione rende palese che il referendum ivi disciplinato si riferisce alla complessiva deliberazione statutaria e non a singole sue parti; pertanto, gli effetti che possono essere prodotti sul procedimento di richiesta di questo tipo di referendum da una eventuale sentenza della Corte costituzionale di accoglimento dei rilievi di costituzionalità sollevati dal Governo con il ricorso di cui al secondo comma dell’art. 123 Cost. non possono subire alcuna differenziazione a seconda dell’ampiezza della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Tanto nel caso in cui sia stata dichiarata la illegittimità totale quanto nel caso in cui sia stata dichiarata la illegittimità parziale della deliberazione statutaria, le operazioni del procedimento referendario eventualmente compiute prima del ricorso del Governo divengono necessariamente inefficaci. Ogni pronuncia di accoglimento, infatti, determina di per sé una mutazione dell’oggetto del referendum, sia nell’ipotesi che successivamente si proceda ad una nuova deliberazione statutaria da parte del Consiglio regionale in conseguenza di una dichiarazione di illegittimità totale o parziale della delibera statutaria, sia nell’ipotesi che si debba semplicemente prendere atto di un effetto meramente demolitorio di parte della deliberazione statutaria prodotto dalla sentenza di questa Corte(punto n.2 del considerato in diritto)››[80].

La Corte, dunque, non fa altro che rimarcare la necessaria natura preventiva del controllo ex art.123 Cost., che non può che precedere il referendum e che, anche laddove il suo esito fosse posteriore all’espletamento della procedura referendaria, vanificherebbe gli effetti di quest’ultima.

Tuttavia, la dottrina più avveduta sottolinea che se, nel caso in cui la Corte accolga solo parzialmente il ricorso del Governo, l’annullamento riguardi una norma che eccede la competenza dello Statuto – disciplinante ad esempio la materia elettorale che in base all’art.122 della Costituzione è riservata alla legge regionale ordinaria – il procedimento “può, e anzi deve, continuare, in quanto non vi è nulla da modificare o da integrare”[81].

Una volta chiarita la natura del sindacato della Corte sugli statuti regionali e il suo rapporto con lo strumento referendario, resta da chiedersi se il controllo di costituzionalità ex art. 123 Cost. sia reiterabile. Nella sentenza n.469/2005, la Corte costituzionale dà una risposta affermativa al surriferito quesito, specificando i limina della ripetibilità del sindacato: ‹‹Occorre considerare che il controllo preventivo di cui al secondo comma dell’art. 123 Cost. è senz’altro reiterabile (diversamente da quanto è sembrata asserire la difesa regionale), seppure solo a certe condizioni, così come nel passato, nel vigore del previgente art. 127 Cost., era ben nota la possibilità di una nuova impugnativa (per quanto limitata) da parte del Governo delle leggi regionali rideliberate dal Consiglio regionale dopo il primo rinvio governativo.

Non può escludersi, infatti, che il testo della deliberazione statutaria, già sottoposto ad un primo scrutinio di questa Corte, venga successivamente modificato ad opera del Consiglio regionale e che questo nuovo testo susciti dubbi di legittimità costituzionale sul piano sostanziale in relazione alle nuove disposizioni, con la conseguente possibilità per il Governo di promuovere una nuova impugnazione limitatamente alle norme che non avrebbero potuto formare oggetto del precedente ricorso; analogamente, non può escludersi per il Governo la possibilità di presentare un nuovo ricorso facendo valere eventuali vizi formali relativi al procedimento di adozione dello statuto e successivi al primo giudizio di questa Corte. Anche in questi casi, tuttavia, il dies a quo per l’azione del Governo non potrebbe che essere costituito dalla data della necessaria pubblicazione notiziale, ad opera della Regione, dell’atto da cui risulti il testo statutario che la Regione intenda deliberato come definitivo (punto n. 5 del Considerato in diritto)››.

5.2. Il sindacato di costituzionalità sulle leggi statutarie delle Regioni speciali

In seguito all’approvazione della legge costituzionale 2/2001, è stata prevista dagli statuti speciali una forma ulteriore di controllo preventivo di costituzionalità che riguarda le leggi statutarie (artt. 15 c.3, St. Sardegna; art. 15 c.3 St. Valle d’Aosta; art. 12 c.3 St. Friuli Venezia Giulia, art. 47 c.4 St. T.-A.A.), cioè quelle leggi delle Regioni ad autonomia speciale che disegnano la forma di governo regionale e che possono essere impugnate dal Governo dinanzi alla Corte, entro 30 giorni dalla loro pubblicazione a fini notiziali(rilevante quest’ultima anche ai fini dell’eventuale richiesta di referendum confermativo), per motivi di legittimità costituzionale[82].

La giurisprudenza costituzionale ha proposto una sostanziale equiparazione di tale sindacato preventivo a quello ex art. 123 Cost., rilevando nel punto n.4 Cons. in dir. della sentenza 149/2009 che ‹‹la configurazione di un controllo preventivo azionabile dal Governo comprova la sussistenza in capo al medesimo di un interesse a preservare la supremazia delle previsioni contenute nello statuto speciale dalle lesioni che il procedimento regionale di approvazione o di modifica dello statuto autonomo possa infliggere loro. Tale interesse non si esaurisce con lo spirare dei termini previsti per sollevare questione di legittimità costituzionale sul testo della legge statutaria, quando il vizio d’illegittimità sopraggiunga nella fase ulteriore del procedimento e si consolidi a seguito dell’atto di promulgazione: esso si proietta, viceversa, anche su tale fase, in relazione alla quale è il conflitto di attribuzione tra enti ad offrirsi quale strumento costituzionale per garantirne la tutela, preservando così la competenza dello Stato ad impedire che entrino in vigore norme statutarie costituzionalmente illegittime.

Tale competenza, di regola, si esercita secondo una sequenza procedimentale definita dalle corrispondenti norme dello statuto speciale: il Governo può promuovere la questione di legittimità costituzionale entro trenta giorni dalla pubblicazione notiziale della delibera statutaria. Il controllo così scandito può, però, non consentire al Governo di denunciare l’intero spettro di vizi che possono, in ipotesi, inficiare la legge statutaria, atteso che avverso di essa non è esperibile il controllo successivo previsto per le comuni leggi regionali. È questo il caso in cui la lesione si consumi per effetto dell’adozione dell’atto di promulgazione che determini una autonoma e successiva violazione delle norme ad esso sovraordinate. In relazione a tali vizi è, pertanto, attivabile il conflitto di attribuzione››[83]. Il breve termine di proponibilità dell’impugnazione governativa – in sé preordinato ad evitare vulnera alla costituzionalità delle disposizioni degli Statuti speciali – viene ad ogni modo aggirato nell’ipotesi in cui il vizio sia riscontrabile solo dopo la promulgazione della legge statutaria, attraverso la possibilità di attivare il conflitto di attribuzione, nell’impossibilità di riattivare un controllo di costituzionalità in via successiva sulla legge statutaria[84].

5.3. Spunti critici sul sindacato di costituzionalità preventivo

La presenza nel nostro ordinamento di una forma, sia pure dai contorni sfumati e non molto consistente, di sindacato di costituzionalità preventivo accanto a quello successivo, quale strumento quasi esclusivo per lo svolgimento dell’attività di controllo delle leggi, è occasione per la disamina di alcuni rilievi critici del primo. Lungi dal ‹‹tracciare consuntivi e individuare eventuali nuove prospettive››[85] , sembra opportuno limitarsi all’esposizione dei principali deficit del nostro sindacato preventivo:

1 – Il riconoscimento di una legittimazione ad agire ristretta: solo al Governo è riconosciuto il potere di impugnativa preventiva sullo Statuto delle regioni ordinarie e sulla legge statutaria; ciò, oltre a rischiare di creare aree immuni dal controllo di costituzionalità[86], potrebbe dar luogo a cortocircuiti istituzionali, rendendo necessario un vaglio successivo della Corte secondo altre modalità. A tali difficoltà si potrebbe ovviare, ad esempio, rendendo il controllo di legittimità obbligatorio.

2 – Limitatezza dell’oggetto del controllo: anche se è dubbio che l’ampliamento della giustizia costituzionale possa davvero ‹‹rafforzarla››[87], tuttavia si potrebbe supporre che un’estensione dell’oggetto del controllo di costituzionalità preventivo anche ad altre categorie di atti determinerebbe una riduzione delle cd. ‹‹zone franche›› del giudizio incidentale[88]. Infatti, come rilevato da parte della dottrina, segnatamente rappresentata da Romboli, Carrozza e Rossi, sarebbe opportuno riflettere sulla previsione di un ricorso preventivo di costituzionalità sulle leggi regionali per tre ordini di ragioni: in primis, quella relativa all’osservanza dell’insieme delle disposizioni costituzionali che evocano un’istanza unitaria al cui soddisfacimento è preposto lo Stato(in particolare, artt. 5, 117 c.1 e 120 Cost.); in secundis, per garantire un’accelerazione delle tempistiche procedimentali del sindacato della Corte[89]; in tertiis, per evitare il formarsi di “zone d’ombra” del giudizio di costituzionalità, con riguardo, ad esempio, a leggi regionali che difficilmente potrebbero essere sottoposte alla cognizione di un giudice comune[90].

Tuttavia, tale ipotesi potrebbe essere ritenuta anacronistica da chi, invece, muovendo dal rafforzamento delle autonomie territoriali avviato con la riforma costituzionale del 2001, ritenga che la reintroduzione di un sindacato preventivo sulle leggi regionali comporti un’indebita interferenza dello Stato nella sfera di competenza delle Regioni per il tramite del Giudice costituzionale e che la sopravvivenza della legge regionale incostituzionale nelle more del processo costituzionale in via principale sia comunque scongiurata dal riconoscimento della possibilità ex art. 35 c.1 l. n. 87/1953 alla Corte costituzionale di sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato o parti di esso quando possa comportare un pregiudizio grave e irreparabile all’ordinamento giuridico della Repubblica.

E’ pur vero, però, che ‹‹l’ingerenza dello Stato nelle Regioni›› trova sempre il modo di manifestarsi, come dimostra l’ampio richiamo nella giurisprudenza costituzionale alle “materie trasversali” per legittimare l’”invasione” dello Stato negli ambiti materiali regionali[91]. La necessità del rispetto dell’istanza unitaria ipostatizzata nello Stato emerge anche da alcune pronunce della Corte emesse all’esito di un giudizio in via principale, come la sentenza 274/2003, in cui viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, lettere b), d) ed e) della legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002 n.11 per il fatto che ‹‹la normativa censurata introduce per l’accesso alla qualifica dirigenziale dell’amministrazione regionale (e degli enti regionali) una disciplina che - per l’effetto congiunto dell’attribuzione di tale qualifica senza concorso, dei concorsi riservati, e dell’abrogazione della previsione legislativa di concorsi pubblici per i posti dirigenziali residui – comporta una deroga ingiustificata all’art. 97 della Costituzione››[92]. Si potrebbe, dunque, ritenere che in casi come quello di cui sopra, riguardanti disposizioni che non possono essere oggetto di manipolazione in via ermeneutica da parte dei giudici, i vantaggi di economia giuridica legati al controllo successivo che, com’è noto, consente ai giudici di “salvare” la vigenza di disposizioni che altrimenti potrebbero essere considerate “in astratto” incostituzionali se vagliate in via preventiva[93], soccombano dinanzi all’esigenza di assicurare la “piena costituzionalità della potestà legislativa regionale”[94] ex ante.

3 – Brevità del termine di impugnazione: se ciò da un lato accelera le tempistiche del procedimento di controllo preventivo rispetto alla promulgazione e all’entrata in vigore di Statuti delle Regioni ordinarie e leggi statutarie[95], dall’altro può comportare un sacrificio dell’esigenza di efficienza del nostro sistema di giustizia costituzionale nell’ipotesi in cui il termine suddetto spiri invano.

4 – Ammissibilità della reiterazione del controllo: il “rimbalzo” della delibera consiliare dai parlamentari ai giudici costituzionali non può che determinare un inutile aggravio del procedimento in sede regionale, oltre che un appesantimento del lavoro della Corte costituzionale. Per evitare simili situazioni, si potrebbe pensare all’introduzione di una norma che vieti l’ulteriore modificabilità del testo normativo ad opera dei Consigli regionali dopo il vaglio della Corte.

6. Il ruolo del Giudice costituzionale rispetto alle fonti europee e internazionali pattizie

L’apertura del nostro sistema giuridico a fonti provenienti da ordinamenti giuridici diversi non poteva che trovare un riconoscimento sul piano costituzionale e, di conseguenza, non poteva che passare sotto l’occhio vigile del Giudice delle leggi.

E’ di volta in volta il pendolo della giurisprudenza costituzionale a determinare la rilevanza che le norme giuridiche prodotte da organi appartenenti a ordinamenti giuridici esterni hanno nel nostro sistema delle fonti del diritto.

Sotto il profilo del diritto positivo, tanto le norme europee quanto le norme di diritto internazionale pattizio hanno subito, per effetto dell’approvazione della legge costituzionale 3/2001, una ‹‹costituzionalizzazione›› - da intendersi come tutela nella Carta costituzionale e non anche come parificazione alla Costituzione[96] - nell’art. 117, in base a cui ‹‹La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali››.

Dal dato letterale si può, dunque, ricavare la regola della preminenza degli obblighi internazionali ed europei sulla legge ordinaria sicché, se la legge ordinaria non rispettasse i suddetti obblighi, sarebbe viziata da illegittimità costituzionale per violazione indiretta della Costituzione[97], costituendo sia le norme europee sia le norme internazionali convenzionali parametro interposto di costituzionalità[98]. A ben vedere, tuttavia, l’atteggiamento della giurisprudenza costituzionale nei confronti delle due fonti non è stato identico, nel senso che essa non ha avallato la tesi della necessaria sollevazione dell’eccezione di incostituzionalità in tutte le ipotesi di presupposto contrasto di una norma interna con una norma europea.

Bisogna, anzitutto, domandarsi come la Corte costituzionale abbia potuto ritagliarsi uno spazio di censura delle norme internazionali ed europee, dal momento che non appartengono di per sé agli atti soggetti al sindacato di costituzionalità ex art. 136 della Costituzione[99]. A tal fine essa ha elaborato la cd. dottrina dei controlimiti – derivante dal fatto che le corti costituzionali fondano il principio di supremazia sulle Costituzioni nazionali - che le consente di riservarsi un controllo sulla compatibilità delle norme del diritto dell’Unione europea con i principi costituzionali fondamentali[100]. Uno schema simile è stato utilizzato in relazione all’esame di costituzionalità delle norme di diritto internazionale pattizio[101].

La formulazione di tale teoria è stata l’esito del cosiddetto cammino comunitario della Corte Costituzionale, cioè del suo progressivo allineamento alla Corte di Giustizia dell’Unione europea circa il riconoscimento del principio della primazia e dell’effetto diretto del diritto comunitario[102]. La Corte costituzionale ne ha esposto i contenuti in due sentenze: dapprima nella decisione 183/1973 ha chiarito che ‹‹[…]  in base all'art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma - sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è ovvio che qualora dovesse mai darsi all'art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali››[103]; poi, nella sentenza Granital (sentenza 170/1984), ha precisato che l’impostazione del rapporto tra fonti interne e fonti comunitarie ‹‹non implica, tuttavia, che l'intero settore dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno sia sottratto alla competenza della Corte. Questo Collegio ha, nella sentenza n. 183/73, già avvertito come la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana…››[104].

Dunque, la Corte costituzionale, poiché il TFUE riserva la giurisdizione sulla legittimità degli atti normativi dell’UE alla CGUE, ha individuato come unica via possibile, per esercitare il proprio sindacato sulle norme comunitarie, l’impugnazione dell’ordine di esecuzione del trattato in parte qua consente l’immissione nel nostro ordinamento della norma europea in questione[105]. Essa, infatti, è l’unica disposizione interna che fa da collegamento tra l’ordinamento italiano e quello dell’UE ed è pertanto destinato a fungere da fusibile nel sistema dei rapporti tra i due ordinamenti e ad essere dichiarato illegittimo tante volte quante saranno le norme comunitarie censurate[106].

Presupposto di ammissibilità per l’esercizio del controllo di costituzionalità sulla legge di esecuzione del trattato – precisa la giurisprudenza costituzionale – è il preventivo esperimento dei mezzi di tutela comunitaria, cioè la sottoposizione da parte del giudice nazionale della questione di validità della norma europea alla CGUE[107]. Solo ove la sentenza pregiudiziale non fosse ritenuta esaustiva, si profilerebbe l’eventualità di una declaratoria di illegittimità costituzionale della legge di esecuzione del trattato limitatamente alla parte in cui ha consentito l’introduzione nell’ordinamento interno della norma europea lesiva dei principi fondamentali dell’ordinamento o dei diritti inalienabili della persona[108].

Visto il margine di operatività della Corte in relazione alla conformità delle norme europee con i principi costituzionali fondamentali, resta da definire il suo ruolo rispetto alle seguenti ipotesi alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale:

1 – Contrasto tra norma europea dotata di effetto diretto[109] e norma nazionale[110]: in tal caso il giudice nazionale è chiamato a valutare la compatibilità comunitaria della norma interna censurata, utilizzando se del caso il rinvio pregiudiziale alla CGUE e ricorrendo all’interpretazione conforme. Ove egli accerti il contrasto, dovrà disapplicare la normativa nazionale e applicare la norma europea.

2 – Contrasto tra norma europea priva di efficacia diretta e norma nazionale[111]:  poiché in tal caso la norma interna in apparente contrasto con quella comunitaria non direttamente efficace, mantenendo intatto il proprio valore, ‹‹soggiace al regime previsto per l’atto del legislatore ordinario, ivi incluso il controllo di costituzionalità››[112], la Corte costituzionale ha ritenuto che, ove il giudice nazionale non riesca a risolvere il contrasto con gli opportuni strumenti interpretativi, quest’ultimo debba sollevare questione di legittimità costituzionale per contrasto della legge con gli artt. 11 e 117 della Costituzione, senza delibare preventivamente i profili di compatibilità con il diritto europeo. Spetterà alla Corte costituzionale giudicare della conformità della legge ed eventualmente annullarla, adoperando come parametro di riferimento la Costituzione e i parametri europei.

3 – Doppia pregiudizialità[113]: trattasi del caso in cui vi sono controversie che possono dare luogo simultaneamente a questioni di legittimità costituzionale e a questioni di compatibilità del diritto interno col diritto comunitario. Generalmente, è prioritaria la valutazione della compatibilità comunitaria della norma ad opera del giudice comune. Se quest’ultimo accerta l’incompatibilità, la norma nazionale va disapplicata e quindi un’eventuale questione di costituzionalità della stessa sarebbe priva del requisito della rilevanza, sicché la Corte dovrebbe decidere nel senso dell’inammissibilità della questione. Tuttavia, se una legge è sospettata di non conformità ai diritti fondamentali, garantiti tanto dalla Carta di Nizza – che fa parte integrante del diritto dell’UE – quanto dalla nostra Costituzione, la Corte costituzionale ha ritenuto nella sentenza 269/2017 che ‹‹debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale, per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE››[114]. Dunque, la Corte costituzionale ha per la prima volta sostenuto la priorità del sindacato di costituzionalità rispetto a quello di pregiudizialità comunitaria limitatamente all’ipotesi della violazione dei diritti fondamentali, ferma restando la libertà dei giudici ordinari di effettuare rinvio pregiudiziale alla CGUE anche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, nonché di disapplicare, dopo il giudizio di costituzionalità, la disposizione legislativa nazionale che abbia superato il vaglio della Corte, ma che sia ritenuta per altri profili contrastante col diritto europeo[115]. Alla luce della sentenza n.269 del 2017, la dottrina non potrà che domandarsi se l’asserita necessità di un ‹‹intervento erga omnes della Corte›› sia dettata dalla volontà dei giudici costituzionali di rafforzare il diritto costituzionale europeo attraverso gli effetti erga omnes delle pronunce di incostituzionalità, che espungono dall’ordinamento norme interne contrarie ai diritti della Carta sovranazionale ovvero se, dietro alla pretesa corrispondenza assiologica tra la Carta di Nizza e la Costituzione, non si nasconda un tentativo di rimarcare la sostanziale supremazia dei diritti costituzionalmente garantiti, nell’ottica di una lettura “sovranista” di tale decisione[116].

Come opportunamente osservato da Ruggeri, l’alternativo e congiunto operare di tali strumenti eterogenei di risoluzione delle antinomie fra norme nazionali e norme europee costituisce ‹‹lo specchio (…) della transizione in atto, del suo permanente oscillare tra i poli della separazione e della integrazione›› (…) non essendovi, né potendovi ancora essere ‹‹né piena separazione né piena (vale a dire compiuta) integrazione››[117].

Dunque, anche se come rilevato in dottrina i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale tendono al monismo[118], la nostra Corte costituzionale escogita soluzioni interpretative tali da salvaguardare la tradizionale impostazione dualistica e la rilevanza del suo ruolo nel quadro dei rapporti fra giurisdizioni sovranazionali[119].

Tuttavia, è innegabile che l’area di controllo del Giudice costituzionale non si estende fino a comprendere il diritto comunitario nella sua interezza per un duplice ordine di motivi[120]:

A) Il diritto europeo, poiché si pone in una posizione simile a quella delle norme costituzionali, può essere sindacato solo per la violazione del cd. “nucleo duro” della Costituzione;

B) L’attivismo del giudice comunitario e la comunanza di tradizioni giuridico-culturali ha indotto i giudici italiani a preferire l’intervento della CGUE rispetto a quello della Consulta, favorito probabilmente dal fatto che la Corte Costituzionale ha tendenzialmente affermato la necessaria priorità del ricorso alla CGUE nel caso delle questioni doppiamente pregiudiziali[121].

A me sembra che alle siffatte considerazioni, se ne potrebbe aggiungere un'altra, vale a dire che il riconoscimento della prerogativa di disapplicare le norme interne incompatibili con quelle comunitarie aventi effetto diretto, se da un lato ha determinato un depauperamento del sindacato accentrato della Corte costituzionale e quindi l’espansione di ulteriori ‹‹zone franche›› dal sindacato di costituzionalità, dall’altro ha incrementato gli elementi di diffusione del nostro modello di giustizia costituzionale.

Questi, infatti, si possono rintracciare non più soltanto limitatamente al vaglio di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, che attiene peraltro al caso di conflitto fra norma europea non avente efficacia diretta e norma interna, ma anche nelle ipotesi in cui il giudice comune decide di non applicare la norma nazionale incompatibile col parametro comunitario direttamente efficace, con la differenza – tuttavia – che il potere di quest’ultimo non si estende fino a dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma interna, che per l’appunto non potrà essere annullata, ma solo disapplicata in relazione al campo di applicazione del diritto dell’UE.

Tuttavia, autorevole dottrina, a quest’intricata ‹‹rete di costituzionalità multilivello››  tesa alla garanzia costituzionale del diritto dell’UE, preferirebbe sostituire l’ipostatizzazione della legittimazione costituzionale dell’ordinamento comunitario attraverso l’istituzione di un sistema di controllo preventivo dei trattati, compresi quelli comunitari, come previsto in Francia, oltre che in Spagna e Portogallo, che costituirebbe un più sicuro adeguamento dell’ordinamento costituzionale interno a quello europeo[122].

Quanto alla competenza della Corte costituzionale in materia di annullamento delle leggi in contrasto con le norme di un trattato internazionale, essa nelle sentenze 348 e 349 del 2007, dopo aver affermato che spetta al giudice comune interpretare le norme interne in modo conforme alle disposizioni internazionali, ha specificato che, ove ciò non sia possibile o il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con quella convenzionale, quest’ultimo dovrà sollevare questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 117 c.1 della Costituzione[123]. Tale approdo giurisprudenziale non solo esclude la possibilità di una disapplicazione da parte del giudice comune della norma nazionale in contrasto con il parametro convenzionale, a differenza di quanto accade con il parametro comunitario, ma espande l’area di costituzionalità delle fonti internazionali pattizie[124]. Infatti la Corte costituzionale prosegue nel suo ragionamento, sostenendo nella sentenza 348/2007 che ‹‹in occasione di ogni questione nascente da pretesi contrasti tra norme interposte e norme legislative interne, occorre verificare congiuntamente la conformità a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilità della norma interposta con la Costituzione e la legittimità della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta. Nell'ipotesi di una norma interposta che risulti in contrasto con una norma costituzionale, questa Corte ha il dovere di dichiarare l'inidoneità della stessa ad integrare il parametro, provvedendo, nei modi rituali, ad espungerla dall'ordinamento giuridico italiano››[125].

Da ciò si evince, ancora una volta in contrapposizione a quanto accade in relazione alla sopravvivenza delle norme europee nel nostro ordinamento, che il limite costituzionale all’ingresso di norme internazionali pattizie è rappresentato dall’intero dettato costituzionale e non solo dal rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. In analogia a quanto accade con l’annullamento delle norme europee, però, si deve ritenere che la Corte costituzionale, nell’ipotesi in cui accerti l’incompatibilità della norma convenzionale con la Costituzione, dichiarerà illegittimo in parte qua l’ordine di esecuzione del trattato, secondo lo schema tracciato dalla teoria dei controlimiti[126].

Dunque, il controllo di costituzionalità sulle norme internazionali convenzionali rispetto a quello sulle norme europee è più pervasivo sia sotto l’aspetto del parametro di riferimento, sia dal punto di vista dei poteri riconosciuti al giudice a quo, impossibilitato di disapplicare la norma interna contrastante con la norma interposta e abilitato soltanto a sollevare l’eccezione di incostituzionalità. Gli elementi di diffusione del sindacato di legittimità costituzionale sono, dunque, qui rintracciabili solo nei limiti del vaglio di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione ad opera del giudice comune. Si può, dunque, constatare che il recepimento nella Costituzione del principio di superiorità degli accordi internazionali non ha dato luogo ad un sindacato di convenzionalità autonomo e «diffuso», ma ha determinato – nell’interpretazione datane dalla Corte costituzionale - un assorbimento del controllo di convenzionalità nel controllo di costituzionalità[127].

Rimane, tuttavia, da chiedersi se oggetto di indagine da parte della Corte costituzionale possano essere tutti i trattati ovvero se sussistano anche in tale ambito degli atti normativi che, in conseguenza delle loro caratteristiche formali ovvero per le modalità con cui sono adottati, sfuggono al suo sindacato[128].

La dottrina maggioritaria ritiene riduttivo riconoscere, alla luce del disposto del c.1 dell’art. 117 della Costituzione, efficacia vincolante solo agli obblighi internazionali di natura pattizia autorizzati formalmente dal Parlamento[129], in quanto la lettera della norma costituzionale fa riferimento ai vincoli derivanti da tutti gli obblighi internazionali, senza escludere esplicitamente né gli obblighi internazionali assunti con trattato ratificato con semplice atto del P.d.R. né gli accordi in forma semplificata[130].

Dunque, se si ritiene ammissibile tale soluzione interpretativa, quando il giudice a quo solleva una questione di legittimità avente ad oggetto una supposta violazione dell’art. 117 c.1 Cost. da parte di una norma interna, il Giudice costituzionale dovrà valutare la conformità della norma nazionale alla legge di esecuzione del trattato internazionale e, successivamente, la compatibilità della norma interposta all’intero dettato costituzionale. In tal modo la Corte si avvale della norma internazionale pattizia sia come parametro interposto nella fase del sindacato di convenzionalità sia come oggetto nello svolgimento del sindacato di costituzionalità[131].

Tuttavia, continua a restare irrisolto il problema del controllo di legittimità costituzionale di tutti quegli accordi in forma semplificata che non richiedono l’approvazione di una legge di esecuzione. In tali ipotesi, è da ritenersi che spetterà ai giudici comuni, in sede di applicazione degli atti che dipendono dall’accordo internazionale, valutarne anche la conformità a Costituzione[132].

7. Le pronunce della Corte costituzionale e la loro rilevanza nel sistema delle fonti del diritto.

7.1. Presupposti teorici

La presente analisi, tesa a verificare come l’attività della Corte costituzionale intersechi quella del legislatore e a valutarne l’impatto sul nostro ordinamento giuridico, deve necessariamente muovere dai seguenti assunti teorici:

  • Le decisioni della Corte hanno la struttura di una sentenza, ma gli effetti di un atto normativo sicché il sindacato sulle leggi andrebbe qualificato come ‹‹giurisdizione normativa››[133];
  • La Corte è un organo dotato di ‹‹forza politica›› sicché essa, quando accoglie una questione di costituzionalità, dichiara non solo la cessazione di efficacia della norma, ma anche la difformità dell’indirizzo politico di cui la legge è espressione rispetto ai fini enucleati nella Costituzione[134].
  • Poiché dalle pronunce costituzionali di accoglimento deriva almeno un effetto di eliminazione di norme presenti nell’ordinamento[135], id est un effetto di innovazione della realtà giuridica, si deve avvalorare l’orientamento che riconosce ad esse il rango di fonti del diritto[136].

7.2. Tipi di pronunce di accoglimento

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, sono in grado di esplicare un effetto incisivo sul sistema delle fonti del diritto soltanto le decisioni di accoglimento, di cui è opportuno in via preliminare effettuare la seguente classificazione sulla base dell’operazione compiuta dalla Corte ‹‹sulle norme che sono in vario rapporto eziologico col testo››[137]:

1) Sentenze di accoglimento tout court[138]: trattasi di quelle pronunce che, accogliendo la questione sottoposta alla Corte in via incidentale o in via principale, dichiarano l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. Esse sono assimilabili alle sentenze di annullamento, tant’è che operano erga omnes e hanno valore costitutivo, nel senso che, sebbene il contrasto con la Costituzione fosse sorto in precedenza, è soltanto con la sentenza che esso viene accertato e la legge viene invalidata, cioè definitivamente eliminata dall’ordinamento sicché i giudici non potranno più farne applicazione. Inoltre la declaratoria d’illegittimità costituzionale ha efficacia retroattiva ovvero ex tunc, cioè esplica i propri effetti non solo sui rapporti futuri, ma anche su quelli sorti in passato, purché non si tratti di rapporti giuridici esauriti. La retroattività degli effetti di tali sentenze discende dalla lettura combinata del disposto costituzionale, in particolare ex art. 136 c.1 Cost. ‹‹la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione››, e di quello legislativo, specificamente l’art. 30 c.3 della legge 87/1953 in base a cui ‹‹le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione››.

Tuttavia, un’eccezione alla regola per cui la sentenza di accoglimento non “travolge” il giudicato è prevista in materia penale dall’art. 30 c.4 della legge 87/1953: “Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.

L’automatismo della retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento non è andato esente, negli anni ’80, da voci critiche in dottrina, che ritenevano che l’attribuzione al Giudice costituzionale del potere di modulare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze avrebbe consentito, come in altri ordinamenti, un potenziamento della giustizia costituzionale. La Corte, in mancanza di appigli normativi, si è arrogata tale facoltà in via interpretativa, facendo ricorso alla categoria della incostituzionalità sopravvenuta, a cui sono state accomunate due ipotesi diverse: la pronuncia di illegittimità costituzionale sopravvenuta in senso stretto, i cui effetti caducatori si producono al momento del sopraggiungere di fatti nuovi che rendono una disciplina, costituzionalmente conforme al momento della sua entrata in vigore, non più in linea con la Carta costituzionale, ad esempio perché viene revisionata la Costituzione[139]; il cosiddetto bilanciamento di valori, che si verifica allorché la Corte individua un dies dal quale cominciano a decorrere gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità, dal momento che, se questa dispiegasse i propri effetti retroattivi senza temperamenti, produrrebbe effetti negativi rispetto ad altri valori costituzionalmente tutelati[140].

2) Sentenze di accoglimento condizionali: pronunce rare con cui la Corte, se mancano alcuni dati per stabilire con certezza l’invalidità della legge impugnata e non è possibile disporne per via istruttoria al momento, subordina l’illegittimità ad alcune condizioni, ricorrendo alla formula ‹‹in quanto risulti che…›› (per esempio sentt. n. 133/1969, 44/1974 e 160/1975)[141].

3) Sentenze di accoglimento manipolative: espressione con cui si indicano quelle pronunce con cui la Corte dichiara l’illegittimità della legge (cd. pars destruens), ridefinendone in vario modo la portata normativa sicché la legge risulta, all’esito del sindacato di costituzionalità, non interpretata ma modificata secondo ciò che la Costituzione richiede (cd. pars costruens)[142]. All’interno del predetto genus, è possibile distinguere le seguenti species:

a) Sentenze di accoglimento parziale: pronunce con cui la Corte dichiara illegittima una parte della norma ‹‹nella parte in cui dice/prevede›› o una disposizione ‹‹limitatamente alle parole›› in quanto contrastante con la Costituzione[143]. Esse cominciano a essere frequenti a partire dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso[144]. Un esempio più recente è costituito dalla sentenza 315/2010, con cui la Corte costituzionale ‹‹dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 18, della legge della Regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), nella parte in cui consente la caccia nelle cosiddette aree contigue anche a soggetti non residenti nelle aree medesime››, in quanto l’estensione dell’esercizio della caccia anche ai cacciatori non residenti nelle aree suddette contrasta con l’art. 32, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro nazionale sulle aree protette) – che assurge al rango di parametro interposto, avendo efficacia vincolante nei confronti della Regione che è titolare in materia di caccia della competenza residuale ex art. 117 c.4 Cost.  – in base a cui ‹‹all’interno delle aree contigue le regioni possono disciplinare l’esercizio della caccia, in deroga al terzo comma dell’art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 968, soltanto nella forma della caccia controllata, riservata ai soli residenti dei comuni dell’area naturale protetta e dell’area contigua››[145].

b) Sentenze additive: trattasi di pronunce con cui la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma nella parte in cui omette una prescrizione che sarebbe stato costituzionalmente necessario prevedere[146]. Il Giudice costituzionale non si limita qui ad operare come un “legislatore negativo”, ma assume i panni di un secundus legislator, in quanto nel dispositivo della sentenza aggiunge alla disposizione legislativa una o più norme che il legislatore aveva omesso[147]. Le sentenze additive, in tal senso, esaltano al massimo grado ‹‹l’apporto della giurisprudenza costituzionale all’evoluzione dell’ordinamento, quale positivo fattore di etero-integrazione››, ampliando la portata della teoria secondo cui le sentenze di accoglimento costituiscono fonti del diritto, non più limitata al profilo meramente “negativo” degli effetti della decisione (la rimozione dall’ordinamento di una legge), ma comprensiva anche di quello “positivo” dell’introduzione nell’ordinamento giuridico di norme nuove[148].

Nell’impossibilità di ristabilire la legalità costituzionale attraverso un intervento ablativo tout court[149], la Corte fa ricorso, normalmente all’esito di un giudizio di ragionevolezza fondato sul principio di eguaglianza, alla tecnica dell’addizione, che le consente di superare in qualche modo sia il limen della legislazione sia quello della giurisdizione, in quanto ‹‹inserisce i poteri tipici dell’una e dell’altra in un contesto eterogeneo rispetto a quello “naturale”››  al fine di pervenire ‹‹con una serie di mezzi extra ordinem alla soluzione di un problema concreto di costituzionalità›› a mezzo di una disciplina che appare ‹‹il passo successivo ragionevolmente prevedibile di un momento dato dello sviluppo del processo di attuazione costituzionale››[150]. La legittimità dell’addizione normativa, al fine di sottrarsi alle critiche di quella dottrina che ha lamentato un’indebita ingerenza della Corte nella sfera di competenza del Parlamento[151], è stata limitata dalla stessa giurisprudenza costituzionale attraverso l’imposizione di due limiti[152]. Il primo incombe sul giudice remittente, il quale, dal momento che la Corte non si ritiene libera di inventare la norma da aggiungere al significato normativo della disposizione, dovrà indicare con precisione ‹‹il verso dell’addizione›› nell’ordinanza di rinvio, cioè la norma da aggiungere alla disposizione impugnata nel rispetto della regola della rilevanza[153]. Il secondo, invece, si pone in modo per così dire autoreferenziale in capo allo stesso Giudice delle Leggi, che, per ridurre il più possibile l’impatto dell’addizione sull’ordinamento giuridico, integra il testo normativo, completando il verso scritto dal legislatore attraverso l’aggiunta di quel lemma, suggerito dal giudice a quo, che è in grado di ricondurre a coerenza il teorema legislativo sicché può dirsi, con fortunata espressione, che il giudice costituzionale procede per ‹‹rime obbligate››[154].  La dottrina della legislazione a “rime obbligate”, che avrebbe consentito - nella mente del suo autore - alla giurisprudenza costituzionale di non invadere l’area delle scelte politiche conformemente al disposto dell’art. 28 della L. 87/1953, non elimina però la natura creativa assunta dal sindacato di costituzionalità, in considerazione della discrezionalità che permea il procedimento interpretativo dei giudici[155], in cui l’elaborazione del profilo ablatorio è necessariamente preceduta dall’elaborazione del profilo ricostruttivo[156]. Dal riconoscimento del potere creativo in capo ai giudici costituzionali consegue un ripensamento del controllo di costituzionalità, che si pone come un limite non più all’arbitrio del legislatore, ma alle sue mancanze[157]. Tuttavia, il ricorso alle tecniche additive – che nella dottrina che ha ad esse guardato con favore è talora considerata come un’operazione di ‹‹supplenza fisiologica››[158] del “legislatore costituzionale” tal altra come una culpa felix della Corte costituzionale[159] - ha senz’altro avuto il merito di consentire a molte norme costituzionali “programmatiche”, di per sé bisognose dell’interpositio legislatoris, di acquisire la necessaria carica precettiva in sede di applicazione giudiziaria, nell’ottica di una sempre maggiore garanzia di effettività della Carta costituzionale[160].

c) Sentenze sostitutive: trattasi di pronunce in cui si dichiara l’illegittimità costituzionale di un frammento del testo della disposizione, nella parte in cui prevede qualcosa anziché qualcos’altro[161]. L’eliminazione di una locuzione della disposizione è seguita dall’addizione di un nuovo frammento normativo al fine di rendere la disposizione conforme alla Costituzione a mezzo della correzione dell’errore materiale commesso dal legislatore[162]. Si prenda ad esempio la sentenza n. 15/1969 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 313, terzo comma, del Codice penale ‹‹nei limiti in cui attribuisce il potere di dare l'autorizzazione a procedere per il delitto di vilipendio della Corte costituzionale al Ministro di grazia e giustizia anziché alla Corte stessa››[163].

7.3. L’impatto normativo delle sentenze costituzionali di accoglimento

E’ evidente che ciascuna delle pronunce costituzionali sopra descritte produca un impatto[164] sul sistema normativo la cui intensità dipende dall’efficacia meramente caducatoria ovvero additiva ovvero sostitutiva del decisum[165]. La Corte costituzionale opera una valutazione d’impatto soprattutto allorché scelga di calibrare gli effetti della propria pronuncia di annullamento attraverso la manipolazione del disposto legislativo sospettato d’incostituzionalità, affinché sia scongiurato l’insorgere di una situazione normativa di maggiore incostituzionalità rispetto a quella che si produrrebbe con una declaratoria d’illegittimità costituzionale tout court[166].

A motivare l’interferenza prodotta dall’attività interpretativa della Corte costituzionale con la funzione legislativa, che può determinare a seconda dei casi un effetto restrittivo ovvero espansivo della portata normativa della disposizione coinvolta[167], è soprattutto l’horror vacui[168], il timore della lacuna generato da una pronuncia di accoglimento integrale, che rischierebbe di produrre posterius una maggiore incostituzionalità che prius[169]. E’ proprio dall’attività creativa[170] della giurisprudenza costituzionale che discende l’acquisizione da parte della Corte di una funzione paralegislativa e di co-legislazione[171], che l’avrebbe trasformata da ‹‹giudice della costituzionalità delle leggi, avente la funzione di espungere dall’ordinamento le disposizioni illegittime, in organo di bonifica costituzionale delle leggi››[172].

Sembra, dunque, lecito chiedersi se la scelta operata dal nostro ordinamento per un accesso quasi esclusivamente incidentale e, dunque, ex post al sindacato di costituzionalità, finalizzata ad escludere ogni valutazione giurisdizionale sul merito delle leggi, non sia svuotata di significato o, perlomeno, rintuzzata nella sua portata dalla circostanza che la Corte attraverso le sue pronunce riesce de facto ad ‹‹oltrepassare il confine della legittimità[173]››. Non è forse un’ingenuità del costituente quella di ritenere che la limitazione della via preventiva al controllo sulle leggi escluda l’interferenza della Corte con la politica e con l’esercizio della funzione legislativa? E’ vero che la stessa non interviene nel corso del procedimento legislativo, ma è altrettanto vero che è in grado di produrre un ‹‹nuovo diritto non legislativo››[174] , al di fuori dell’iter legis e tale da ‹‹degradare la funzione legislativa da attività sovrana ad un misto di autonomia e discrezionalità››[175]. D’altronde, le sentenze manipolative non sono altro che un escamotoge trovato dalla Corte costituzionale per assicurare ai giudici ordinari la produzione di una norma nuova e ovviare all’inerzia di un legislatore, che non solo non dà un seguito immediato alle sue pronunce di mero annullamento che così cadrebbero nel vuoto, ma non si è neppure preoccupato di istituire uno strumento decisorio tale da consentire al giudice costituzionale di dichiarare l’incompatibilità di una disposizione di legge senza che la sentenza produca conseguenze immediate, per le quali dovrebbe essere chiamato il Parlamento a provvedere tempestivamente[176]. Dunque, la generazione di norme inedite dalla penna dei giudici costituzionali non può che rendere sempre più labile il confine tra giurisdizione e legislazione[177].


Note e riferimenti bibliografici

[1] R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 449-505.

[2] G.Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, pp. 261-336.

[3] Ibidem.

[4] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, III ed., Giappichelli, Torino, 2004, pp. 91-122.

[5] Ibidem.

[6] F. Modugno, Validità (dir. Cost), in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993, pp. 54 ss.

[7] In tal senso v. L. Pegoraro, A. Reposo, A. Rinella, R. Scarciglia, M. Volpi, Diritto costituzionale e pubblico, II ed., Giappichelli, Torino, 2005, pp. 441-443.

[8] T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 467-470.

[9] Ibidem.

[10] L. Pegoraro, A. Reposo, A. Rinella, R. Scarciglia, M. Volpi, Diritto costituzionale e pubblico, cit.

[11] P. Costanzo, Legislatore e Corte costituzionale. Uno sguardo d’insieme sulla giurisprudenza costituzionale in materia di discrezionalità legislativa dopo cinquant’anni di attività, Relazione tenuta nell’ambito delle “IV Jornadas ítalo-españolas de justicia constitucional: 50 aniversario de la Corte constitucional italiana, 25 aniversario del Tribunal constitucional español, 22 y 23 septiembre 2005 – Universidad de Las Palmas de Gran Canaria, in www.giurcost.org

[12] G.Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, cit., pp. 213-256.

[13] R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., p. 469.

[14] P. Virga, Diritto costituzionale, Giuffrè, Nona edizione, 1979, pp. 527-530; V. anche G. Zagrelbesky, La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1977, pp. 53 ss e, per gli aggiornamenti, R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit.

[15] Con la dec. 23 aprile 1974 n. 207 (sui contratti agrari), la Corte ha chiarito che, laddove una sua pronuncia determini la reviviscenza di norme abrogate, il sindacato di costituzionalità potrà estendersi anche alle norme abrogate per impedire che diventino nuovamente operanti.

[16] V. a tal proposito G. Pistorio, La decretazione d’urgenza, 2016, in www.romatrepress.uniroma3.it .

[17] Per un approfondimento v. sent. 360/1996, n. 4 del considerato in diritto: il decreto-legge iterato o reiterato – per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza indurre variazioni sostanziali – lede la previsione costituzionale sotto più profili: perché altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; perché toglie valore al carattere “straordinario” dei requisiti della necessità e dell’urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto; perché attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a susci­tare nell’ordinamento un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determi­nati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata». 

[18] R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 403-409.

[19] In tal senso v. F. Durante, Sul giudizio di legittimità costituzionale delle norme europee, in Studi per Esposito, II, Padova, Dott. Dilani, 1972, pp. 1179-1195. e A. D’Atena, Disposizioni riproduttive di clausole concordatarie e giudizio costituzionale, in Giur. it. 1977, I, p. 1429.

[20] R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 427-428.

[21] Ibidem.

[22] I. Tricomi, Parametri costituzionali e non manifesta infondatezza nell’ordinamento multilivello, in DPERonline n. 2/2017 - Issn 2421-0528 - http://www.edizioniesi.it/dperonline/ .

[23] C. Esposito, Il controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi in Italia (1950), in La Costituzione italiana Saggi, Cedam, Padova, 1954, p. 275.

[24] C. Pinelli, L’individuazione dei parametri costituzionali ed il controllo sulla non manifesta infondatezza della questione, 2016, in www.penalecontemporaneo.it .

[25] In tal senso v. M. Siclari, “Le norme interposte” nei giudizi di costituzionalità, Cedam, Padova, 1992, 99 ss.

[26] F. Biondi, Oggetto e parametro, in R. Balduzzi e P. Costanzo, Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Giappichelli, Torino, 2000.

[27] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 69-78, cit.

[28] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pp. 121-140.

[29] R. Romboli, Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l'anima "politica" e quella "giurisdizionale", Giappichelli, 2017, pp. 427-428.

[30] In tal senso v. R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale., pp. 469-470;  A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 69-78, cit.; A.Ruggeri, Riforma del Titolo V e “potere estero” delle Regioni (notazioni di ordine metodico-ricostruttivo), in Dir. Soc., 1/2003, pp. 1 ss.

[31] Ibidem.

[32] G. Amato, A. Barbera, Manuale di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 1986, pp. 671-674.

[33] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 384-386.

[34] Ibidem; v. anche R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale., pp. 471-476, cit. e A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 169-211, cit.

[35] R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in Aa. Vv., Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1999-2001), a cura dello stesso R., Torino, 2002, p. 36 ss.

[36] G.Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, pp. 279-319, cit.

[37] Ibidem e F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, Giuffrè, IV ed., pp. 849-853; v. anche R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, pp. 471-476, cit.

[38] G. Zagrelbesky, La rilevanza, un carattere normale ma non necessario della questione incidentale di legittimità costituzionale, in <>, 1969, pp. 1001 e ss., F. Pizzetti e G. Zagrelbesky, <> nell’instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, Giuffrè, 1972, pp. 122 ss.

[39] F. Modugno, Sulla pretesa incostituzionalità del requisito della <> per le quaestiones legitimitatis, in <>, 1971, pp. 1219 ss.

[40] F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, cit, pp. 849-853.

[41] F. Modugno, Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio costituzionale, in <>, 1966, pp. 297 ss.

[42] A. Cerri, Il profilo fra argomento e termine della questione di costituzionalità, in <>, I, 1978, p.356.

[43] V. Andrioli, Note sulle sentenze della Corte costituzionale in tema di riforma fondiaria, in <>, 1959, p.640; V. Crisafulli, Sulla proponibilità di questioni di costituzionalità in sede di esecuzione penale, in <>, 1964, p.680; F. Modugno, Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio costituzionale, cit.; M. Luciani, Le decisioni processuali e la logica del giudizio costituzionale incidentale, Padova, Cedam, 1984, p. 112; A. Pizzorusso, Sulle condizioni di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata mediante incidente di esecuzione, in <>, I, 1964, n.1, cc. 1291 ss.

[44] G.Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, pp. 279-319, cit.

[45] Ibidem.

[46] Ibidem.

[47] Ibidem.

[48] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 187-192, cit.; v. anche R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale., pp. 471-476, cit.

[49] A tal proposito v. P. Calamandrei, Sulla nozione di non manifesta infondatezza, in Riv. dir. Proc., II, 1956, p. 164; F. P. Bonifacio, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, in Aa. Vv., La giustizia costituzionale, a cura di G. Maranini, Firenze, 1966, pp. 50 ss.; M. Cappelletti, Intervento, in Aa. Vv., La giustizia costituzionale, a cura di G. Maranini, Firenze, 1966, p. 393; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I e II, Padova, 1984, p. 296; F. Pizzetti e G. Zagrelbesky, <> nell’instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, cit., pp. 80 ss.

[50] A. Pizzorusso, Sub artt. 134-136, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 260, nt. 6.

[51] O. Chessa, Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice?, Intervento al Convegno del Gruppo di Pisa su Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Milano 6 e 7 giugno 2008, in www.forumcostituzionale.it

[52] Ibidem.

[53] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 187-192, cit.; v. anche R. Romboli, Dichiarazione di incostituzionalità con delega al Parlamento, in Foro it., 1993, p.39.

[54] R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale., pp. 471-476, cit.

[55] Ibidem.

[56] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 199-201, cit.

[57] V. a tal proposito A. Ruggeri, Le attività “conseguenziali” nei rapporti fra la Corte costituzionale e il legislatore (Premesse metodico-dogmatiche ad una teoria giuridica), Milano, 1988, pp. 55 ss.; A. Spadaro, Limiti del giudizio costituzionale in via incidentale e ruolo dei giudici, Napoli, 1990, pp. 125 ss.; E. Catelani, La determinazione della “questione di legittimità costituzionale” nel giudizio incidentale, Milano, 1993, pp. 335 ss.; B. Romano, Il giudice per le indagini preliminari nella giurisprudenza costituzionale, in Aa.Vv., Giudici e giurisdizioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Giappichelli, 1997, p.341.

[58] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 199-201, cit; cfr. R. Romboli, Decisioni di inammissibilità fondate su errore di fatto e limiti alla riproposizione da parte del giudice a quo della stessa questione nel corso del medesimo giudizio, in Aa. Vv., Giudizio “a quo” e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, pp. 163 ss.

[59] E. Rossi e R. Tarchi, La dichiarazione di illegittimità conseguenziale nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Foro italiano, I, 1987, pp. 344 ss.; R. Chieppa, A proposito di illegittimità conseguenziale e potere d’ufficio della Corte, in “Giurisprudenza costituzionale”, 2009, pp. 1494 ss.

[60] A. Sandulli, Il giudizio sulle leggi, Milano, Giuffrè, 1967, pp. 69 ss.

[61]  R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale., pp. 471-476, cit.

[62] G.Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, pp. 279-319, cit.

[63] A. Celotto, F. Modugno, La giustizia costituzionale, in P. Carnevale, A. Celotto, C. Colapietro, F. Modugno, M. Ruotolo, G. Serges, M. Siclari, Diritto pubblico (a cura di F. Modugno), Torino, Giappichelli, 2012.

[64] P. Carrozza, R. Romboli, E. Rossi, I limiti all’accesso al giudizio sulle leggi e le prospettive per il loro superamento, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[65] G. De Vergottini, Diritto costituzionale, Padova, Cedam, V ed., 2006, pp. 643-646.

[66] Ibidem.

[67] T. Martines, Diritto costituzionale (a cura di Gaetano Silvestri), Milano, Giuffrè, 2002, pp. 316-317.

[68] G. De Vergottini, Diritto costituzionale, cit, pp. 643-646.

[69] G. Falcon, Contestazione e contrattazione di legittimità: aspetti di prassi e spunti ricostruttivi per l’applicazione dell’art.127 della Costituzione, in Giur. cost., 1980, pp. 531 ss.

[70] Sent. Corte costituzionale n. 274/2003 in cui è stata rilevato che, anche dopo la riforma costituzionale 3/2001, permane in capo allo Stato il peculiare ruolo di assicurare l’istanza unitaria.

[71] G. Amoroso, G. Parodi, Il giudizio costituzionale, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 324-330.

[72] A tal proposito v. R. Tosi, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie: procedimento e limiti, in Le Regioni, 2000; U. De Siervo, I nuovi statuti regionali nel sistema delle fonti, relazione al forum su Verso una fase costituente delle regioni? Problemi di interpretazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1, svoltosi all’ISR-CNR, Roma 5 Maggio 2000, Milano 2001, pp. 100 ss.; A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in Rass. Parl., 3/2000, pp. 599 ss.

[73] In tal senso v. A. Ruggeri, Nota minima in tema di Statuti regionali (con particolare riguardo al piano dei controlli governativi), alla luce della riforma costituzionale del ’99, intervento al forum su Verso una fase costituente delle Regioni? Problemi di interpretazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1, svoltosi all’ISR-CNR, Roma, 5 Maggio 2000.

[74] Il testo della sentenza è stato reperito su www.giurcost.org .

[75] A. Celotto, F. Modugno, La giustizia costituzionale, in P. Carnevale, A. Celotto, C. Colapietro, F. Modugno, M. Ruotolo, G. Serges, M. Siclari, Diritto pubblico (a cura di F. Modugno), cit.

[76] Il testo della sentenza è stato reperito su www.giurcost.org ; per un approfondimento dottrinale della questione si veda A. Spadaro, Il limite istituzionale della “armonia con la Costituzione” e i rapporti fra lo Statuto e le altre fonti del diritto, in Le Regioni, 3/2001, 453 ss. e in Aa. Vv., La potestà statutaria regionale nella riforma della Costituzione. Temi rilevanti e profili comparati, I.S.R.-C.N.R., Milano, 2001.

[77] G. Amoroso, G. Parodi, Il giudizio costituzionale, pp. 324-330, cit.

[78] Ibidem.

[79] G. De Vergottini, Diritto costituzionale, cit, pp. 643-646.

[80] Il testo della sentenza è stato reperito su www.giurcost.org

[81] R. Bin, G. Falcon, Diritto regionale, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 144.

[82] P. Caretti, U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, Giappichelli, VIII edizione, 2006, pp.394-396; G. Amoroso, G. Parodi, Il giudizio costituzionale, pp. 324-330, cit.

[83]  Il testo della sentenza è stato reperito su www.giurcost.org .

[84] In tal senso v. G. Amoroso, G. Parodi, Il giudizio costituzionale, pp. 324-330, cit.

[85] L. Elia, L’esperienza italiana della giustizia costituzionale. Alcuni nodi critici, in M. OLIVETTI e T. GROPPI (a cura di), La giustizia costituzionale in Europa, Milano, Giuffrè, 2003, p.137.

[86] P. Passaglia, Le fonti costituzionali, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[87] P. Carrozza, R. Romboli, E. Rossi, I limiti all’accesso al giudizio sulle leggi e le prospettive per il loro superamento, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), cit.

[88] F. Biondi, ‘‘Oggetto e parametro’’, in R. BALDUZZI, P. COSTANZO (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, cit.

[89] In tal senso v. P. Carrozza, R. Romboli, E. Rossi, I limiti all’accesso al giudizio sulle leggi e le prospettive per il loro superamento, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), cit.

[90] A tal proposito v. M. D’Amico, Le zone d’ombra nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale, relazione al Seminario del Gruppo di Pisa su Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Genova, 10 Marzo 2006.

[91] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pp. 202-205.

[92] Corte. Cost. sent. n. 274/2003, cons. in dir. 4.

[93] L.Pegoraro, Giustizia costituzionale, in G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi (a cura di), Diritto pubblico comparato, cit., p. 566.

 

[95] In tal senso v. P. Caretti, U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, Giappichelli, VIII edizione, 2006, pp.394-396.

[96] In tal senso v. A.Cannizzaro, La riforma ‘federalista’ della Costituzione e gli obblighi internazionali, 10 Dicembre 2001, in www.forumcostituzionale.it .

[97] A tal proposito v. B. Conforti, Diritto internazionale, Editoriale scientifica, Napoli, 2018, pp. 333-378.

[98] In tal senso v. N. Pignatelli, Le norme interposte, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[99] A tal proposito v.  A. Pertici, Le fonti comunitarie, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[100] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, Giappichelli, Torino, Terza edizione, pagg. 70-140; v. anche i contributi raccolti in A. Bernardi, I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017 e G. Demuro, I contro-limiti e le identità costituzionali, in Diritto costituzionale. Rivista quadrimestrale, 2/2018, 15 ss.

[101] Ibidem.

[102] In tal senso v. G. Strozzi, R. Mastroianni, Diritto dell’Unione europea – Parte istituzionale, Giappichelli, Sesta edizione, capitolo VI.

[103] Il testo della sentenza è stato reperito su www.cortecostituzionale.it.

[104] Il testo della sentenza è stato reperito su www.giurcost.org.

[105]A.Celotto, Italia, in A. Celotto, J. Tajadura, Josu De Miguel Barcena (a cura di), Giustizia costituzionale e Unione europea [ Una comparazione tra: Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e Portogallo], Editoriale Scientifica, Napoli, 2009.

[106] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, Giappichelli, Torino, Terza edizione, pp. 70-140.

[107] Ibidem.

[108] Ibidem.

[109] Per efficacia diretta s’intende l’invocabilità da parte di un privato della norma europea, eventualmente previa disapplicazione delle norme interne incompatibili, dinanzi a una giurisdizione nazionale sia nei rapporti orizzontali sia in quelli verticali. A tal proposito v. L.Daniele, Diritto dell’Unione europea, Giuffré, Milano, 2018, pp.261-266.

[110] A tal proposito v. L.S. Rossi, Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del Titolo V della Costituzione, 23-3-2002, in www.forumcostituzionale.it e A.Celotto, Italia, in A. Celotto, J. Tajadura, Josu De Miguel Barcena (a cura di), Giustizia costituzionale e Unione europea [ Una comparazione tra: Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e Portogallo], cit.

[111] Ibidem.

[112] Corte cost., 8-06-1984, n. 170, cit., 1098. Sulla decisione della Corte cfr. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 63 ss., il quale ha sollevato qualche dubbio sulla possibilità di risolvere tale conflitto mediante il ricorso al giudice costituzionale dal momento che tale soluzione si basa sulla <>.

[113] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pagg. 70-140.

[114] Il testo della sentenza è stato reperito sul sito www.cortecostituzionale.it

[115] A tal proposito v. A. Barbera, La carta dei diritti: per un dialogo fra la Corte italiana e la Corte di giustizia, in Rivista AIC, 4/2017; S. Vernuccio, La sentenza n. 269/2017: la Corte costituzionale di fronte alla questione dell’efficacia diretta della Carta di Nizza e la prima risposta del giudice comune (Cass. ord. 3831/2018), in Rivista AIC, 2/2018.

[116] C. Caruso, La corte costituzionale riprende il <>: invito alla discussione sulla sentenza n. 269 del 2017, 18-12-2017, in www.forumcostituzionale.it

[117] A. Ruggeri, Il sistema delle fonti tra vecchie esperienze e prospettive di riordino costituzionale, in Associazione italiana dei costituzionalisti, La riforma costituzionale, Atti del Convegno tenutosi a Roma 6-7 novembre 1998, Padova, 1999, 338.

[118] A tal proposito v. B. Beutler, R. Bieber, J. Pipkorn, J. Streil, J. Weiler, L’Unione europea: istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, 2001, 121.

[119] A.Celotto, Italia, in A. Celotto, J. Tajadura, Josu De Miguel Barcena (a cura di), Giustizia costituzionale e Unione europea [ Una comparazione tra: Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e Portogallo], cit. e A.Ridolfi, Giurisdizione costituzionale, corti sovranazionali e giudici comuni: considerazioni a proposito del dialogo tra corti, Riv. n. 3/2016, in www.rivistaaic.it .

[120] A. Pertici, Le fonti comunitarie, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[121] A tal proposito v. V. Onida, “Armonia tra diversi” e problemi aperti. La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, in Quad. cost., 2002, 549 ss.; e, tra le sentenze della Corte costituzionale, in particolare la n. 165/2004.

[122] A tal proposito v.  A. Pertici, Le fonti comunitarie, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[123] B. Conforti, Diritto internazionale, cit., pp. 333-378.

[124] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pagg. 70-140.

[125] C. cost., sent. 348/2007, cons. in dir. 4.7, in www.cortecostituzionale.it .

[126] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pagg. 70-140.

[127] R. Giovagnoli, I rapporti tra il sindacato di costituzionalità e il sindacato di convenzionalità in Italia e in Francia, Relazione tenuta a Parigi, presso la sede del Conseil d’Etat, in occasione del seminario franco-italiano del 26-28 settembre 2011, in www.jusforyou.it .

[128] E. Catelani, I trattati internazionali, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006.

[129] In tal senso v. P. Caretti, Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge dello stato e delle regioni, in Osservatorio sulle fonti, 2002, Giappichelli, Torino, 2003, p.6 ss e A. Cassese, Il diritto internazionale, Bologna, 2003, p. 278.

[130] In tal senso v. P. Caretti, Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge dello Stato e delle Regioni, cit. e L.S. Rossi, Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del titolo V della Costituzione, cit.

[131] In tal senso v. E. Catelani, I trattati internazionali, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), cit.

[132] Ibidem.

[133] M. S. Giannini, Alcuni caratteri della giurisdizione di legittimità delle norme, in Giur. cost., 1956, pp. 902 ss.

[134] T. Martines, Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche (1957), in Opere, I, Milano, 2000, pp. 206-223; a tal proposito v. anche V. Crisafulli, La Corte costituzionale tra Magistratura e Parlamento, in Scritti giuridici in memoria di Piero Calamandrei, IV, Cedam, Padova, 1958, pp. 275 ss.

[135] Per Sandulli la sentenza che accoglie la questione di legittimità costituzionale avrebbe piena forza di legge. V. a tal proposito A. M. Sandulli, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/1959, pp. 24-44 e ID.,  Sulla “posizione” della Corte costituzionale nel sistema degli organi supremi dello Stato (1960), in Scritti giuridici,  vol. I,  Napoli, 1990, pp. 711, 714, 717, 723; ID, Fonti del diritto, in Noviss. dig. It., VII (1961), pp. 524-529.

[136] A tal proposito v. A. Pizzorusso, Sub artt. 134-136, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, pp. 180-181; ID, Fonti del diritto. Art. 1-9 disp. Prel., in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, 274-277; ID, Ancora sulle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale e sulla metodologia dello studio delle fonti del diritto, in Pol. Dir., 1/1987, 139 ss.; A. Celotto, Le sentenze della Corte costituzionale sono fonti del diritto?, in Giur. cost., 1/2003, pp. 27-28.

[137] C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Utet, VI ed., 1993, pp. 994-997.

[138] S. M. Cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, III ed., 2006, pp. 75-78.

[139] A tal proposito v. R. Pinardi, La corte, i giudici e il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità, Milano, 1993 e A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 125-163, cit.

[140] S. M. Cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, cit., pp. 75-78.

[141] A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 125-163, cit.

[142] G. Zagrelbesky, V. Marcenò, La giustizia costituzionale, pp. 390-398, cit.; a tal proposito v. anche A.Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, pp. 125-163, cit.;  L. Elia, Divergenze e convergenze della Corte costituzionale con la magistratura ordinaria in materia di garanzie difensive nella istruzione sommaria, in <>, 1965, p.562; A. Guarino, Le sentenze costituzionali manipolative, in <>, 1967, pp. 433 ss.; Sandulli, Il giudizio sulle leggi, cit., pp. 64 ss.

[143] S. Gambino, La giurisdizione costituzionale delle leggi. L’esperienza italiana nell’ottica comparata (con particolare riguardo al giudizio in via incidentale) ed in quella eurounitaria, in S. Gambino (cur.), Diritti fondamentali e giustizia costituzionale. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2012; R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 486-488, cit.; G. Zagrelbesky, V. Marcenò, La giustizia costituzionale, cit., pp. 390-398.

[144] A tal proposito v. G. Branca, L’illegittimità parziale nelle sentenze della Corte costituzionale, in G. Maranini (a cura di), La giustizia costituzionale. Atti di una tavola rotonda organizzata in collaborazione con la fondazione A. Olivetti e l'United States Information Service, Vallecchi, 1966, pp. 57 ss.

[145] Il testo della sentenza è stato reperito su www.cortecostituzionale.it.

[146] G.Silvestri, La corte costituzionale italiana e la portata di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, 16 Aprile 2013, http://www.cortecostituzionale.it.

[147] Sulla funzione “legislativa” delle Corti costituzionali v. E. Cheli, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Il Mulino, Bologna, 1996, pp. 15-16; S. Cassese, Dentro la corte. Diario di un giudice costituzionale, il Mulino, Bologna, 2015, pp. 69-70, 117, 120; F. Modugno, La funzione legislativa complementare della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1981, parte I, p. 1646 ss.; ID, La Corte costituzionale italiana oggi, in AA.VV., Scritti sulla giustizia costituzionale in onore di Vezio Crisafulli, I, Padova, 1985, pp. 566 ss.; ID, Ancora sui controversi rapporti tra Corte costituzionale e potere legislativo, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, parte II, p. 16 ss.; ID., Scritti sull’interpretazione costituzionale, Napoli, 2008, spec. p. 107 ss.

[148] C.Panzera, Interpretare, manipolare, combinare: una nuova prospettiva per lo studio delle decisioni della Corte costituzionale, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2013, pp. 105-119; a tal proposito v. anche L. Elia, Il potere creativo delle Corti costituzionali, in La sentenza in Europa. Metodo tecnica e stile, Atti del Convegno internazionale, Ferrara 10-12 ottobre 1985, Padova, Cedam, 1988, p. 220.

[149] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pp. 53-57.

[150] G. Silvestri, La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo (1998), in ID., Le garanzie della Repubblica, Torino, 2009, pp. 515-527.

[151] A tal proposito. v. L. Paladin, Corte costituzionale e principio generale di eguaglianza: Aprile 1979 – Dicembre 1983, in Scritti su la giustizia costituzionale in onore di Vizio Crisafulli, I, pp. 605-660.

A. Guarino, Le sentenze costituzionali manipolative, in Dir. e Giur.; 1967, pp. 433 ss.; C. Lavagna, Sulle sentenze additive della Corte costituzionale, in Giur. it., 1969, pp. 145-150 e ID, Istituzioni, cit., 1037(sul quale v. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 1425 nota 1); L. Montesano, Sulle sentenze di incostituzionalità “interpretative”, in Giur. it., 1969, IV, pp. 97-102; G. Rizza, La corte costituzionale fra politica e diritto: appunti preliminari, in Dir. soc, 2/1973, pp. 315-329; F. Delfino, La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi. Natura ed effetti, Napoli, 1970, pp. 90-94 e ID, Omissioni legislative e Corte costituzionale (Delle sentenze cd. creative), in Studi in onore di G. Chiarelli, II, Milano, 1974, pp. 913 ss., 939-952; G. Duni, L’oggetto dei giudizi di costituzionalità e la problematica dei dispositivi additivi. Additività testuale e additività normativa, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano, 1977, pp. 315 ss.; G. U. Rescigno, Riflessioni sulle sentenze manipolative da un lato e sulla delimitazione della questione di costituzionalità dall’altro, suggerite dalla sentenza n. 139/1989, in Giur. cost., 1989, I, p. 661.

[152] R.Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pp. 53-57.

[153] Ibidem.

[154] V. Crisafulli, La Corte costituzionale ha vent’anni, in La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, a cura di N. Occhiocupo, Bologna, 1984 (rist. ed. 1978), p. 84. e ID, Lezioni di diritto costituzionale, II, L’ordinamento costituzionale italiano, Padova, 1984, p. 407.

[155] G. Silvestri, La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo (1998), in ID., Le garanzie della Repubblica, p. 125 e ID, Le sentenze normative della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1981, I e ID, Legge (controllo di costituzionalità), in Dig. disc. Pubbl., IX (1994), pp. 158-159.

[156] C.Panzera, Interpretare, manipolare, combinare: una nuova prospettiva per lo studio delle decisioni della Corte costituzionale, cit., pp. 105-119

[157] A tal proposito v. C. Esposito, Della <> nelle dichiarazioni di illegittimità costituzionali, in Giur. cost., 1961, 6 ss., 10  e G. Silvestri, Le sentenze normative della Corte costituzionale, cit., p. 1710.

[158] A Pizzorusso, La Corte costituzionale tra giurisdizione e legislazione, in Foro. It., 1980, V, 117 ss., p. 124.

[159] G. Silvestri, Legge (controllo di costituzionalità), cit., p. 159.

[160] C.Panzera, Interpretare, manipolare, combinare: una nuova prospettiva per lo studio delle decisioni della Corte costituzionale, cit., pp. 105-119.

[161] A. Celotto, F. Modugno, La giustizia costituzionale, in P. Carnevale, A. Celotto, C. Colapietro, F. Modugno, M. Ruotolo, G. Serges, M. Siclari, Diritto pubblico (a cura di F. Modugno), cit.

[162] Ibidem; v. anche R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 486-488.

[163] Il testo della sentenza è stato reperito sul sito www.giurcost.org .

[164] Su “impatto” v. G. Bognetti, La corte costituzionale tra procedura e politica, in Giudizio <> e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, p. 224; S. P. Panunzio, Qualche riflessione sulla <> delle regole procedurali nel processo costituzionale, in AA. VV., Giudizio “a quo” e promovimento del processo costituzionale. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta nei giorni 13 e 14 novembre 1989, Milano, 1990, p. 259.

[165] E.Cavasino, L’impatto ordinamentale del decisum come fattore di decisione nelle pronunce della Corte costituzionale, in M. D’Amico, F.Biondi (a cura di), La Corte costituzionale e i fatti; istruttoria ed effetti delle decisioni, Napoli, 2018.

[166] Ibidem.

[167] C.Panzera, Interpretare, manipolare, combinare: una nuova prospettiva per lo studio delle decisioni della Corte costituzionale, cit., pp. 153-157.

[168] A tal proposito v. R. Pinardi, Brevi note sull’<> delle tecniche decisionali elaborate dalla Corte costituzionale allo scopo di ovviare all’inerzia legislativa, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006.

[169] F.Modugno, I criteri della distinzione diacronica tra norme e disposizioni in sede di giustizia costituzionale, in Quad. cost., 1989, p. 39.

[170] Sulla creatività dell’interpretazione giudiziale v. V.Villa, Lineamenti di una teoria pragmaticamente orientata dell’interpretazione giuridica, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 189-192.

[171] In tal senso v. A. Vignudelli, La corte delle leggi – Osservazioni sulla cosiddetta efficacia <> delle sentenze della Corte Costituzionale, Maggioli editore, 1988, pp. 224-240.

[172] G. Silvestri, Le sentenze normative della Corte costituzionale, cit., p. 1696.

[173] F. Modugno, La Corte costituzionale italiana oggi, cit., pp. 27-28.

[174] L. Elia, La Corte nel quadro dei poteri costituzionali, in P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, 1982, p. 515.

[175] F. Modugno, La Corte costituzionale italiana oggi, cit., pp. 27-28.

[176] R. Bin, C. Bergonzini, La Corte costituzionale in Parlamento, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006.

[177] Per un’analisi della distinzione fra giurisdizione e legislazione si veda R.Guastini, La sintassi del diritto, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 439-448.